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Autore: MaikoxMilo    05/06/2021    3 recensioni
Vi fu un tempo, anche se privo dello stesso concetto di tempo, in cui, si narra, Cielo e Terra, Mondi e Dimensioni, Caldo e Freddo, Umido e Secco, coesistessero in una sola sostanza che racchiudeva tutto; tutto ciò che avrebbe poi assunto un nome, ma che, allora, nome non possedeva. Non c'era quindi un inizio, né una fine, non esisteva Destino, né legge, tutto era miscelato, un tutt'uno indistinto, estroflesso, inscindibile, nonché eterno. Tale concentrato di materia venne chiamato posteriormente "Principio Primo di Tiamat", prima di scomparire completamente nella Notte dei Tempi, svanendo per milioni e milioni di anni.
Tutti gli universi possiedono quindi un'origine comune? Che ne fu di quell'epoca, CHI ordinò il Creato, dandogli una forma propria, dividendo le dimensioni, espandendole all'infinito di propria mano? Chi ebbe la forza per farlo? Perché lo fece, imprimendo così la propria imperitura effige?!
Marduk, Sommo dio Marduk, fosti tu a volerlo, stracciando il gigantesco corpo della dea Madre Tiamat, scindendo così, per la prima volta, il Cielo dalla Terra; gli Universi dalla Matrice?!
Storia ambientata tra i capitoli 10 e 12 della Melodia della Neve, di cui è quindi indispensabile la lettura insieme alle fanfiction precedenti.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 3: Utopo, il Generatore di Mondi

 

 

Il suo cosmo era debole, quasi prosciugato.

Si sentiva fiacco, spaesato, tramortito, ma non ne rammentava affatto la ragione.

Tossì più volte. I polmoni erano come ostruiti da qualcosa, come se gli fosse entrata della polvere o si fosse creato un tappo che gli rendeva difficile la respirazione. Li sentì vibrare con difficoltà, come se qualcosa simile al catarro li raschiasse.

Non sapeva dove fosse, dove si trovasse, ebbe quasi la sensazione, terribile, di galleggiare nel vuoto senza punto di riferimento alcuno. Tentò quindi di muovere un braccio per darsi una scrollata, per tornare a risentirsi, ma l’ordine si perse ancora una volta nel nulla. Si agitò a quella consapevolezza, i pensieri sempre più offuscati gli sfuggivano di mente, sebbene il suo cervello tentasse di riportarsi alla calma in modo da valutare al meglio la situazione.

Strizzò le palpebre, prima di provarle ad aprire, ma subito un violento capogiro, unito ad una intensa sensazione di nausea, lo colse, costringendolo a richiuderle. Il suo petto scalpitò.

Non si sentiva affatto bene, non rammentava cosa stesse facendo, prima di finire lì, neanche percepiva la posizione cui era costretto. Sapeva solo di essere sdraiato da qualche parte, le braccia tese, quasi dolenti, continuavano ostinatamente a rimanere immobili, paralizzate.

N-no, cosa stava succedendo?! Si sentii atterrito alla consapevolezza di non potersi muovere, di essere in balia degli eventi. Ancora… e ancora!

Un’intensa sensazione di caldo sull’addome. nella zona ombelicale annichiliva tutto il resto, soprattutto le sue forze, che si disperdevano ovunque, come il suo cosmo, sempre più sfibrato.

“Oh? Stai riprendendo coscienza?”

Una voce gli rimbombò sinistramente nelle orecchie. Vicina a lui, troppo vicina. Non la riconobbe, lo mise in allarme. Si dimenò di riflesso, nel panico. Di nuovo... non era possibile, di nuovo impotente al cospetto di una essenza soverchiante. No, non poteva accettarlo, maledizione!

“Frequenza cardiaca a 110, in aumento… sei passato da 85 ad oltre i 100 in un nanosecondo, decisamente non male, ragazzo!”

Quella voce gli continuava a parlare, lui non riusciva a distinguerla, ma aveva capito: non era il Mago, lo avrebbe riconosciuto, altrimenti, la consapevolezza lo frastornò. Tentò di parlare, invano, gli occhi non riuscivano ancora ad aprirsi.

“Mmmh… MMMMMMH!”

Niente da fare, anche la lingua era attorcigliata, non si muoveva, gli mancava aria nei polmoni.

“Frequenza cardiaca… leggermente in diminuzione! Pupilla…”

Camus si sentì aprire a forza l’occhio, riuscì appena a distinguere una forma umana, di uomo, prima che una violenta luce lo accecasse per poi staccarsi prepotentemente da lui, senza la benché minima cura. Avvertì un bruciore netto, profondo, proprio dentro l’occhio, tanto da farlo lacrimare di riflesso.

“...Dilatata! Respirazione… - avvertì una mano fredda insinuarsi sotto la maglietta per poi schiacciargli l’addome e lo sterno, si irrigidì conseguentemente, provando disperatamente a muoversi, senza però riuscirci – Molto veloce! Non male, ragazzo, devi esserti agitato per benino, in effetti ci avevano avvisato che avevi problemi psico-somatici tali da mal tollerare di essere maneggiato!”

Dal suono che ne era derivato, aveva scribacchiato qualcosa su un foglio, tipo appunti… ma chi diavolo era quel tipo?! Perché…?

Con un flash improvviso, i ricordi gli piombarono addosso in un battibaleno. Rammentò che, prima di finire lì, tra le grinfie di un altro pazzo, si trovata ad Efeso con Michela, che aveva insistito per seguirlo nella missione affidatagli da Shion. Poi c’era stato un violentissimo terremoto, loro due si trovavano all’interno di un edificio quando tutto era crollato. L’ultimo ricordo sbiadito era di lui che afferrava la ragazza e la stringeva a sé per proteggerla dal crollo. Nient’altro.

Michela...

Il solo rievocare quelle ultime immagini, lo mise in allarme, riprese a divincolarsi a vuoto, agitato nel non percepirla al suo fianco. Dove era? Che ne era stato di lei?! Rabbrividì al solo pensiero che qualcuno le avesse potuto nuocere durante la sua incoscienza.

Provò per l’ennesima volta ad alzare un braccio per rialzarsi, ma si accorse di essere legato per i polsi e per le caviglie, su quello che pareva essere un lettino, o qualcosa di simile. Si costrinse a riaprire bene gli occhi, forzandosi a rimanere vigile, ma i movimenti, quelli, gli erano ancora preclusi.

Michela… maledizione, dove sei?

Una luce gli venne puntata nuovamente contro, accecandolo. Si lamentò debolmente, strizzando le palpebre, non riuscendo però a parlare. Percepiva la mandibola intorpidita, oltre che gli arti, la mente, tutto. Era... impotente!

“Meraviglioso! Ha ragione Fei Oz Reed quando dice che hai una volontà ferrea. Riesci a reagire, nonostante tutti gli inibitori somministrati. Stupefacente!” lo elogiò la voce che ai suoi occhi appariva solo come un’ombra.

La luce era sempre puntata contro di lui, gli impediva di distinguere le forme, l’entità su di lui era appena distinguibile. Impossibile muoversi. Impossibile comunicare. Ma da quelle semplici parole aveva capito trattarsi di uno, l’ennesimo, sgherro di quel bastardo che si professava l’ordinatore universale.

Quasi ringhiò a quel pensiero, non riusciva ad accettare l’idea di trovarsi nuovamente succube davanti al parentando di quell’essere abominevole. La sola idea lo disgustava dal profondo.

Di nuovo ridotto in quelle condizioni. Il suo corpo che cedeva al loro influsso. NO, BASTA, DANNAZIONE! Provò ad espandere il cosmo per richiamare l’armatura, perché non l’aveva indosso, ma il richiamò andò a vuoto. Con errore si accorse che Aquarius non era più rintracciabile e che non percepiva nemmeno, non solo il cosmo di Michela, ma anche il cosmo di tutti gli altri.

Quella consapevolezza lo gettò ancora di più nel panico.

Marta, Milo, Hyoga, Francesca, Sonia, gli altri Cavalieri d’Oro… cosa gli era successo?! Possibile che…?

No! Scosse la testa con violenza, rigettando la sola idea che potessero essere stati sconfitti, doveva esserci un’altra spiegazione. Serrò le palpebre, girando il volto alla disperata ricerca di un piccolo, piccolissimo, battito di vita.

Nulla.

Dove siete? Rispondetemi, vi prego, datemi un segno che io possa scorgere!

“Non puoi richiamarli… non sei più parte del tuo mondo, ma del mio, sei quindi separato della realtà. Devi avere ancora un po’ di pazienza, devo prima finire l’ispezione” continuò la fonte sonora che si aggirava intorno a lui. I suoi passi riecheggiarono per tutte le pareti, dandogli la nuova intuizione che si trovasse in un luogo chiuso.

Camus non capiva minimamente il significato di quelle parole. Era ancora confuso, il cerchio alla testa, per lo sforzo di muoversi, si era accentuato, il resto del corpo continuava a non rispondere.

“Dunque… abbiamo controllato il battito, il cuore, l’accelerazione… cosa manca? - si chiedeva intanto l’essere, prima di riscuotersi – Ah, certo, il punto cardine, è vero!”

Camus non ebbe il tempo di reagire, né di chiedersi cosa stesse succedendo, che si sentì sollevare la maglietta che indossava in modo da scoprirgli interamente l’addome.

“Mmmm… mmmmmmmh!!!” tentò di opporsi, inarcando la schiena, senza tuttavia riuscirci, ricadde lì, ansante, sempre più frastornato. Un sonoro beep gli trafisse l’orecchio, il suo corpo doveva essere collegato a vari marchingegni non dissimili dagli strumenti siti negli ospedali.

Braccia, testa, caviglie… non vi era un angolo del suo corpo che non fosse bloccato da quegli aggeggi infernali, impedendogli così il più piccolo movimento. Si sentì costretto, intorpidito. Il cuore gli accelerò nel petto agitato e non riuscì a tenere oltre gli occhi aperti.

Tuttavia si rese anche conto di riuscire finalmente a muovere almeno il collo, ma le palpebre sembravano pesanti come mattoni, stava sempre peggio. Si percepiva imprigionato dalle mani e dai piedi, scoperto sull’addome, mentre quell’essere collegava la sua pancia a degli elettrodi che gli venivano sistemati proprio intorno all’ombelico. Sussultò più volte, sentendosi nuovamente profanato.

Prima di riprendere coscienza, quel mostro doveva già averlo parzialmente spogliato, togliendogli la felpa, le scarpe e le calze, per poi adagiarlo su quel duro lettino, tastarlo e toccarlo più volte. A quei pensieri, la nausea lo invase. Provò ancora una volta, disperatamente, ad espandere il proprio cosmo, inarcando la schiena, ma prima ancora di riuscirci, venne interamente investito da una scossa elettrica assai intensa, che lo lasciò ancora più stordito e tremante rispetto a prima.

L’orgoglio gli impediva di urlare e scalpitare, ma fu costretto a reclinare la testa di lato, spossato, affannato mentre, come se niente fosse, quell’essere si chinava nuovamente verso di lui, palpandogli il costato con le due mani, schiacciandogli le vecchie ferite, incurante del suo malessere sempre più crescente.

“Non è consigliabile per te utilizzare il cosmo, lo hai ben visto tu stesso,, farlo attiva una scossa elettrica che aumenta d’intensità a seconda dell’impulso che tenti di utilizzare. Starai buono per un po’ e ti farai sondare da me,sei un uomo avveduto, del resto!”

“A-anf… anf, u-urgh…”

Respirava a fatica, stremato. Se solo avesse potuto non gli avrebbe dato nemmeno la gioia di quell’affanno, ma si sentiva in deficit di ossigeno. Aprì un occhio, cercò di stagliarlo nei confronti di quell’ennesimo abominio, ma ancora prima di focalizzarlo lo avvertì alzargli con gesto brusco la maglietta in modo da scoprirgli interamente il busto, obbligandolo così a mostrare il bel torace tornito e l’addome levigato dai duri addestramenti.

“Incredibile le potenzialità del tuo corpo, comunque! Queste ferite, che ti segnano il petto appena sopra al cuore, che avrebbero dovuto ucciderti, e invece...” sentì il suo sguardo su di lui percorrerlo centimetro per centimetro, compiacendosi. Strizzò le palpebre, tentando di opporsi, ma quell’essere perseguiva a parlare da solo, come preda di una violenta ispirazione.

“Le tre lacerazioni erano molto profonde… non hanno raggiunto i tuoi organi vitali, è vero, ma il danno era esteso. Secondo i miei calcoli avresti dovuto soccombere, ma hai reagito, non ti sei arreso, stupefacente per davvero!”

Con una mano lo costrinse malamente a sollevare la schiena, abbandonando poi la maglia, ormai completamente stropicciata, sopra le clavicole. Gli tracciò il corpo in lungo e in largo, muovendolo come più gli aggradava, girandogli il volto, come se fosse stato un pupazzetto e non un essere umano dotato di volontà propria.

Tremò consistentemente, sentendosi vulnerabile, sguarnito, quella consapevolezza lo annichiliva ancora di più, mentre la mente veniva ricondotta alle torture, alle mani del Mago che lo lambivano spietate. Trasalì.

Fu costretto a compiere una lieve torsione del busto in modo che quell’essere gli potesse guardare e toccare anche la schiena dalle scapole in giù. Sentì quelle mani fredde su di lui percorrerlo vigliaccamente, riportò disperatamente alla mente il pensiero di Seraphina, la sua gentilezza, per non soccombere. Fortunatamente non durò molto, presto venne riposizionato supinamente, anche il torace gli venne ricoperto, ma non la pancia. Gli girava la testa a quella consapevolezza: quegli occhi che non riusciva a distinguere erano in quel momento fissi sul suo ombelico, incrementando ancora di più il malessere che per lui era già più che insostenibile.

“La statistica era contro di te, ti davo sicuramente per morto, e invece… Forse è davvero merito di questo potere!” proseguì l’altro, come se nulla fosse, tracciando il bordino dei pantaloni di jeans che ancora indossava, insinuandoci un dito dentro per solleticargli il basso ventre. Camus sobbalzò di nuovo, facendo forza su sé stesso per non manifestare le convulsioni. Provava ribrezzo per quello che gli stavano facendo, verso quel mostro, ma ancora di più verso sé stesso.

Era sceso così in basso? Non era più nemmeno in grado di difendersi da solo? Di difendere le persone che amava e di cui non avvertiva più il cosmo? Camus si sentiva solo, dannatamente solo. Non poteva muoversi, non riusciva a percepire il cosmo di nessuna delle sue allieve, né della piccola Sonia, ma tentò comunque, disperatamente, con foga, di rintracciarle, come un padre che si protendeva verso la figlioletta. Una nuova scossa lo attraversò da capo a piedi, più intensa dell’altra. Gli uscì uno spasmo: non c’era davvero traccia di nessuna di loro, non sapeva a cosa, o a chi, aggrapparsi.

“Sei autolesionista, ragazzo?! Ti ho detto che il voltaggio aumenta ogni volta che usi il cosmo. Lo vedi questo? - gli chiese teoricamente, alzandogli meccanicamente la mano sinistra, nel cui polso era inserito una sorta di tubicino – Questo è direttamente collegato alla tua arteria principale, quando stai per opporti arriva un segnale al macchinario, azionando così la corrente e...”

Ma Camus non poteva perdere tempo ad ascoltare quel pazzo, ne andava della vita delle persone più importanti della sua vita, che quel momento sembravano sparite nel nulla. Si sforzò di concentrarsi di più

Marta… spero che tu stia bene, ovunque tu sia… M-Michela, eri con me, p-prima, d-dove sei? E-e Francesca? Perché non vi avverto più? Non è che, per arrivare a me, hanno fatto del male a voi?

Si chiese, prima di abbandonarsi e reclinare ancora di più la testa da un lato, totalmente impotente. Era stanco, dannatamente stanco, aveva bisogno di rifiatare un attimo, prima di riprendere le ricerche. Non poteva sopportare un’altra, simile, umiliazione, ma il pensiero che le allieve potessero essere in difficoltà era maggioritario in lui, lo riempiva più della paura per sé stesso.

Nel frattempo quell’uomo sconosciuto aveva preso a torturargli proprio l’ombelico, su cui sembrava voler insistere più che da altre parti. Lo allargò con le dita per poi guardarci dentro con una lucina calda, più e più volte, ispezionandolo con cura. Sentì distintamente i due indici scendere e salire nella fossetta, prima che qualcosa gli venisse incollato nell’estremità alta e bassa dello stesso, come se servisse che rimanesse il più aperto possibile. Non ebbe però il tempo di chiedersi la ragione, qualcosa lo punse. Comprese immediatamente che gli stava prelevando qualcosa da lì con una siringa, ma non aveva senso alcuno! Se gli serviva del sangue perché proprio in quella zona? Perché non dal braccio?! O dal… o dal…

Provò dolore e l’istinto di inarcare la schiena ma cercò di fare di tutto per non dimostrarlo. Era così stremato, eppure non aveva neanche combattuto, non si dava pace per dimostrarsi così debole. La siringa venne estratta, se ne sentì prosciugato.

Alcuni passi gli indicarono che quell’entità si era allontanata da lui, tuttavia non occorse comunque molto per far ritornare quell’essere sui suoi passi. Di nuovo fu sul suo addome. Di nuovo gli torturò l’ombelico, utilizzando i due indici come fossero dei mestoli, e di nuovo Camus distinse l’ago che penetrava in lui. Ancora. E ancora. 2… 3… 5 volte, ne contò, prima che si fermasse.

“Mmm, non è ancora sufficiente, dorme ancora, o sei tu che la trattieni? Perché? Perché celi così reconditamente questo potere, Camus? Eppure, tu da solo, potresti essere il padrone di tutti gli universi mondi...”

Non riusciva a rispondergli, non riusciva neanche più a riaprire gli occhi. Non capiva le domande che gli erano rivolte, non capiva perché continuasse a parlargli, se intanto aveva inibito gran parte delle sue funzioni corporee.

Chi diavolo era quel tipo?

Non riusciva minimamente a reagire, ma sussultò quando percepì distintamente un tondino freddo posarsi sul basso ventre, come per auscultare qualcosa. Continuava a non capire, era tutto così assurdo e privo di senso, di logica, che voleva da lui quel pazzo? Se era uno sgherro del Mago, perché non lo conduceva da lui, ponendo così termine a tutte quella manfrine?!

Il tondino freddo ispezionò più e più volte la sua pancia, come alla ricerca di un punto cardine, che, a giudicare da dove si era fermato, aveva trovato proprio nell’ombelico. Era così freddo lo strumento a confronto con la sua pelle sempre più bollente, e quel calore arcano aumentava sempre di più, senza che potesse controllarlo!

“Sì, bravo, così! Ha cominciato a reagire, se ne sente distintamente il battito!” esultò l’entità, trionfante, riprendendo in mano la siringa per poi inserirla nuovamente e aspirare.

Camus non aveva energie per opporsi, il suo corpo era rigido, il cuore nuovamente accelerato. Con le braccia così legate a quella sorta di flebo sulla piega dei gomiti e sui polsi, che continuavano a stordirlo, intorpidendogli i sensi, e quella cannula direttamente legata alla sua arteria, non poteva fare alcunché. La siringa venne nuovamente estratta, stremandolo ancora di più. Ne ebbe la spiacevole sensazione che gli venisse tolto anche qualcos’altro oltre al sangue; qualcosa che avrebbe dovuto rimanere segregato, qualcosa che era intessuto con la sua stessa esistenza, qualcosa… che aveva cominciato a scalciare a ritmo con l’alzarsi e l’abbassarsi sempre più frenetico della sua pancia! La sensazione che ne derivò era soverchiante.

Di nuovo i passi si allontanarono da lui, lasciandolo lì, inerme, mentre un fluido estremamente caldo gli riempiva la fossetta dell’ombelico, tracimando, per poi colare giù e insozzargli la pelle candida del fianco.

Era sempre più confuso… quell’essere aveva parlato di battito, oltre al suo, ma battito di cosa? Non era una donna e non era incinta, non era assolutamente in grado di generale la vita da solo, ma il nemico parlava come se ne fosse stato capace. Non riusciva a comprendere: cosa gli stavano facendo?! Perché?

Riaprì faticosamente gli occhi…

“Percepisco le tue domande nell’aria e a questo punto qualche spiegazione te la devo: sto estraendo il tuo sangue, e così anche quello di Tiamat, direttamente dall’ombelico, perché esso ne è la porta, la forma, la sostanza medesima per accedervi, nonché... la via preferenziale!” gli enunciò, come se leggesse nella sua mente – Tu conosci tale attitudine con un altro termine: ‘Potere della Creazione’. Cominci quindi a capire, ragazzo?” disse ancora, posizionando meglio gli elettrodi sul ventre per poi fissare lo schermo a cui erano collegate. Sul display vi erano segnati valori e linee segmentate illeggibili per lui, ma sembravano manifestare una presunta attività encefalica, o cardiaca, che sembrava avvenire direttamente dentro il suo addome.

No, era troppo mantenere le palpebre aperte, le richiuse, soffermandosi sulle informazioni che era riuscito ad ottenere.

Tiamat... era dunque lei che gli aveva ceduto il Potere della Creazione?! Di chi si trattava?! Una divinità, un mito, o cos’altro? Perché, nonostante avesse udito per la prima volta quel nome, era come se, in fondo al cuore, lo sapesse già?

Testardo, provò nuovamente a muoversi, accorgendosi che riusciva a ribellarsi meglio, ma non era ancora abbastanza, troppo poco, non sufficiente. Avvertì di nuovo la presenza di quell’essere su di lui, si stava chinando per riprendere il procedimento, ma la sua emanazione cosmica lo mise in allarme, facendolo retrocedere. Subì un’altra scossa, la terza, ma non importava. Strinse con foga le mani, resistendo con tutto sé stesso.

“C-chi diavolo… sei, anf?” riuscì a chiedere, con un filo di voce, ma sufficientemente chiaro. Utilizzare tutti i 5 sensi umani era pura utopia, ma privarsene di uno gli consentiva perlomeno di comunicare verbalmente, anche se con estrema fatica.

“Tu… riesci a parlare, nonostante le tue condizioni?!”

“La domanda… te l’ho posta prima io, anf!”

“Sei sorprendente, Camus dell’Acquario, mi dispiace solo di non avere abbastanza tempo per esaminarti da capo a piedi! - rispose con voce quasi sibilante, facendolo raggelare – Mi chiamano Utopo, il Generatore di Mondi!” lo accontentò poi placido, chinandosi senza esitazione verso di lui per l’ennesima volta.

Camus serrò le palpebre nel percepire il suo avvicinamento, non riuscì ad opporsi, mentre due dita di quell’essere gli entrarono nuovamente nell’ombelico, torturandoglielo, allargandoglielo ancora una volta, per poi introdurre nuovamente l’ago con violenza ed estrarre una nuova fiala di fluido. Si sentì mancare, il respiro quasi gli si mozzò in petto, mentre le braccia tese, legate, tentavano di compiere un movimento violento, del tutto involontario. Stava diventando sempre più insostenibile quel processo, se avesse proseguito così, ad oltranza, sarebbe stata la fine per lui.

“U-Utopo, anf… - tentò comunque di razionalizzare il suo pensiero, parlare lo manteneva vigile – F-fai parte della congrega di quel pazzo di F-Fei Oz, è fuori da ogni dubbio, Stevin ci ha fatto il tuo nome, sei quindi uno dei suoi carcerieri, anf?”

“Stevin… ti riferisci a Stefano? Ti è bastata un’unica volta per memorizzare il mio nominativo, ma che bravo. Mente agile e cuore impavido, non c’è che dire… - ironizzò, introducendo senza remore alcuna nuovamente la siringa. A Camus scappò un singulto, mentre la schiena, di riflesso, si arcuava veementemente – Peccato che tu non sia altro che un recipiente colmo e pregno di un qualcosa di meraviglioso che tuttavia non puoi pienamente controllare. 10 prelievi dovrebbero essere sufficienti per rivelare la sua vera forma, sei a 8...”

Pronunciava quella frase con una ovvietà e una calma che inquietava non poco. Era chiaro non lo reputasse altro che un oggetto, da usare come trastullo a piacimento. Ne fu disgustato.

“A-anche se non mi avesse avvisato Stefano, siete facilmente distinguibili… siete degli schifosissimi mostri inumani, avete ereditato le perversioni da vostro protettore, gli stessi, discutibili, gusti, gli stessi… argh!”

Quell’essere lo aveva preso per i capelli, girandogli forzatamente il volto e costringendolo ad aprire gli occhi, che vennero feriti dalla luce artificiale, ancora puntata contro di lui. Sentì una mano insinuarsi sotto la sua schiena, afferrare il tessuto della maglietta per poi sollevarla interamente, quasi rivoltandogliela. Boccheggiò. Quella stessa mano che lo ghermiva spietata, tornò poi sul davanti, gli tracciò velocemente lo sterno per poi scendere con gesto secco fino al basso ventre, lasciando lui lì, tremante e agitato, il respiro sempre più frenetico.

“Non mi paragonare agli altri Pilastri, Acquario! Nero Priest, colei che si è occupata di Stefano in questi due anni, vive di pulsioni, utilizzandole contro i nemici; Fei Oz Reed è interessato a te, al tuo corpo, lo sai meglio di chiunque altro. Non dovresti essere che un mero strumento per attingere al Potere della Creazione, ma il suo interessamento si è erroneamente dilagato: i suoi sordidi impulsi sono rivolti anche a te in quanto essere umano, così come i pensieri e ogni fibra del tuo essere, tuttavia io… - gli disse, oltraggiato, mentre continuava a calcare e ricalcare i bordi del suo ombelico, zigzagando intorno agli elettrodi – Io sono diverso!” arrivò alla conclusione, tirandogli nuovamente giù la maglietta ma lasciando comunque in bella mostra il ventre scalpitante.

Si staccò da lui, a Camus mancava aria nei polmoni e gli ci volle un po’ per recuperare il fiato per tentare di parlare di nuovo. L’ago gli venne inserito una nona volta, nello stesso punto esatto, lasciandolo lì, preda degli spasmi, un bruciore sempre più fitto all’addome, lo stesso liquido caldo che, di nuovo, gli colmava interamente la fossetta per poi colare sulla pancia. Stava perdendo più fluido rispetto alla grandezza del foro d’entrata, Camus non si capacitava della motivazione, non riusciva nemmeno più ad incurvarsi da quanto fosse il dolore.

“E… e in cosa s-saresti diverso? F-fate gli stessi giochetti convinti di potermi piegare, m-ma io… - gli chiese, cercando di mantenere il sangue freddo – Non mi arrenderò mai alle vostre perversioni, sozzure!”

Gli serviva tempo per pensare, doveva darsi una smossa, in qualche modo, rintracciare assolutamente Aquarius, anche se era lontana, anche se, come gli aveva accennato quell’essere, si trovava in una sorta di spazio di singolarità slegato dalla realtà oggettiva. Ripensò disperatamente ai pochi indizi che aveva, alla voce sibilante dell’entità, a quegli occhi, che aveva solo intravisto, che emanavano bagliori infuocati, quasi primigeni. Chi era Utopo? C’era un mito legato a quel nome? Per quanto Camus si sforzasse, non lo rammentava che soltanto nel romanzo di Thomas More intitolato, appunto, ‘Utopia’.

“Io lo faccio per il sacro fuoco della Scienza, solo per quello. Sono uno scienziato, un ricercatore, non ho alcun tipo di coinvolgimento con te, non mi curo di cose così basse e volgari come i sentimenti e le pulsioni!” gli disse, tornando su di lui, girandogli il volto in modo fa averlo frontale.

Per qualche strana ragione sembrava esitare. Per cosa, si chiese Camus, mentre, opponendosi strenuamente, provava a ribellarsi, voltandosi dall’altra parte.

“Il succo non cambia… sei pazzo in ugual maniera!”

“Definiscimi come vuoi, ma io non sono come loro! - ribadì, puntandogli la lucina dritta e sparata nell’altro occhio, che gli bruciava sempre più – La dilatazione è quasi completa, sei all’ultima puntura, vuoi continuare a non usare quel potere? Io posso salvarti, se mi asseconderai!”

“N-non farò nien-te di ciò che tu voglia, n-non sono il vostro oggetto, non piegherai la mia volontà!”

“Morirai allora...”

“Sarebbe comunque meglio che appoggiare i vostri sciocchi voleri!”

L’essere sospirò rumorosamente, fintamente deluso, prima di proseguire nel dialogo.

“Da quanto mi hanno riferito, il Potere della Creazione è insito in te, non può essere estratto da te, previa la tua uccisione, ne sei quindi indissolubilmente legato. Tiamat, il suo Principio Primo, è tenuta qui, nel tuo grembo, e dipende dalla tua stessa volontà… - gli disse, toccando con l’indice la zona in questione – E’ pienamente sviluppata, come un piccolo feto che, tuttavia, in circostanze normali, è silente in te. I prelievi che ti ho fatto prima sono serviti ad estrapolare parte di questo tuo grandioso potere, una minima parte, allo scopo di pungolarti per manifestarlo interamente, ma se non lo farai, ora che l’ho punta più volte, il tuo corpo umano non sarà più in grado di contenerla. Ella ti sventrerà, uccidendoti sul colpo!”

A quelle parole Camus sussultò, per la prima volta pizzicato dalla paura non per gli altri ma per sé stesso. Si immaginò la scena nella sua mente, rabbrividì, ricacciando a forza indietro un conato di vomito.

“Ma, secondo me, un modo per usufruire di questa tua capacità c’è, indipendentemente dalla tua volontà. Fei Oz è convinto di possederti, di piegare la tua mente per utilizzare tale forza, ma sbaglia. E’ lampante che le pulsioni che egli prova nei tuoi confronti gli abbiano annebbiato irreversibilmente il cervello; io dimostrerò quanto sia in errore!” dichiarò, alzando il tono della voce fino a quasi strozzarsi.

Un pazzo. C’era poco da farsi!

Camus avrebbe forse dovuto provare paura, davanti alle parole di quel folle, ma sorrise inaspettatamente tra sé e sé, riaprendo gli occhi e sfidandolo con lo sguardo.

“Sei un dissidente, a quanto pare...”

“...”

Camus, pur con gli occhi ben aperti, il respiro sempre mozzo, continuava a non riuscire a distinguerlo, complice la luce accecante che gli era proiettata contro, e la vista che gli era calata a seguito dell’emorragia, ma almeno era in grado di capire dove fosse ubicato.

“Ciò che stai f-facendo, anf, non è il volere di Fei Oz Reed, lui non vorrebbe arrivare mai a questo, desidera… il mio corpo!”

“E… e quindi?!”

“Ti sei ingabbiato da solo! Vuoi Tiamat solo per te, ma non puoi eliminarmi senza provocare l’ira del Mago di cui tu, in fondo, hai paura; per questo, prima, hai chiesto la mia collaborazione, ma non l’avrai, né adesso, né mai!”

“...no, infatti hai ragione, mi compiaccio della tua intelligenza! – si sentì rispondere, prima di una breve pausa – Ho avuto altre direttive da lui, ma la motivazione non era sufficientemente valida per me e ho scelto di proseguire per la mia strada. Ora non posso comunque più tornare indietro, ho osato toccarti e sfregiarti, per questo, quando lo verrà a sapere, mi darà una lezione. Tanto vale quindi proseguire, per la salvezza Ipsias!”

“...”

Fu il suo turno di rimanere in silenzio, un po’ perché doveva recuperare il fiato dalla frase di prima, un po’ perché percepiva che il dialogo sarebbe continuato.

“Non ho altre vie, Camus...”

“T-tu non… non porterai a termine l’ultimo prelievo! N-non correrai il rischio di provocarmi un danno irreversibile!”

“Staremo a vedere! Ormai il dado è tratto, tenterò il tutto e per tutto per impadronirmi io medesimo della tua straordinaria dote!”

“M-ma se hai appena asserito c-che...”

“Ho detto che il fine è comune, solo quello conta! Utilizzerai il Potere della Creazione per me, lo utilizzerai consapevolmente per salvarti, perché infine avrai paura di morire come tutti i miserabili esseri viventi, la lascerai quindi sgorgare al di fuori di te, dandole libero sfogo. Sarà in quel momento che io… me ne approprierò!”

“N-non lo farò mai, MAI!

“Staremo a vedere...” asserì l’altro, determinato, facendo il giro del giaciglio per afferrargli i polsi ancora legati ed allargargli così le braccia, che raggiunsero così la tensione massima. Camus fu costretto a permetterglielo, del tutto impotente. Non sentiva quasi più le estremità corporee, da quanto fossero indolenzite, non aveva energie per contrattaccare, il suo cosmo era sempre più evanescente. Utopo ripeté lo stesso procedimento con le gambe, prima di tornare a concentrarsi sull’addome, completamente scoperto. Gli sistemò meglio il busto, mentre con un movimento secco, gli alzava la schiena, adagiandoci sotto un appoggio che serviva per tenere la pancia più rialzata rispetto al torace, in una posizione che ricordava lontanamente una partoriente.

“La-lasciami, mostro! Non avrai quel che brami, non… urgh!”

“Sei ostinato, ragazzo, ma tra poco dovrai cedere, ne andrà della tua vita!” rispose l’altro, applicandogli altri due cerotti a destra e a sinistra dell’ombelico che risultava così completamente dilatato.

Camus non rispose, un debole lamentò gli uscì, a disagio per la postura cui era costretto e per il bruciore che aveva avvertito. Il cuore e il respiro erano sempre più accelerati, doveva cercare un modo per opporsi, ma non lo trovava, i pensieri gli sfuggivano, sentiva semplicemente il ventre sempre più bollente, quasi scalpitante, ancora una volta, come di bambino che volesse uscire. La sensazione lo sconvolse fin dal profondo. Recalcitrava, calciava, o, almeno, era ciò che avrebbe voluto fare. Se avesse mollato le redini anche solo per un istante, lo avrebbe certamente prevalso, avverando così i desideri del nemico. Strinse disperatamente le palpebre, mentre, a seguito dello sforzo di trattenersi, vibrava, arcuando più volte la schiena nel tentativo di domarla.

Utopo fu presto nuovamente su di lui, gli schiacciò lo sterno con la mano sinistra mentre con la destra, si preparava a fare l’ultima iniezione.

“Solo una, Camus… morirai se non manifesterai il potere, lo sai, vero?”

“E-ebbene, fallo pure, così il tuo Mago da strapazzo non avrà più un corpo a cui attingere e, dalla rabbia, farà fuori anche te! – ribatté, tutto di un fiato, l’adrenalina che scorreva in lui – Elimineremo così il problema alla radice, Utopo!” sorrise di scherno, con una sicurezza incrollabile, sebbene il bruciore fosse sempre più intenso.

“Mi vuoi forse dire che puoi sopprimere l’istinto di sopravvivenza? L’istinto di autoconservazione primigenio?! Non c’è nulla di più forte in natura!” gli fece notare lui, mentre, con l’ago, cominciò a premergli sulla pelle dentro all’ombelico, senza tuttavia inserirlo del tutto.

“M-mettimi alla prova… s-sei uno scienziato, n-no? Vediamo chi cede per primo? Se io… o tu?!” continuò, sempre più irriverente, stringendo le mani a pugno per tentare di dare sfogo al dolore che provava.

“Che sciocco impudente… e sia, allora!” disse, spietato, iniettando infine la siringa con gesto deciso.

Camus urlò, non riuscì proprio a trattenersi, mentre il corpo, fino a quel momento scosso da fremiti, si contorse in preda ad una violenta crisi. Più il fluido veniva estratto, più il dolore si faceva intollerabile, diffondendosi a tutto il corpo tramite i vasi sanguigni che sembravano implodere, bollire per poi vaporizzarsi. Quell’innaturale calore lo stava uccidendo, impedendogli di respirare. Era così caldo, così insopportabile, così…

Alcune immagini, secche, apparentemente prive di senso, si stamparono nella sua mente. Un’immensa sfera di materiale indistinguibile che galleggiava su un grande, grandissimo, mare salato, un’esplosione termonucleare, una dea per metà dragone, una figura incappucciata, uno squarcio enorme nell’immenso oceano, la formazione del cielo e della terra, un’altra esplosione atomica, la proiezione di tutti i mondi, la loro separazione… Nel bel mezzo di quella sofferenza atroce, Camus si rese conto, forse per la prima volta nitidamente, che tutti gli universi avevano avuto un’origine comune e che erano appartenuti vicendevolmente ad un Grande Tutto che era poi stato smembrato a seguito di una azione violenta.

Un’azione del dio Marduk… il primo Ordinatore del Cosmo, che aveva ucciso e fatto a pezzi Tiamat, la dea madre, che aveva in seguito trovato rifugio in lui, anzi, nel primo Aquarius.

Quell’ultima consapevolezza lo trafisse, mentre avvertiva la vita scivolargli via, irreparabilmente. Sarebbe morto per davvero, di nuovo, sarebbe precipitato nella voragine del vuoto, ancora una volta, lasciando soli tutti i suoi affetti. Non voleva morire, non poteva morire! Non di nuovo! Davvero sarebbe bastato usare il Potere della Creazione per salvarsi?! Se lo avesse fatto sarebbe rimasto lui o sarebbe diventando qualcun altro?! Avrebbe potuto salvarsi, così?! Forse davvero...

Marta…

Il viso della sorellina riaffiorò alle sue memorie, gli stava sorridendo e quel calore, solo quello, lo invase completamente, anestetizzando un minimo il dolore. Non voleva perdere sé stesso, non voleva smarrire il fatto di essere suo fratello maggiore, o un maestro per Hyoga, Isaac, Michela e Francesca. Non poteva permetterselo!

Non vi lascerò più da soli a combattere… ve l’ho promesso! Siete… siete tutto, la mia famiglia, il mio sostegno!

Piccola mia, hai salvato la mia vita quando la credevo ormai perduta, mi hai ridato il calore che mi era stato sottratto... ho giurato che avrei fatto di tutto, se non di più, per rimanere al tuo fianco. Che uomo, che fratello maggiore sarei, se rimangiassi queste mie parole?!

No, c’era un altro modo per rimanere in vita, senza fare il gioco del nemico, c’era un altro modo, un’altra speranza… Utopo aveva ribadito che, una volta ultimata l’aspirazione, lui sarebbe morto, sventrato da un potere incontrollabile che il suo corpo umano non poteva tollerare, ma il FINE era comune…

Il fine era comune con quello del Mago… quel pazzo, pur procedendo di sua iniziativa, non avrebbe potuto permettere la sua dipartita, IN NESSUN CASO. Si sarebbe ritratto prima, DOVEVA ritrarsi prima!

Si strinse più che poté al giaciglio su cui era stato adagiato, le dita si piegarono sul metallo sottostante in una maniera del tutto innaturale. Gli spasmi erano sempre più incontrollabili, gli procuravano stilettate insostenibili, come se fosse ripetutamente trafitto da lame che scendevano sempre più in profondità.

La siringa aveva quasi ultimato di aspirare, la percepiva bene perché l’addome era sempre più contratto, la pelle sembrava quasi sul punto di tagliarsi dall’interno, dalla carne sottostante, anziché dalla superficie. Incanalò aria, serrò la mascella resistendo ad oltranza con tutte le forze che gli restavano, per farlo riportò alla mente le immagini delle persone che amava, le luci della sua vita. Milo, Hyoga, Sonia, Marta, Michela, Francesca, gli altri Cavalieri d’Oro… aveva ancora così tanto di bello, da vivere… con loro!

Il dolore era arrivato infine al culmine, ma proprio quando Camus si preparava a subire il peggio, la pressione e il calore nel suo addome scemarono fino a scomparire, lasciando solo lui con un affanno crescente. L’ago venne estratto in malo modo, trasmettendogli un’ultima fitta, nello stesso momento in cui la figura si allontanava da lui bruscamente, furiosa.

“Hai vinto la tua tenacia, Camus dell’Acquario, le mie felicitazioni, non lo credevo nemmeno possibile: moriresti, pur di non seguire le mie direttive!”

Quelle parole professare con veleno gli sbatterono da una parte all’altra del cervello, mentre la consapevolezza di sé, i sensi, tentavano in ogni modo di tornare in superficie. Aprì forzatamente gli occhi. Non poteva parlare, era troppo impegnato a boccheggiare per recuperare ossigeno, ma per la prima volta le fattezze di quell’essere si stamparono nella sua cornea, rendendolo distinguibile.

Aveva l’aspetto di un uomo sulla sessantina, i capelli bianchi arruffati senza una forma propria e alcune rughe sul volto, la pelle olivastra. Sembrava davvero il prototipo di uno scienziato pazzo, ma senza indossare gli occhiali. Nella mano destra teneva ancora la siringa contenente un fluido dorato cremisi, ben visibile. Non era stata completamente riempita del suo sangue, si era fermata a ¾ della sua capienza. Camus aveva vinto la scommessa.

“I miei complimenti, ragazzo! - ripeté Utopo, ma sembrava paurosamente infastidito – Davvero sei un essere in grado di sopperire all’istinto di sopravvivenza; un essere contro natura! Sono in trappola, devo necessariamente arrivare a quel potere, prima che Lui se ne accorga, procederò quindi seguendo il suo piano originale!” affermò, buttando con stizza la siringa per terra e schiacciandola poi con un piede, senza alcun timore.

Camus non comprendeva il suo sproloquiare, le parole gli arrivano a spizzichi e bocconi, neanche intere. Respirava male, era in evidente affanno, stremato, non riusciva più muovere un singolo muscolo. Con la coda dell’occhio, per quanto la posizione della sua testa glielo concedesse, seguì i movimenti del vecchio, che aveva preso a camminare nervosamente intorno, visibilmente irritato.

“E sia dunque! - si riscosse all’improvviso il vecchio, raddrizzandosi – Procediamo!” ribadì, schioccando le dita e rimanendo in attesa.

Impossibile capire cosa gli frullasse davvero per la testa. Camus sperò in cuor suo che quel gesto fosse andato a vuoto, perché in un primo tempo non accadde niente nel suo campo visivo, c’era solo il nemico, il suo sguardo che emanava bagliori, e poi… e poi il calore del sangue sul suo addome, sempre più prorompente. Poco dopo però si avvertì nell’aria uno sbattere frenetico di ali che smosse il tavolo su cui erano adagiate le fiale. Impossibile distinguere cosa fosse, esso aveva le dimensioni di una grossa aquila, ma al posto delle piume vi erano delle squame e una coda rassomigliante ad uno scorpione…

Che razza di chimera è mai questa?!

Fece in tempo a chiedersi, prima che i suoi occhi vennero catturati da qualcosa di non ben definito che cadde da una altezza considerevole. Ne seguì un lamento sommesso, a stento taciuto… femminile… mentre Utopo gli dava le spalle, piegandosi per raccogliere qualcosa, qualcuno.

Quel gesto, quel rantolo famigliare… bastarono per metterlo in allarme .Si irrigidì, sgranando gli occhi. No, per Atena, anche quello no, tutto su di lui, ma non quello… non lo avrebbe più tollerato!

Utopo si avvicinò quindi alla sua postazione, pur rimanendo a distanza di sicurezza, mostrando quanto tratteneva malamente in mano. Camus si sentì morire dentro.

“Nnnn….n” si dimenò, invano, il corpo non seguiva gli ordini del suo cervello.

“Questa ragazza ha tentato di proteggerti quando siete venuti qua. Non voleva che ti toccassi, ha ostruito il processo, e l’ho punita, come puoi vedere. Mi chiedo se, come dice Fei Oz, tu tenga talmente tanto a questa femmina da utilizzare per davvero il Potere della Creazione se lei si dovesse trovare in pericolo!” gli spiegò, mostrandogli il suo volto insanguinato, sottintendendo che, in caso di rifiuto, le avrebbe fatto di peggio.

“N-no… p… per, urgh, per-ché… l-lei? N-non c’en… è innoc-ente! - riuscì finalmente a biascicare Camus, ormai gettato in una, più cocente, disperazione. Raccolse le forze per provare a chiamarla con quanto fiato gli fosse rimasto in gola – Mich… anf… MICHELAAAA!!!”

La ragazza, visibilmente ferita e precedentemente torturata, si riscosse un poco, aprendo con difficoltà le palpebre socchiuse e tirate per il dolore, per guardarlo.

“Pa-pà...” lo chiamò con un filo di voce, prima di gridare perché Utopo gli aveva stretto il collo con una mano. Camus si sentì morire dentro una seconda volta, mentre l’orrore, il trauma della perdita, si fece largo in lui, gettandolo nel panico.

“Papà?! Non avete che pochi anni di differenza e nessun legame sanguigno e ti appella così?! Patetici entrambi!” li canzonò il nemico, sempre con quella luce da folle negli occhi.

“La-lasciala s-stare, Utopo, lei è innocente, volete me, nessun altro. Liberala!” fremette l’Acquario, cercando disperatamente di rompere le catene che lo tenevano soggiogato, invano. Il corpo non rispondeva, gli effetti degli inibitori erano ancora persistenti. Maledizione! Avvertì nuovamente la scossa elettrica attraversargli il corpo, ma non importava; non importava più!

“Hai ragione, ma è legata a te da una relazione. Secondo il nostro Sommo Demiurgo, è una delle chiavi per farti utilizzare il tuo potere – affermò, pratico, socchiudendo gli occhi – Me ne duole, Camus, avrei preferito che reagissi per istinto di sopravvivenza e autoconservazione, non certo per motivi tanto squallidi!”

“Squa… squal-lidi?!?” ripeté oltraggiato, percependo la rabbia fomentarsi, insieme a qualcosa di più arcano.

“Sì, squallidi, o, se preferisci, contro natura! Quale essere può essere talmente stupido da prendersela così a male per un qualcosa che accade a terzi e non a sé stesso?! Solo tu!”

Camus serrò la mascella e le palpebre, alla disperata ricerca di una scintilla che potesse farlo reagire. Non era più una questione solo sua, c’era molto di più in gioco. Si concentrò nel disperato tentativo di abbracciare il cosmo di Michela, come avrebbe voluto fare con il suo corpo pieno di tagli, ferite e abrasioni. L’avevano torturata per lui, il solo pensiero lo faceva star male.

Per lui… solo perché era al suo fianco e aveva tentato di proteggerlo con tutta sé stessa. Come avevano osato?!

“M-Michela… resisti, resisti ancora un po’, t-ti salverò, mia giovane allieva, n-non oserà più toccarti!” le disse mentalmente, cercando di apparire più sicuro possibile, nonostante il tono sofferente. In verità aveva paura; una paura atroce, per lei, più ancora che per sé stesso.

“Pa-pà… non pensare a me, m-ma a te, è a te che ha fatto… urgh!” la risposta della ragazza arrivò al suo cervello, trasmettendogli una nuova disperazione per quanto fosse stentata la sua voce. Poi la comunicazione venne bruscamente interrotta.

“Mich...”

“Aaaaaaaaah!”

Il suo urlo lo fece accapponare, spalancò gli occhi a vuoto, mentre una rabbia incontrollabile, feroce, gli sconquassava il corpo ancora più che il dolore dato dall’aumento del voltaggio elettrico.

“BA-BASTARDO!”

Le catene che lo legavano cigolarono sinistramente, le sue iridi saettarono in quelli dell’essere, tentando al contempo, con orrore, di non soffermarsi troppo sulle condizioni di Michela, che, con la lama del coltello, era appena stata tagliata poco sotto le due clavicole. La maglia che indossava, già sgualcita, si tinse di un rosso in espansione.

“Siete solo dei bastardi per rifarvi così su una ragazzina solo per arrivare a me… ti ucciderò nel peggiore dei modi, Utopo! NON AVRO’ ALCUNA PIETA’ DI TE!!!”

“Quale reazione esorbitante per aver solo tagliato la tua giovane allieva… più di quanto sperassi di scovare in te! Tieni così tanto a questa femmina?! Al punto da agitarti così tanto?! Ascoltati, il tuo cuore sta battendo all’impazzata, se continuerai a reagire in questo modo la corrente elettrica potrà causare danni invalidanti ai tuoi organi vitali!”

A Camus non importava. Pulsava forte, era vero, come mai prima di quel momento, ma non gli importava minimamente, vedeva solo, davanti a lui, il volto di Michela sempre più sofferente, le braccia di quel mostro che quasi la soffocavano e quel dannatissimo coltello, che in quel momento gli solcava la guancia, facendole uscire il sangue anche lì.

Controllo. Camus dell’Acquario si era sempre raccomandato il controllo nella sua sacra missione di Cavaliere. Il controllo e la temperanza. Ma lì, in quel mondo che non era nemmeno la Terra, in una situazione più che disperata, nulla aveva più davvero senso. Non c’era più Camus, non c’era neanche Camus dell’Acquario, solo il suo desiderio di proteggere l’allieva e di allontanare quelle sporche manacce da lei.

Diede un altro scossone, una delle catene che gli legavano il braccio sinistro si incrinò. Ma non era ancora abbastanza.

Per la prima volta nella sua vita si lasciò condurre totalmente dalla sua rabbia, mentre il calore spropositato nell’addome scemava fino a scomparire, scambiato da un gelo insostenibile; un gelo che lui, in circostanza normali, non avrebbe mai potuto raggiungere. Un gelo che tutto bloccava.

Si incrinarono anche le altre catene, alcuni elettrodi congelarono, rompendo di fatto i macchinari che, prima di esplodere in mille frammenti, sembravano come impazziti.

Ma non era ancora abbastanza.

Utopo non capì subito che tipo di potere stava per manifestarsi, non aveva mai assistito agli effetti dello Zero Assoluto e persino la Creazione non aveva abbastanza dati per essere quantificata, ma capì che per provocare la reazione sperata, la ragazzina era la strada giusta. Sorrise, di scherno, sentendosi superiore. L’Acquario sembrava una variabile impazzita, un dato non quantificabile, un’assurdità. E lui odiava tutto ciò che non poteva essere rispecchiato in schemi matematici predefiniti.

“Bene, Camus… continua così, sei sulla strada giusta. - prese una breve pausa, ghignando sadicamente, mentre, con il coltello, dal basso verso l’alto, apriva uno squarcio nella maglietta della ragazza, la quale sobbalzò, prima di urlare con quanto fiato avesse in gola – Solo… sbrigati, non vorrai mica non avere più nessuno da salvare, nevvero?! Usa la tua dote, altrimenti...”

La lama si fermò solo poco sotto al seno, ma non per volontà del sul conduttore, che avrebbe volentieri continuato fino a spogliarla del tutto, ma perché il suo braccio, ormai rigido, non era più in grado di muoversi. Impallidì improvvisamente.

“Questo potere… non è la Creazione, è...” riuscì a razionalizzare, mentre la ragazza gli sveniva tra le braccia.

Ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo verso il giovane uomo, che un nodo gli si strinse in gola, facendolo rabbrividire e tremare, dandogli una spiacevole sensazione di paura.

No, quello non era affatto il Principio Primo di Tiamat, Camus non lo stava utilizzando, i suoi occhi erano irriconoscibili, non avevano nulla della stanchezza di poco prima, né della grandiosità della Creazione, erano semplicemente…. Quelli di un mostro, o peggio, di un padre che, guidato unicamente dai sentimenti di quel momento per la figlia/non-figlia bandiva totalmente la ragione al solo scopo di distruggerlo, di…

...annichilirlo!

“AURORA ANNIHILATE!!!”

Sentì solo urlare, in un tono irriconoscibile, mentre un freddo pungente e acre, di rossi bagliori, frantumava le catene e i fili che tenevano soggiogati la belva, e una gigantesca aurora lo investiva in pieno, colpendo lui e risparmiando la ragazza, che ricadde mollemente in avanti.

Utopo si accorse di essere diventato cieco da un occhio, forse per l’immane energia abbagliante scaturita, mentre, con un dolore lancinante, si rese conto altresì di essere stato trafitto da delle stalagmiti di ghiaccio, che gli mozzarono istantaneamente il respiro.

Camus atterrò elegantemente in piedi, sorreggendo l’allieva svenuta tra le sue braccia. La sua furia non era affatto scemata, si percepiva palpabile nell’aria, ma ora che teneva Michela contro di sé, che le aveva controllato il respiro e il battito con due dita, avvertendolo ben saldo nel suo corpo, si era un poco tranquillizzato. Si permise di osservarla per una manciata di secondi, facendola appoggiare contro la sua spalla e tremando al solo pensiero di aver rischiato di perderla. Le accarezzò il volto con la mano tremante, prima di sussurrarle poche, brevi, parole di conforto.

“Resisti, Birba, sono qui! Non ti toccherà più!”

L’avevano ferita… per lui… l’avevano usata per costringerlo ad usare il suo potere, il solo pensiero gli fece rimontare la rabbia, mentre, fremendo con maggior forza, rialzava lo sguardo carico d’odio.

“Utopo… - sibilò tra i denti, velenoso, congelandogli, con un raggio ghiacciato, la gamba che disperatamente si era mossa per provare a sollevarsi – Non credo di aver mai odiato nessuno come te! Questa è, in assoluto, la prima volta che provo questo desiderio frenetico di uccidere...” gli soffiò minaccioso, i muscoli completamente tesi.

L’odio… lo odiava perché l’aveva usata come mezzo per arrivare a lui, che sentimento inutile, pensò Utopo, cercando di rimanere con i piedi per terra: che Fei Oz Reed avesse sbagliato i calcoli?! Il Potere della Creazione non avrebbe, forse, dovuto inibire lo Zero Assoluto?! E allora perché… perché quel ragazzo, che aveva la peculiarità opposta, lo stava invece padroneggiando?! Come era stato pos…?!

Utopo si ritrovò a sputare sangue, mentre i polmoni gli venivano schiacciati da una pressione devastante: il ghiaccio di Camus, che gli era penetrato dentro, arrivando fino al respiro e così ai vasi sanguigni. Se non avesse reagito, lo avrebbe ucciso nei peggiori dei modi. Cosa era andato storto? Cosa…?

Improvvisamente capì. Trasalì di conseguenza. Aveva svelato l’arcano, l’errore non era stato solo di Fei Oz, ma anche il suo e non c’era tempo per disperarsi, perché quell’uomo che sfuggiva ad ogni logica lo avrebbe presto riassalito, lo percepiva dall’aumentare spropositato del suo cosmo.

“Potete toccare me quante volte volete… ma fate del male a loro, a chiunque di loro, ed io sublimerò senza esitazione alcuna i vostri schifosissimi organi! - gli lampeggiarono sinistramente gli occhi, un secondo prima di gettarsi su di lui senza un minimo di esitazione - Tu sarai il primo a saggiare la mia ira, UTOPOOOOOO!!!”

 

 

* * *

 

 

Gli stringeva febbrilmente la mano con tutte le forze, facendo del suo meglio per stargli dietro nella corsa. Ogni tanto provava a scrutargli il volto per sincerarsi meglio delle sue condizioni, ma Death Mask non si era più girato verso di lei, profondendo tutte le energie nel dirigersi verso un’unica direzione: il Santuario di Atene!

“D-Death...”

“Sto bene, Fra, non devi agitarti per me, pensiamo piuttosto a tornare il prima possibile indietro! Non avverti, forse, anche tu il tumulto che si percepisce per di là?!” le chiese retoricamente, glissando ogni altro, ipotetico, argomento.

“S-sì che lo sento, m-ma tu non stai…”

“Sì, che sto! - esclamò lui a viva forza, prima di imprimere, con una leggera torsione del collo il suo sguardo di fuoco nel suo – Che credi?! Sono il più debole dei Cavalieri d’Oro, è vero, ma anche io faccio parte di quella schiera! E questo è un graffietto!”

“E allora girati e giurami...”

“...”

“Deathy, girati e giurami...”

“Non rompere, dea!!!”

Il tono adoperato la ferì alquanto, ma al solito fu abile a celarlo. Decise di imporsi, perché era vero che, molto probabilmente, il Santuario di Atene era sotto attacco, si percepivano i cosmi nemici incombere minacciosi, ed era altresì vero che non avevano tempo da perdere, ma in quel preciso istante Francesca decise la sua priorità e, quella priorità, era proprio il Cavaliere di Cancer.

Puntellò quindi i piedi con tutte le forze di cui disponesse, obbligando così Death Mask, che non si aspettava di certo una simile dimostrazione forza, a doversi fermare per non sbilanciarsi e cadere in avanti.

“Ho detto: girati e guardami!” insistette, strapazzandolo un poco.

“Accidenti, certo che in questo sei perfettamente una femmina umana, eh, quando esigi una cosa non c’è verso di scamparla se non accontentandoti!” la buttò lì il Cavaliere, voltandosi infine verso di lei, ma guardando altrove a disagio.

Francesca gli osservò dolorosamente l’altro braccio, rosso e raggrumato di sangue, ciondolare a vuoto, del tutto inanimato. Probabilmente era rotto dal gomito in giù, necessitava di cure immediate ma non c’era il tempo per fermarsi.

“Come… stai?” gli chiese, rammaricata, non sapendo da che parte incominciare per scusarsi.

“Bene! E adesso possiamo andare?”

“No… - negò con la testa, abbassando a sua volta gli occhi – Le ho ben viste le macchie di sangue che hai lasciato per strada e… stai continuando a sanguinare, Deathy!”

“B-beh… sono ferito, no?! Questo non mi rende incapace di agire, sono Cavaliere d’Oro!” ribadì per l’ennesima volta, come se dovesse dimostrarlo a qualcuno, a sé stesso.

“Per colpa mia…” pigolò lei, gli occhi lucidi.

“Non dire stronzate adesso, non è il momento!”

No, non lo era, aveva ragione, ma si trattava della più semplice verità.

Lei stava cadendo dalla scogliera che era franata sotto i loro stessi piedi, non aspettandosi certo un qualcosa di lontanamente simile a quello. Stava anche per picchiare di testa contro la superficie dell’acqua, a quella velocità persino lei avrebbe rimediato dei gravi danni, ma qualcosa di caldo l’aveva avvolta, i suoi occhi si erano aperti, increduli, scorgendo la figura del Cavaliere che, con un disperato colpo di reni, aveva ribaltato la loro posizione, in modo da concedere il proprio corpo e non il suo all’impatto con la superficie sottostante, che anche se era acqua, in quelle condizioni, sarebbe stato cemento. Il suo cuore aveva dato un impulso, accelerando i suoi battiti, poi l’urto, la sensazione di bagnato e la conseguente perdita di coscienza.

Quando era riuscita ad aprire faticosamente gli occhi, si era accorta di essere, fradicia, sdraiata sulla sabbia, con Death Mask sopra di lei, spaventato a morte, il viso a pochi centimetri dal suo, il respiro mozzo, una mano premuta sopra il suo petto, che lei gli aveva poi stretto per sentire concretamente contro di sé, come il bisogno di averlo vicino.

Death Mask aveva sacrificato completamente il braccio sinistro per lei, perché probabilmente nella caduta, nel tentativo di rallentarla, l’aveva provato ad utilizzarlo, distruggendoselo. Ma non una smorfia di dolore aveva lasciato trapelare, devolvendo tutto sé stesso per lei e successivamente nella corsa per tornare al Santuario.

Francesca non sapeva come chiedergli scusa. Si morse più volte le labbra rosee, sentendosi colpevole, gli occhi ancora più lucidi, mentre, circondandosi lo sterno con un braccio si guardava smarrita intorno.

In quell’istante ci fu una nuova luce rossastra, il cielo in direzione del Santuario stava prendendo a vorticare sempre più follemente, quasi potesse fendere l’aere. Subito dopo, una nuova scossa di terremoto, forse solo di un poco più debole della precedente, la fece sbilanciare. Death Mask fu di nuovo su di lei, la prese, accompagnandola poi a terra e accovacciandosi sopra, una mano sulla sua testa per ripararla. Attesero lì che la nuova scossa scemasse fino a scomparire. Erano ancora nella campagna al di fuori di Atene, poco mancava al villaggio di Rodorio, che faceva da varco tra il mondo ordinario e quello del Grande Tempio, ma molti alberi, pali della luce, e costruzioni erano pericolanti, davano l’idea che sarebbe bastato solo un altro piccolo fremito per dargli il colpo di grazia. Fortunatamente il tiglio vicino, già con alcuni rami divelti, resistette, lasciando cadere solo le poche foglie, ormai giallognole, che lo ricoprivano.

“Maledizione, ma cosa sta succedendo?! Qui andiamo sempre peggio!” esclamò Death Mask, rialzando il capo nello studiare il cielo minaccioso sopra di loro. Si reggeva con un braccio solo, in ginocchio, mentre Francesca, ancora rannicchiata prona per terra, tremava consistentemente.

Tutto quello non poteva essere normale! D’accordo che la Grecia e la Turchia erano sempre state zone sismiche fin dall’era mitologica, ma l’atmosfera che vi era intorno, quasi sanguigna, non lasciava sperare in nulla di buono.

“N-no… no!” biascicò Francesca, tutta rattrappita, apparendo molto spaventata. Che avesse una particolare fobia per i terremoti?! Brutte esperienze pregresse?! No, impossibile, era una divinità e -gli occhi di Death Mask si fecero un attimo gravi- e vi era stato un tempo in cui torturava i nemici di suo nonno. Di certo, quell’apparente ragazzina dal corpicino fin troppo leggero, aveva lo stomaco per affrontare tutto con la compostezza tipica di una divinità, non c’era assolutamente nulla che la potesse inficiare, ma allora perché tremava?

“Riesci ad alzarti? - le chiese, porgendole il braccio sano e ottenendo come riposta i suoi occhi gremiti di lacrime. Si pentì subito di averla considerata inossidabile, del resto, se era rinata umana, se si era sottoposta a quella vulnerabilità, un motivo c’era di sicuro – E-ehi, tranquilla! E’ passato anche questo, ora ci saranno le scosse di assestamento, ma la terra non dovrebbe più tremare con così tanta forza!” provò a rassicurarla, arrossendo a dismisura.

“D-Deathy… - biascicò lei, asciugandosi a forza il fastidioso liquido, prima di tornare a guardarlo – I-i cosmi del Maestro Camus e di Michela sono...”

Ancora prima di ultimare la frase se ne accorse pure lui. Sgranò gli occhi, provando ad affinare di più la propria aura per raggiungere la loro, ma non si trovavano, pur approcciandosi ad Efeso, dove sapeva si fossero diretti. Erano…

“...Scomparsi!”farfugliò ancora lei, incassando la testa tra le spalle, prima di sforzarsi di rimettersi in piedi e recuperare così il controllo.

Ecco perché aveva ceduto alle lacrime, ecco cosa la spaventata così tanto, che due delle persone a lei più care fossero in pericolo di vita. Che sciocco era stato a pensare altrimenti!

Effettivamente -Death Mask aguzzò tutto sé stesso- non vi era traccia di loro due. Spariti. Risucchiati. Un brivido lo pervase, mentre, tentando di farle coraggio, la traeva a sé.

“E’ evidente che ci stiano attaccando su più fronti… dirigiamoci al Santuario, per il momento, passando da Rodorio, non abbiamo da perdere un solo secondo di più!”

La prese nuovamente per mano, scattando in avanti correndo a tutta birra. Francesca si fece determinata, bandendo tutte le incertezze: aveva ragione, non potevano permettersi di tentennare, non in quella situazione. Si augurò, anzi, lo credette fermamente, che Camus e Michela stessero bene, qualsiasi avversario si fossero trovati davanti.

Finalmente giunsero al villaggio di Rodorio, dove subito la situazione apparve drammatica: molte delle case erano crollate, le persone gridavano, in preda al panico, vi erano feriti per terra. Death Mask non rallentò la corsa, ma strinse ancora di più la mano di Fra, indicandole che lui era lì, con lei, che avrebbero attraversato quell’inferno insieme.

Altre grida, esseri umani per terra, feriti gravemente o… scrollò il capo, costringendosi a chiudere gli occhi: quello spettacolo era insostenibile per lui, lo scuoteva nel profondo. Serrò la mascella, iracondo.

Maledetti… come avete osato?!

“D-Deathy… - tentò Francesca, cercando di rallentare la corsa come a voler attirare la sua attenzione verso qualcosa che purtroppo il Cavaliere del Cancro aveva già percepito sin troppo bene – A-aiutiamo quella signora, s-suo figlio…”

Invece di decelerare, sfrecciò di lato, evitando un calcinaccio che cadeva proprio in quell’istante. Non si voltò. Francesca tentò di opporre resistenza, non capendo perché si comportasse così: quella signora disperata, che provava a liberare il figlio, aveva di certo bisogno di aiuto, allora perché..?

“D-Deathy, dobbiamo…”

“E’ appena morto, Fra!” gracchiò lui, fermandosi di scatto, non riuscendo a guardare la scena. Bastavano le urla, che gli perforavano le orecchie.

“E-eh?”

“La sua anima… ha già lasciato il suo corpo!” spiegò, sbrigativo, riaprendo gli occhi dolenti.

“Ha già..?! - le mani di Francesca corsero d’istinto a coprire la bocca, mentre il respiro si troncava nei polmoni – C-come lo sai p-per… certo?”

“Vedo le anime, le vedo fin da quando ero piccolo… - disse Cancer, torturandosi le labbra – E’… troppo tardi per lui!”

“Vedi le… le persone morte?!”

“Sì, da sempre…”

Francesca lo osservò costernata, la bocca semi-aperta nel tentativo di ribattere qualcosa. In quell’istante un vento sinistro, orripilante, prese a soffiare, rendendo l’atmosfera ancora più tetra. Si tenevano ancora per mano, unico calore in quell’ambiente che trasudava morte. Occhi negli occhi, l’aria si poteva tagliare con un coltello.

In quell’istante due uomini, tutti trafelati, con una radio portatile in mano, gli passarono accanto.

“Hai sentito?! L’epicentro del primo terremoto pare essere in Asia Minore, ad Efeso, ma c’è stata una seconda scossa anche nell’Egeo, qualcuno dice che siamo a rischio tsunami!”

Passarono, mentre il cuore di Francesca gelava : Efeso, dove si erano diretti Camus e Michela!

“Death Mask!”

“Fra...”

Il tono del Cavaliere sembrava insolitamente tranquillo, come ricondotto ad una pallida calma. Lentamente la sospinse verso di sé senza che la ragazza potesse fare alcunché, poso le labbra sulle sue, baciandola teneramente.

Francesca si ritrovò a sgranare gli occhi per la sorpresa. Non capiva, non se lo spiegava. Il motivo. Di tutto. Di quella situazione. Di quell’attacco. Di quelle vittime. Del bacio.

Le braccia erano alzate, a metà strada tra la voglia di ricambiare e il senso di sbigottimento, ma prima di decidersi quale delle due sé stesse perseguire, Death Mask le cinse il busto e, attuando una leggera torsione, quasi la piroettò dietro la sua schiena, avanzando di un passo nella direzione opposta.

“D-Deathy, ma cosa…?!”

“Forse hai ragione a dire che, così conciato, non potrei comunque fare granché – ironizzò lui, trattenendosi il braccio martoriato e voltandosi di profilo verso di lei, sorridendo con calore – Ma tu sì, sei una fortissima dea, nonché la persona più incredibile che conosca!”

Francesca sbatté le palpebre, sbalordita: “Cosa vorresti..?”

“Dirigiti, lesta, al Santuario, aiuta gli altri, fallo… per me!” si raccomandò lui, ritornando a guardare dritto davanti a sé.

“E tu… tu cosa farai, Deathy?”

“Io rimango qui… hanno bisogno di me, qui basto io, il resto lo affido a te!”

Francesca parve capire i suoi sentimenti conflittuali, di chi avrebbe voluto fare di più, ma non poteva, scegliendo infine di devolversi per il bene comune e per i più deboli. Del resto, la possibilità di riscatto, la redenzione, passava da quello.

Non rispose verbalmente ma annuì, facendosi ancora più risoluta.

“Ti affido il Santuario, Fra! Combatti, e agisci, come solo tu sai fare!” si raccomandò ancora lui. Non poteva vederlo in faccia ma ne percepì il sorriso.

“Contaci!” disse solo lei, dandogli a sua volta la schiena. Poi, senza aggiungere nient’altro, entrambi scattarono in direzioni opposte.

Francesca non si chiese se faceva bene a lasciarlo solo oppure no, vulnerabile com’era, non si chiese cosa lo muoveva, perché già lo sapeva, ma sentì comunque di lasciare una parte di cuore lì, con lui, che si sarebbe dato da fare per la popolazione colpita, che avrebbe aiutato la gente comune invece che affrontato il nemico. Quello sarebbe stato suo compito e lo avrebbe adempiuto con tutta sé stessa!

Saettò tra gli ostacoli, saltando gli alberi abbattuti, cercando di pensare che non stava lasciando indietro i civili, bisognosi di assistenza. La sua direzione era chiara: verso il cielo vorticoso color cremisi che sembrava vole inghiottire la terra e che si inspessiva proprio in direzione del Santuario di Atene.

Anche la scomparsa dei cosmi di Camus e Michela la impensierivano, sforzandola ad espandere la sua aura per cercarli, invano, perché parevano davvero persi, smarriti, lontani anni luce da lei. Ma non erano implosi, di quello era più che certa, non si erano consumati fino a sparire, semplicemente erano troppo distanti per essere raggiunti. Avrebbero dovuto cavarsela da sola, ovunque fossero finiti.

Strinse istintivamente le mani a pugno, febbrilmente: “Forza! Sono con voi, anche se non vi posso raggiungere!” disse fra sé e sé accelerando la sua corsa a perdifiato.

Girò un angolo, ne girò un altro, avvertì appena una, due, presenze davanti a sé nel boschetto rado che circondava il Santuario, si mise in allerta, ma non ebbe comunque il tempo per accorgersi che uno dei due era proprio davanti a lei, che ci sbatté contro, rimbalzando indietro.

“Hyo… - il tono di voce famigliare le fece riaprire gli occhi, che si incontrarono con quelli celesti di Stefano, il quale, riconoscendola, le porse la mano per alzarsi. Del resto in quei due anni di buco, era ulteriormente cresciuto, diventando più alto di lei – F-Fra, hai mica visto Hyoga? Sai se Marta… è al sicuro?” le chiese, serio in volto.

“Co…? Aspetta, che ci fai tu qui?” le domandò a sua volta lei, sorpresa, prendendogli la mano e rimettendosi in piedi.

Aveva a stento percepito la sua presenza, come se si trovasse dappertutto e in nessun posto, ma mai si sarebbe aspettato di trovarselo così vicino senza che lei, una dea, se ne potesse rendere conto anzitempo. Che riuscisse in qualche modo a sfalsare il suo microcosmo senza rendersene nitidamente conto?!

“I-io...”

“Eravamo fuori dal Grande Tempio con Hyoga. – rispose al suo posto una voce languida, rivelando una figura tra le fratte – Quando c’è stato il primo terremoto, abbiamo avuto appena il tempo di raccoglierci, che il Cavaliere del Cigno è impallidito, si è messo a tremare, guardando un punto fisso, e poi è corso via!”

“Aphrodite...” lo riconobbe Francesca, accorgendosi che indossava già la sua armatura d’oro.

“Sembrava molto spaventato...” biascicò Stefano, pensieroso, osservando il terreno.

“Aphro! - saltò su ancora la dea, approcciandosi a lui, averlo lì era una garanzia, certo non la migliore, si ritrovò, suo malgrado a pensare, ma era già qualcosa – I cosmi di Michela e Camus...”

“Lo so… suppongo sia questa la ragione per cui è corso via in fretta e furia, no? Mi auguro sia avveduto… è di certo un attacco su più fronti, dobbiamo sbrigarci e… ma dov’è Death Mask?!” volle sapere, guardando nervosamente dietro la ragazza come aspettandosi di vederlo saltare giù da qualche albero.

Francesca strinse i pugni e produsse un mormorio sommesso. Raccolse aria, che le serviva per spiegare: “Lui… è rimasto ferito per proteggermi ed è rimasto a soccorrere gli abitanti del villaggio di Rodorio. Mi… dispiace! Mentre Marta, Stefano, è lontana da qui, a Milos, su un isola, per… la punizione. Sta bene! ”

I muscoli del ragazzo si sciolsero impercettibilmente, mentre viso del Cavaliere dei Pesci non tradì alcuna emozione. Rimase ad osservarla a lungo, attento, prima di rilassarsi, voltarsi e darle la schiena.

“Capisco… se ci pensa già lui non c’è bisogno che accorra anche io!” disse, pratico.

“V-volevi andare a Rodorio, Aphro? Perché?” chiese ancora Francesca, pensierosa, studiandolo la sua postura.

“Questo è… nient’altro che istinto. Lo volevo sì, anche se non sono sicuro che fossi esattamente io a desiderarlo!” rispose, pratico, non mostrando il suo volto ai due, come se volesse nascondere qualcosa.

Che subisca, in un certo qual modo, le influenze di Albafica?! Dovrebbero essere la stessa anima, in effetti, anche se mi è ancora così difficile da credere!

Si ritrovò a pensare la giovane dea, cercando di carpirlo.

“Ma ora che so che c’è già lui sono più tranquillo. A noi dunque il compito di...” continuò, ma non finì la frase. Un’altra scossa, stavolta di assestamento, si diradò da sotto le piante dei piedi a tutt’intorno, facendo vibrare gli alberi, le cui chiome già snervate dal procedere della brutta stagione, lasciarono cadere altre foglie.

Si sbilanciarono tutti e tre, a forza restarono in piedi, sorreggendosi a dei massi lì vicino.

“La situazione sta peggiorando… - constatò Aphrodite, nuovamente teso, prima di scoccare una breve occhiata ad entrambi – Andiamo, forza!”

Francesca lo seguì a ruota, bandendo l’esitazione, prima di voltarsi a sua volta verso Stefano con una punta di severità per dargli un consiglio: “Ste, è meglio se…”

“No, niente da fare, vengo!" ribatté, determinato, una strana luce negli occhi.

“Non sai combattere! Saresti solo...”

“Non sarò utile in combattimento ma li conosco, so con chi abbiamo a che fare!”

Francesca non se la sentì di insistere, annuì e basta, chiedendosi però se stessero facendo la cosa giusta. Stefano aveva passato gli ultimi due anni come loro prigioniero e, anche se non sembrava aver avuto chissà quali mutilazioni fisiche, ne era comunque uscito pesantemente devastato, con i ricordi manomessi e una rabbia dentro che non riusciva a trovare sbocco. Si ritrovò a chiedersi se fosse ancora il ragazzo curioso e un poco pigro che aiutava suo nonno a fare lavoretti in tutta la Valbrevenna seguendolo dappertutto sopra il trattore, o se fosse cambiato nel profondo, ritrovandolo così come nemico piuttosto che amico, ma scrollò via subito quei pensieri nefasti. Marta si era fidata di lui, l’ispezione di Saga non aveva rivelato alcuna anomalia, né principio oscuro, c’era solo lui, quello che aveva subito, che taceva a forza, lui e la sua capacità di farsi amare con poche, semplici parole. Sorrise di sbieco nel guardarlo. Del resto, aveva fatto breccia nel cuore ghiacciato di Hyoga, i giorni prima li aveva visti spesso parlare insieme, e non era cosa da tutti!

Aphrodite sapeva correre veloce anche senza utilizzare la velocità luminare, i due ragazzi fecero del loro meglio per stargli dietro, evitando gli ostacoli e non perdendo mai di vista la sua schiena. Ormai la luce penetrava agevolmente tra le fronde, segno che il bosco si stava diradando. Finalmente ne uscirono, sussultando nel constatare che il cielo vorticoso sopra le loto teste, color cremisi acceso, stava davvero scendendo, lambendo il Santuario come una sorta di ‘Funnel cloud’ destinata a convergere in un tornado. Francesca avvertì appena Stefano trasalire, prima di essere raggiunta da una voce dietro le loro spalle.

“Dovunque pensiate di andare, voi tre, ve lo sconsiglio: davanti a voi può esservi solo la morte!”

La ragazza si mise in allerta, voltandosi minacciosa verso la fonte sonora, ma prima di poter fare qualsiasi altra cosa, il Cavaliere dei Pesci, precedendola, lanciò con impeto una rosa nera, la quale tuttavia venne fermata dalle mani di…

“Ma che gentile, Cavaliere, non mi conosci nemmeno e già mi regali una rosa, del mio colore preferito, inoltre! Potrebbe esserci feeling tra noi!” sorrise l’entità femminile, sorridendo con malizia.

“Spiacente… - rispose Aphrodite, languido, non lesinando però un inchino cordiale – Ho altri gusti, se mi intendi, o leggiadra creatura!”

“Ma che peccato… la tua bellezza è invidiabile!” sorrise con finta mestizia, stringendo poi la rosa tra le dita fino a ridurla in pezzi.

“N-Nero Priest!” si mise sul ci vive Stefano, irrigidendosi visibilmente, mentre Francesca, protettiva, si posizionava immediatamente davanti a lui.

“Nero Priest… - constatò Aphrodite, osservando prima uno e poi l’altra, facendosi ancora più attento – Sei dunque tu ad aver tenuto imprigionato Stefano per questi due anni…”

“In persona! - rispose lei, senza esitazione, prima di addolcire sinceramente il tono, regalando un mezzo sorriso al ragazzo – Sono per lui la figura che più si avvicina a quella materna!”

“NON E’ VERO! - scattò subito Stefano, indignato, apparendo quasi minaccioso, cosa che preoccupò non poco Francesca – Tu non sei niente! Mi hai solo… PLAGIATO! E messo cose in testa che non sono neanche vere!”

“L’ho fatto per il tuo bene, per darti un obiettivo nella vita e, nondimeno, per proteggerti, solo per questo!”

“Non è vero!!! NON E’ VEROOOO!!!” ululò lui, completamente snaturato. Non c’era più traccia della sua solita e pacata gentilezza, sembrava una bestia iraconda e nient’altro.

“Ehi, ragazzo, calmati… - provò a tranquillizzarlo Aphrodite, una mano sulla sua spalla, scambiandogli un’occhiata rassicurante, prima di rivolgersi nuovamente all’entità – Cosa vai a vaneggiare, Nero Priest? Farnetichi di amore materno quando lo hai tenuto vincolato per tutti questi anni?! Questo è il tuo concetto di madre-figlio?! E’ lampante che il giovane non voglia più avere niente a che fare con te!” la accusò, sempre in tono melenso ma deciso.

“Era il luogo più sicuro, quello, per lui, per ciò che è… un abominio!”

“Che diavolo stai… come ti permetti?!?” saltò su anche Francesca, in tono aggressivo.

“Il ragazzo è orfano, non ha i genitori, inoltre ciò per cui ha vissuto nei suoi primi 17 anni di vita non è altro che una menzogna: suo nonno, tanto per cominciare, l’ha ingannato, non era il nonno biologico...”

“Nonno Mario… non aveva legami di sangue con lui?!” ripeté Francesca, incredula, osservando prima l’amico, che stava con il capo abbassato e i pugni chiusi, come se, pur sapendolo, non avesse ancora accettato quella notizia.

“Poi… Marta lo ha abbandonato nell’alluvione della Valbrevenna…” continuò, lapidale.

“NO! MARTA NON HA ABBANDONATO NESSUNO, LO CREDEVAMO MORTO!!! - urlò tutta la sua rabbia Francesca, nella paura che, essendo ancora in stato confusionale, Stefano potesse credere alle sue parole – Se solo avesse saputo che era vivo avrebbe combattuto per recuperarlo, è stata malissimo per lui, tu non immagini neanche quanto!”

“E ancora… - proseguì sempre lei, assottigliando gli occhi – Anche i Cavalieri d’Oro ti abbandoneranno presto, Stevin, a loro importa solo di seguire gli ideali della dea, hai ben visto come ti hanno trattato!”

“Non… chiamarmi… con quel nome, megera!” sibilò Stefano, facendo saettare gli occhi azzurri verso di lei per avvertirla di non oltrepassare quel confine

“D’accordo, ma le mie parole sono sincere, ragazzo… ti presi che avevi 17 anni, ora ne hai 19, non ti ho trattato forse bene in questo periodo?! Sono sempre stata franca con te, e l’unica ad esserlo! - insistette, porgendogli poi la mano con fare ammiccante – Vieni con me, torna… da me! E’ davvero il luogo più sicuro che tu possa immaginare, credimi. Dai retta a tua madre, ascolt…”

“Non sei mia madre!”

“Poco importa, sai chi sia veramente tua madre? Lo hai… più scoperto?”

“...”

“Dal tuo tacere suppongo di no, ordunque vieni, torniamo a casa!”

“Casa… - ripeté Stefano, sospirando, ricordandosi che una volta ormai lontana, quella parola era abbinata a suo nonno, a Cerviasca, dove era cresciuto libero e felice, anche se non originario di lì – Non ho più una casa, mi è stata strappata e… NON TORNERO’! Non voglio tornare ad essere tuo schiavo, non mi drogherai più con il tuo manipolare le pulsioni!”

Ci furono secondi di raccoglimento e di incertezza, nessuno riusciva più a muovere un muscolo, il silenzio regnava sovrano. Poi Aphrodite si mosse, posizionandosi davanti a Francesca e Stefano, pronto alla battaglia.

“Lo hai sentito? - chiese retoricamente, prima di preparare tra le mani una rosa rossa – Se hai compreso il messaggio, vattene, o preparati alla lotta!”

“Ho capito, Cavaliere… - mormorò solo lei, in tono inaspettatamente arrendevole, lasciando cadere inerti le braccia lungo i fianchi – Andate ordunque!”

Francesca strabuzzò gli occhi, convinta di non aver capito bene, anche Stefano sembrò perplesso mentre fissava la figura dalle parvenze femminili con il lungo abito viola a coprirle la pelle candida.

“Non ci… attacchi?! Non vuoi… combattere?!” chiese Francesca, sempre in posizione di difesa.

“Non sarò io a combattere, né ho intenzione di farlo. Senza contare che, al momento, sono ancora debilitata!” rivelò, massaggiandosi più volte il ventre non riuscendo a mascherare una smorfia di dolore.

“Certo, il tuo sangue emana uno strano odore, in effetti, devi essere stata torturata e, nelle tue condizioni, ti sei comunque palesata di fronte a noi. Sai cosa stai rischiando? - osservò Aphrodite, gli occhi gli lampeggiarono con astuzia – Chi ti assicura, ora, che io non ti attaccherò?!”

“Non siete forse Cavalieri della dea Atena?! Mi aspetto garbo da voi, fin troppo… non inferirete su me, non adesso, non voi!” rispose lei, guardandolo con sfida.

Aphrodite continuava a sostenere il suo sguardo, sembrava davvero sul punto di attaccare, perché si era messo la rosa in bocca e, circospetto, aveva preso ad accarezzarla con le lunghe dita: “Beh, hai sopravvalutato la nostra nobiltà d’animo, il vecchio me lo avrebbe fatto!” disse infine, raddrizzandosi e dandole le spalle. Il discorso era concluso.

“Il vecchio te… parlate tutti come se aveste cinquanta e passa anni, ma non siete che poco più che ragazzi…” si fece beffe di lui Nero Priest, sogghignando.

“Ti sei assoggettata ai rischi solo per venire a parlare con Stefano, significa forse che, in qualche modo, ci tieni?”

“...”

“Non vuoi parlare, va bene, il tempo scorre, le nostre strade si dividono qui. E’ stato un piacere!” tranciò di netto il discorso Pisces, indicando agli altri due di procedere. Fecero quindi per andarsene, ancora un poco circospetti, ma Nero Priest volle l’attenzione di Francesca.

“Ehi tu, ragazza-dea!”

“Co-cosa vuoi?! Hai cambiato idea e vuoi combattere?!” si mise sulla difensiva lei, sempre proteggendo Stefano, il quale non smetteva di guardare il Pilastro in un garbuglio di emozioni.

“No, solo dirti che il pericolo maggiore non è ciò che appare, ma colei che cova nell’ombra!”

“C-cosa significa questa tua…?!”

Non riuscì a finire la frase, una nuova scossa di assestamento, più potente dell’altra, la mise in allarme.

“Non c’è tempo, veloce!” esclamò Aphrodite, un poco bruscamente.

“Sì” esclamarono Francesca e Stefano, correndogli dietro e sparendo dalla vista della donna.

Nero Priest sospirò, guardando un’ultima volta quello che considerava un po’ il suo ragazzo. Smise di fluttuare, sedendosi su uno sperone di roccia, dal quale era visibile l’intero Santuario. Si sentiva più rassegnata che mai.

In quel momento un fendente aprì il cielo rosso scarlatto, mentre un’entità ben conosciuta, varcando i confini spazio-temporali, usciva lentamente dalla fessura, implacabile.

“Uhmpf, sempre così… frettoloso… Ermete!” disse tra sé e sé, riducendo gli occhi a due fessure, prima di osservare, ancora tra le dita, i residui della rosa che gli aveva lanciato il Cavaliere di Pishes.

 

 

* * *

 

 

Camus stava correndo disperatamente trattenendo a sé il corpo privo di coscienza di Michela, il fiato corto per lo sforzo, l’addome pulsante e i battiti veloci. Si era buttato a capofitto contro Utopo per dagli il colpo di grazia, bandendo, per un istante, la ragione e la moderazione, ma quella strana chimera uccello/scorpione si era frapposta tra lui e il suo padrone, costringendolo a ripiegare per non danneggiare ulteriormente la ragazza.

Non era libero di agire con lei vulnerabile tra le sue braccia, con quel mostro che, pur immobilizzato dal suo potere congelante, sorrideva con scherno. Quindi, dopo aver ucciso il volatile con una breve emanazione cosmica, si era ritrovato costretto a fuggire nel pallido tentativo di tornare nel proprio mondo e affidare Michela alle cure di qualcuno, prima di combattere, ma quella dimensione sinistra, che Utopo diceva generata dalla sua stessa volontà, assomigliava paurosamente ad una cattedrale gotica dalle tinte fosche. Impossibile fuggirne, impossibile capire dove andare: tutto era uguale a sé stesso.

La ragazza aveva preso ad ansimare, gettando lui nel panico. Non aveva avuto il tempo per valutare correttamente il suo stato di salute, la sapeva non in buone condizioni, pertanto la stringeva a sé con tutto sé stesso per farle forza, ma non l’aveva ancora controllata. Avrebbe dovuto prestarle le prime cure il prima possibile, ma quale la priorità? Il varco per uscire da lì, oppure…

Non ebbe il tempo di rispondersi, semplicemente le ginocchia gli cedettero, facendolo cadere per terra, il fiato corto. Dovette fare forza per tenere le braccia sollevate per non far picchiare l’allieva sul duro pavimento. Serrò le palpebre affannato, sul punto di svenire, prima di fare l’ennesimo sforzo su sé stesso e resistere al torpore che lo voleva cogliere: se lo avesse assecondato, sarebbe stata la fine per entrambi!

“Mich-ela...” la chiamò debolmente, adagiandola delicatamente a terra in posizione comoda.

La ragazza non rispondeva, aveva l’espressione sofferente, perdeva sangue dai numerosi tagli che le avevano inferto. La maglia era stata aperta da quel mostro e le scopriva l’addome irrequieto, segnato da bruciature, abrasioni e ferite: cosa le avevano fatto patire durante la sua incoscienza?! Si morse il labbro inferiore, mentre, lentamente, il palmo della sua mano si posava sulla sua pancia. Al suo contatto, il corpo della ragazza sussultò, mentre lei si agitava, divincolandosi e scuotendo la testa a destra e a sinistra, frenetica.

“N-NO!”

“Michela, sono io, tranquilla! Nessuno ti farà più del male, NESSUNO! Te lo prometto!”

Le accarezzava i capelli con l’altra mano, mentre, sfruttando parte dei suoi poteri da Sciamano Guaritore, accelerava il processo di rimarginazione almeno dei tagli apparentemente più profondi, gesto che quasi lo stramazzò, minando al suo respiro. Fu costretto a fermarsi poco dopo, in preda a violenti spasmi. Da quando aveva rimediato le ferite al torace, operare come Sciamano era diventato ancora più estenuante, tanto da fagli pensare di non essere più in grado di guarire con i poteri che aveva a disposizione. Testardo, riprovò a riprendere il procedimento, ma un sonoro colpo di tosse lo fece piegare su sé stesso. Si nascose la bocca con una mano, pulendosi poi le labbra, perché stava sputando sangue, il corpo sempre più preda dei tremori. Si piegò su sé stesso, rimproverandosi quell’ennesima debolezza.

Le ferite più gravi era riuscito comunque a rimarginarle, ma non aveva forze sufficienti per trattare il resto, non più. Un senso di prostrazione lo colse, mentre, non potendo far altro, tentava di rassicurare l’allieva almeno a voce.

“Va tutto bene, Michela, anf, re-resisti, una volta al Santuario curerò anche il resto. Il peggio è passato, forza!” le disse, baciandole dolcemente la fronte, prima di sollevarla a mezzo busto e stringerla a sé per non farla sentire sola, visto che ne veniva da un’esperienza traumatica. La tenne contro il suo petto, come un padre, sussurrandole parole di conforto mentre, guardandosi intorno, ricercava una possibile via di fuga. Nulla, non c’era traccia di una breccia, niente, ma… Si osservò intorno, prima era necessario capire la natura di quello stesso luogo, se si trattasse di un mondo reale o se fosse figlio della mente di Utopo, che si era detto generatore di mondi… generatore, appunto, non CREATORE.

E Generare era ben diverso che Creare.

Camus giudicò in fretta che quello spazio era davvero frutto solo della mente del nemico, fittizio ordunque. Per sfuggirgli, sarebbe bastato forzare la mente di quell’essere, che aveva un potere assoluto, certo, ma solo lì, non certo al di fuori.

Si alzò quindi faticosamente in piedi dopo aver riadagiato compostamente Michela a terra, carezzato la fronte e averle sussurrato un: “Ti condurrò fuori da qui, birba, te lo prometto, fosse anche l’ultima cosa che faccio!”

Si erse contro il muro di fronte, guardandolo con astio. Cosa avrebbe fatto Isaac al suo posto? Avrebbe colpito il muro fino a sfondarlo? Probabile! Sorrise nel ricordare la determinazione dell’allievo, che gli aveva insegnato così tanto. Le ginocchia gli tremavano, era fiacco, ma cosa importava?! Sarebbero fuggiti, in un modo o nell’altro!

Divaricò le gambe, prima di caricare un primo colpo di aria congelante che andò a cozzare contro una colonna, che conseguentemente tremolò, cosa che non sfuggì ai suoi occhi esperti. Era davvero un mondo onirico o qualcosa di simile, ciò gli diede nuove energie. Proseguì ostinatamente.

2… 3… 5 colpi! La struttura cominciava a vacillare, perseverare era l’unica soluzione. Fece per caricare un altro colpo, ma la gamba di destra gli cedette, costringendolo a far leva con l’altra per non cadere del tutto. Ansimò, raddrizzandosi velocemente: non poteva abbandonarsi alla stanchezza! Prese un profondo respiro, prima di continuare. Precedentemente era riuscito ad utilizzare un potere pressoché assoluto, se fosse riuscito ad attingerlo ancora una volta, un’unica volta, forse avrebbero trovato la via di fuga. Chiuse gli occhi, concentrandosi al massimo possibile. Ogni fibra del suo corpo era tesa, pronta al grande balzo. Prima, nel fronteggiare Utopo, ci era finalmente riuscito, non lo avrebbe nemmeno creduto possibile, ma era arrivato allo Zero Assoluto pieno, il perché gli sfuggiva ma lo aveva fatto una volta, avrebbe quindi potuto ripeterlo. Sentì di nuovo le energie affluire in lui: aveva qualcuno da proteggere, ciò avrebbe fatto da trampolino di lancio per usare nuovamente quella dote, esattamente come Hyoga aveva imparato a fare.

Era il momento! Riaprì gli occhi di scatto, mentre le braccia, fino alla punta delle dita, gli formicolavano. Finalmente qualcosa sgorgò dal suo palmo, qualcosa di infinitamente potente e favillante. Cozzò contro la parete, procurando così una fenditura che emanava una luce abbagliante. Sorrise, prima di cadere ginocchioni per terra, ansante. Il varco era stato creato, ma farlo lo aveva prosciugato interamente. Respirava male, a stento, e la dissonanza nel suo addome era aumentata.

Sorreggendosi con un’unica mano, uso l’altra per massaggiarsi la zona, alzandosi la maglietta per stringersi la pelle in prossimità dell’ombelico, che era tremendamente e insostenibilmente caldo; quel calore, come se non bastasse, si stava diramando all’intero ventre. Un fluido dorato, perfino più bollente, non aveva mai smesso di fuoriuscire da lì, sporcandogli la pancia, la maglietta e i pantaloni. Inspiegabilmente ne stava perdendo molto -boccheggiò nel constatarlo- forse più di quanto potesse concedere quel minuscolo forellino che pure gli doleva da impazzire. Ebbe appena il tempo di strapparsi i cerotti ancora incollati su di lui, che udì una vocina alle sue spalle.

“Pa-pà?”

Era Michela, che stava riprendendo faticosamente coscienza. Un’ondata di sollievo lo avvolse. Si ricoprì, voltandosi con enorme difficoltà, gattonando poi nella sua direzione. Ormai le forze per rimanere in piedi lo avevano quasi del tutto abbandonato.

“M-Michela, anf, s-sono qui, per fortuna hai ripreso i sensi!” le sussurrò, a fatica, arrivandole vicina e accarezzandole delicatamente i capelli.

“P-papà, i-io… io…”

Michela aveva occhioni grandi e spaventati, le lacrime agli occhi, quasi singhiozzava, cercando di raccapezzarsi, tentò di coprirsi la pancia, prima di essere rassicurata dalle sue forti braccia che, coniugando tutto quello che era rimasto in lui, la circondavano e la sollevavano a mezzo busto, abbracciandola.

“Stai tranquilla… ora ci sono io con te!”

“M-mi dispiace, papà, h-ho… ho tentato di proteggerti, m-ma non capivo dove fossimo, e poi è arrivato improvvisamente quell’essere, mi ha detto di consegnarti a lui, io non volevo, l’ho attaccato, ma mi ha fatto del male, nullificando le mie fiamme. Poi ti ha preso da sotto le ascelle, trascinandoti, per poi farti stendere su quella…”

“Ssssh! Michela, va tutto bene, è passato, sono qui. Non dovrai più combattere da sola, ora sono cosciente!” le sussurrò, posandole le labbra sulla fronte per acquietarla.

“S-stai davvero bene? Q-quel mostro ti ha...”

“Sì, sto bene, grazie a te; a te che mi hai spinto a reagire. Sai, ultimamente voi piccolette mi salvate costantemente la vita, devo rimediare in qualche modo, anf, sono io il vostro maestro, non voi!” tentò di ironizzare, accarezzandole la schiena come si faceva con i bebè. Non era facile tenerla sollevata, fortunatamente Michela riuscì ben presto a reggersi da sola, prima di circondare il suo collo con le braccia e affondare il viso nell’incavo della sua spalla.

“Ho avuto tanta paura per te, papà!!!”

“Lo so, ma sei coraggiosissima! Proprio per questo, presta attenzione a ciò che ti sto per dire, anf, d’accordo?”

“Dove... siamo?” insistette lei, guardandosi spaventata intorno, confusa dal buio.

“Non ha importanza dove siamo, ciò che conta è che possiamo fuggire, PUOI fuggire, Michela!”

La ragazza si ritrovò a guardarlo terrorizzata negli occhi. Camus sembrava molto stanco, faticava anche solo a tenere le palpebre aperte; era sudato, lo si vedeva da alcuni ciuffi attaccati alla fronte e, nondimeno, dal pallore che lo aveva avvolto. Quel mostro gli aveva fatto di tutto, lo sapeva, ma non si curava di sé stesso, preoccupandosi di più per lei, come sempre.

Camus prese tempo per tornare a parlare, era molto affaticato, non era più in grado nemmeno di nasconderlo alla giovane allieva, ma, infine, riuscì comunque ad indicare la frattura che era riuscito ad aprire.

“L-la vedi quella fenditura? E’ un passaggio! Percorrilo e tornerai nel nostro mondo. Tutto questo che vedi è nient’altro che un’illusione. Intercetta Hyoga, probabilmente è riuscito ad avvertire la manifestazione del mio cosmo e starà cercando un modo per arrivare fin qui. Può farlo, è forte, più di quanto sia io!”

Michela si ritrovò a fissare lo squarcio, poi il suo dito e infine il suo volto. Perse un battito. Aveva professato quelle istruzioni con fare definitivo.

“E tu cosa farai, Camus?” chiese, vedendolo che si rialzava, trattenendosi la pancia con le mani.

“Non ha importanza! Ciò che conta è che tu riesca a sfuggire. Quelli vogliono me, non mi lasceranno andare, ma… ma tu non c’entri. Persegui per quella via senza più voltarti!” le ordinò, barcollando difficoltosamente in avanti in modo da darle la schiena e apprestarsi ad affrontare il nemico che era in avvicinamento.

“Non ti lascio solo, Maestro Camus!”

“Dovrai farlo invece, sei una guerriera! Ti ho addestrato per questo, perché tu diventassi forte e valorosa, ed esserlo, a volte, comporta delle scelte drastiche!”

“Combattiamo insieme!” insistette lei, alzandosi a sua volta, perché era lampante che Camus non avesse più le forze per opporsi da solo, ma la sua proposta fu accolta con un nuovo diniego.

“No, sei già stata coinvolta fin troppo, io...”

“Non ti lascio solo!!! - ribadì lei, circondando di riflesso il suo busto in un abbraccio, rischiando di farlo sbilanciare – Non si è mai sentito di una figlia che abbandona il proprio padre!”

“Michela… - sospirò Camus, in tono strascicato, sempre più sofferente – uff, perché non seguite mai, MAI, le mie direttive?!”

“Perché ti vogliamo bene, Camus, perché… uh?!” nello stringere la presa su di lui aveva percepito qualcosa di strano, di rovente, che sembrava provenire dal suo stesso addome. A quella sensazione ne era seguita un’altra di appiccicoso.

“...”

Michela compì qualche passo indietro, fissandosi incredula le mani, che risplendevano di una sostanza dorata e viscosa che sembrava tanto una sottospecie di linfa.

“Camus… cosa… cosa è questa? La stai perdendo da...”

“...”

Le mani della ragazza tremarono, mentre passandosi il pollice sul palmo ne percepiva la consistenza collosa. Non era solo sangue. Ed era bollente. Proveniva dallo stesso addome di Camus, possibile che…?

“E’ questo che quel mostro ti ha prelevato?! Che cosa… che cosa diavolo…?!”

Camus era piegato in avanti per il dolore, una mano a trattenersi proprio l’addome. Non si voltò verso di lei, in un estremo tentativo di celarsi.

“Michela, io...”

Ma una emanazione cosmica violenta li mise in allarme, irrigidendo tutti i loro muscoli: il nemico li stava raggiungendo, di nuovo. Un brivido corse lungo le loro schiene., raggelando le vene di entrambi.

“Michela, anf, anf, vai, ti prego…” si ritrovò quasi a supplicare, in un tono assolutamente non da lui, nella disperazione della situazione, alzando il braccio all’altezza della spalla con l’evidente intento di proteggerla con tutto ciò che gli rimaneva. Una luce azzurra scaturì dal suo palmo.

La ragazza non ebbe il tempo di rispondere che, dall’oscurità della cattedrale, uscì la figura di Utopo che incedeva lento nella loro direzione.

“Andare… e dove, di grazia? Pensate forse che ve lo possa permettere?!” disse, alzando a sua volta il braccio ancora integro per poi schioccare le dita. Il varco si richiuse subitaneamente.

“Maledetto…” sibilò Camus, piegando le ginocchia e preparandosi a scattare nella sua direzione, prima di notare, con sgomento, che al posto dell’estremità corporea che gli aveva ridotto in polvere ghiacciata, capeggiava un nuovo arto costituito dalla zampa artigliata di quello strano uccello con la coda da scorpione ucciso poco prima. Aveva… utilizzato i suoi resti per rimettersi in salute?!

“Nessuno può uscire da questo mio mondo senza il mio permesso, a meno che… uhmpf, non c’è bisogno di rivelarlo a due moribondi come voi! – sbuffò, la luce arcana nei suoi occhi - La ragazza morirà qui e tu, Camus, avrai un destino ancora più crudo: nessuno si oppone ai miei esperimenti e al mio volere, nessuno può permettersi di comportarsi come una variabile impazzita. Gli abomini vanno disintegrati, tutto deve essere racchiuso dal cerchio, non può sottrarcisi!”

“Bastardo! Sarai tu a morire, invece che noi!” fece per scattare Michela, furiosa, avanzando di un passo, prima di essere bloccata da Camus.

“No, Michy… è il mio compito questo, sono io a dover proteggere te. Sei tu l’allieva, sei tu… mia figlia!” gli accennò un tiratissimo sorriso, permettendosi di guardarla, prima di avanzare caparbio contro il nemico.

“Ma… Camus!” lo chiamò ancora lei, gli occhi lucidi, scossa dall’emozione, mentre lo vedeva dirigersi verso quell’essere. Le gambe le cedettero nello stesso momento, facendole rendere conto, ancora una volta, di quanto fosse debole.

“Utopo, che ti professi Generatore di Mondi… - parlò con voce chiara e composta, espandendo l’ultima favella del suo cosmo – in verità non generi alcunché, dico bene?”

Utopo parve risentirsi, ebbe un tic al sopracciglio sinistro, mentre il braccio artigliato chiudeva e riapriva le grinfie con gesto nevrotico.

“La tua abilità si limita a ricreare uno spazio di singolarità che è frutto del tuo cervello; un unico mondo, per altro illusorio, dove colui che viene attaccato si ritrova dentro la tua mente… - spiegò compostamente, chiudendo brevemente le palpebre, prima di riaprirle – Beh, lasciami dire che, per essere uno dei 5 Pilastri, la tua dote lascia molto a desiderare… è per questo che ti sei riscoperto un novello Frankenstein? E’ per questo che ti diverti a fare il dottorino, assemblando pezzi di altri esseri viventi su di te?! Guardati, sei davvero ripugnante!”

“Attento, ragazzo, non sei nelle condizioni di alzare la cresta!” fremette lui, riducendo gli occhi a due fessure.

Camus lo sapeva. Si reggeva a stento in piedi ed erano poche le energie rimaste, senza contare che la dissonanza che avvertiva nell’addome, pur libero dal giogo di quel mostro, aumentava invece che diminuire, sempre più difficile da tenere a bada. Più la sopprimeva, più il suo addome si faceva bollente, procurandogli un dolore sempre più insostenibile. Tuttavia non poteva permettersi di dimostrarlo, per orgoglio, e perché aveva qualcuno da proteggere. Si mise faticosamente in posizione di attacco, pregando Atena che le gambe lo sorreggessero ancora per un po’.

“La tua analisi è corretta, io non creo nulla dal principio, neanche Fei Oz può, quella è una dote che hai unicamente tu, per questo ti bramiamo così tanto! - allargò le estremità, mentre un ampio sorriso si faceva strada sulle sue labbra pallide – Ma io, vedi, qua sono un dio, chiunque venga risucchiato da questo mio spazio di singolarità non può che sottomettersi alle mie regole!” ululò, trionfante, spingendo Camus, innervosito da quello sproloquiare, ad attaccarlo con tutto sé stesso.

“Un essere efferato come te, non può che essere un dio solo di un’illusione inventata ad arte da lui stesso… prendi, DIAMOND DUST!”

Lanciò il colpo con tutte le sue forze, ma quel mostro, quasi ghignando, gli annullò l’attacco con la mano rimasta umana. L’aria congelante sublimò all’istante, a Camus sfuggì un singulto di incredulità: nonostante la spossatezza, era vicinissima allo Zero Assoluto e, quel mostro, gliela annichiliva come brezza leggera. Ritentò un altro assalto, concentrandosi ancora di più, ma anche quello subì la stessa sorte; provò una terza volta, ma si accorse che il suo corpo non rispondeva come voleva. Gli mancò fiato nei polmoni, la dissonanza aumentava sempre più, le gambe gli cedettero, ma si rifiutò di cadere in ginocchio. Ansimò, mentre la vista gli si offuscava.

“Camus!!!” l’esclamazione di Michela dietro di sé gli fece coraggio, spingendolo a sfidare il nemico almeno con lo sguardo, affatto sconfitto, ancora indomito. Si trattenne la pancia con le mani nel tentativo di non cedere a quell’immane calore del tutto innaturale.

“Ma-maledetto, c-come… anf, anf! Come puoi tu…?”

“Questo è il mio mondo e, nel mio mondo, comandano le mie regole. Non l’hai capito, forse, tu stesso? - rispose Utopo in tono freddissimo, incombendo su di lui – Ma più ancora, non puoi arrecarmi danno alcuno con un raggio congelante alla temperatura di -273,144°, non è… sufficiente!”

Camus fece per ribattere qualcosa, qualunque cosa pur di non dargliela vinta, ma una nuova fitta al centro dell’addome, come se fosse stato trafitto da parte a parte, lo fece infine cadere in ginocchio piegato in due, le mani sempre a trattenersi il ventre, che si muoveva involontariamente e con forza, indipendentemente dalla sua volontà. Trattene a forza uno spasmo, si costrinse ancora una volta a non urlare.

“Papàààààà!!!” gridò ancora Michela, da qualche parte dietro di lui, accennando un movimento nella sua direzione, esitando tuttavia per pochi secondi, avendo avuto direttive di non agire, prima di decidere di caricare il proprio cosmo in un attacco.

Infine qualcosa venne lanciato, tipo una palla di fuoco, che però non raggiunse neanche Utopo, evaporando a seguito di qualcos’altro di natura del tutto simile, ma… nera! Michela sobbalzò incredula.

“Cosa pensi di fare, figlia di Ares? Le patetiche fiamme di tuo padre, nulla possono contro le mie! I mondi, tutti, sono stati generati dal fuoco primigenio e dal calore, la vita è stata possibile solo partendo dalla distruzione primordiale. Il mio potere ne è l’effige: la Vampa Nera di Kdur, che io padroneggio - le spiegò, per un momento infervorandosi di passione a trattare di quella sua abilità – Questo è l’ultimo avvertimento, stattene buona lì, mentre io mi occupo del tuo giovane maestro!”

Aveva dunque due poteri quell’essere -ragionò Camus, ansante ai suoi piedi, avvertendolo incombere su di sé- egli non generava solo un mondo fittizio, ma anche aveva il pieno controllo del fuoco nero, ben superiore a quello di Ares dell’Olimpo. Eppure un modo per battere doveva esserci, DOVEVA!

“Camus… - tornò su di lui, ne avvertì lo sguardo ferino – Dovresti aver ormai capito che, in quelle condizioni, non puoi opporti! Come avevo ipotizzato giustamente poco fa, non sei più in grado di attingere allo Zero Assoluto, il Principio Primo di Tiamat non te lo consente, sono due doti inconciliabili!”

“Non me lo… consentirebbe, anf?” chiese lui, cercando di rialzare il capo. Doveva assolutamente tentare di perdere tempo per coniugare tutte le energie rimastogli in un’ultima, favillante, Aurora Execution. Doveva farlo, per Michela, e per tutti coloro che amava e che credevano in lui.

“Proprio così! Non si possono conciliare due poteri così opposti: colei che tutto muove, Tiamat, che simboleggia la vita, il divenire imperituro, con un qualcosa che invece viola questo principio, attecchendo le sue risorse sull’immobilità eterna, non si può! - calcò astioso l’ultima parola – Non so perché quella sciocca dea primigenia abbia scelto proprio te per incarnarsi, tu, che dovresti essere il suo antipodo, tu che non sei che un involucro, un misero essere umano… ma non attingerai più allo Zero Assoluto! Prima ci sei riuscito unicamente perché io ho indebolito il tuo Potere della Creazione, ma adesso lei, sollecitata dal mio intervento, sta cercando di uscire. Assecondala!”

“M-mai! Devo avertelo già d-detto, Utopo, non farò… niente… di ciò che tu voglia, non… urgh!” non riuscì a trattenere uno spasmo, si accasciò ancora di più, sorreggendosi disperatamente con l’avambraccio di destra, affondando il volto nell’insenatura del gomito per tentare con ogni mezzo di non urlare, di non dargliela vinta. Con le dita della mano sinistra si strinse la maglietta in prossimità dell’addome, che scalpitava follemente. Provò l’istinto di strapparselo, da quanto fosse insostenibile il dolore che non faceva che aumentare a dismisura.

“Pff, non credere di essere fuori pericolo… non ho ultimato l’ultimo prelievo, è vero, ma Tiamat si è comunque pienamente attivata in te, se la tratterai ancora, potrebbe desiderare uscire con la forza...”

“U-urgh… a-nf, anf, uuuurgh...” Camus strinse il pugno destro con forza, ormai non gli riuscivano altro che degli spasmi involontari, al limite delle convulsioni. Ancora resistette, quasi digrignando i denti.

“Uhmpf, stai soffrendo molto, vedo, ne deduco che persevererai a dibatterti per non manifestarla per me… d’accordo, allora, ti allevierò questa tortura strappandoti quel potere io stesso, non sarà indolore, ma almeno più rapido, detesto vedere i cani soffrire!” lo schernì, prima di calare l’estremità artigliata su di lui.

Camus ne udì il fischio sempre più vicino, cercò disperatamente il modo per bloccarlo, ma ancora prima di azionarsi, il braccio dell’essere fu costretto a fermarsi, perché qualcosa di caldo si era frapposto, pur risultando invano.

“Patetica semidea… - sibilò gelido Utopo, al punto da fargli spalancare gli occhi, gremiti di terrore – Ti avevo detto che quello di prima era l’ultimo avvertimento!”

Ma la ragazza non lo ascoltava, gettandosi coraggiosamente a testa bassa verso di lui con una strana luce negli occhi e i pugni infuocati, senza minimamente considerare i rischi per sé stessa.

 

N-no, Michela, cosa fai? No! Non venire qui, NON VENIRE! Non senti l’aria intorno a noi farsi sempre più rovente al punto da far ribollire il sangue nelle vene?! Non venire, birba!!!

 

Tentò il tutto per tutto per alzarsi e fermarla ma ricadde lungo per terra, ormai allo stremo delle forze.

La ragazza intanto riempiva la distanza tra sé e il nemico aumentando sempre di più la velocità di corsa, tentando un attacco diretto nell’estremo tentativo di salvarlo, tentando a sua volta il tutto e per tutto

“Non lo toccherai più con le tue sudice mani, mostro! Non leverai più un solo dito su mio padre!!!”

Camus trasalì, mentre l’aura nera di quell’essere aberrante invadeva il campo, fermando Michela con la sola forza psichica. La figlia di Ares si ritrovò ben presto bloccata ancora nell’atto di correre, una mano davanti, l’altra dietro, solo il piede di destra poggiava per terra, l’altro era sospeso, immobilizzato, come lei, che non riusciva più a smuovere nemmeno un dito.

“Sei la più insulsa delle allieve dell’Acquario… - disse freddamente, gli occhi iniettati di sangue nella furia di essere stato interrotto – Gli animali deboli, qualsiasi sia la loro origine, scappano, si nascondono… tu invece cosa fai?!”

I muscoli di Michela si irrigidirono ulteriormente, mentre l’aura maligna di Utopo si manifestava come un’ondata di fiamme nere. Tremò dalla paura, la baldanza di prima un lontano ricordo. La consapevolezza angosciante di stare per morire le trafisse il cervello, incancrenendosi nel petto e successivamente a tutto il corpo in un tremore sempre più consistente.

“Tu osi contrapporti a me, nonostante la tua forza irrisoria, ed io queste cose… insensate… - chiuse e riaprì gli occhi in uno scatto d’ira – NON LE SOPPORTO!!!”

Le vampe nere prima apparse dietro di lui, proprio come un onda anomala, piegandosi su sé stesse, si diressero velocemente nella sua direzione, fagocitando le sue, arancioni, come se niente fosse. Non c’era via di fuga, non si poteva muovere, l’avrebbero ghermita e carbonizzata, come foglia riarsa.

“Michelaaaaaaaaa!!!”

Udì a stento l’urlo viscerale del maestro, il paesaggio era annebbiato, perché lei stessa stava piangendo; piangendo dalla paura, già… si reputò una stupida, altroché una guerriera, come l’aveva definita orgogliosamente Camus poco prima. Camus…

Quasi meccanicamente lo guardò un’ultima volta, era ancora a terra, perpetuamente sofferente, ma, ancora di più, sembrava completamente terrorizzato nell’assistere all’imponderabile, forse più di lei. Singhiozzò, rimproverandosi il suo scarso ritegno e la sua forza del tutto insufficiente. Era la sua fine.

“Papà… - lo chiamò ancora, con un filo di voce, ma a giudicare dalla sua espressione l’aveva comunque udita – perdonami per essere così debole...” biascico, prima di chiudere gli occhi e apprestarsi a subire il colpo su sé stessa, pregando che non fosse troppo doloroso.

Quella sola visione dell’allieva che si arrendeva così, offrendosi alle fiamme, diede a Camus le energie necessarie per rialzarsi e scattare disperatamente nella sua direzione, frenetico, senza valutare i rischi per sé stesso. C’era solo lei, la sua birba, che stava per essere colpita da quell’ondata di calore troppo forte per chiunque, persino per lei, che padroneggiava le fiamme di suo padre, Ares.

Ma Michela un padre non lo aveva mai avuto, per questo chiamava lui così, come Isaac, come Hyoga, malgrado la poca differenza di età. A Camus, nella corsa a perdifiato pur di salvarla, gli si strinse il cuore.

 

Hai preso a chiamarmi papà, e questo nome, per me, è sempre stato fonte di orgoglio; di orgoglio, ma anche di paura. Non sono mai riuscito a proteggervi come avrei voluto, né Isaac, che ho abbandonato tra le correnti, né Hyoga, che ho ferito in mille e più modi per forzarlo a crescere, lo sai, te ne ho parlato nel tentativo di farti capire quanto fosse sbagliato appellarmi in quel modo… ma tu hai continuato a chiamarmi ‘papà’ , malgrado questo, ed io… quale padre abbandona i propri figli?!

No, Michela, sei troppo giovane per gettare la spugna, per finire così, sii forte, figlia mia, tu devi vivere ancora per lunghi anni, insieme a Hyoga, non morire qui, in questo inferno!

 

Michela non percepì ovviamente quei pensieri appassionati, si sentì semplicemente spingere via dalle mani del maestro. L’urgenza del momento aveva spazzato via ogni delicatezza, che passava in second’ordine sul desiderio di proteggerla. Ebbe male allo sterno, da tanta forza che ci aveva messo il maestro per salvarlo, prima di essere scagliata lontana da quella fonte immane di calore.

Un fascio di luci, un rumore sordo, che lei avvertì appena, da quanta confusione regnasse tutt’intorno. Si ritrovò quindi proiettata indietro, strisciando con la pianta dei piedi, prima di cadere infine su un fianco, il respiro frenetico, mentre una delle mani correva a stringersi la pancia vessata dai tagli e dalle ferite subite durante la tortura.

Silenzio…

Michela, per un attimo, credette che tutto ciò che era avvenuto fino a poco prima non fosse stato altro che un incubo, perché l’ombra la avvolse completamente. Stava per cedere all’incoscienza, quando il suo istinto da guerriera la mise in allerta, riportandole alla mente di essere ancora su un campo di battaglia. Aprì gli occhi di scatto, saltando a sedere, malgrado le giunture scricchiolanti e i danni subiti.

“Maestro!!! - lo chiamò, cercando di ritrovare, almeno con lo sguardo, la figura per lei più vicina all’idea di padre – Papà!” lo richiamò poi, una volta scorto, come se quel nome fosse più vero e avesse qualche potere taumaturgico.

Lo vide sul terreno. Perse un battito. Tentò di rimettersi in piedi, invano, ricadde. Qualcun altro gli si avvicinò al suo posto.

“N-no, mostro, v-vattene! - tentò di minacciarlo, coniugando le sue forze per puntare i piedi ed intervenire, tutto inutile, il suo corpo non rispondeva ai comandi – STAI LONTANO DA LUI!!!” urlò con tutta la rabbia che possedeva in corpo. Ma la rabbia non bastava. Ci voleva la forza e lei… non ne possedeva, anche se si era sempre reputata più che determinata.

Ma anche la determinazione non era più sufficiente.

“Uhmpf, fino all’ultimo hai evitato di usare il tuo potere, Camus, mi chiedo il perché!” diceva intanto Utopo, in avvicinamento, ricomponendosi e sovrastandolo. Lo squadrò da cima a fondo, pietosamente, quasi disgustato.

“STAI LONTANO DA LUI, O IO, O IO!!!”

Tutto inutile, non la ascoltava, era davvero così insignificante al suo cospetto, come gli era stato detto poc’anzi da quello schifosissimo essere che aveva osato levare le mani su Camus?!

Si sentì montare di rabbia, rimproverando ancora una volta la sua debolezza, mentre quel mostro si chinava verso il corpo martoriato di Camus che giaceva scomposto a terra privo di sensi, il respiro frenetico e la maglia a brandelli a seguito del calore.

“Hai comunque usato una sorta di barriera di ghiaccio, altrimenti i danni non si sarebbero limitati solo a queste semplici bruciature superficiali...” osservò ancora Utopo, compiaciuto.

“Papà!!! Papààààà!!!”

“E STAI ZITTA!” esclamò, infastidito, puntandole contro il palmo della mano aperto dal quale sgorgò una vampata di calore, che la proiettò ulteriormente contro la colonna. Michela tossì, ricadendo a terra, sforzandosi in tutto e per tutto di non cedere, di non perdere coscienza.

La vita di Camus era nelle sue mani, c’erano solo lei e lui lì, non avevano altre speranze. Si fece forza, riuscendo finalmente a rimettersi in piedi mentre, con orrore, scorse Utopo prendere proprio Camus dal collo e sollevarlo senza alcuno sforzo da terra. Inghiottì a vuoto nello scorgere le gambe e le braccia del maestro ciondolare mollemente prive di alcuna volontà, la sua espressione rotta, spezzata, la bocca dischiusa che manifestava il respiro totalmente dispnoico e fin troppo accelerato. Le palpebre gli fremettero a vuoto.

“Non hai più forza, Cavaliere?! L’hai esaurita per salvare questa ragazza?! Che sciocco, odio la gente come te, capace di annichilire sé stesso per gli altri! Ti cancellerei dalla faccia dei pianeti, ma prima devo estirparti la Creazione!” disse, tornando a concentrarsi su di lui, aumentando la stretta sul suo niveo collo per poi reclinargli forzatamente la testa ancora più indietro.

Camus produsse un mormorio strozzato, mentre quell’essere, con calma ferrea, non faceva che aumentare la stretta su di lui, ostruendogli le vie aeree. Boccheggiò alla ricerca di ossigeno, i bei capelli ondeggiarono appena. L’aria non gli arrivava più ai polmoni, gli stava schiacciando la laringe, occludendogli il respiro.

Fu il vederlo così in balia degli eventi, del tutto incapace di respirare, a spingere Michela ad agire con la stessa disperazione di quando lui si era precipitato a proteggerla dall’attacco infuocato di Utopo.

“Maledetto!!! - urlò Michela, caricando nuovamente a spron battuto con i pugni infuocati, che tuttavia non arrivarono al bersaglio, essendo fermati da un semplice gesto della mano artigliata di quel mostro. La ragazza cozzò malamente per terra ma, affatto intenzionata ad arrendersi, provò a infliggere un montante che andò nuovamente a vuoto – Che essere sei, che si diverte a infierire su persone che non possono difendersi?! MI FAI SCHIFO!”

Quelle parole infervorarono nuovamente Utopo che, con sdegno, le prese il braccio, facendole penetrare gli artigli nella carne e facendole sfuggire, nonostante l’intenzione di resistere, uno spasmo di dolore. La trattenne per una serie di secondi, il tempo necessario per fissarla malignamente negli occhi.

“Io seguo semplicemente la legge più vera, quella della giungla, e così, della natura! Voi, piuttosto, siete voi i malati, che vi circondate di concetti sciocchi come la morale, la giustizia e l’amore!”

“E tu invece cosa pensi di essere, bastardo?!”

“Uno dei Giusti! Uno dei… argh, dannata ragazzina!” imprecò, piegandosi un poco su sé stesso, affannato, sebbene continuasse a mantenere la presa sia su di lei che su Camus.

Michela era riuscita infine, prendendolo di sorpresa, a dargli un sonoro calcio allo stinco. Avrebbe voluto colpire altrove, al dire il vero, ma non riusciva ad arrivarci. Sorrise di scherno, prima di farsi temeraria.

“I-il Maestro Camus ha perso contro d-di te solo perché tu gli hai fatto quei prelievi, indebolendolo così tanto! Nel pieno del potenziale ti ridurrebbe ad un fuscello, anzi, ti ha già ridotto tale! E’ lui che fa parte dei Gius...”

Non ebbe il tempo di finire la frase, con un movimento improvviso Utopo mollò la presa su di lei, facendola così cadere a terra e cominciando a calciarla spietata, senza più alcun freno.

“Bla! Bla! Bla! Conosco quello sguardo dei tuoi occhi, l’ho visto in moltissime creature: sei terrorizzata per te e per Camus e allora vaneggi quando dovresti solo tacere e soccombere perché il mondo non ha bisogno di deboli come te!”

Michela non riusciva più a ribattere, barbaramente picchiata, senza più alcuno a difenderla, senza essere in grado di opporsi, trattenne almeno a forza le grida dentro di sé, rannicchiandosi per difendere gli organi vitali.

“Non urli?! Anche a te piace fare l’eroina da quattro soldi?!”

“Non urlerò, no! C-Camus non lo farebbe, ed io… sono una sua orgogliosissima allieva!” rispose, tra uno spasmo e l’altro. I calci ebbero termine, ma la ragazza non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi il motivo che venne sollevata per il bavero dalla sua mano bestiale. Avvertì gli occhi su di lei, la sondavano da capo a piedi. Provò l’istinto di celarsi l’addome con il braccio, perché la maglia, ridotta com’era non le copriva a stento che il seno e lei non tollerava di essere guardata così da qualcuno che non avesse scelto.

“I miei complimenti, mostri una sacrosanta, quanto inutile, devozione per il tuo giovane maestro! Fatti accompagnare da essa, nel tragitto verso l’altro mondo!” la minacciò, mentre la sua mano artigliata diventava rovente, trasmettendo così quel calore immane al suo corpo.

Michela ebbe quasi la sensazione di esserne travolta, quell’attacco poteva carbonizzarle tutti gli organi interni. Ebbe paura. Dolore lancinante, che si acuiva sempre di più costringendola a spalancare le orbite per il dolore, prima di essere, nuovamente e misteriosamente, proiettata indietro. Raschiò il terreno prima di cadere, tuttavia il bruciore che percepiva, la sensazione di essere attraversata da parte a parte, vennero anestetizzati ben presto dal ghiaccio, che ora le permeava lo sterno, diffondendosi poi all’intero corpo, quasi cullandola. Rabboccò aria, tornando a respirare con regolarità. Il bruciore cessò del tutto. Si ritrovò a sussultare al contatto del palmo della sua mano con la pelle sottostante, che sembrava quasi brinata. Quell’intervento… non poteva esser altri che…

“Mich-e-la...”

La voce del maestro le risuonò debolmente in testa, facendole rimbalzare il cuore in gola. Si sforzò di affinare i sensi, tentando di alzarsi, ma ricadendo in avanti.

“Papà? - provò a chiamarlo alla stessa maniera, tutta tremante, gli occhi lucidi – Non dovevi farlo! Il tuo cosmo è...”

“Non pensare a me! Sc-scappa d-dal varco che p-prima ti ho mostrato, s-se lo sforzi puoi fuggire, è ancora accessibile, anf, anf…Vai via da qui, senza più voltarti indietro. Costui è troppo forte...”

“E… e tu?”

“Io… me la caverò!”

“N-no, non lo farò, non me ne vado senza di te!”

Non lo avrebbe mai abbandonato, fosse anche cascato quel mondo bizzarro, manufatto di forgia divina che sopprimeva le leggi fisiche. MAI!

“T-ti prego, tengo troppo a voi, n-non dovete… urgh!”

La comunicazione venne interrotta. Michela lo udì trasalire. Ne ebbe un sussulto.

“CAMUS, sei stato tu a proteggerla, vero? Che ottuso! Continui a farmi montare la rabbia con questo tuo sciocco intervenire per difenderla anche da mezzo morto! Pensa a te! Sei tu tra le mie mani!” disse Utopo, aumentando ancora di più la stretta sul suo collo, facendolo tossire disperatamente in cerca d’aria.

“Papà!!!” lo chiamò lei, con le lacrime agli occhi, cercando in ogni modo di sollevarsi, ma né le gambe né le braccia la reggevano, facendola tonfare a terra a corto di fiato.

“Vuoi che mi concentri unicamente su di te, Camus? Così sia, intanto sei tu ad essere il mio obiettivo!” stabilì alla fine Utopo, cercando di riportarsi alla calma, mentre con la mano unghiata e con gesto violento, gli strappava di dosso i residui della maglietta, denudandogli il busto.

“CAMUUUUS, NOOOO!!!”

Ma Utopo aveva ripreso a non considerarla, ghignando a quello spettacolo. Camus non aveva forze per opporsi, il suo corpo ciondolava a vuoto, vinto. Lo ispezionò con gli occhi, soffermandosi su ogni ferita e bruciatura causata da lui stesso, prima di osservare ancora una volta l’ombelico, sul quale si stava formando un vistoso livido violaceo e dal quale fluiva, in seguito ai prelievi, una sostanza viscosa dorata: il sangue di Tiamat miscelato al suo, rosso rubino.

“Non vuoi proprio usarlo questo potere per me, eh? Ti avrei salvato dal tuo triste fato! - sospirò, fintamente affranto, mentre con un artiglio gli tracciava proprio quel versamento che aveva del miracoloso. Se lo portò alla bocca per leccarlo e assaporarlo – Molto bene, allora! Lo estirperò io medesimo!”

“N-no!!! Fermati, maledetto, n-non… - Michela provò nuovamente ad alzarsi, invano, ormai piangeva da quanto fosse spaventata – Camus, ti prego, reagisci! Reagisci, papà!!!”

Utopo non sopportava quei piagnistei, li avrebbe volentieri fatti tacere, ma in un secondo momento. Non bisognava distrarsi, non in quel momento cardine, non ora che quel Potere incommensurabile era così alla sua portata.

“Dimostrerò a Fei Oz che possiamo usufruire del tuo potere senza dover utilizzare per forza il tuo corpo. Stavolta non esiterò, non più! - disse mentre con una grinfia delle quattro, raschiandogli sulla pelle, discese dallo sterno all’ombelico... – Basta aprirti qui, nella linea dell’addome, arrivare al nucleo – e gli insinuò quello che avrebbe dovuto essere un indice proprio dentro la fossetta, con talmente tanta violenza da provocargli uno spasmo - e scavare in questa sede, finché non ci arriverò, impadronendomi così della Creazione e così di Tiamat, Camus!”

“Nooooooooooooo!!!”

“Sarà veloce, vedrai… sei già agonizzante, del resto!”

E l’estremità del mostro si mosse, folle, verso di lui, ma qualcosa si intromise sulla sua strada, un nuovo intervento; una nuova, più intensa, sensazione di gelo.

Utopo sbatté più volte le palpebre, incredulo, sicuro di non aver visto bene. La mano unghiata era nuovamente bloccata, impossibile da muovere, e quella sorta di gelicidio si stava diffondendo anche all’altra, sebbene fosse ancora intenta a ghermire il niveo collo di Camus. Guardando meglio, notò che essa era completamente congelata, come se qualcuno gli avesse sublimato in un colpo solo tutti i vasi sanguigni, atrofizzandogliela di netto. Ciò che era più tremendo, tuttavia, era che quell’effetto continuava ad essere attivo, fagocitandogli anche l’avambraccio, il gomito, proseguendo il suo cammino, come una slavina. Fu costretto quindi ad allontanarsi con un balzo, anche perché, nello stesso momento, una nube bianca, cristallizzata, si stava avvicinando a gran velocità a lui, se non l’avesse scansata subito, sarebbe morto, perché, lo percepì: era allo Zero Assoluto, l’unica attitudine, insieme alla Creazione, che avrebbe potuto danneggiarlo seriamente.

Il corpo di Camus, privo di sostegno, cadde come corpo morto, prima di essere afferrato da due braccia che lo strinsero con foga, quasi abbracciandolo.

Michela, dalla sua posizione, non riusciva quasi a crederci. Aveva riconosciuto quel cosmo candido, solenne, che tanto amava, ma aveva quasi paura di essersi sbagliata. Poi lo vide, fiero, scultoreo, i capelli biondi che si muovevano appena. Rigettò indietro le lacrime e sorrise nella sua direzione, un fascio di luce bianca avvolgeva il nuovo arrivato, nello stesso momento il volto del maestro veniva appoggiato delicatamente su una spalla amica. Lontano dall’ingerenza di quell’essere, lontano dalla sofferenza che aveva patito fino a quel momento e che era ben visibile su tutto il corpo. Gli occhi azzurri del Cigno si soffermarono sul suo viso, sul suo respiro ancora stentato, sui danni che aveva subito, si ritrovò a fremere, serrando impercettibilmente le labbra.

“Come… come hai potuto raggiungerci qui?! Questo è il mio mondo!!!” urlò minaccioso Utopo, affatto dolorante, sebbene avesse quasi perso un braccio, puntando immediatamente contro di lui, il quale però, senza scomporsi, senza neanche quasi guardarlo, gli puntò contro il dito indice, dal quale uscirono gli anelli di ghiaccio, immobilizzando subitaneamente.

Gli voltò le spalle senza aggiungere altro, in quel momento non era nemmeno degno della sua attenzione.

“Hyoga!!!” trillò Michela, mentre il cuore le veniva riempito di una nuova speranza; era giunto per salvarli, come un principe azzurro, si sarebbero risolto tutto, ora c’era anche lui con loro.

Hyoga, il Cavaliere del Cigno, con indosso la sua favillante armatura che risplendeva di argentei bagliori, non rispose subito nemmeno a lei ma, con lo sguardo grave e un poco distante nel tentativo di non mostrare le sue emozioni, le avvicinò ulteriormente, sorreggendo il suo maestro con le sue forti braccia.

“HYOGA! - lo richiamò ancora Michela, prima di concentrarsi sulle condizioni di Camus, che sembrava aver perso completamente coscienza – O-oddio, come sta?!” si agitò lei, vedendo che respirava a fatica.

Ancora Hyoga non parlò, limitandosi ad adagiarlo gentilmente a terra. Gli posizionò le mani lungo i fianchi, il volto piegato leggermente da un lato, come se dormisse. Gli tastò velocemente il collo e torace, controllandogli il battito cardiaco, per poi scendere, passando dallo sterno, sull’addome e vedere così i danni subiti, tuttavia si fermò subito, notando una temperatura molto più alta della norma.

“Maestro… - riuscì infine a chiamarlo, in tono un poco strascicato – Cosa vi hanno fatto?!”

“S-sta continuando a perdere quello strano fluido dall’ombelico, Hyoga, il sangue non si ferma!!! - pigolò Michela, disperata, non sapendo come aiutarlo in quel luogo - E’ stato quell’essere! Q-quel mostro gli ha fatto d-dei prelievi e… e… CAMUS!!! CAMUS, NON LASCIARCI, TI PREGO!!!”

Solo a quel punto Hyoga la trattenne per le spalle, accucciandosi davanti per guardarla dritta negli occhi.

“Devi stare calma, Michela, se ci facciamo prendere dall’agitazione non gli siamo di nessuno aiuto!”

“S-sì, ma...”

“Spostati un attimo, per favore!” le disse con gentilezza e un pizzico di fermezza, tornando a concentrarsi su Camus per toccare con le dita quello strano fluido dorato.

Era impossibile capire che roba fosse, sicuramente sangue, il suo, visto l’odore, ma anche altro di indefinibile, una sostanza mai vista, viscosa. Rabbrividì per la paura. Le funzioni vitali sembravano stabili, i danni non troppo gravi, ma l’espressione contratta del suo volto, i capelli attaccati alla pelle sudata e la temperatura in vertiginoso aumento, soprattutto in quella zona, tradivano un certo malessere. Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, glielo pressò sopra l’ombelico nel tentativo di tamponare l’uscita del fluido.

“U-urgh...”

Un debole lamento gli giunse alle orecchie ancora prima di avvertire l’irrigidimento del suo corpo sfinito, teso per il dolore.

“Coraggio, resistete, Mae.. - iniziò, prima di scrollare la testa e correggersi - Resisti, papà, ti porteremo fuori da qui, te lo prometto!” lo incoraggiò, lasciandosi finalmente andare in una manifestazione di affetto. Gli accarezzò dolcemente i capelli, alzandogli poi i ciuffi della frangia per poggiarci appena le labbra in un leggero bacio. Poi tornò a premergli l’addome, perché l’emorragia, inspiegabilmente, visto che il forellino aveva dimensioni ridotte, non si arrestava.

Ho sentito il tuo richiamo, sono qui, forza! Non sarai più costretto a combattere da solo, Camus… papà!

Anche Michela piombò di riflesso sul maestro, ancora affannato e con il torace scalpitante per la penuria di ossigeno, ma VIVO! Si permise di piangere, per il sollievo, per la paura provata, per le sue stesse condizioni. Lo abbracciò senza pesargli, affondando il viso nel buffo cespuglietto che aveva in testa, mentre con il pollice della mano sinistra gli carezzava delicatamente la guancia.

“Papà, va tutto bene! Sei qui, sei al sicuro! Ora c’è Hyoga con noi, andrà tutto bene! - singhiozzava lei, tutta tremante – Scusami, SCUSAMI! Sono troppo debole, avei dovuto proteggerti!”

Hyoga la lasciò fare per alcuni secondi, prima di decidere che era tempo di agire. Si trovavano su un campo di battaglia e, anche se aveva immobilizzato il nemico con il Koliso, ogni secondo era più che prezioso, non potevano permettersi di distendersi più del dovuto.

“Michela, ascoltami ora, devo sconfiggere il nemico il prima possibile, a te quindi il compito di fermare l’emorragia...”

“E come… come faccio?!”

“Posizionati su di lui perpendicolarmente e premi il fazzoletto sul suo addome, una mano sopra l’altra, come sono io ora. Non so che roba sia quella che perde, non è solo sangue, ma la priorità è arrestarne l’uscita!” le spiegò, risoluto e un goccio sbrigativo.

“Ma se schiaccio gli farò del male, e lui...”

“Sì, ma non abbiamo alternative, mi capisci? - cercò di riscuoterla, accarezzandole la spalla fino a scendere sul braccio per poi stringerle la mano – Conto su di te!”

Michela, gli occhi lucidi, il viso provato, la maglia praticamente a brandelli che le scopriva la pancia, le numerose ferite sul suo corpo, ridotta ad uno stato pietoso... a quelle parole ricacciò comunque indietro le lacrime e si fece determinata, prendendo immediatamente il suo posto prima di annuire con forza.

“Così, brava! Usciremo da qui tutti e tre, insieme!” le sorrise brevemente Hyoga, dandole un veloce bacio sulle labbra, prima di alzarsi temerario in piedi.

Le ferite di Camus non erano gravi, per un Cavaliere della sua tempra, ma il giovane allievo aveva la spiacevolissima sensazione che fosse messo piuttosto male, e non per quelle numerose bruciature che gli marcavano il busto, o per i segni delle dita di quel mostro sul suo collo arrossato, no, ma per quell’addome che appariva così dolorosamente contratto e dal quale fuoriusciva un fluido dorato e bollente, come se il male peggiore fosse proprio lì dentro.

Ma cosa diavolo…?

Si ritrovò a stringere convulsamente le dita, furioso. Doveva sbrigarsi, e in fretta!

Camus e Michela, la sua famiglia. Disintegrati. Entrambi. Con una violenza inaudita. Senza che lui avesse potuto impedirlo.

Si morse anche il labbro inferiore fino a quasi farselo insanguinare. Toccare loro, le persone più importanti della sua vita… no, c’era un limite a tutto, e quel limite era stato ampiamente valicato!

“E così, da come ti ha chiamato quella femmina umana, tu devi essere Hyoga del Cigno, anf, l’allievo di… urgh!” non riuscì a finire la frase, l’ossigeno gli mancò nei polmoni, mentre, sputando sangue e qualcos’altro di solido, si accasciava a terra, a sua volta in penuria di ossigeno. Capì che gli era stato appena congelato completamente un polmone, l’altro crepitava paurosamente, come se fosse destinato alla stessa sorte.

“Non importa chi tu sia, né come tu abbia fatto vigliaccamente a ridurli così! Alcune cose non si possono semplicemente toccare, e tu ne hai deturpate due in un sol colpo! - disse Hyoga, temerario, voltandosi di scatto e alzando le braccia come ad imitare le ali del cigno. L’aria sembrò cristallizzare in un istante – Preparati a subire la furia dei ghiacci perenni, MOSTRO!” urlò, lanciandosi senza esitazione contro il nemico, sublimando tutto la rabbia che stava provando in un unico, deicida, assalto.

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccoci qua con un nuovo capitolo de “I 5 Pilastri di Marduk”, buon week end a tutti ^_^

Sono molto soddisfatta di questo capitolo, anche se la storia, procede un po’ a rilento perché descrivere le scene di combattimento non è mai facilissimo.

Utopo, come specifico più volte anche per bocca dello stesso Camus, è un dissidente, fa parte dei 5 Pilastri ed è quindi agli ordini del Mago ma, come si può ben vedere, brama il potere per sé. Nonostante le incertezze iniziali, perché Utopo ha comunque assai paura di Fei Oz, alla fine decide di andare fino in fondo, ben sapendo che “avendo deturpato il corpo dell’Acquario” non può più tornare indietro. Eh, sì, il nostro Mago, lo vedremo nuovamente più avanti, è molto possessivo. Fortuna che interviene Hyoga (adoroooo!!!) e sarà lui a combattere contro di lui, dopo lo scempio perpetrato nei confronti del suo Maestro e della sua ragazza (Go, Cygnus!!!).

Diverse spiegazioni invece sono più necessarie per la parte in Grecia che, pur più breve, offre molti spunti di riflessione.

Intanto veniamo a sapere che Stevin è “un abominio” e che è orfano; come se non bastasse, suo nonno non era biologico, quindi… da dove è sbucato questo ragazzo?! Quale rapporto lo lega a Nero Priest?! Quali sono le reali intenzioni di quest’ultima?!

Aphrodite e Death Mask, qui, hanno delle vistose rimembranze delle precedenti vite, quelle di Albafica e Manigoldo. Il primo, infatti, ha l’istinto di recarsi a Rodorio, il secondo, si scopre, ha sempre visto gli spiriti fin dalla più tenera età, come Manigoldo.

So che, per alcuni di voi, la cosa è inconcepibile, del resto, due personaggi così meravigliosi come Manigoldo e Albafica come fanno a essersi reincarnati in quei pertusi di Aphro e Deathy?! Però, nella mia storia, hanno la stessa anima, c’è ben poco da dire… riserveranno sorprese! ;)

Prima di lasciarvi, ci tengo a sottolineare anche un’altra cosa: Camus, nel momento in sui subisce l’ultimo prelievo (poverino, immaginate che dolore debba avere a subire le iniezioni proprio in quel punto!) vede “determinate cose”, al momento solo buttate lì, prive quasi di senso, come se fosse una vera e propria visione. Viene anche citato il “Primo Aquarius”…

Ci ritorneremo e... ah, "l'Aurora Annihilate" non è di mia invenzione ma presente, come attacco, in Episode G Assassin, usata proprio da Camus ;)

Al solito grazie mille a tutti coloro che continuano a seguire questa mia storia! Alla prossima! :)

 

 

  
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