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Autore: MaikoxMilo    25/07/2021    3 recensioni
Vi fu un tempo, anche se privo dello stesso concetto di tempo, in cui, si narra, Cielo e Terra, Mondi e Dimensioni, Caldo e Freddo, Umido e Secco, coesistessero in una sola sostanza che racchiudeva tutto; tutto ciò che avrebbe poi assunto un nome, ma che, allora, nome non possedeva. Non c'era quindi un inizio, né una fine, non esisteva Destino, né legge, tutto era miscelato, un tutt'uno indistinto, estroflesso, inscindibile, nonché eterno. Tale concentrato di materia venne chiamato posteriormente "Principio Primo di Tiamat", prima di scomparire completamente nella Notte dei Tempi, svanendo per milioni e milioni di anni.
Tutti gli universi possiedono quindi un'origine comune? Che ne fu di quell'epoca, CHI ordinò il Creato, dandogli una forma propria, dividendo le dimensioni, espandendole all'infinito di propria mano? Chi ebbe la forza per farlo? Perché lo fece, imprimendo così la propria imperitura effige?!
Marduk, Sommo dio Marduk, fosti tu a volerlo, stracciando il gigantesco corpo della dea Madre Tiamat, scindendo così, per la prima volta, il Cielo dalla Terra; gli Universi dalla Matrice?!
Storia ambientata tra i capitoli 10 e 12 della Melodia della Neve, di cui è quindi indispensabile la lettura insieme alle fanfiction precedenti.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 4: Ergon, l’impulso vitale

 

 

Vi era solo un enorme prato.

Un enorme prato fiorito, che pareva sconfinato. Le dolci colline sullo sfondo, verdi anch’esse, scendevano in declivi che parevano giocare con l’ottica dello spettatore. A seconda dell’angolazione potevano sembrare sinuosi poggi o irte montagne; abbracciavano la valle ma, all’occorrenza, potevano anche soffocarla.

A giudicare dall’odore nell’aria, poi, era maggio, la sua stagione preferita.

Strinse con foga la mano che teneva, accelerando l’andatura per spronarlo a seguirla. Era felice e sorrideva nel luogo che adorava, con la persona amata. Solo quello contava.

Il tiepido sole tardo primaverile accarezzava i loro volti ridenti mentre correvano nel prato smeraldo. Era tutto così perfetto, da sembrare falso, e fallace il solo osare crederlo, ma così dannatamente bello; era così bello... poter finalmente respirare l’aria pulita senza più alcuna tribolazione. Solo… loro due!

Una parte di lei stava sussurrando insistentemente che fosse sbagliato essere lì… ma come poteva esserlo? C’erano solo lei e Dègel, ed erano due ragazzi normali… come poteva essere un inganno?!

Una sensazione di imminente perdita la dilaniava, ma non vi badò.

Vi era ancora il sole alto levato, pur con qualche nuvoletta verso le cime più alte, quando finalmente giunsero alla sporgenza, fermandosi per contemplare il paesaggio appenninico. Sotto di loro un gruppo di mucche pezzate di marrone pascolava serenamente, ruminando l’erba piano piano, senza fretta, assaporando quella piccola breccia di vita in un tempo che spietatamente correva.

Dègel finalmente la raggiunse, ammirando con lei il panorama con un mezzo sorriso e il leggero rossore sulle gote. Il respiro appena appena trafelato, non per lo sforzo, ma bensì per l’emozione.

E’ bellissimo non trovi?” chiese Marta, riprendendolo per mano e sorridendogli radiosa.

E’ così… grazie per avermi portato qui, rondinella!”

Rondinella… Marta sorrise a quel vezzeggiativo che era diventando usuale. Proprio in quel momento un gruppo di rondini montane sfrecciò vivace sopra le loro teste con i loro consueti schiamazzi. La ragazza si perse a guardarle, ammirata. Sfidavano i venti piroettando, sicure delle proprie ali. A volte arrivavano talmente vicine agli ostacoli da temere che potessero sfracellarcisi contro, ma loro, leste, giudiziose, con una subitanea virata riacquistavano quota. Erano semplicemente meravigliose!

Marta… ti sei mai soffermata a pensare a cosa possa significare la parola paesaggio, paysage, alla francese?”

Uh? Ma che domande ti vengono tutto d’un tratto?” chiese la ragazza, ridacchiando.

Semplice curiosità, la mia...” sorrise lui, cingendole poi il fianco in un gesto protettivo, lo sguardo perso verso l’orizzonte.

Un brivido corse lungo la sua schiena a quel contatto. Per un istante fu sul punto di ricambiarlo, con impeto, perché aveva bisogno di qualcosa di ancora più concreto, vittima di una paura ineffabile che la lambiva sempre di più: il Cavaliere dell’Acquario sembrava davvero sul punto di svanire da un momento all’altro, e lei non voleva. Se l’avesse stretto più forte -si chiese ingenuamente- non sarebbe più scappato?!

Tentò di concentrarsi sulla domanda posta, era assolutamente da Dègel rivolgerle simili quesiti dal nulla, una delle mille e più ragioni per amarlo con tutta sé stessa. La risposta sembrava a portata di mano, ma poco dopo si accorse, con sorpresa, che invece non lo era affatto.

Un paesaggio… cosa era un paesaggio?! Esisteva un criterio oggettivo per definirlo?! Le parve, tutto d’un tratto, una parola dai molteplici significati, impossibile dare una risposta univoca.

Uh, ecco…” temporeggiò, imbarazzata. Voleva dimostrarsi degna della sua intelligenza, ma per quanto si sforzasse non le sovveniva niente. Gonfiò le gote, arrabbiata.

Dègel la guardò assumere quell’espressione un poco corrucciata, ridacchiò di gusto, disteso, prima di permettersi di alzarle dolcemente il mento e darle un soffice, quanto caldo, bacio a fior di labbra.

Uhm, così però mi deconcentri!” riuscì a biascicare lei, una volta staccatasi, circondandolo con le braccia prima di passare le mani sotto alla maglietta e solleticargli così la pelle.

Anche tu, madamigella!” la prese in giro lui, ammiccando, prima di fare altrettanto.

Sai che non mi piace questo appellativo...”

Ne sono consapevole, anche se tendo a scordarlo. Vi chiedo umilmente scusa, Mad… Marta!” ribatté, facendole l’occhiolino, prima di avvicinarla ancora di più a sé.

Il brivido si fece più forte nell’avvertire le sue delicate dita passare lungo la linea del fianco, alzandole così la maglietta. Si lasciò cullare dalle sue braccia, mentre, dopo un gioco di sguardi, gli solcò la pelle nuda fino alle scapole, che strinse tra le sue dita, trattenendo a stento un ansito di piacere, prima di tornare a forza alla domanda precedente.

I-io n-non lo so bene, Dègel… mi verrebbe da dire che sia una porzione di territorio visibile all’occhio umano, ma sembra troppo… banale!” ammise, pensierosa.

Non lo è, anzi oggettivamente e scientemente è proprio così ma, come hai avuto la percezione tu stessa, il significato non si limita a questo, è… molto di più!”

E, secondo te, cosa è quindi, Dègel?”

Uno… stato d’animo, una… introspezione che fa l’uomo davanti allo spettacolo della natura, che affascina, stupisce fino a quasi tramortire. Un paesaggio… è tutto ciò che si incastra tra il respiro e la pelle!”

Dégel… - sorrise Marta, approcciandosi ulteriormente a lui per ricambiare il bacio precedente, approfondendolo un poco di più, stringendo quel corpo tanto amato a sé fino a fargli sentire le unghie proprio sulla pelle che andava dicendo – Sei unico! Potrei passare i secoli, insieme a te, e non mi stancherei, né annoierei, mai!” disse, appoggiandosi poi sopra il suo petto per lasciarsi un poco cullare.

Non lo guardava più in faccia, gli occhi rivolti verso l’orizzonte, su quel paesaggio che osservavano dalla loro posizione altolocata e che condividevano, mentre i battiti dei loro cuori, quasi uno contro l’altro, accordavano all’unisono una stessa melodia.

Lo sentì emozionarsi, mentre, teneramente, le accarezzava i capelli sul capo, ritmicamente. Rimasero in silenzio per un po’, l’agitazione intrinseca, che pungolava i loro giovani animi, si fece più forte.

Dégel?” chiese ad un certo punto Marta, tornando a fissarlo, un poco spaventata. Quella sensazione di inquietudine si era fatta più forte. Il giovane uomo aveva gli occhi chiusi, un poco sofferenti, mentre la stringeva a sé con un cipiglio di disperazione. Alla ragazza ricordò tanto qualcun altro, ma chi, nello specifico?! Ebbe quasi l’istinto di scrollarlo per provare a ravvivarlo, ma lui la precedette, portandosela ancora più contro il petto e desiderando la sua attenzione.

Ora guardami, per favore...”

I-io ti guardo sempre, Dègel, m-mi piace e non mi stancherei mai, ma a dire cose così in questo tono mi spaventi, cosa succede?”

Il tempo non è molto...”

I-il tempo? - guardò confusamente il sole, ancora alto nel cielo, anche se si stava oscurando, ne ebbe un fremito e provò un misto di istinti tra allontanarsi immediatamente e abbracciarlo ancora più forte per non farlo più scappare – A-abbiamo ancora tutta la giornata e… e una vita intera per stare insieme!” farfugliò, gli occhi lucidi.

Ma Dègel sembrava partito per la tangenziale, così concentrato a proseguire nel suo discorso.

Ti ho parlato del paesaggio per un motivo, Marta, tu… - rabboccò aria, parlare gli costava fatica – Ne vedrai ancora tanti, mia piccola rondine!” le disse, scostandole un ciuffo dalla fronte.

Certamente… con te!” insistette lei, ormai sempre più spaventata da quella situazione. Il bisogno di svegliarsi si stava facendo inderogabile, anche se avrebbe voluto rimanere lì per sempre. In un tempo fermo.

Certo, io sarò con te! - ammorbidì ulteriormente l’espressione Dègel, posandole un bacio sulla fronte – Anche se non mi potrai vedere! Te l’ho promesso, ricordi?”

N-NO!” le uscì quasi un rantolo, mentre il tono le era salito fino a strozzarsi. Le mancava aria, forze, tutto, eppure non voleva più andarsene da lì. Chiuse gli occhi, non poteva fare altro, appoggiandosi un’ultima volta a quel torace che avrebbe dovuto ospitarla per il resto della vita.

Se solo… fossero stati due ragazzi normali!

In verità… più volte nella mia vita mi sono posto domande sul paesaggio, soffermandomi a contemplarlo, ripensando a te, a me, alle nostre infinitesimali scelte, se paragonate al Tutto, ma solo apparentemente!”

A-anche io, Dég… a-anche io!”

Perché noi, in questo spazio immenso e capriccioso, tra milioni di possibilità, ci siamo comunque trovati, e ritrovati, più volte, così continueremo a fare… - anche Dégel piangeva, Marta se ne accorse, perché alcune lacrime dispettose le erano finite tra i capelli, incastonandosi come un germoglio che attecchisce nella più piccola porzione di terra – vero, rondinella?”

Annuì, non riusciva a fare altro, mentre, istintivamente, alzò il capo, assaporando nuovamente le labbra della persona amata. Cercarono, si cercarono, con tutte le forze che avevano, seguendosi e inseguendosi fino a rimanere senza forze. Tutto intorno a loro stava svanendo.

Marta lo vide ancora sorridere, mentre poggiava la fronte su di lei; un sorriso triste, ma dolce, come quello che le aveva regalato ad Atlantide, poco prima che il buio li avvolgesse. Era bellissimo, continuava a ripeterselo mentalmente, strinse le dita sul suo fianco, sospirando.

Mi… manchi da morire, Dègel!” soffiò, lasciando che le lacrime le solcassero le guance. Per qualche strana ragione le sembrò di averglielo detto poco prima, ma erano diversi, lì, in quell’istante privo di tempo e fretta. Il solo pensarlo le faceva male, da spezzare il fiato.

Anche tu, ma come ti ho detto prima… il mio tempo è fermo, il tuo no!”

Non m’importa!”

Ci fu una nuova, lunga, pausa prima che riuscisse a proseguire.

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”

Dégel, m-ma cosa..?”

E’ un aforisma di Marcel Proust”

E perché me lo stai dicendo adesso, in questo momento?”

Perché io vorrei solo questo, rondinella, anche se so che è difficile… - prese una nuova pausa, tremando consistentemente – Conosci persone nuove, viaggia, respira quest’aria, ridi, osserva il mondo, guarda ciò che avrei voluto vedere io, fallo per me…”

I-io non lo voglio fare senza di te!” cercò di opporsi lei, quasi supplichevole, ma Dègel voleva proseguire ottusamente.

Sii i miei occhi, se puoi… devi ricominciare, devi muoverti, il tuo cammino non è affatto concluso, la strada è ancora lunga, VIVI! Voglio che tu viva, Marta, e, quando sarai pronta, innamorati ancora!”

NON VOGLIO!” ribadì ancora lei, sempre più disperata. Voleva che la smettesse, che smettesse di vaneggiare, voleva solo essere rassicurata e abbracciata, ancora e ancora, voleva la conferma che avrebbero passato il resto della vita insieme.

Anche se sapeva che era impossibile… anche se sapeva che doveva svegliarsi al più presto, perché, ora lo rammentava, c’era stato un terremoto e, subito dopo, prima di svenire, la consapevolezza di essere sotto attacco.

Ancora una cosa io ti chiedo, prima di lasciarti andare…”

Qu-qualunque cosa...” balbettò lei, al limite. Voleva semplicemente crollare a terra e piangere tutte le sue lacrime. Perché gli stava dicendo per l’ennesima volta addio, e non ne poteva più.

Quando, tra un’avventura e l’altra, ti soffermerai su un paesaggio, quando il tuo occhio si poserà dove dice il tuo cuore per contemplare l’infinito… per favore, ricordati di sorridere, perché io sarò in quella piccolissima parte del tutto, anche se non mi potrai vedere. Sarò al tuo fianco, da ora all’eternità e… sorriderò con te, insieme a te. Non saremo mai veramente separati finché rammenterai questo!”

D-Dègel...” stava diventando insostenibile quel dialogo, ingoiò un singhiozzo, mentre tutto stava scomparendo, anche lui, un’altra volta. Si sentì posare una mano sopra al petto, si ritrovò a osservare per l’ennesima volta quei due occhi blu che non avrebbe mai, MAI, potuto dimenticare.

Perché io, prima di tutto, sono qui. Finché mi ricorderai, niente e nessuno potrà veramente dividerci!”

Marta annuì, ingoiando saliva, rimanendo a guardarlo senza più abbassare lo sguardo, per imprimersi ogni suo più piccolo lineamento, i contorni del viso, ogni singolo ciuffo che gli ricadeva di qua o di là. Rimase ad osservarlo con tutta sé stessa, finché non seppe se fosse a causa delle lacrime il non riuscire più a focalizzare il suo viso, o il sogno stesso che andava svanendosi, frantumandosi in mille e più frammenti.

 

Vi era stato un incredibile frastuono, poi il tremore sotto i piedi, che rapidamente era dilagato a tutto il corpo, minando la stabilità delle gambe, e poi ancora l’essere finite violentemente a terra. Qualcuno aveva urlato, qualcuno si era posto sopra di loro per proteggerle, poi più nulla, il buio dell’incoscienza.

Marta era ancora intorpidita e confusa, la mente ancora concentrata sul bel sogno, sul viso delicato di Dègel, sulla sua stretta che le infondeva coraggio. Ne era rimasta rassicurata, sarebbe stato così per sempre, lo sapeva, ma doverla lasciare per l’ennesima volta era stato ancor più straziante.

Non riusciva più a ingranare… gli occhi chiusi, serrati, nel pallido tentativo di ritornare a quel sogno. Lentamente, spietatamente, le facoltà stavano cominciando a tornare. Si accorse che qualcuno la teneva parzialmente sollevata per un braccio, cercando di instillarle coraggio.

“Forza, ragazze, riprendetevi! Non è questo il momento per...”

Sia Sonia che Marta riconobbero la voce pacata di Shion, pur velata da una certa urgenza. Le stava sorreggendo entrambe, affannato.

“U-uh, Grande Sacerdote!” biascicò la più piccola, rintontita, aprendo e chiudendo gli occhi varie volte prima di riuscire a mettere a fuoco quanto aveva intorno: sabbia, mare e poco altro.

Era lampante che Shion le avesse teletrasportate via, lontano dalla meridiana del Santuario, che racchiudeva l’archivio, lontano… dal nucleo della battaglia!

In quell’istante, come se tutte le consapevolezze fossero tornate nel medesimo istante, Marta si riscosse e, sbigottita, sfuggendo dalla morsa dell’ex Ariete, scattò in avanti, fermandosi solo una volta giunta in prossimità del mare, a poca distanza dall’infrangersi delle onde sulla battigia. Boccheggiò varie volte, cercando di affinare i sensi per scorgerlo. Tutto inutile. Non vi era più alcuna traccia di… NO!

Sonia scrollò il capo varie volte, massaggiandosi poi la nuca, quasi dovesse buttare fuori dalle orecchie qualcosa di fastidioso che le era entrato. Si concentrò a sua volta, capendo nel giro di pochi secondi cosa avesse sconvolto così tanto l’amica.

“I-i cosmi di Camus e Michela…” non finì la frase, spalancò solo di più le palpebre, terrorizzata.

“E’ successo ciò che temevo e che non avrei mai voluto: uno dei Cinque Pilastri deve averlo condotto in una specie di...”

Distruggilo…

Neanche Shion riuscì a terminare la frase, semplicemente si vide costretto a scansare un fiotto di aria congelante con un leggero salto di lato.

“MARTA!!!” la chiamò allarmata Sonia, non aspettandosi una tale furia. Non sembrava neanche più lei da quanto i suoi occhi blu, solitamente limpidi e splendenti, fossero diventati ombrosi e scuri. Irriconoscibili.

“TU! Dove lo hai mandato?! Dove hai mandato MIO fratello?!”

Inaspettatamente il Grande Sacerdote, come aspettandosi una simile reazione, si raddrizzò calmo senza lasciar trasparire alcuna emozione. La guardò dritta in faccia, diretto, privo di tentennamenti.

“Ad Efeso. Come ti avevo accennato avevo bisogno rimanesse distante da noi!”

“Tu… mandi mio fratello, nelle condizioni in cui è, in missione, permettendo a Michela di seguirlo in questa follia?!” gli sibilò, sinistra, quasi assuefatta.

“Dovevo, Marta… l’ingerenza di Dègel avrebbe potuto causare grossi danni all’anima mutilata di Camus…”

Distruggilo… ha osato toccare chi ti sei prefissata di proteggere, calpestando così la tua decisione…

Sentiva quella voce dentro di lei, o meglio, la risentiva, perché non era certo la prima volta nel corso della sua vita. Avrebbe potuto assecondare quell’impulso, tuttavia si trattenne, massaggiandosi una delle due tempie.

Distruggi… chiunque osi mettersi in mezzo!

“Q-quali danni potrebbe mai procurargli Dègel?”

Shion ridusse gli occhi a due fessure, come per studiare il suo comportamento, poi, giudicandolo abbastanza in grado di intendere e volere, proseguì francamente il discorso.

“Riunirsi all’anima dalla quale è stato strappato, prendere il suo posto, per esempio!”

“Assurdo! Non lo farebbe mai, lo conoscete Grande Sacerdote!” affermò lei, quasi sofferente, abbassando il pugno e fissando la sabbia sottostante.

Sembrava tornata in sé, Shion prese un profondo respiro, prima di avvicinarsi cautamente a lei, esitare ancora un attimo, e posarle infine una mano sulla spalla.

“Tutti gli esseri viventi vogliono un’unica cosa: continuare a vivere. E’ un principio inossidabile, Dègel non fa eccezione...”

“Dégel non farebbe mai del male a Camus! Ha subito la decisione che io stessa gli ho inferto, preferendo mio fratello a lui. E’ innocente, Shion, è… è vittima delle mie scelte e tuttavia mai nuocerebbe a lui!”

“Non scientemente, è vero, ma gli spiriti, con l’avanzare degli anni, se non trovano la pace, perdono il controllo, catturati dalle proprie ‘questioni in sospeso’. Basta una scintilla per fargli desiderare di vivere; quella scintilla per lui sei tu, per questo ho scelto di mandare Camus il più lontano possibile, per fare in modo che Dègel non fosse nemmeno tentato di prendere il suo posto!”

“Non lo farebbe mai! - ribadì la ragazza, sempre con più convinzione, come se fosse una questione di principio – Dègel è già apparso all’undicesima casa, non gli ha fatto niente, mai lo farà, perché avete così poca fiducia in lui?! Eravate compagni!” lo accusò, alzando il tono, utilizzando nuovamente il tu per disperazione, non più per collera. Si approcciò infatti a lui, rannicchiandosi contro il suo petto, bisognosa di un conforto che l’ex Cavaliere d’Oro dell’Ariete faticava a darle. Le circondò comunque le spalle, in un modico abbraccio, lasciando che si sfogasse.

“Ho fiducia in lui, sempre ne ho avuta, Marta! Dègel è stato un grandissimo Cavaliere d’Oro, ma è mio compito preservare la generazione di quest’epoca, non quella passata!”

Marta pianse senza lacrime, probabilmente le aveva prosciugate nel corso di quei mesi che avevano sradicato via la sua esistenza fino a quel momento ordinaria.

“Myrto, no!!!”

L’urlo di Sonia la fece riscuotere, mentre, sbirciando dalle spalle di Shion, vide il movimento compulsivo dell’amica che, riconoscendo la giovane donna a terra, si stava precipitando su di lei, buttandosi ai suoi piedi nel tentativo di scrollarla per ridestarla.

“Cosa le è… accaduto?” chiese, boccheggiando di nuovo.

“Si è ferita per voi, per proteggervi, e ha perso coscienza!” le spiegò risoluto il Grande Sacerdote, non smuovendosi dalla sua posizione, mentre Marta, strascicando i piedi, si allontanava da lui per avvicinarsi al corpo di Myrto.

La giovane donna era chiaramente ferita, aveva perso sangue dalla testa e, a giudicare dalla posizione insolita del braccio, probabilmente si era lussata la spalla. Marta si inginocchiò in silenzio al suo fianco, osservandola in un palpito. Non aveva la stessa confidenza di Sonia, la quale l’aveva abbracciata e si era messa a strofinarsi sul suo volto, chiamandola più volte nella speranza potesse riaprire gli occhi, ma ebbe comunque l’istinto, poi assecondato, di carezzarle il dorso della mano sana.

Shion le aveva già prestato le prime cure. Le aveva tolto la felpa con la quale aveva fatto un bendaggio di fortuna, e fermato così l’uscita di sangue dalla testa e dal naso. E ora stava lì, supina, una smorfia di dolore sul viso, il respiro appena accennato, come se l’avesse ricondotta a forza ad uno stato di profonda incoscienza, la maglietta corta e aderente -Marta aveva capito, in quei giorni di punizione, che a Myrto piaceva un sacco quel modo di vestirsi!- che mostrava il bell’addome completamente piatto e ancora abbronzato.

Strinse i denti, rimanendo in silenzio, riuscì solo a dare qualche pacca sulle spalle dell’amica, la quale, con gli occhi gonfi, annuiva, capendo il suo tentativo di riscuoterla.

“Marta… - Shion riprese il discorso di prima, avvicinandosi alle ragazze – Conosco molto bene il legame tra te e Camus, molto da vicino, lo sai, te l’ho... mostrato!”

“S-sì…”

“Ma come ti ho detto prima di metterti in punizione, devi capire che tutto questo va al di là di voi due, è qualcosa che va oltre e… ci sono delle priorità!”

“Che cosa volete che facciamo? Quali sono le direttive?” chiese Marta, recuperando due tacche di tono e il controllo, fissandolo a sua volta nella maniera più imperturbabile possibile.

“Nulla per stavolta, non è la vostra battaglia!”

“Ma Camus e Michela…!” anche Sonia, inaspettatamente era saltata su, desiderosa di intervenire. Non voleva che a qualcun altro potesse capitare la stessa sorte di Myrto. Non voleva nella maniera più assoluta!

“Se la caveranno da soli, o… - l’ex Ariete alleggerì l’espressione, sorridendo tiepidamente – Con l’aiuto di un certo biondino che non li abbandonerà per nulla al mondo!”

“Hyoga è corso da loro?!” chiese Marta, sorpresa, accorgendosi nitidamente che, effettivamente, anche il cosmo del Cigno risultava evanescente, laddove fino a poco prima ancora pulsava distante ma percettibile.

“Così sembrerebbe… non avete di che temere: è un Cavaliere Leggendario!”

Entrambe si ritrovarono ad annuire, il peso sul cuore un poco meno lapidale rispetto a prima.

“Ma voi cosa farete, Grande Sacerdote?! - si interessò Marta, ormai pienamente in sé, esercitando finalmente la calma che suo fratello cercava di insegnarle da mesi – E… e noi cosa potremmo…?!”

“Io difenderò il Santuario, è mio preciso dovere. Fermerò l’attacco insieme agli altri, non avete di che temere!”

“E… e noi?”

“A voi, Sonia, affido le cure di Myrto. Ho ridotto al minimo i danni, ma bisogna bendarla e metterla al letto, pensate di… riuscirci?”

“CERTO!”

“Perfetto, giovani e intrepide guerriere, così vi voglio! - sorrise, più rilassato – Vi ho già teletrasportato io all’isola di Milos subito dopo il terremoto, pensate di essere in grado, in due, di portarla a casa?”

“Certo!” risposero leste, ancora, dimostrando di aver capito.

“Perfetto. Vi affido Myrto!”

“Ed io, Shion...”

Marta era tornata a parlargli in tono confidente, anche se si era fermata, pensierosa, non sapendo se continuare o no.

“Sì?”

“La protezione… di tutti gli altri! - disse, decisa, guardandolo negli occhi con determinazione – Promettetemelo Nobile Shion, vi prego, non...”

Non le rimaneva altro che il confidare, cosa che gli costava fatica e timore, ma… aveva ragione: non era la loro battaglia, dovevano prendersi cura di Myrto, che non aveva esitato a sacrificare il proprio corpo per proteggerle.

“Non morirà… più… nessuno, vero?” chiese ancora conferma, fremendo un poco, gli occhi lucidi.

Il Grande Sacerdote Shion annuì, poi, chinandosi verso di lei con fare paterno, com’era già abituato a fare, le prese l’indice nel suo, mantenendo così lo stesso tono informale in un giuramento che però sarebbe stato solenne.

“Non morirà più nessuno, e questa è una promessa, Marta e Sonia!”

“Mi fido… della vostra forza, ordunque!”

 

 

* * *

 

 

Il gruppetto di Aphrodite, Francesca e Stefano era infine arrivato alle pendici della montagna su cui era costruito il Santuario di Atene, ne stava pressapoco varcando la soglia, mentre il terreno veniva costantemente scosso fin nei suoi recessi da una energia del tutto innaturale e tremenda.

La giovane dea, nella corsa, buttò un’altra occhiata preoccupata al cielo sopra di loro, intensamente rosso, dal quale, poco prima, nel vortice che si era abbattuto spietato, sconquassando ancora di più i loro animi, era emersa una figura possente che, con una sorta di alabarda in mano, non aveva esitato ad abbattersi sui sottostanti templi delle Dodici Case. Era stato impossibile per lei codificarla, ma ne avvertiva l’immane potenza, persino superiore -aveva realizzato, con un brivido- a quella di suo nonno Zeus. Ingoiò ancora una volta a vuoto. Di certo i Cavalieri d’Oro rimasti nelle proprie Case erano già intenti a ingaggiare battaglia, ne avvertiva i cosmi lucenti. Dovevano sbrigarsi anche loro, il tempo stringeva sempre di più e i loro cuori erano in tumulto, vittime di una spiacevole sensazione che non faceva che acuirsi maggiormente secondo per secondo.

“Aspettate!”

Fu Aphrodite a fermare i movimenti di Francesca e Stefano con un richiamo. I due ragazzi lo videro deviare prepotentemente traiettoria di moto, mentre, allibiti, lo seguirono con lo sguardo, notando che si dirigeva verso due colonne doriche sotto le quali poi si accucciò. Qualcosa doveva aver attirato la sua attenzione, ma… cosa? Lentamente si avvicinarono a lui, tesi, riuscendo finalmente a scorgere ciò che anche il Cavaliere dei Pesci stava fissando. Si ritrovarono a sussultare.

“Chi… chi sono o… erano?” chiese Stefano, circospetto, mantenendo una certa distanza di sicurezza, prima di avvertire qualcosa di strano entrare nelle sue narici. Strabuzzò gli occhi, un poco confuso, ma non disse nient’altro.

Francesca fu molto più prolissa nel porre i suoi dubbi.

“Erano… guardie? Eppure io… io non me le ricordo affatto! Avevamo custodi così vecchi qui al Santuario?! Non dovrebbero ritirarsi, dopo una certa età, o essere comunque adibiti a qualche altro incarico meno gravoso?” tentò, continuando a fissare i due corpi davanti a loro, dalla pelle grigiastra e gli innumerevoli solchi, tipo rughe, del tutto normali, in teoria, sebbene quei segni dell’invecchiamento sembrassero fin troppo… marcati!

Aphrodite non rispose subito, si limitò a studiarli, da distanza, serio in volto, prima di comprendere pienamente che non c’era più nulla da fare per loro e chiudergli quindi le orbite vuote, cerulee. Il mistero si infittiva.

“Ciò che tu sostieni, Francesca, è vero: effettivamente non abbiamo Guardie anziane qui al Tempio, questo perché il ruolo implica prontezza e forza fisica...”

“E… e quindi chi sono, questi? Quali incarichi ricoprivano?”

“...l’abbigliamento, tuttavia, non lascia scanso ad equivoci, – continuò imperterrito Afrodite, rimettendosi in piedi nel continuare a guardarli – erano davvero Guardie!”

“Ma… ma se non le riconosci e hai appena detto che...”

“Molto strano, davvero… oserei dire funesto”

Francesca sbuffò, infastidita. Aphrodite aveva il vezzo di non degnare della benché minima attenzione coloro che per lui, in una particolare situazione specifica, non si dimostravano adeguati alla comprensione, e lei, che invece tentava di capire e di farsi capire non veniva considerata sufficientemente adatta. Davvero irritante!

“Che… che facciamo ordunque?” chiese, cercando di non dare l’idea di essersi risentita, incrociando comunque le braccia al petto.

“Per loro nulla… è troppo tardi! Sono stati stroncati da un infarto, probabilmente si sono spaventati da qualcosa e il loro cuore non ha retto”

“CO-COSA?!”

“Ma non possiamo soffermarci ulteriormente – finalmente gli occhi di Aphrodite si mossero nel guardarla, ammiccando appena – Per il momento lasciamoli qui, dopo la battaglia gli daremo degna sepoltura”

“V-Va bene, ma...”

“In assenza di Deathy, sei sotto la mia protezione, ragazzina, stai dietro di me e affina i tuoi sensi, ce ne sarà bisogno. Il nemico è molto potente!” proseguì poi, sorridendo.

“M-ma veramente io mi...”

...Mi difendo da sola! E non sono una ragazzina, ho più esperienza di te, Pisces!

Avrebbe voluto fargli presente, ma l’intervento successivo di Stefano, che sembrava parecchio sconvolto e sbalestrato, catalizzò l’attenzione altrove.

“Voi non… non avvertire niente nell’aria?” chiese, titubante.

“Cosa intendi, ragazzo?”

“E’ come… come… una fragranza rassomigliante alla lavanda! Non la percepite?”

Sia Francesca che Aphrodite si guardarono l’un l’altra, non percependo nulla di simile, sebbene il Cavaliere dei Pesci fosse avvezzo a trattare i fiori, e quindi quel particolare organo sensoriale fosse in lui molto sviluppato.

Ma… nulla, nell’aria si respirava solo la polvere, il bruciato, non certo quello che andava dicendo Stefano.

“Puoi definirlo meglio? E’ molto importante!” volle indagare Aphrodite studiandolo, ma Stefano sembrava ancora più confuso, brancolava nei dintorni, come a cercare la fonte di quel particolare odore che sembrava percepire solo lui.

“Ora è… sparito!” ammise, mortificato, grattandosi la testa e abbassando lo sguardo. Stava facendo la figura del tonto stralunato, più di quanto fosse in realtà, non si sentiva a suo agio a manifestare le sue percezioni, eppure quella nota odorosa c’era stata di sicuro, come portata dal vento, poi sparita.

Cercando di affinare le sue memorie ancora scompigliate, si rammentò forse che non era la prima volta che aveva percepito quella fragranza nell’aria, la stessa si era manifestata improvvisamente durante l’alluvione della Valbrevenna, poco prima… poco prima che, sì, lui finisse travolto da quell’incredibile frana. Sgranò gli occhi, rivivendo quel trauma, seguito dal buio, dalla sofferenza che aveva patito. Sentì la pelle accapponarsi, istintivamente si strinse le spalle con le mani.

“Coraggio, fa lo stesso! - un amichevole scappellotto lo colpì dietro alla nuca, riportandolo alla calma, era Francesca, che pur più bassa di lui, faceva in ogni modo e maniera di tranquillizzarlo – Probabilmente non è nulla di importante, ci sono vari odori nell’aria, e tu hai sempre avuto un naso sopraffino, dico bene?” lo ravvivò, ricordandosi di come lui, fin da piccolo, avesse questa straordinaria attitudine che gli consentiva di riconoscere odori che invece agli altri sfuggivano.

“Uh, s-sì!”

“Dobbiamo andare avanti – si aggiunse Aprhodite, con un breve cenno del capo – Te la senti sempre di continuare?”

“Sì!”

Si guardarono intensamente per una serie di secondi, qualcosa passò tra loro. Francesca non riuscì a fare a meno di chiedersi come fosse stata, per Stevin, la convivenza con il custode della dodicesima casa. Sembravano quanto meno fidarsi uno dell’altro, ma Aphrodite era così criptico e indecifrabile, più di Saga, per certi aspetti, la giovane dea non poteva che condividere la stessa preoccupazione che aveva albergato in Marta a sapere che il migliore amico dell’infanzia fosse stato affidato proprio a lui.

“Permettimi ancora di rammentarti che il compito di noi Cavalieri d’Oro è quello di salvaguardare ogni forma di vita e ogni bellezza su questa Terra, non solo la protezione di Atena, ma anche… di soggetti come te!”

“L-lo so, Hyoga me lo ha riferito!” annuì lui, un poco a disagio.

“So che quello che ti hanno fatto ti rende sospettoso nei confronti del Santuario, ma, credimi, se avrai bisogno di aiuto noi ci saremo, se non te la dovessi sentire...”

“Me la sento!” tagliò corto lui, assumendo un’espressione determinata.

Aphrodite annuì, facendo un cenno di assenso e gettando un’occhiata anche a Francesca. Era lampante che volesse procedere con i piedi di piombo per non rendere il ragazzo ancora più teso di quanto già non fosse, ma una così raffinata sensibilità nei confronti di colui che, in fondo, non era altro che un estraneo, pur essendo stato posto sotto la sua protezione, meravigliò non poco la ragazza.

Bandendo ogni incertezza, si diressero quindi nuovamente verso il Santuario, senza più voltarsi indietro, lasciando momentaneamente i due cadaveri così come li avevano trovati. Se non lo avessero fatto, se fossero rimasti ancora una serie di secondi lì, avrebbero potuto assistere alla loro completa, e velocizzata, scomposizione degli atomi che li componevano. Rimasero solo due macchiette di materia organica, mentre un’ombra furtiva li osservò allontanarsi, ridacchiando sommessamente tra sé e sé.

“Il tuo ragazzo, Nero Priest, ha una percezione olfattiva invidiabile, non c’è che dire… Vediamo di complicare un po’ le cose!” disse una voce femminile, prima di rendersi nuovamente invisibile e seguire silenziosamente i tre, che, secondo le direttive di Ermete, l’avrebbero condotta dove il raggio di azione dei suoi poteri sarebbe stato più intenso.

Stefano era ancora preda dei suoi pensieri su cosa gli ricordasse quell’odore così intenso che, più di una volta, era subentrato prepotentemente nella sua vita. Provava ritmicamente a dargli una forma, senza tuttavia riuscirci, lo inseguiva mentalmente, ma esso svaniva. Cominciava a provare un forte mal di testa nel tentare di ricondurre a sé quella fragranza, quando improvvisamente udì alcune urla strozzate e uno scricchiolare sinistro. Ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo, che vide con orrore un tetto a spiovente franare miseramente, rischiando di finire addosso ad un gruppo di ragazzi che, a giudicare dagli abiti che indossavano e dall’aspetto, dovevano essere poco più giovani di lui e apprendisti combattenti.

Fece per urlare, avvertì il mormorio di Francesca, spaventata dalla stessa scena, ma erano ancora troppo distanti, non sarebbe mai riusciti ad arrivare in tempo. Tremò, nell’immedesimarsi in quei poveri sventurati, rammentandosi del sé stesso di pochi anni prima che, in una situazione del tutto simile, si vedeva franare i detriti addosso. Presagio di morte, paura, disperazione nel sapere che nessuno sarebbe intervenuto. Si immobilizzò per istinto, raggelandosi.

Fortunatamente però, ancora prima dell’azione di Aphrodite, che aveva estratto una rosa, distinse un fascio rosso scarlatto colpire con precisione proprio i ciottoli cadenti, riducendoli immediatamente in polvere. Vide una figura ammantata d’oro balzare in avanti, prendere i tre ragazzi di peso, perché stava crollando anche l’altra al del tetto, e portarli via prima che il peggio potesse accadere.

“Non potete stare qui! - gli urlò, un poco brusco – Siamo sotto attacco, gli apprendisti si devono riunire verso i dormitori delle Sacerdotesse, avete udito gli ordini di Shaka di Virgo, no?!”

“Sommo Milo!!!” lo chiamarono gli altri tre, totalmente in lacrime, terrorizzati, quasi aggrappandosi a lui, rivestito della sua fulgente corazza.

“Qui ci penseremo noi Cavalieri d’Oro, non avete di che temere! - sottolineò sbrigativo, annuendo con la testa, come a volerli tranquillizzare – Voi andate dove vi è stato detto, svelti, state distante dai muri e dagli oggetti pericolanti. Quando sarà cessata l’allerta, Marin e Shaina vi avvertiranno!” diede istruzioni, alzandosi in piedi per dargli le spalle e distruggere completamente l’abitazione in modo che non potesse essere più un pericolo.

I ragazzi annuirono, ancora con le lacrime agli occhi e le gambe tremanti, mentre il più preparato tra loro si metteva alla testa del gruppo e li conduceva via.

Milo, il Cavaliere di Scorpio, li aveva salvati tutti e tre con un abile colpo di mano, non ci fosse stato lui, quei poveri giovani…

Stefano, ancora intento a correre dietro a Francesca e Aphrodite, lo osservò ammirato, mentre lo sentiva imprecare tra sé e sé e osservare, con ansia crescente, il vortice rosso sopra le loro teste. Aveva gli occhi puntati in una direzione precisa, come se sapesse che qualcuno si fosse recato proprio là, nel cuore del ciclone.

Li aveva salvati con una semplicità disarmante… si ripeté ancora, aprendo la bocca sbalordito. Erano davvero uomini straordinari quei poco più che ragazzi ammantati d’oro che non erano molto più vecchi di lui, degli eroi senza tempo, gli stessi che aveva pregato lo venissero a salvare durante la prigionia; gli stessi che avrebbe desiderato lo proteggessero quando tutto il mondo, in quel non tanto lontano 2009, gli era rovinato addosso. Avvertì gli occhi farsi lucidi e si sentì nuovamente, perdutamente, concretamente solo…

“MILOOO!!!” l’esclamazione di sollievo di Francesca, lo riscosse. La sua amica aveva accelerato il ritmo nel vedere davanti a sé il Cavaliere di Scorpio, il quale ebbe giusto il tempo per voltarsi nella sua direzione, che venne avvolto dalle braccia della ragazza, che si era proiettata verso di lui, quasi lanciandosi per abbracciarlo.

“F-Fra!” la riconobbe lui, sorpreso nell’assistere ad una manifestazione così inusuale da parte sua, che non era di certo solita abbandonarsi a questo genere di gesti.

La sentì tremare consistentemente, le sue braccia sopra gli spallacci, praticamente aggrappata al suo busto, mentre la fronte si era appoggiata istintivamente sul medaglione della sua armatura. Era, in effetti, la più minuta delle allieve di Camus, sebbene nascondesse un potere eccezionale, persino superiore ai loro, che erano stati addestrati per scendere in guerra.

Il contatto con lei, il vederla viva e in buona salute, lo rilassò un poco -fino a prima era un fascio di nervi per via dell’attacco meschino e improvviso- si permise di circondarla a sua volta con le braccia, sorreggendola, mentre lei si lasciava andare in un mormorio strozzato appena accennato. Un pianto? Una manifestazione di sollievo? Non sapeva…

“Stai tranquilla, andrà tutto bene, non siamo forse i più forti delle schiere di Atena?! Sistemeremo tutto!” le disse, cercando di celare anche il suo di tremore, che probabilmente era causato dalle stesse ragioni.

“Milo, il Maestro Camus...”

“L-lo so… - si morse il labbro, poggiando appena il mento tra i suoi capelli, prima di manifestare un unico, profondo, sospiro – Non si avverte più il suo cosmo… e neanche quello di Michela, per non parlare di Hyoga che...”

...Che probabilmente si è precipitato per soccorrere entrambi, racchiusi in uno spazio di singolarità che li tiene distanti da noi e non più percettibili. Prudenza, Hyoga… sei allievo di Camus, hai preso tutto, ma proprio tutto, da lui, anche e soprattutto la capacità di far tribolare me. Per lui, per il tuo maestro, e per Michela, caricheresti chiunque a spron battuto ma… stai attento, mi raccomando, questi nemici… possiedono poteri che sfiorano l’invincibilità!

Pensò, rimproverando mentalmente la sua incapacità di percepirli, figurarsi di raggiungerli, cosa che avrebbe voluto fare con tutte le sue forze.

Anche Francesca annuì, mentre sopraggiunsero sia Aphrodite che Stefano, pur rimanendo un poco distante da loro: “Sonia e Marta sono invece al sicuro, lontane da qui, a Milos!” riferì il Cavaliere dei Pesci, pratico.

“Almeno loro...” sussurrò ancora lo Scorpione, fremendo più consistentemente di prima.

E anche Myrto dovrebbe essere in loro compagnia, al sicuro, ma fino a poco fa ho avvertito una spiacevolissima sensazione, che si è unita a quella che già avevo su Camus. Maledizione, cosa sarà successo?! Per favore, ancora una volta vi raccomando la prudenza, ovunque voi siate. Finito qui al Santuario, troveremo un modo per ritrovarvi, ve lo prometto!

“I nemici… si sa qualcosa di loro? Chi ci ha attaccato?” chiese ancora Aphrodite, riportando il discorso sul nocciolo della questione, studiando l’espressione del compagno, il quale, dopo una leggera carezza sulla testa di Francesca, e un sorriso dei suoi, di quelli larghi e profondi, si ricompose, tornando a concentrarsi sul cielo rosso incandescente.

“Non si sono di certo presentati, non devono conoscere le buone maniere! - ironizzò lo Scorpione, affilando lo sguardo azzurrino – Tuttavia, dal modus operandi, almeno uno l’ho riconosciuto!”

“E sarebbe?” lo incalzò Francesca, fattasi seria e nuovamente risoluta dopo la momentanea debolezza che l’aveva colta

“Ermete… quello che ci ha attaccati nella missione a Delphi”

“Ermete il Trismegistro?!” ripeté Francesca, profondamente scossa, mentre anche Stefano impallidiva subitaneamente.

“Colui… che ha spezzato in due l’elmo di Camus con un unico affondo?” volle indagare Aphrodite, cominciando a capire.

“Sì… e ora sappiamo come fa! - annuì Milo, chiudendo momentaneamente gli occhi, per poi riaprirli in un guizzo di vita – Possiede con sé un’alabarda capace di aprire una fenditura in ogni cosa creata, sia essa la solida terra, un’armatura d’oro o… l’aere!”

“Vuoi dire che può spaccare qualsiasi cosa?!” ripeté incredula Francesca.

“Temo di sì e sospetto che la sua tecnica non si limiti a questo, ma non so dirvi altro al momento… - sospirò Milo, cercando di mantenere il sangue freddo – Il terremoto è stato causato da lui, siamo stati attaccati improvvisamente da questo… essere… che ha aperto una fenditura nel cielo, esattamente là, dove parte quel vortice rosso. Non… non abbiamo avuto quasi il tempo di organizzarci, ha semplicemente cominciato a distruggere ogni cosa che gli capitasse a tiro” spiegò, cercando di mascherare la sua frustrazione per non essere riuscito ad osare di più.

Cadde il silenzio per diversi secondi, rotto solo dalle esplosioni che tonavano in lontananza. Stefano, che conosceva Ermete molto da vicino, si rese conto che il Pilastro stava utilizzando l’Hummarumma, l’alabarda che sapeva padroneggiare come se fosse una sua stessa estremità corporea, ed era… molto più insidiosa di quanto potessero immaginare i Cavalieri d’Oro. Fece quindi per avvertirli ma, ancora prima di incominciare, si bloccò, non sapendo come comunicarglielo e, ancora di più, non sapendo come loro avrebbero reagito. Le cose, nel suo cervello sconquassato, gli sopraggiungevano diluite goccia per goccia, impedendogli di attingere alla completa verità. Perché succedeva una cosa simile?! Come avrebbe potuto avvertirli del pericolo senza far ricadere i sospetti di complicità anche su sé stesso?! Era vero, l’ispezione non aveva sortito alcun effetto, ma era semplicemente perché molto del suo vissuto era sigillato, quindi impossibile accedervi e… un secondo, da quando era consapevole di quel fatto?! Si morse istintivamente il labbro inferiore, cercando di trattenere uno spasmo.

“Ci sono stati dei morti?” la voce neutra di Aphrodite nell’esprimere quella domanda, lo sconvolse non poco.

“Sì… tra le aliquote più basse del nostro esercito, soprattutto soldati semplici, guardie e anche qualche Cavaliere di Bronzo… - spiegò Milo, stringendosi le mani a pugno nel tentativo di dar sfogo alla sua frustrazione – Noi avremmo dovuto proteggerli, Aphrodite, non è forse il nostro compito?!”

“Lo è, sì… ma se l’attacco è stato così improvviso non c’era, ahinoi, nulla che potessimo fare di più. – annuì, prima di raddrizzarsi e guardarsi intorno – Dov’è il nemico ora? Dobbiamo reagire!”

“Saga e Shaka, unendo le forze, hanno ingaggiato battaglia con lui, cercando di allontanarlo dal Santuario. Devono esserci riusciti, le scosse sono diminuite e avverto la sua ingerenza sempre più lontana. Sai bene che Virgo da le direttive in assenza del Sommo Shion, e ha affidato a noi altri il compito cercare i sopravvissuti, recuperare i feriti, e condurli in un luogo riparato. Aiolia, Aiolos e Shura si sono recati verso la Statua di Atena, avvertivano qualcosa di strano provenire da là, come una… interferenza! Mu, Aldy ed io ci siamo recati invece verso l’arena di combattimento” li delucidò in fretta, dando loro le spalle per prepararsi a raggiungere i suoi due compagni.

“Ora ci siamo anche noi, possiamo dare una mano!” esclamò Francesca, desiderosa di agire.

Milo annuì con fierezza, concedendole un altro, breve sorriso: le allieve di Camus erano tutte straordinariamente temerarie e coraggiose, impossibile non esserne orgogliosi.

Capisco pienamente il tuo orgoglio per lor, amico mio, e infatti devi esserne fiero!

“Verso l’arena, quindi, compagni!” li esortò, prima di fare da apripista seguito dagli altri. Il tempo stringeva sempre più, non era ammessi tentennamenti.

Quando la raggiunsero, la trovarono pesantemente danneggiata. I palchi sui quali si accalcavano sempre i guerrieri per assistere ai combattimenti, erano ricolmi di fenditure e solchi; le parti un po’ più integre erano comunque crepate, i ciottoli rischiavano di cadere per terra. Qua e là il terreno era disseminato di morti, per lo più soldati semplici ma anche novizi Cavalieri di Bronzo che, con ogni probabilità, avevano ottenuto da poco l’armatura. Francesca si guardò sconsolata intorno, rabbrividendo. Molti di loro li aveva visti all’inaugurazione delle nuove reclute di settembre, occhi pieni di speranza verso un futuro ancora misterioso, che tuttavia si era rivelato fatale per loro.

Carne da macello e nient’altro… deglutì a vuoto, inspirando profondamente mentre, con ogni mezzo in suo possesso, cercava di non soffermarsi troppo sulle loro iridi spalancate al vuoto.

I muscoli di Milo si percepivano tesi e guizzanti sotto l’armatura, non c’era angolo del suo essere che non facesse trasparire l’immensa inquietudine, mista alla rabbia più accesa, che provava, dalla preoccupazione per il suo migliore amico alla ricerca di una soluzione per vendicare tutto quello scempio. Si guardò nervosamente intorno, non trovando forse chi si aspettava di trovare. Poi un richiamo dall’altra parte del campo.

“Ehiiiiiii!!! - era il gentile Aldebaran che, sorreggendo una parvenza umana, affiancato dal pacato Mu, si stava dirigendo verso di loro – Questo ragazzo è ancora vivo!!!”

Francesca capì che si riferiva alla persona sanguinolenta che stava portando in braccio, con indosso soli pochi pezzi dell’armatura a coprirgli il corpo disastrato. Sembrava incredibile a vedersi, ma respirava debolmente, anche se, ad occhio e croce, doveva essere ormai agonizzante. Milo, con uno scatto, annullò le distanze tra sé e loro.

“Non per molto… - analizzò infatti amaramente, fremendo – Aldy, posalo per terra, vedrò di arrestare l’emorragia!” gli illustrò, indicando una zona più riparata dell’arena, dove lo adagiarono per prestargli le prime cure.

Mu rimase con il gruppetto composto da Francesca, Stefano (che aveva gli occhi quasi fuori dalle orbite da quanto ciò che vedeva lo destabilizzava) e Aphrodite. Li osservò brevemente uno ad uno, prima di concedergli un breve sorriso di incoraggiamento. Il suo volto solitamente elegante era sudato, sporco e affaticato; con clamore, videro che il pettorale della sua armatura era stato pesantemente danneggiato, perché una profonda apertura gli andava da spalla a spalla.

“Mu… - si morse il labbro Aphrodite, guardandogliela – Hai rimediato dei danni seri?” lo continuò a studiare, cercando di capire quale fosse l’entità della ferita, che non si riusciva a scorgere.

“Non c’è da preoccuparsi… il colpo non ha raggiunto alcun organo vitale, l’ho fermato prima con il mio Crystal Wall, ma l’armatura...”

“Chi ha potuto farti una cosa simile? - chiese Francesca, prima di realizzare nell’immediato – E’ stato forse... Ermete?!”

“Sì… - annuì l’Ariete, senza mostrare particolare emozione, strofinandosi con la mano sinistra il danno sulla corazza – La sua alabarda è… deve essere un’arma suo generis, costruita con materiali non presenti su questo pianeta. Sembra avere quasi una volontà propria, trancia qualsiasi cosa, persino...”

“...l’aere! Milo ci ha avvertito!”

“E’ proprio così, Francesca… - confermò lui, prima di farsi ulteriormente serio – Dobbiamo cercare quanto meno di scheggiarla e prenderne un frammento, solo così posso capire di cosa è fatta!”

“Ma… come facciamo? - chiese a sua volta Aphrodite, cercando di elaborare un piano – Questo Ermete combatte sospeso nell’aria, giusto? Non è inoltre possibile un corpo a corpo, perché lui userebbe la sua alabarda. Ci troviamo in svantaggio...”

“Shaka e Saga hanno già unito le forze e hanno ingaggiato battaglia con lui. A noi non resta che...”

“Aaaar… AAAAAAAAAAAHHHH!!!”

In quell’istante l’urlo di Stefano, rimasto impietrito fino a quel momento davanti ad un simile spettacolo, li fece sussultare tutti e tre. Era rimasto chiuso e muto fino a quel momento, Francesca, gettandogli un’occhiata ogni tanto, aveva percepito il suo tentativo di dare un senso a tutto quello scempio che vedeva, i morti per terra, la distruzione, ma si era costretta a ‘pensare in grande’, a cercare un piano di più largo respiro piuttosto che pensare a lui e ora, quel ragazzo dagli occhi gentili e il sorriso dolce, che aveva conosciuto grazie a Marta, non trovava altro sfogo che manifestare uno sconvolgimento interno che non riusciva più a celare.

Lo videro scattare verso la colonna più vicina, tenendosi lo stomaco, come se dovesse vomitare, piegare la schiena in avanti, tra due massi, ma trattenersi comunque con tutte le sue forze, il respiro a singhiozzo, spasmodico. Strinse disperatamente le palpebre, prima di sorreggersi ad una delle due rocce.

“Andate da lui per il momento... – consigliò quindi Mu, comprensivo, rivolgendosi a Francesca e Aphrodite – Non è che un ragazzo che viene già da un’esperienza traumatica, non si è nemmeno abituato al regime del Santuario e ora questo. Si spezzerà, se non avrà un aiuto concreto, e Marta è lontana…”

“Ma Mu, noi siamo qui per...”

“Aiutarci, lo so, Francesca! - le sorrise con garbo, scompigliandole un poco i capelli – Ma lui ha più bisogno di noi al momento, ce la caveremo!”

“Va bene, Mu! - annuì il Cavaliere dei Pesci, gettando un’occhiata ad Aldebaran e Milo, intenti a soccorrere il povero, sventurato, Cavaliere di Bronzo – Ti affido loro!”

“Contaci!” sorrise Mu, prima di dirigersi verso gli altri suoi amici.

Per un solo istante, a Francesca, parve di vedere Albafica e Shion, anche se quest’ultimo non possedeva l’anima di Mu e il Cavaliere dei Pesci fosse agli antipodi rispetto alla sua controparte settecentesca. Inavvertitamente sorrise, meravigliandosi ancora una volta delle potenzialità umane, riscoprendosi orgogliosa di essere rinata come tale.

Raggiunsero Stefano, il quale, trattenendo a stento il vomito con ampie boccate d’aria che costringeva a incanalare in gola, si continuava a tenere lo stomaco in tumulto.

“S-Ste… - tentò la giovane dea, accennando un movimento con la mano – E’… è normale che tu reagisca così, non sei…”

“E’… è quindi questo che fate… ciò che combattete… ogni giorno, fino alla fine dei vostri giorni!” disse lui, a fatica, cercando di darsi un tono.

Francesca aprì la bocca per rispondergli, ma Aphrodite la precedette: “E’ così!”

“E come… come fate?”

I suoi occhi azzurri baluginarono verso di loro. Ne stava penetrando la consapevolezza, la giovane dea se ne rese conto, perché quelle iridi che -alla lontana- ricordava di aver già visto in qualcuno recentemente, anche se non riusciva bene a catalogare dove, stavano mano a mano assumendo una luce del tutto nuova, ancora più determinata, anche se comunque spersa.

“Siamo Cavalieri… dobbiamo farlo!” rispose ancora Aphrodite, pronto.

“E chi ve lo impone?”

Francesca si sarebbe aspettata una risposta pronta: ‘Atena’, sarebbe stata del resto quella più plausibile, tuttavia Pisces sembrò esitare un attimo, come a soppesare bene le parole da pronunciare.

“La nostra… essenza più intima!”

Stefano parve capire quella frase ambigua, si riscosse, come se quella semplice dichiarazione avesse, di colpo, messo nel posto giusto tutti i tasselli concentrici che non trovavano la strada.

Che cosa intendeva realmente Aphrodite, comunque?! Francesca si ricordò che, durante la Battaglia delle Dodici Case, non si era comportato propriamente in maniera retta, come invece era stato il fu Albafica, ma qualcosa, dal loro ritorno nel presente, pareva essere cambiata. Possibile che… che i Cavalieri d’Oro avessero, in qualche modo, rammentato uno sprazzo di ciò che erano stati in un’altra epoca?! Non potevano esserci altre spiegazioni, eppure…

“Una voce interna?” chiese ancora Stefano, rigettando a forza l’ultimo desiderio di dare di stomaco.

“Possiamo chiamarla così, ragazzo...” anche Aphrodite si permise di sorridere a sua volta, in maniera gentile e concreta, come raramente lasciava trapelare.

“E’ questo quindi… ciò che chiamate cosmo?”

“Anche… ma è molto più complesso, ragazzo, è come...”

“...una risonanza che dilaga al nostro interno e che, se colta, raffinata, e potenziata può compiere miracoli… - annuì, comprensivo, posandosi una mano sul petto – La percepisco anche io è… è per lei che sono scappato dalla… dalla prigionia!”

A quel punto anche Francesca saltò su, desiderosa di capire cosa frullasse in testa al suo vecchio amico: “Cosa intendi, Stefano? Hai rammentato qualcosa?”

“Io...”

Sembrava esitare, a disagio, osservando l’angolo destro del masso che appariva… come offuscato da una patina viola… possibile?!

“Ste!!!”

Il ragazzo si ritrovò a prendere un sonoro risalto all’esclamazione un poco veemente e spazientita della sua amica. La guardò, tentennando, quasi indietreggiando, nella paura di non farsi capire e di apparire ancora più strano.

“I miei genitori… è per questo che io sono scappato! - si lasciò sfuggire, non sapendo però spiegarsi, ne aveva quasi paura – I-io sento le loro voci, dentro di me, l-le sento da… da poco, in verità, non so neanche io come. Però… so che sono vivi, da qualche parte, prima non lo sapevo, p-prima credevo altro!”

“Che diavolo stai blaterando, adesso?!T- ti rendi conto che… CHE!!!” Francesca lo aveva preso per le spalle, quasi scrollandolo, malgrado la differenza di altezza. Neanche lei sapeva spiegarsi, non sapeva più cosa dire.

Tu non ti rendi conto dell’impiccio in cui sei invischiato! Dici frasi strampalate da quando ti abbiamo recuperato in Valbrevenna, non sappiamo quasi più chi sei, il ricordo corrente che abbiamo di te è quello di due anni fa; di un te che non esiste più! Pensavamo di conoscerti, di sapere chi fossi e… per gli Inferi, tuo nonno, da quanto rivelatoci da Nero Priest non è neanche un tuo consanguineo, chi… da dove sei caduto? Cosa… cosa dirò ora a Marta, quando ritornerà?!

“Io non ho un cosmo mio! - la sicurezza con cui Stefano professò quelle poche parole folgorò sia la dea che il Cavaliere – Ciò che sento dentro di me, che è accumulabile alla vostra idea di cosmo, è la loro, grandiosa, essenza, quella dei miei genitori, come se me l’avessero… infusa… per non spezzare mai del tutto il legame con me!”

Francesca non sapeva neanche più come controbattere, aveva voglia di mettersi le mani tra i capelli e imprecare in dorico antico, ma la risposta del Cavaliere dei Pesci la spiazzò ulteriormente.

“Tu hai un cosmo, ragazzo! Lo abbiamo percepito tutti qui, senza possibilità di equivoco! - ribadì, in tono soffice – Sostieni quindi che, tale forza, ti è stata intrisa grazie all’amore dei tuoi genitori, che tuttavia non hai mai conosciuto?”

“Ecco, io… - Stefano esitò un attimo, pensieroso, prima di rialzare lo sguardo e imprimerlo in quello dei Cavalieri dei Pesci – Io sì, sento che è così! E’ per questo che… che dopo due anni di prigionia sono scappato, volevo… volevo cercarli!”

“E donde… donde pensavi di andare, con quale stratagemma li avresti individuati, secondo il tuo grandioso piano?!”

“Con… l’olfatto, Fra!”

Francesca inarcò platealmente un sopracciglio: era tremendamente serio mentre lo professava, INCONCEPIBILE!

“Con… il naso?!” ripeté perennemente scettica.

“Sì… - di nuovo Stefano sorrise tra sé e sé, sicuro di quanto andava dicendo – Riconosco le fragranze più profonde... attenzione, non il profumo esteriore, quello...”

“...Più essenziale, intessuto nell’anima, traboccante e avvolgente, quello che è proprio e diverso in ognuno di noi!”

“Sì, è proprio così!” si ravvivò Stefano, illuminandosi.

Francesca guardava prima Aphrodite e poi il suo vecchio amico, scrollando poi la testa e sospirando: quei due sembravano capirsi al volo in un linguaggio che comprendevano solo loro, era davvero incredibile!”

“E perché… la Valbrevenna, perché ti abbiamo trovato lì, che facevi?!” lo interrogò ancora Francesca, cercando di dare un senso a quel dialogo surreale.

“Perché credevo… di essermi finalmente allacciato alla fragranza di mia… madre!” Stefano si rabbuiò nel rivelare una simile cosa, vergognandosi un poco.

“Ma non l’hai trovata, a quanto diceva quella Nero Priest...” rifletté Aphrodite, pensieroso.

“No… - scrollò il capo il ragazzo, sospirando appena – l’ho seguita e perseguita, di corsa, trafelato, quando l’ho raggiunta, quando credevo di essere finalmente arrivato all’altro capo del profumo, vi ho trovato solo Marta, e lì, quando l’ho vista, non credevo neanche fossero passati anni, la detestavo, perché pensavo mi avesse abbandonato, ho quindi provato l’istinto di attaccarla”

“Aspetta...” Francesca sobbalzò.

“Lo so, Fra, non avrei dovuto… non le ho dato il tempo di spiegare, ma io… - si toccò il petto con una mano – Sento questo immenso odio, non so se me lo abbia immesso Nero Priest, o chi per lei, so solo che ho avuto l’impulso vitale di...”

“No, aspetta un secondo, non è quello che volevo approfondire… la fragranza di Marta?! Aveva lo stesso odore che credevi appartenere a tua madre?!?”

Ma Stefano non la stava più seguendo, aveva sobbalzato a sua volta, come fulminato da qualcosa, cominciando a guardarsi spaesato intorno, quasi boccheggiando.

“Di nuovo! - disse a denti stretti, irrigidendosi conseguentemente – Non sentite anche voi odore di lavanda?! E’ molto più forte, adesso!”

Francesca, che non aveva intenzione di mollare l’osso, perché doveva assolutamente arrivare alla verità, sbuffò tra sé e sé, prima di attirare la sua attenzione: “Tu e i tuoi odori, mi sa che stai facendo un po’ troppa confusione, non c’è alcuna fragranza di...”

“NO, aspetta, la percepisco anche io, ora!” esclamò il Cavaliere dei Pesci, in allerta.

Di nuovo, la giovane dea cercò di chiedere delucidazioni, ma non ebbe il tempo di palesare i suoi dubbi che anche lei venne investita da un effluvio forte, dolciastro, da svenire per terra e avere le convulsioni. Effettivamente, quello, aveva un retrogusto di lavanda…

Nessuno di loro ebbe il tempo di reagire, le vertigini li investirono prima, rischiando quasi di farli cadere per terra. A tutti si girò lo stomaco, mentre colpi di tosse sempre più forti sferzavano i dintorni. La loro visuale si oscurò per qualche breve secondo, ebbero la sensazione di precipitare nel vuoto, poi...

“Non inalate il gas!!! CRYSTAL WALL!!!” urlò una voce alta e imponente, che tuttavia alle loro orecchie giunse appena.

Fu buio, poi luce, poi di nuovo buio e ancora luce. Rinvennero simultaneamente.

Finalmente gli occhi ripresero a vedere, anche se la vista era offesa da una sottospecie di foschia viola che mandava quasi in tilt il cervello. Il Cavaliere, il ragazzo, e la giovane dea, si resero conto di essere caduti per terra, vittime di qualcosa di ineffabile, cercarono di riprendersi, di aguzzare la vista, che finalmente riuscì a stagliarsi su una figura ansante a poca distanza da loro, una mano protratta in avanti.

“Grande Sacerdote!!!” esclamarono Francesca e Aphrodite, sollevati nel vederselo lì, sul campo di battaglia, a loro fianco.

Shion tuttavia scrollò dolorosamente il capo, mordendosi il labbro inferiore, socchiudendo le palpebre con sconforto: “Non ho… fatto in tempo, maledizione!”

I tre non capirono subito a cosa alludesse, si guardarono brevemente, protetti ognuno da un Muro di Cristallo diverso. Sembravano stare bene, loro, eppure, la frase del Sommo non era stata proferita senza una valida motivazione dietro.

In quell’istante, mentre la nebbiolina si dissipava, alcuni vagiti si levarono nell’aria, seguiti da pianti irrefrenabili; pianti… di bambini!

Confusi, tentarono di dare un senso a ciò che giungeva alle loro orecchie. Da tempo non c’erano lattanti al Santuario, per quanto alcuni cadetti fossero giovani, l’età si aggirava comunque tra i 7 e gli 8 anni, e allora cosa diavolo…

“Fffanculo!”

Un’imprecazione si levò nell’aria, nello stesso momento una figura piegata dalla vecchiaia si distinse in mezzo ad un mondo fatto di lilla e viola. Capelli crespi, color grigio, sfibrati, che ricadevano a stento sulle spalle, una leggera calvizia sopra la testa… anche con quei connotati così stravolti, era impossibile non capire chi avesse imprecato in quella maniera.

“M-Milo?!?” l’esclamazione di Francesca le fuoriuscì con un suono gutturale, che sembrava provenire dai recessi della sua gola. No… non era possibile, eppure…

A quel richiamo, il vecchio si voltò, faticava a stare in piedi da solo, le rughe segnavano profondamente il volto un tempo gioviale e attraente, la pelle raggrinzita aveva delle macchie marroncine, probabilmente causate dagli effetti collaterali del sole. Solo gli occhi, pur molto più stanchi e distanti, conservavano una minima traccia di colui che era stato il glorioso portatore dell’armatura dello Scorpione, che ora stava ai suoi piedi, buttata lì, insieme ad altre due corazze che Francesca riconobbe subito come quelle di Aries e Tauros, ormai incapaci di vestire i rispettivi proprietari.

La nebbia si dissipò del tutto…

“O-oh mio… NO!”

“Q-questo non dovrebbe essere nemmeno possibile!” si lasciò sfuggire Aphrodite, vedendo lo sguardo della giovane dea, del tutto sconvolto, puntato verso il terreno.

Poco dietro i piedi di Milo, infatti, si potevano scorgere due lattanti intenti a frignare, e un altro vecchio, ferito a morte, sdraiato per terra, che sembrava non respirare nemmeno più. Nonostante i segni del tempo, erano perfettamente riconoscibili: Aldy, Mu e… il Cavaliere di Bronzo che avevano tentato invano di soccorrere, ormai morto.

Milo, dall’alto dei suoi probabili 88 e passa anni, quasi ringhiò iroso, anche se di denti quasi non ne aveva più. Lanciò una cuspide di avviso verso una colonna, la mancò clamorosamente ma l’intenzione era chiara: aveva forse capito chi era il fautore di quel colpo basso, sferrato senza minimamente aspettarselo.

“Viefi fuofi, GIUMENTA! - gridò la sua rabbia, sebbene l’unica parola chiara fosse l’ultima – Ofa te la vefrai con me! Paghevai pef quello che hai faffo!”

A chi si stava rivolgendo, tuttavia?! Chi mai..? Francesca ebbe un altro sussulto, ricordandosi delle parole di Nero Priest sul fatto che il vero nemico era colui che covava nell’ombra e che non era percettibile. Ingoiò a vuoto, maledicendo il suo averlo capito troppo tardi.

“VIEFI FUOFI!!!” urlò ancora il vecchio Scorpione, sempre più imbestialito.

“Milo, rimani nella cupola di cristallo, l’effetto delle tossine è ancora attivo!” lo avvisò Shion, preoccupato, prima di dirigere il suo sguardo in una direzione precisa.

“Ma!” tentò di opporsi il Cavaliere, prima di essere sovrastato dalla voce ben più possente del Grande Sacerdote.

“Vieni fuori, Clio, Colei che intesse la Storia! Ormai non hai più interesse a nasconderti, dico male?! MOSTRATI!”

“Clio...” la giovane dea rabbrividì a quel nome, riconoscendolo. Tuttavia era la stessa Clio, una delle sorelle di sua madre, e quindi sua zia?! Una delle Muse figlie di Zeus e Mnemosine?! No era impossibile! Di lei se ne erano perse le tracce da molti, moltissimi, anni, addirittura antecedentemente alla sua prima incarnazione!

“Uhmpf, Grande Sacerdote… sapevi quindi della mia presenza, sebbene io possa risultare invisibile a piacimento e apparire solo come odore? Encomiabile!” rispose una voce laringea, bassa, appena udibile dai presenti.

Poco dopo una figura evanescente uscì da dietro una colonna, in maniera non dissimile -realizzò il vecchio Milo- a come era apparsa Nero Priest, che tuttavia possedeva un suono molto più acuto. Anche di aspetto risultavano inspiegabilmente simili, il vestito fluttuante che indossava era della stessa tipologia, non fosse stato altro che verteva su colori bianchi e pallidi, la sua stessa carnagione lo era. Sorreggeva in mano un vecchio tomo antico, come era usuale rappresentarla graficamente nel mondo greco. La loro somiglianza così accanita, pur con caratteri così diametralmente opposti, frastornò Francesca.

Anche l’espressione di Shion si fece più affilata: “Di tutti i nomi che ci ha fatto Stevin, il tuo era il più facilmente riconducibile. Sei -eri- una delle Muse figlie di Zeus, la prima, se non vado errato, colei che proclama la Storia, colei che rende celebri… per cosa sei stata spinta a spregiare te stessa, unendoti ai folli piani di...”

“Poche ciance, ex Cavaliere d’Oro dell’Ariete, non sono una chiacchierona come Nero Priest! - lo fermò lei, sempre in tono appena udibile, giocherellando con uno dei suoi ciuffi chiari tendenti al bianco – Di quell’effige… mi è rimasto solo il nome, non sono più una stupida Musa ma… molto di più!”

“Sciocca… - sussurrò tra i denti Shion, teso – Tu meglio di chiunque altro dovresti sapere che la propria storia, il proprio passato, non si cancellano come da niente. TU FAI PARTE DEL NOSTRO MONDO, NON DEL LORO! Come può esserti venuto in mente di schierarti al fianco del Mago, che esige la distruzione di questa dimensione e quindi anche di te, dei tuoi affetti, del tuo...”

“Kkkk… basta così, Shion! Non sono qui per dare spiegazioni a te, a voi, ma per una missione che perseguirò fino al suo adempimento!”

Parlavano come se si conoscessero, in qualche modo, come se al Grande Sacerdote importasse di lei, ma come e quando era successo?!

“S-Sommo Shion! - prese la parola Francesca, frastornata da quell’ultimo scambio di dialoghi, guardando prima uno e poi l’altra – F-forse non è lei, chi dite, f-forse ne ha solo il nome, non è...”

“No, invece, è proprio lei, Francesca… è tua zia, non può non esserlo!”

“Ma non è poss… No, non ci posso credere! Mia madre la dava per scomparsa, per morta, da moltissimo tempo, addirittura da prima che mi incarnassi come umana!” tentò di opporsi lei, sempre più confusa dalle sue rivelazioni. Le sorelle di sua madre, infatti, si erano tutte smarrite nel corso del tempo, non si sapeva bene né come né perché, l’unica che ancora resisteva era Urania, per l’appunto, la più cara a Zeus.

Shion socchiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro, prima di riaprirli: “E’ come dici infatti: la Clio originale è morta, colei che ha davanti non è che il suo spettro, un simulacro, che qualcuno ha portato in vita stringendo un patto irreversibile!”

“Ma allora...”

“Basta così con le chiacchiere! - li fermò lei, brusca, diffondendo ancora di più nell’aria quel nauseabondo profumo dolciastro che portava le vertigini al solo respirare, sebbene tutti i presenti fossero correttamente riparati dal Muro di Cristallo di Shion – Lo scudo che hai posto a difesa dei tuoi adepti non durerà ancora a lungo, la mia fragranza lo frantumerà e, a quel punto, anche coloro che non ne hanno subito gli effetti periranno, involvendo o evolvendo fino a scomparire del tutto!” li minacciò, alzando il tono, che si udiva comunque rauco e un poco sommesso, come se facesse fatica ad usare le proprie corde vocali.

Francesca, Aphrodite e Shion furono costretti a rannicchiarsi per terra, sfiniti, sebbene la protezione intorno a loro resisteva. Si costrinsero a trattenere il respiro, ma quell’odore penetrava comunque e ovunque, mettendo a dura prova le loro difese interne.

“Giumenta, tu defi solo tacefe… Milo di Scoffio non si affende, paghefai pef il supplicio che hai infefto al Temfio di Afena: Scaflet Nee...” tentò di opporsi lo Scorpione, provando ad utilizzare ancora una volta la sua Cuspide Scarlatta, ma cadde rovinosamente a terra annaspando, tenendosi il petto con una mano: muoversi gli procurava fitte intercostali che non gli permettevano di agire.

“Milo, per Atena, rimani lì dentro e non muoverti! Se invecchi ulteriormente non ci sarà scampo per te, i poteri di costei in questa versione sono troppo potenti per noi; per ognuno di noi!” lo avvisò Shion, cercando di mantenere la calma, sebbene la situazione si stesse facendo sempre più disperata minuto per minuto; secondo per secondo.

Non avevano difese contro la Clio con quei poteri, non potevano opporsi, se non rimanendo in posizione difensiva, ma anche quella era una strada non percorribile per lungo tempo: mantenere così tanti Crystall Wall attivi lo sfiancava e l’odore, lentamente ma inesorabilmente, penetrava comunque dentro di loro, presto anche i loro corpi avrebbero ceduto, finendo per paralizzarsi e regredire o progredire a seconda della propria composizione sanguigna.

“Merda...” digrignò i denti, rendendosi conto che non aveva avvisato gli altri di quel fatto di basilare importanza che aveva scoperto lui stesso nelle sue ricerche, dopo che Stevin aveva fatto il suo nome.

Cosa fare quindi? Presto sarebbero stati quasi del tutto paralizzati e…

“E’ la fine per voi, umani… cedete ora e consegnate a me il vostro prezioso impulso vit...”

-Clio!

Si fermò immediatamente: la voce di Ermete l’aveva raggiunta, gloriosa e possente come sempre, così assolutamente vitale, vigorosa, virile. Le ci volle non poco per controllare le proprie emozioni.

-Può bastare così per oggi, ne hai assorbita abbastanza, il Sommo Fei Oz non vuole che li uccidiamo tutti adesso. Hai prelevato sufficiente Ergon per i nostri prossimi scopi. Ritirati!

- Sì, mio signore!

- Non c’è da scherzare su questo, né da calcare la mano: un surplus energetico immesso senza calcolarlo adeguatamente crea l’effetto opposto, ed Ipsias è in bilico, come sai, un intervento non opportunamente bilanciato rischierebbe di farne esplodere il nucleo…

- Sì, avete ragione, vi chiedo umilmente scusa, stavo calcando troppo la mano…

- Va bene così. Ora dirigiti verso la statua di Atena, dal passaggio interdimensionale che abbiamo già utilizzato per giungere qui. Io finisco di sistemare Gemini e Virgo. Ti raggiungerò presto!

E chiuse la comunicazione, lasciando lei quasi ansante, la bocca semi-aperta, che comunque riuscì a mascherare in fretta. Sogghignò, prima di rivolgersi ai presenti davanti a lei.

“Quale peccato… ho direttive maggiori che mi impongono di chiuderla qui, siete fortunati, umani!” disse, alzando una mano con l’intento di annullare la fragranza che si era diffusa nell’aria, ma prima che lo potesse fare, una voce si elevò fra tutte.

“No, aspetta! - esclamò Stefano, frastornato, prima di reagire, toccando con la mano il Muro di Cristallo che lo circondava e riducendolo incredibilmente in pezzi con una semplicità estrema – Cosa significano queste parole di Ermete? Cosa siete venuti a fare qui?! Avete parlate di Ergon, di impulso vitale, che significa?!” la interrogò, correndo in avanti per poi posizionarsi davanti a lei, fronteggiandola senza paura, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Tutti i presenti si raggelarono, un silenzio colossale piombò, rendendo sinistro il vento intorno a loro che, incalzante, sembrava ululare a sua volta il suo scalpore. Tutti gli occhi erano concentrati su di lui.

Stefano aveva infranto il Crystall Wall di Shion; non solo, aveva respirato quell’odore di lavanda, ancora presente, non subendone le conseguenze e, in ultimo, sembrava aver udito qualcosa di inaccessibile agli altri.

Francesca lo fissò sbigottita, sempre più sconvolta: no, c’era qualcosa che non andava in tutto quello, e il non saper quantificare che cosa la sconvolgeva ancora di più. Stefano ormai non era davvero nulla di ciò che era stato, oppure… forse era stato sempre così, ma non se ne erano mai resi conto, persino lei, una divinità?! Come era possibile?!?

“Siete entrati in possesso, con la forza, di energie che non vi appartengono e che non vi potranno mai appartenere?! Quali… quali sono le vostre intenzioni?!” chiese ancora il ragazzo, fremendo visibilmente.

“Uhmpf, hai udito le parole del Sommo Ermete nella mia testa?! Non dovrei meravigliarmi, in effetti… - rispose Clio, riducendo lo sguardo a due fessure – Come non mi dovrei meravigliare del tuo non essere scalfito dai miei poteri, del resto siamo simili!”

“Che cosa… che cosa è questa Ipsias per la quale state prelevando Ergon?!” gli pose un’altra domandava, entrando di fatto in uno stato di frenesia che non gli era proprio.

“Nulla… che valga la pena spiegarti! Il mio compito qui è finito, vi saluto!” disse lei in fretta,, sparendo quasi come era apparsa, ovvero volatilizzandosi nel nulla.

“No, aspetta!” tentò di opporsi Stefano, prima di essere costretto a fermarsi perché gli era stata lanciata una rosa in mezzo ai piedi per bloccarlo.

“No, ragazzo, sei tu che ti devi fermare!”

“Aphrodite!!!” lo chiamò Francesca, nella paura che lo volesse uccidere, dato lo sguardo ferino che aveva impresso su di lui.

“Fammi… andare, devo sapere!” tentò Stefano, teso.

“Così andrai incontro alla morte, da solo, resta al nostro fianco!” ribatté Pisces, prima di osservare Shion, che nel frattempo aveva reso inattive tutte le sue barriere. Si scambiarono occhiate indicative tra loro, poi, senza proferire alcunché, rimasero a lungo ad osservare Stevin, criptici, come se lo volessero sondare ancora una volta.

Il ragazzo abbassò lo sguardo, trovando interessanti i suoi piedi, il fremito continuava a sconquassarne il corpo, così come la voglia di sapere, che si faceva sempre più impellente.

“Clio se ne è andata… - prese parola Aphrodite, pensieroso, gettando uno sguardo a Milo ancora invecchiato, Mu e Aldy, ancora infanti – Ma i suoi effetti permangono...”

“Non se ne andranno. Da quanto ho capito, ha prelevato la loro vigoria, che vuole sfruttare per devolvere a Ipsias, il mondo gemello della Terra - rimuginò il Grande Sacerdote, sospirano – Se non ce la riprendiamo, i nostri amici...” lasciò la frase in sospeso, ma il suo sguardo era grave.

“Io combaffo anche così! - ululò Milo, desideroso di agire, prima di alzare il pugno in alto e piegarsi in due per il dolore – Uuuuuuuh, la sciatica, che male!!!”

“Lo so, Milo… come lo farebbero Mu e Aldebaran, se fossero in grado di intendere e volere, ma, ahimé, non ne siete in grado...” biascicò Shion, gettando al contempo un’occhiata di sconforto al Cavaliere di Bronzo che da poco aveva acquisito l’armatura della Volpetta.

Non era riuscito a proteggerlo, non era riuscito ad avvertirli per tempo, ne a raggiungerli prima che si compisse lo sfacelo e ora, quel corpo mostruosamente invecchiato pieno di piaghe, giaceva lì morto, senza più un anelito di respiro, per causa sua, della sua inettitudine come Grande Sacerdote. Strinse i pugni in un gesto di stizza, prima di ricordarsi di essere ai vertici del comando: le debolezze non erano consentite.

“Cosa facciamo, Shion?”chiese cautamente Aphrodite, aspettando le sue direttive, cercando di sostenerlo con lo sguardo, come si faceva tra commilitoni.

La verità era che l’ex Cavaliere d’Oro dell’Ariete avrebbe tanto voluto permettersi di dire ‘non lo so’, ma non poteva. Erano di certo stati attaccati su più fronti da nemici sovrumani, ben più terribili di qualunque altra tipologia mai affrontata prima; sapeva bene che il loro obiettivo era il Principio Primo serbato nel grembo di Camus, il quale infatti, probabilmente, era stato condotto lontano, in un luogo inaccessibile a loro. A quello si aggiungeva il furioso colpo inferto al Santuario, ai morti che vi erano stati soprattutto all’interno delle aliquote più basse, quelle incapaci di provare a contrastare un potere così tanto terribile che, partendo dalla composizione individuale del sangue, era capace di manomettere l’orologio biologico.

Come se non bastasse, il mistero Stefano si infittiva, Shion ancora non sapeva come considerarlo, se nemico o amico, di certo però era dotato a sua volta di poteri indiretti incontrollabili che, se solo fossero stati manovrati e rivoltati contro di loro, avrebbero potuto mettere a soqquadro l’intera Dimensione.

Un Grande Sacerdote non poteva permettersi debolezze, ma in quell’istante, in un momento di crisi, Shion si ritrovò a mettersi le mani tra i capelli e strizzare le palpebre, il peso del comando tutto su di lui, il sentirsi inadeguato, come invece lo sarebbero sicuramente stati Sage e il Maestro Hakurei

“Io… - ancora la voce di Stefano si elevò, un poco titubante – Non so come sia possibile, ma ho udito le direttive di Ermete che indicavano a Clio di dirigersi verso la statua di Atena perché è da lì la fenditura per...”

“LA FENDITURA! DOVEVO IMMAGINARLO! - si illuminò improvvisamente Shion, come redivivo, ritrovando la forza di opporsi – Per infrangere le barriere fisiche servono luoghi sacri prestabiliti, presenti sia nella dimensione di partenza che in quella di arrivo, è ordunque da lì che sono passati!”

“Vuoi che vada al suo inseguimento? - chiese delucidazioni Aphrodite, pronto, – Solo che mi serve il ragazzo, lui ha già dimostrato di poter individuare dove si trovi questa Clio, ne percepisce la fragranza!”

“In verità è anche altro quello che vorrei tu facessi...” lo guardò Shion, una strana luce negli occhi.

“Sono ai vostri ordini!” si inginocchiò Pisces, recuperando la consueta formalità che doveva mostrare quando gli veniva affidata una missione.

“Aphro, pensi si riuscire a… sfruttare i poteri di quando eri Albafica?”

Francesca, a quella frase, si rizzò, ancora più interessata. Dunque era vero, i Gold avevano recuperato una parvenza di ricordi delle loro precedenti vite, ma quando era successo?! Era stato dopo il loro ritorno dal passato, o durante?

Gli occhi azzurri di Aphrodite si assottigliarono, fissando una increspatura del terreno. Pareva infastidito, tuttavia quando rialzò il capo non vi era più nulla di quel sentore: “Io ci posso provare, ma non ho mai utilizzato il Crimson Thorn… non ho mai avuto un maestro che mi insegnasse a farlo, sebbene anche il mio sangue risulti velenoso...”

Anche il sangue di Aphrodite era dunque velenoso, eppure il Cavaliere dei Pesci del presente non si era mai dimostrato così refrattario al contatto fisico come invece la sua controparte del XVIII secolo.

“Riesco in parte a controllarlo in modo che non danneggi chi mi sta intorno, a meno che io non lo voglia… ma usarlo per offendere… è un altro paio di maniche!” spiegò naturalmente lui stesso, sempre con quella strana sfumatura sul volto mista di irritazione e qualcos’altro, forse… inadeguatezza, a sua volta?!

“Ricorderai senz’altro Niobe… Clio può usare quei poteri in maniera non dissimile, questo ho appurato dalle mie ricerche. In base alla composizione sanguigna del soggetto colpito questo involve o evolve fino ad arrivare ad uno stato di contingenza… ma tu potresti essere diverso, Aphro, questo potere su di te, se utilizzassi la tua particolarità, potrebbe essere meno… incisivo… e a tua volta potresti danneggiarla gravemente. Tuttavia… siamo nel ventaglio di una mia ipotesi, potrebbe essere sbagliata, ed io… non potrò aiutarti questa volta!” gli disse, diretto, chiedendogli retoricamente se si sentisse pronto per un simile rischio.

“Volete quindi che io la insegua con il ragazzo al seguito e che, in qualche modo, interferisca con il suo potere in modo da liberare l’energia vitale che ha già raccolto?”

“Precisamente...”

Rimasero a lungo a guardarsi, occhi viola con celesti, un po’ come quella volta durante la battaglia contro il Giudice degli Inferi per salvare il villaggio di Agasha.

“Posso anche farlo… - asserì Aphrodite, chiudendo gli occhi e rialzandosi in piedi – Tuttavia, Grande Sacerdote, non ho alcuna garanzia che il mio potere riesca a rompere il sigillo che racchiude l’energia vitale sottratta. In tal senso, potrei anche fermare Clio, forse, ma nostri amici rimarrebbero tali”

“Ne sono consapevole, ma...”

“Se ciò di cui avete bisogno è qualcuno che attraverso la manipolazione del sangue possa rompere un sigillo, quello penso di riuscire a farlo io!” intervenne Francesca, seria in volto, attirando l’attenzione di tutti.

“Fra, vuoi forse dirmi che...”

“Se quella è veramente Clio, c’è comunque una percentuale di consanguineità tra me e lei, inoltre mia madre qualche insegnamento sulla manipolazione del sangue me lo ha dato in questi secoli, posso… provarci!”

Shion la guardò con attenzione, valutando anche quella carta. Era un rischio, certo, ma non avevano molte alternative in quella situazione.

“Ne sei davvero sicura? Ciò però ti mette a rischio, non hai difese contro il suo attacco, potrebbe...”

“Sono una divinità, Sommo Shion, solo questo mi da un bel vantaggio, non trovate?!” la buttò sul ridere Francesca, tesa a fior di pelle, tentando di ridare speranza a tutti.

“La tua essenza lo è, non il tuo corpo sotto questa tale forma, sbaglio?”

“E’ corretto...”

“Ciò non da garanzie che il suo effetto sia nullo su di te...”

“Però ho buone difese contro di lei, superiori alle vostre. Fatemi fare un tentativo, vi prego: il sigillo va spezzato e, al momento, insieme ad Aphrodite sono la carta più vincente!” rispose, pronta, guardando prima Milo, che la fissava attentamente anche se probabilmente mezzo orbo e i due infanti ai suoi piedi che continuavano a frignare.

“Faffa… - Francesca capì che lo Scorpione la stava chiamando per nome, anche se privo così di denti, ciò che gli usciva erano solo suoni a lettere dolci – Se Camus sapesse a cosa stai...”

“Ma Camus non è qui, giusto? E’ da un’altra parte, assaltato da un nemico che al momento noi non possiamo raggiungere, dico bene?!” la giovane dea, scambiò un’occhiata con Shion, il quale, sospirando annuì.

“Per lui non posso fare niente, ma stare qui nell’inedia, magari a soccorrere i pochi rimasti vivi dopo l’attacco di quella che dovrebbe essere una mia parente, non è il mio stile, mi distrugge, ed io voglio poter fare qualcosa!”

Cadde il silenzio, rotto solo dai pianti isterici dei due infanti che, bisognosi di qualcosa, e del tutto incapaci di manifestarlo in altra maniera, gridavano disperatamente. Fu Aphrodite a prendere in fine parola.

“Va bene, ordunque, uniremo le forze, solo… stai vicino a me. – le disse, serio, prima di osservare anche Stefano, che si era avvicinato appena – STATE vicino a me, anche se tu, ragazzo, ne sembri davvero immune e… sei un bel mistero, ma non è il momento per soffermarsi sulla tua natura adesso!” gli disse, schietto, calcando sull’ultima parola. Era lampante fosse ancora diffidente nei suoi confronti, come tutti, ma cercava comunque di fidarsi.

“I-io ecco… non lo so perché...”

A Francesca le sarebbe venuto da dire che un po’ troppe cose non sapeva, e che quel fatto non li aiutava di certo in quella situazione drammatica, ma non era tempo per i discorsi, bensì per l’azione. Ricacciò i dubbi indietro, pronta a fare la sua parte.

“Andate dunque… alla statua di Atena. Aphrodite, conosci la scorciatoia, vai!”

“Sì, mio Signore!” annuì lui, scattando poi in direzione della prima casa, seguito da Francesca e Stefano.

Shion li guardò scomparire dietro una colonna, qualcosa gli pungeva dentro, ma cercò di non darlo a vedere. Si avvicinò a passi leggeri a Milo, impegnato ad arrancare verso le versioni piccole di Mu e Aldebaran.

“Pensi di… di riuscire a darmi una mano, nelle tue condizioni?” chiese dolcemente al compagno d’armi, vedendolo piegarsi verso il mini Cavaliere del Toro.

“Femo di non fiuscife a fafe nient’alfo… ohimé!”

Senza volerlo Shion sorrise tra sé e sé nel vedere lo Scorpione in quella tenuta totalmente atipica. Certo, assistere al proprio decadimento fisico non era la cosa più bella da vivere, ancora di più se velocizzata come era stata nel suo caso, ma fortunatamente era andata ancora bene così. Non restava che confidare in coloro che avrebbero potuto risolvere quella situazione.

Si soffermò ad osservare il piccolo Mu, il quale, come in una specie di imprinting, smise di piangere, desiderando le sue attenzioni, muovendo le due braccine nella sua direzione. Il vecchio, nobile Shion si riscoprì intenerito, prima di prenderlo delicatamente in braccio. La manina del bimbo si mosse verso i suoi lunghi ciuffi, tirandoglieli appena.

“Da quanto tempo non ti vedevo così, eh, piccoletto? Ti raccolsi in Jamir, eri solo, abbandonato, ma sapevi bene come farti sentire. Sembra passato… così tanto tempo!”

Ovviamente il piccolo Mu non rispose, ma sorrise, tirando più forte.

“Il vizietto ti è rimasto, eh?!”

“Ohi! Ohi! Ohi! Uuuuuuh la schiena!!!”

Shion si voltò verso Milo che, con enorme fatica, stava tirando su Aldebaran, il quale scalciando, si opponeva strenuamente, con contento di essere maneggiato.

“Ehi, Aldy, sono io e… ahi… Aldy!!!”

“Sicuro di riuscire, Milo?!” chiese ancora Shion, sorridendo a quella scenetta quasi ilare.

“Sì, sì, ci penfo io e… uuuuuu il finocchiooo!!!”

...Ginocchio, voleva dire, la situazione era davvero paradossale, se non si fossero trovati in una emergenza ci sarebbe stato da ridere.

La testa del Nobile Shion si volse verso le dodici case, proiettando tutte le sue speranze verso i tre, gli unici a poter agire in quella situazione.

“Fate presto, vi prego!” si ritrovò a mormorare, mentre un vento selvaggio e duro portava alle sue orecchie gli echi della battaglia che si stava verificando tra Shaka, Saga e quell’Ermete, che appariva ai suoi occhi come, di gran lunga, il più terribile dei Cinque Pilastri.

Era tutto nelle mani di Aphrodite, Francesca e di quell’incognita impazzita di Stefano, che, lo sentiva, sarebbe stato l’ago della bilancia nello scontro tra i due mondi, se solo… se solo fosse stato in grado di ritrovare sé stesso, le sue origini, che risultavano misteriose.

...O forse non così tanto!

Rimuginò Shion, preferendo non soffermarsi ulteriormente su quell’argomento di cui tuttavia aveva già un eniguo sentore.

 

 

* * *

 

 

“DIAMOND DUST!!!” urlò rabbiosamente Hyoga per l’ennesima volta, scagliando il suo colpo contro Utopo, il quale però, beffandosi di lui, deviò nuovamente la traiettoria del colpo di lato, non riportando alcun danno.

Hyoga atterrò elegantemente per terra, incalzandolo con attacchi congelanti sempre più frenetici, costringendolo talvolta ad un corpo a corpo che, se ne rendeva conto, lo metteva in condizioni di svantaggio, ma che era indispensabile per non dargli requie.

Nulla da fare, non funzionava. Utopo aveva smesso perfino di deviarne la traiettoria, subendo gli attacchi che tuttavia non gli procuravano il benché minimo danno.

Perché? -si chiese il giovane Cigno, gettando una breve occhiata dietro di sé a Michela che provava con ogni mezzo ad arrestare l’emorragia di Camus, non riuscendoci- eppure, ne era sicuro, pur non sfoderando ancora l’Aurora Execution, i suoi attacchi erano allo Zero Assoluto, Utopo inoltre aveva già rimediato grosse lesioni, respirava con un polmone solo, eppure sembrava non risentirne minimamente.

“Sei distratto, giovane Cigno?!” si fece beffe di lui quell’essere, attaccandolo per la prima volta con le fiammate nere e costringendolo così, peri ripararsi, ad utilizzare il Freezing Shield, scansandosi comunque di lato per evitare i lapilli incandescenti.

Hyoga si costrinse a concentrarsi sul nemico, dando così le spalle alle due persone più importanti della sua vita. Il nemico aveva ragione, le condizioni del maestro distoglievano la sua attenzione, rendendolo vulnerabile e, conseguentemente, rendendo anche Michela e Camus dei facili bersagli. Prese un profondo respiro, riportandosi alla calma, preparandosi così a ricevere un nuovo affondo che si aspettava ma che non giunse.

“Uhmpf, vi vantate di esercitare il sangue freddo, ma basta davvero poco per angustiare i vostri inesperti cuori. Quell’uomo, colui che ti ha cresciuto, è già caduto vittima dei legami che lui stesso ha generato, e lo stesso si può dire di te, che sei suo discepolo – li irrise, ghignando, indicandolo prima uno e poi l’altro con il braccio artigliato – Davvero patetici!”

“TACI, UTOPO!” - urlò Hyoga, attaccandolo con furore, senza pensarci due volte – Tu non devi osare neanche nominarlo, ancora meno dileggiarlo!” esclamò lapidario, scagliandogli un altro fiotto di aria congelante, che lo colpì, ancora senza danneggiarlo.

“Lo vedi?! Non puoi scalfirmi!”

“Sbagli, verme! Prima l’ho fatto, lo rifarò ancora, basta solo…”

“Ma allora non capisci, biondino, puoi danneggiarmi solo lo Zero Assoluto!”

“Tu hai davanti colui che, addestrato dal Maestro Camus, lo ha imparato a padroneggiare, vigliacco che non sei altro!” ribatté, ostinato, dirigendosi a gran velocità contro di lui con tutte le intenzioni di non dargli requie.

Ma Utopo, sicuro di sé, semplicemente si alzò in volo, sovrastandolo in altezza nel guardarlo con sempre più compiacimento. Tuttavia non lo attaccò, mettendosi invece a fischiare.

“Ma cosa…?!” si chiese Hyoga, mentre un brivido lo percosse da capo a piedi. Istintivamente, aspettandosi qualche vigliaccheria, balzò indietro, posizionandosi a poca distanza da Michela e Camus, alzando un braccio con fare protettivo, pronto ad intervenire.

“Tu sei convinto di padroneggiare lo Zero Assoluto, Cigno… - gli occhi di Utopo lampeggiarono mentre, puntando lo sguardo sul terzetto, lasciava trasparire un sorriso sadico, inquietante – Non è così, o almeno non in maniera stabile!”

“Co-Cosa?!”

Tacque Utopo, le rughe del viso si incresparono ulteriormente. Sembrava stesse aspettando qualcosa, ma… cosa?! Hyoga non sapeva bene se sfoderare le ali della sua armatura, e raggiungerlo, lasciando però scoperti Michela e Camus, o attendere lì nella paura che quel mostro potesse attaccarli di nuovo, come aveva già fatto.

“Cosa intendi Utopo?” chiese, nervoso, decidendo infine di rimanere lì e proteggerli.

“Ancora un secondo di pazienza, ragazzo… avrai le spiegazioni che desideri” disse, leggerissimamente affannato, tossendo un poco nello sputare sangue.

Dunque lo aveva davvero danneggiato, prima! Ma allora perché i suoi colpi successivi si erano dimostrati vani?! Cosa era cambiato?!

“U-urgh, anf…”

“PAPA’!”

Hyoga si irrigidì nell’avvertire prima una mano muoversi nel vuoto e poi il richiamo, tumefatto, di Michela. Voltò la testa verso di loro, accorgendosi che il braccio di Camus aveva provato a muoversi nella sua direzione, come a volerlo richiamare, a toccarlo, ma che le energie per farlo non gli erano bastate, smarrendo così il gesto nel vuoto.

Che mi riesca ad avvertire, nonostante stia sempre peggio?! Respira sempre più irregolarmente, prova a muoversi ma non riesce, ed io… cosa sto facendo?! Sto solo perdendo tempo, quando avrebbe bisogno di cure urgenti, perché l’emorragia non si ferma e sembra si stia trattenendo con tutte le sue forze da… da cosa?!

Maledizione, cosa ti hanno fatto, papà?! Michela ha parlato di prelievi, ma stai perdendo troppo sangue mischiato a quella sostanza dorata per essere solo un forellino o poco più. Cosa volevano prelevare da te?! Perché tanta crudeltà?! Oh, Camus, resisti, ti prego!

Avrebbe voluto precipitarsi nuovamente al suo fianco, abbracciarlo come aveva fatto prima Michela, dirgli che lui era lì, che lo avrebbe protetto e che si sarebbe dimostrato finalmente degno di lui, ma un tale comportamento mal si adattava sul campo di battaglia, e li avrebbe lasciati sguarniti, loro, che non erano nelle condizioni di difendersi. Strinse i pugni con foga, guardando rabbioso Utopo, il quale, sempre con quell’espressione soddisfatta e gli occhi neri, che sembravano emanare lapilli di lava, contemplava dall’alto la loro totale impotenza.

“Si vede comunque che sei esperto di combattimento, ragazzo… hai capito che sto aspettando qualcosa e che, se solo osassi attaccarmi in questo momento in cui sono così vulnerabile, io prenderei come bersaglio le due persone che ti sei prefissato di proteggere!”

“Bastardo…” sibilò tra i denti, la muscolatura rigida. Aveva pienamente ragione, e ciò lo faceva arrabbiare ancora di più, perché detestava essere impotente.

“H-Hyoga… - la voce stentata di Michela, lo mise nuovamente in allerta, portandolo a voltarsi verso di lei e incrociarsi con i suoi occhioni lucidi – Perdonami… è colpa mia, della mia debolezza!”

“Non è colpa tua, Michela, stai dietro di me. Vi prometto che vi proteggerò, qualsiasi cosa accada, tu ferma l’emorragia, sei l’unica che può farlo!” provò a incoraggiarla, alzando le braccia per preparare una nuova tattica. Forse avrebbe potuto erigere, con buon dispendio di energia, ma necessario, un muro di ghiaccio impenetrabile intorno a loro, in modo da proteggerli, mentre lui avrebbe incalzato Utopo con il Vortice dell’Aurora, non dandogli così scampo. Lo Zero Assoluto, del resto, lo avrebbe danneggiato come già successo, ma il fatto di aver visto nullificare i suoi attacchi poco prima, anche loro a -273,15° lo aveva messo in allerta, facendolo disperare.

Qualcosa era cambiato, nei suoi colpi, non c’erano altre spiegazioni, e lo stesso comportamento di Utopo, che ora deviava il colpo, ora lo subiva senza conseguenze, lo confondeva, mettendolo in uno stato di perpetua allerta.

Perché non funzionava più?!

Strinse ancora di più i pugni, preparandosi allo scatto. No, quello non era più tempo per esitare, le condizioni di Camus peggioravano a vista d’occhio, occorreva medicarlo e, più ancora, tenerlo sotto stretta osservazione, perché il rischio di formarsi un’embolia o un coagulo come conseguenze di vari prelievi incontrollati, non era basso e, se fosse successo…

Scrollò via l’immagine che gli si era formata in mente, ricacciandola a forza dentro di sé. No, dovevano intervenire al più presto, avrebbe rischiato il tutto per tutto per salvarlo. Fece quindi per scattare contro il nemico e preparare, in simultanea, una costruzione di ghiaccio che li avrebbe protetti, ma la voce ancora più terrorizzata di Michela lo raggiunse nuovamente.

“HYOGA!!! - si voltò di scatto verso di lei, anche se il movimento, per sua percezione, risultò quasi al rallentatore. Li osservò entrambi, un brivido corse lungo la sua schiena, gettandolo nella più nera disperazione – l’addome di Camus è… è… AHIA!”

Il Cavaliere del Cigno si precipitò al fianco del maestro, dando così le spalle al nemico che tuttavia continuava a non attaccarli, nello stesso momento in cui Michela, percependo bruciore, aveva smesso di pressare sul suo ventre, ricadendo indietro.

Camus era molto agitato, aveva preso a dimenarsi come se cercasse in ogni modo e maniera di controllare qualcosa dentro di lui che si muoveva con sempre maggior forza nel tentativo di uscire. L’allievo si ritrovò a placcarlo, costringendolo a stare fermo nonostante i suoi continui e compulsivi scatti. Lo bloccò per le spalle, mentre, costringendolo a terra, poiché aveva provato ad alzarsi, gli adagiava il volto di lato e utilizzava il gelo per dargli un po’ di refrigerio. Era sempre più bollente, in particolare l’addome, che aveva preso a scottare vertiginosamente.

“Calmati, Maestro Camus, ti prego! Siamo qui, SIAMO QUI, non sei solo!” gli urlò, sperando che riuscisse ad udirlo in qualche modo. Voltava infatti il volto da una parte all’altra, irrefrenabile, ma, forse, sentendolo parlare, si lasciò infine andare di lato, ingoiando a vuoto per poi serrare sofferente la mascella. Hyoga vide distintamente tale movimento scendere lungo la sua laringe per poi sparire nell’ampio petto, seguito da respiri brevi e sempre più irregolari, mentre lo riadagiava compostamente, tentando di calmarlo del tutto. Stava tanto, troppo, male...

Anche Michela si riprese, tornando a premergli il fazzoletto sopra l’ombelico, nonostante il calore intrinseco che emanava e che precedentemente l’aveva scottata.

“Hy-Hyoga, c-cosa sta succedendo?! La sua pancia è sempre più bollente e… e sento come se qualcosa, dentro di lui, desse colpi per voler uscire, m-ma… ma è impossibile! C-cosa gli sta succedendo?!” chiese, implorante, spaventatissima, non sapendo più cosa fare.

Hyoga si morse il labbro inferiore, spaurito come lei anche se tentava di dimostrarlo molto meno. Già, cosa stava succedendo al Maestro Camus?! Non ne aveva la benché minima idea!

In quell’istante udì uno sbattere di ali, nonché un’ombra passare su loro. Michela ebbe un sussulto nel riconoscerlo, mentre il giovane Cigno, osservando prima lei e poi quella strana creatura che si era appena posata sul braccio di Utopo, tentò di capire cosa rappresentasse. Un rapace, una chimera, un..?

“Il vostro amato maestro non resisterà ancora molto a quel potere...” esordì il nemico, dopo una lunga pausa in cui si era permesso di accarezzare affettuosamente la testa di quello strano volatile un poco rassomigliante ad un’aquila ma dalla coda da scorpione.

La mano di Hyoga, quella che ancora era sopra la testa di Camus per fargli percepire la sua presenza, tremò vistosamente: “D-di cosa stai parlando, Utopo?!”

“Oh? Non ne sapete niente? Sto parlando del Principio Primo di Tiamat, il Potere della Creazione che ha scelto di incarnarsi in Camus!”

“Il… Principio Primo?!” ripeté Hyoga, sbalordito, sconvolto da un fremito.

“Tiamat?! Chi sarebbe costei?!” gli fece eco Michela, con rabbia.

“Colei che ha creato i mondi tutti, colei che era prima dell’essere, colei che è madre di ogni cosa!”

“N-non è poss… non può esistere nulla prima dell’Essere!” si alzò Michela, convinta, ben ricordando gli insegnamenti di filosofia greca che aveva appreso a scuola.

“Oho, ne sapete poco poco, eh? Meglio così! Il sapere o non sapere a voi non cambia niente, tanto morirete comunque!”

“Costei… è dentro il Maestro Camus?!” volle invece indagare Hyoga, incredulo, cercando di dare una spiegazione logica a quanto aveva appena udito.

“Nel suo addome, sì… attualmente, visto che l’ho pungolata, dovrebbe essersi manifestata sotto le sembianze di un feto...”

“CO-COSA DIAVOLO STAI BLATERANDO?!?”

“Quello che ho detto, ragazzo! Dovresti ben sapere che, allo stadio iniziale, tutti gli embrioni possiedono pressoché la stessa forma, non importa se essi siano rettili, mammiferi o uccelli… il principio vitale, il suo Impulso Primo, ha forma univoca!”

Hyoga lo sapeva, ma era comunque difficile da credere, anzi impossibile. Osservò ancora Camus, il suo addome che era sempre più contratto e che, ogni tanto, gli procurava movimenti involontari, febbrili, dolorosi, come degli spasmi che, effettivamente, somigliavano sinistramente a quelli antecedenti al parto. Hyoga li aveva visti, qualche anno prima, perché Camus, lo Sciamano, poteva anche aiutare le partorienti e, per iniziarlo, era giunto un tempo in cui anche lui, dopo la perdita di Isaac, aveva preso ad aiutarlo in quel compito così delicato, trovandosi come testimone del miracolo della vita.

“E’… è follia, questa! Camus è un UOMO! - biascicò, sgranando gli occhi e trattenendosi la testa con una mano, sconvolto – Q- questa cosa quindi, come può essere dentro il maestro?! E’… è quindi lei che lo sta...”

“Lei vuole vivere, come ogni altro essere vivente, e quindi uscire, sì… - affinò lo sguardo Utopo, provando gusto nell’esprimere quel concetto – Camus glielo sta cercando di impedire con tutte le forze, ma… le contrazioni aumenteranno, fino a diventare insopportabili per il suo fragile corpo!” illustrò mentre, dopo un’ultima carezza all’uccello, con la mano artigliata, aprì uno squarcio nel petto del volatile, uccidendolo sul colpo.

Hyoga e Michela non potevano crederci, assistettero alla scena, senza parole, mentre sangue rosso rubino scivolava giù sul braccio di quel mostro per poi colare più giù ancora, fino ad incontrarsi con il pavimento.

Era… orribile e disgustoso!”

Utopo sorrise a quella contemplazione, mentre sempre ghignando, dallo squarcio che lui stesso aveva creato, estrasse un polmone, che strinse nella mano.

“Qualcosa di simile accadrà a lui tra non molto, ma dall’interno… - continuò la spiegazione, non lesinando in particolari macabri – Tiamat romperà la parete addominale di Camus, sventrandolo a partire proprio dall’ombelico, che ne è la forma esteriore. Chi siamo noi per impedirglielo?!”

“N-no… NO!!!” urlarono sia Hyoga che Michela, guardando disperatamente il volto di colui che entrambi consideravano un padre. Camus respirava sempre più irregolarmente, la bocca dischiusa in una smorfia, la mascella serrata, il sudore che gli imperlava il viso sempre più pallido e provato.

“E’ stato uno sciocco! Gli ho proposto di assecondare quell’impulso per me, ma lui ha rifiutato e ora… ora ne subirà le conseguenze! Nessuno può opporsi all’evoluzione, un embrione diventa un feto, e un feto deve venire al mondo… è la legge!”

“Utopo… - sibilò Hyoga, sempre più fuori di sé, non riuscendo quasi più a trattenersi, espandendo così il suo cosmo – A te non importa nulla della vita, vuoi solo assistere, trasognato, alla manifestazione di un potere, quello della Creazione, che era scomparso fin dalla Notte dei Tempi… Non ti importa se, nel processo, una persona innocente ci rimetta la vita!”

“Pfff, è proprio così, ragazzo: Tiamat rinascerà in ogni caso, e sarò io, prima di Fei Oz, ad impadronirmene!” rivelò i suoi veri intenti, mentre le sue labbra si contrassero in un ghigno orrendo. Si apprestò ad avvicinare il polmone dell’animale al suo viso, pregustandolo, preparandosi ad ingoiare quell’organo.

“UTOPOOOOOOO!!!” urlò Hyoga, cedendo alla rabbia, mentre cristalli dorati si manifestano per mezzo del suo potere congelante.

Michela che aveva invece ceduto alle lacrime, rimproverandosi la sua debolezza, vide con distinzione delle candide ali formarsi sulla schiena dell’armatura del Cigno, permettendo così al suo fidanzato di librarsi in volo e scattare verso il nemico. Fece per intervenire a sua volta, ma si accorse ben presto che l’aria intorno a loro si era cristallizzata all’istante, creando così una barriera protettiva che abbassava istantaneamente la temperatura nei dintorni, così come quella di Camus che, pur sofferente, buttò fuori aria e si rilassò un poco, traendo giovamento dal ghiaccio del suo allievo.

“HYOGA!” riuscì a chiamarlo, spaventata, vedendolo gettarsi contro il nemico, incurante dei rischi.

Te lo affido, Michela, abbine cura! Non permetterò che il volere di Utopo diventi realtà, lo fermerò con ogni mezzo in mio possesso! Tu rimani lì con il maestro, in quella barriera, al resto ci penso io!

Persino Utopo si meravigliò davanti a quel prodigio, lo fissò sbalordito vedendolo sopraggiungere ad altissima velocità, prima di riprendere le sue facoltà.

“Sciocco! Pensi che ricreare un micro spazio di singolarità dentro il mio mondo, grazie al tuo Zero Assoluto lo possa salvare?! Tiamat è troppo forte, hai solo rallentato il processo, non impedito!”

“Non importa! Dovrebbe comunque bastare per aiutarlo a resistere, anche se per un tempo limitato! Tu non lo toccherai più, Utopo, MAI PIU’, fosse anche l’ultima cosa che faccio!” esclamò il Cigno dalle ali argentate, sfoderando un gancio congelante destro con tutta la forza di cui disponesse. Tuttavia il Pilastro riuscì bene a schivare l’assesto, prima di ridurre in brandelli sanguinolenti la creatura tenuta tra le mani, ad eccezione del polmone, che gli serviva, e spruzzare il sangue sul volto del biondo in modo da accecarlo.

Hyoga si ritrovò quel liquido bollente addosso. Suo malgrado, poiché aveva ancora la bocca aperta, se lo ritrovò anche in gola, ma non ebbe il tempo per sputarlo che subito venne raggiunto sul viso da un’artigliata meschina, che gli lacerò la guancia sinistra. Il contraccolpo lo fece sbandare, cozzò brutalmente contro la colonna, cadendo poi malamente al suolo.

“HYOGAAAAAA!!!” gridò Michela terrorizzata, provando l’istinto di uscire da lì, rendendosi però al contempo conto di non potere perché davvero quello spazio ritagliato da Hyoga, rassomigliante ad una bolla di ghiaccio, pareva una piccola dimensione a sé stante.

Lo vide picchiare violentemente contro il suolo, stordito, ma nonostante l’urto, puntellando i piedi, fece comunque per alzarsi, cercando di togliersi quella sostanza dal viso. Non era più in grado di riaprire gli occhi, che gli bruciavano a partire proprio dalle orbite, tossì, costringendosi ad alzarsi in piedi: anche privo della vista avrebbe combattuto per coloro che amava, ad ogni costo!

“Dimenticavo… devo spiegarti perché i tuoi attacchi non hanno effetto!” lo canzonò Utopo, nuovamente composto, mentre, come se niente lo avesse interrotto, si portò nuovamente il polmone davanti alle labbra che, aprendosi, mostrarono così i denti giallissimi che addentarono con voracità l’organo in questione.

A Michela venne su un conato di vomito nel vedere quella scena disgustosa. Lo scienziato pazzo morsicava, tirando a sé selvaggiamente quel tessuto ancora sanguinolento, neanche fosse stato un licantropo o chissà cos’altro, sporcandosi la bocca di rosso vivo, quasi schizzandosi il liquido come un carnivoro sulla preda. Avvertì una contrazione nello sterno, unita ad una nausea sempre più crescente, ma ingoiando a forza ciò che le era tornato su, rabbrividendo al retrogusto acido, tentò di tornare a concentrarsi sul campo di battaglia.

Utopo non era di sicuro un essere umano, anche se con parvenza antropomorfa, ma cosa rappresentava quindi in realtà?! Anzi, chi, o cosa, erano i Cinque Pilastri in generale?! Divinità? Esseri creati dall’ombra, dall’oscurità?!

Hyoga finalmente era riuscito a togliersi il sangue dagli occhi, tornando a vedere, anche se offuscato, giusto in tempo per assistere ad Utopo che inghiottiva l’ultimo pezzo di polmone.

“Fai davvero… ribrezzo, mostro!” sibilò, cercando di mettersi in posizione d’attacco e scattare un’altra volta, ma quell’essere, ghignando, lo precedette, gettandosi a capofitto su di lui.

Non fu in grado di reagire. Il tempo di vederselo lì, ad un palmo dal viso, di percepire il suo fetido alito frammisto a sangue e roba in decomposizione, che avvertì un dolore netto, invasivo, nella fascia dello stomaco, dove era stato colpito. Questione di attimi, il tempo di vedere, con sgomento, una fiamma nera che si imprimeva nella parte dell’addome non coperta dall’armatura, che venne proiettato indietro ad altissima velocità, sbattendo violentemente contro una colonna retrostante.

“Hyogaaaaaaaa, nooooooooooooooo!!!” urlò a squarciagola Michela, frenetica.

Il Cigno la udì a stento mentre cadeva a terra, il respiro troncato, rotto, si sentì quasi spezzato da metà colonna vertebrale in giù. Si accasciò, tossì violentemente, prima di ritrovarsi ben presto a sputare sangue, il suo che, tributo oltraggioso, andava formando una piccola pozza tra le sue braccia che lo reggevano a stento. Non respirava bene, si avvertiva semplicemente i polmoni pieni di qualcosa di caldo, che lo soffocava. Annaspò in cerca di ossigeno.

“Hai fatto la tua scelta, Cigno: usare tutto te stesso per proteggere loro! Così non posso ferirli, è vero, ma ciò rende vulnerabile te!”

La voce di Utopo lo frastornò, così come i suoi passi in avvicinamento, ostacolo insormontabile. No, doveva reagire, doveva opporsi, non poteva perire così, non con Michela e Camus ancora in pericolo. Serrando i denti nel tentativo di fermare il conato di sangue, alzò ostinatamente il capo, fissando il nemico con sguardo truce. Tentò quindi di rimettersi in piedi, mentre rivoli rosso cremisi gli rigavano comunque il mento per poi scivolare al suolo, ma non ebbe comunque il tempo per ultimare l’azione, che un nuovo pugno infuocato, nero, lo raggiunse sul collo. Fortunatamente riuscì a ricreare una protezione di ghiaccio che, rompendosi, gli parò almeno quella zona. Sentì il suo corpo raschiare violentemente contro il pavimento, la spalla destra, quella a contatto con il terreno, gli si escoriò dal bicipite in su, procurandogli un nuovo, più superficiale, dolore. Rabboccò aria, riprovando ottusamente ad alzarsi, tenendosi il braccio martoriato con l’altro. Non era vinto, aveva una missione da compiere, doveva…

Utopo fu nuovamente su di lui, senza concedergli il benché minimo riposo. Lo prese malamente per il collo, inginocchiandosi al suo fianco. Ancora il suo fetido respiro su di lui, ancora quegli occhi neri privi di vita. Hyoga finalmente capì…

“U-Utopo… t-tu non sei vivo, s-sei un morto; un morto che cammina! S-sopravvivi solo perché utilizzi altri organi di altri esseri, grazie ai quali erediti le loro capacità. T-tu con quale diritto puoi parlare di vita?!” gli chiese, sforzandosi di guardarlo in faccia, nonostante la situazione sempre più disperata.

“Mi compiaccio, ragazzo! Hai ereditato l’intuizione dal tuo giovane maestro, è lampante! - sbuffò lui, stringendo la presa sul suo collo – Sì, hai indovinato: non sono un vivente, tuttavia ho vissuto, in un tempo lontano, ciò muove il mio istinto di sopravvivenza, ciò mi da diritto di vivere!”

“N-no, tu non hai… alcun diritto di vivere s-sulle spalle degli altri! E’ per questo che brami per te il Potere della Creazione, per avere di nuovo un corpo tutto tuo, è per questo che… argh!”

“BASTA CON LE DOMANDE, CIGNO!” lo zittì, sbattendolo malamente al suolo, l’elmo gli volò via, l’ultima, tentata, emanazione del suo cosmo ghiacciato si spense in un istante.

Non aveva più forze –si ritrovò a riflettere- era come prosciugato. Mai si era trovato ad affrontare un nemico simile, mai, in tutti quegli anni di battaglia. Utopo, da quando aveva ingerito il polmone, era diventato il triplo più veloce, non più visibile da occhio umano, né da Cavaliere. Impossibile colpirlo, anche provandoci l’attacco sarebbe stato nullificato in un istante.

“Continui a chiederti perché non riesci più a colpirmi, vero?” gli pose sarcasticamente la domanda per lui Utopo, mentre, con un unico movimento della mano artigliata, lo privava dello spallaccio sinistro.

Lo sentì incombere, del tutto impotente, mentre tutte le sue energie residue erano devolute per non svenire, perché, lo avvertiva, la coscienza andava svanendosi sempre più.

Perché? Perché non riesco ad oppormi? Maestro…

Un altro colpo. Il pettorale fu staccato dal suo corpo e, insieme ad esso, gli fu strappata anche parte della maglietta. Si sentì graffiare lo sterno con quegli artigli, strinse disperatamente le palpebre nel tentativo di opporsi. Ne uscì una ventata di aria congelante, che tuttavia languì nelle fiammate nere, che avvolgevano il nemico come protezione.

“Eh? Perché, Hyoga? Immagino che te lo stai continuando a chiedere, nevvero? - lo canzonò ancora Utopo, infierendo, e ancora infierendo, malignamente su di lui – E’ perché sei un essere finito, Cavaliere!”

Sono un essere… finito?!

“Oh sì, lo sei, per questo non puoi raggiungere lo Zero Assoluto in pianta stabile, ed è il motivo per cui la maggior parte dei tuoi colpi non mi scalfiscono!”

Le palpebre di Hyoga si spalancarono in un urlo viscerale ma silente. Cominciava finalmente a capire, ma era tardi… tardi per tutto! Il suo corpo era sconquassato dai sussulti, Utopo, dopo averlo praticamente spogliato, sembrava provare gioia nel continuare a colpirlo. Ormai non utilizzava neanche più le fiamme nere, lo colpiva semplicemente in più punti, rimarcando, per qualche strana ragione, particolarmente sul fianco sinistro in prossimità della milza, che stava cedendo.

“Dei colpi che tu sferri, o cantore dello Zero Assoluto, solo una manciata raggiunge, talvolta persino superandola, la temperatura corretta, gli altri attacchi hanno un millesimo di grado in meno, è condizione necessaria affinché il tuo misero corpo da umano regga un tale potere senza che si danneggi: abbassare di un infinitesimo quella temperatura che necessita di energia a disposizione infinita, cosa che tu, in quanto uomo, non hai!”

Dei miei colpi… solo un paio arrivano allo Zero Assoluto anche quando sono convinto di utilizzarlo?! E’… è condizione imprescindibile per non finirne schiacciato?! Questo è il motivo per cui gli attacchi di prima sono andati a vuoto?!

“Un infinitesimo di grado, mi capisci, ragazzo?! Dovrebbe essere una baggianata per chiunque, perché basta e avanza per uccidere un milione e più di vite in un colpo solo! - cantilenò lui, sempre con quel ghigno in viso, prendendolo nuovamente per il collo e serrandolo – Ma io non sono chiunque, io sono un non-morto, uno dei Cinque Pilastri, un essere perfino superiore agli dei, per me la differenza c’è eccome e la vedrai a tua spese!”

“U-urgh, anf...” l’aria non gli arrivava più ai polmoni, le energie per opporsi si erano totalmente consumate. Tentò di alzare un braccio per opporsi, per congelargli, almeno, quella zampa da rapace che si ritrovava, ma non riuscì minimamente a muoversi.

“In questo scontro hai usato lo Zero Assoluto completo 6 volte. La prima, in cui mi hai colpito di sorpresa, congelandomi il polmone, l’ultima, la barriera che hai eretto poco fa per quei due, decidendo di anteporre la loro salvezza alla mia disfatta. Le volte in mezzo mi è bastato deviare la traiettoria del tuo attacco, uscendone così illeso, e ora… sei completamente esaurito, vero? - disse trionfante, vedendo che gli occhi del ragazzo stavano diventando sempre più sgrananti in seguito alla penuria di ossigeno – Hai combattuto bene, non lo posso negare, ma il tuo percorso termina qui: ti sei frapposto tra me il Potere della Creazione, ora morirai!” ribadì, aumentando ulteriormente la stretta. Voleva ucciderlo strozzandolo…

“A-arf…”

Non riusciva più nemmeno a ragionare, da quanto fosse disperata la situazione, la mancanza di ossigeno stava contaminando perfino il cervello, impedendogli il ragionamento. Era… la fine?! Sarebbe finita così?! Dopo aver sconfitto Saga malvagio, Poseidone, Hades, le persone che amava, la morte medesima… quella era davvero la conclusione di tutto?! Tutti quegli anni passati, di crescita forzata, per poi trovare capolinea lì?!

N-no, maledizione! Non ora! NO! Non adesso, che ho persone da proteggere e che credono in me, non adesso che ho più di un motivo per combattere!

Michela… che uomo sarei, se non riuscissi a proteggerti?!

Maestro Camus… che penserete di me a vedermi così, dopo tutto quello che avete fatto per me?! Dopo il vostro sacrificio per farmi arrivare allo Zero Assoluto?!

Isaac… ho preso la tua vita, la vita di mio fratello, per giungere qui e non riuscire comunque a salvare le persone a me care?! Mi rifiuto! I-io… sarò degno del tuo sacrificio, sarò degno del Cavaliere che avresti voluto diventare tu e sarò degno… del Maestro Camus, come sei sempre stato tu!

Provò ad espandere il cosmo, nonostante la spossatezza, nonostante il solo fatto di non cedere all’incoscienza gli costasse ben oltre la fatica. Riaprì gli occhi, che si impressero in quelli del nemico.

“Ancora ti opponi, verme?!”

L’unico verme tra di noi sei tu… sono un Cavaliere della Speranza, Utopo, non sono fatto per arrendermi, Camus mi ha insegnato a non gettare mai la spugna, MAI!

“E sia allora! - stabilì Utopo, lasciando la presa sul suo niveo collo per manifestare nuovamente le fiamme nere che si scontrarono con il vortice congelante prodotto dal niveo cosmo del Cigno – Sei un folle, ma ammiro il tuo impulso vitale: meriti di essere incenerito dalla Fiamma Sacra di Kdur!”

“AAAAAAAAAAAAAARRRRRGHHH!!!”

Hyoga avvertì concretamente dentro di sé la dolorosissima sensazione di bruciare. Era come se gli organi, tutti, prendessero fuoco in un lapillo improvviso. Quel tipo di sofferenza, mai, MAI provata prima, lo sconvolse dal profondo, obbligandolo ad urlare con quanta forza avesse. Non era abituato a farlo, non era abituato a cedere, con nessuno. Camus gli aveva anche insegnato come trattenersi, come non manifestare la propria sofferenza. Ma in quell’inferno lì, con la sensazione di avere le ossa rotte e i polmoni, il cuore a fuoco, sopportare non era più possibile.

Reclinò la testa di lato, al limite. Era tornato a respirare… aria rovente, però. Si augurò che presto quel supplizio cessasse. Aveva male. Tanto male. A tutto.

Michela, ancora nella barriera di ghiaccio, già nel vedere Hyoga subire violentemente tutti quei colpi senza riuscire ad opporsi, era caduta in ginocchio coprendosi la faccia con le mani, piangendo quanto era rimasto delle sue lacrime. Per ogni sferzata che percepiva subire il corpo del suo ragazzo, anche lei tremava. Le gambe si erano dimostrate incapaci di reggerla, lei stessa si sentiva un’incapace priva di nerbo e spina dorsale. Aveva una paura folle, mischiata alla frustrazione, al senso di impotenza, a diecimila altre emozioni che avrebbero annichilito chiunque. Ma lei avrebbe dovuto essere una guerriera, come le aveva detto Camus poc’anzi, sorridendole tiepidamente, lei doveva riuscire a combattere in qualsiasi circostanza… eccola invece lì, a piangere, quando sia Francesca, che Marta che Sonia, lo sapeva bene, avrebbero invece trovato il coraggio di agire in qualche modo, a qualunque costo.

La più debole delle allieve dell’Acquario…

Era così che l’aveva ribattezzata Utopo. E aveva ragione!

Debole. Debole. Debole. TROPPO DEBOLE, maledizione!

E, proprio a causa di quello, la sua famiglia stava rischiare di morire. Singhiozzò, tentando di alzarsi, ma le gambe le cedevano, non la sorreggevano, non si azionavano, lasciandola lì inerme.

MALEDIZIONEEEEEEEEEEEEEE, MUOVETEVI!!!

Mentre imprecava con tutta sé stessa, dandosi della bambina immatura del tutto incapace di proteggere gli altri, avvertì un movimento vicino a lei, unito ad un ansito sempre più irrequieto. Spalancò gli occhioni, osservando sbalordita che Camus, nonostante le sue condizioni gravissime, con le palpebre serrate per la sofferenza, provava comunque a darsi la spinta per alzarsi, tendendo tutti i muscoli nel movimento.

“Hy-o-ga...” lo avvertì languire a stento, percependo a sua volta il tormento a cui era sottoposto il suo allievo. Provò quindi a rimettersi seduto, ma a metà spinta, l’addome produsse una contrazione più forte delle precedenti, spezzandogli il respiro e facendolo accasciare su un fianco, le mani a trattenersi il ventre.

Cadde a peso morto, spaventando Michela ancora di più, ma non si diede per vinto, tentando con ogni mezzo di intervenire sebbene le sue condizioni non glielo permettessero. Il suo Hyoga era in pericolo, tanto bastava per non arrendersi. Di nuovo, caparbio, riprovò, ma una fitta più forte delle precedenti spezzò nuovamente le sue intenzioni, facendolo cadere per terra, sempre più affannato. Ormai gli spasmi erano sempre più rapidi, persino più del suo respiro già irregolare, non avrebbe potuto resistere ancora a lungo...

Quanto dolore stava ancora provando? -si chiese Michela sempre più sgomenta- Quanto ancora ne avrebbe provato, prima di…

La brutale immagine di Tiamat che fuoriusciva dal suo addome, squarciandoglielo, le diede l’impulso per precipitarsi su di lui, abbracciarlo di getto, mentre una contrazione perfino più forte delle altre, sconquassava il corpo esausto del maestro Camus.

“Non dargliela vinta, papà, ti prego! Non farla uscire! Siamo qui… SIAMO QUI!” urlò con quanto fiato avesse in gola, girandolo in posizione supina nella pallida speranza che potesse provare meno dolore. Non c’era fibra del suo corpo che non ululasse tutto il tormento che stesse vivendo, dal sudore, che gli rendeva la pelle più lucida, alla pancia, che bruciava come tizzone ardente, per non parlare della postura delle gambe serrate tra loro e scomposte, alle braccia, che talvolta arrancavano sul terreno, tentando di sorreggere tutta la sua struttura, senza riuscirci.

“Hy-o-ga, d-devo...”

Eppure pensava sempre a lui, con una devozione che traspariva dall’esterno. Michela chiuse le labbra, lasciando che le lacrime continuassero a lambirle le guance, poi si nascose nell’incavo del suo collo come era solita fare.

“T-t prego, papà, non sforzarti!”

“D-devo… anf, l-lui, voi...”

“Ti fa male, TI FA MALE!”

“Hy-oga… r-resisti, non sei… s-solo...”

Non demordeva, testardo, agitandosi nell’avvertire l’aura del Cigno così fioca, appena percettibile in quell’inferno di dolore. Lui non si arrendeva… poteva forse farlo lei?!

“Penserò io a lui, te lo prometto, s-sarò forte, diventerò forte, qui e ora, ma tu non muoverti, Camus, ti fa male!” lo supplicò, posandogli dolcemente una mano sull’addome per tentare di rassicurarlo. Bruciava, si scottò, ma non gli importava. Le contrazioni aumentavano se lui provava ad agire, se non avesse agito, forse…

Cosa fare, tuttavia? Erano entrambi in quella bolla di ghiaccio allo Zero Assoluto, come forzarla per uscire e, un secondo, anche se fosse uscita cosa avrebbe ottenuto?! Era così patetica…

In quell’istante, un scintillio argentato catturò il suo sguardo. Si sollevò appena sull’avambraccio di appoggio, mentre il sinistro era ancora sopra l’addome di Camus. Sempre più sbalordita, notò che quella polverina luminosa era in verità ghiaccio che, talvolta, si staccava dalla copula creata da Hyoga per poi posarsi, con naturalezza, sulla pelle del maestro. Ritirò istintivamente la mano, osservando che, proprio sulla pancia, si era già formata una sottile brina di ghiaccio che, pur rimanendo impercettibile al contato a causa di tutto quel calore, neanche si scioglieva. Ora anche quel microscopico corpuscolo andava a posarsi insieme agli altri, e poi un altro, e un altro ancora. Era… magico!

Mano a mano che cadeva, con intensità variabile, anche il respiro accelerato di Camus si placava, calmando anche gli spasmi, anche se non cessavano mai del tutto. Michela lo sentì posare debolmente la guancia su di lei, forse alla ricerca di un rifugio sicuro in mezzo a quella sofferenza. Lei, dopo avergli accarezzato dolcemente i capelli, si permise di prendere uno di quei fiocchetti tra le mani, osservandolo, per poi osservare quelli che formavano una sorta di patina brinata sulla pelle del maestro. Nonostante l’altissima temperatura, non si scioglievano perché -realizzò- mentre il cuore le pulsava più velocemente, erano allo Zero Assoluto, Hyoga li aveva lasciati lì per alleviare le sofferenze di Camus, il quale, grazie a quel raffreddamento, poteva resistere di più.

Si ricordò delle parole di Utopo, del fatto che fossero due poteri agli antipodi… e che erano gli unici due mezzi per ferirlo. Se… se ne avesse imbrigliato uno, forse avrebbe potuto..?

“P-piccolo mio, anf… - sussultò nel sentire la fievole voce di Camus manifestarsi ancora, mentre il Cavaliere si lasciava andare alle nebbie dell’incoscienza. Il ghiaccio cominciava a fargli effetto, aiutandolo a non cedere a Tiamat – Coraggio, sono con te...”

Michela lasciò che l’ultima lacrima le si seccasse all’angolo della bocca, poi, dopo avergli accarezzato un’altra volta i capelli e baciato una guancia per fargli percepire la sua presenza, si eresse barcollante in piedi, guardando il muro di ghiaccio tutt’intorno a loro.

Aveva avuto un’idea. Forse il vaglio per uscire da lì.

Sono con te, piccolo…

“Maestro… Camus!” gli occhi di Hyoga si riaprirono nel percepire il cosmo candido del suo mentore sorreggere il suo, quasi abbracciandolo. Si sentì confortato, non più solo. Era lì con lui, in qualche modo, sebbene stesse troppo male per alzarsi. Non lo avrebbe lasciato, mai, avvertì gli occhi inumidirsi, mentre le forze, lentamente ma consistentemente, tornavano.

Ti posso percepire, papà, sei con me, come sempre nei momenti di difficoltà. I-io… non ti deluderò più, mai più, lo giuro!

Finalmente riusciva a muovere nuovamente le braccia, le alzò con enorme fatica, stringendo la presa sulle estremità di Utopo, che cominciarono a congelarsi, in un nuovo guizzo di potere. Tuttavia, a metà, se ne accorse anche il Cigno, il ghiaccio non riusciva più a progredire, perché veniva sbarrato dalla vampa del nemico.

“Oh? Camus è ancora in grado, in quelle condizioni, di sostenerti con il suo cosmo?! Davvero patetico!”

Il corpo di Hyoga fremette a quella osservazione, la presa sul suo collo si era fatta più debole, permettendogli così di parlare.

“Non o-sare, Utopo! Non osare infangare il legame tra me e il Maestro Camus!”

“Già, ci pensate voi stessi, non è forse così?! Non siete nemmeno in grado di comunicare, ma correte come dei disperati per l’altro, senza tuttavia raggiungerlo!”

“Tu, maledetto! Come fai a…?!”

Utopo sapeva più di quanto riuscisse a far intendere, la consapevolezza che lui conoscesse il vissuto dei loro cuori, ripugnava il Cigno ancora di più che vedere quel pazzo uccidere quello strano uccello e ingurgitarne l’organo.

“Uhmpf, quella sgualdrina di Nero Priest ha poteri che si fondano sulle emozioni e pulsioni umane, lo saprai senz’altro, visto che l’avete affrontata… - lasciò la frase in sospeso, mentre, schiacciandolo ancora più a terra, cercava di averla vinta su di lui – Ciò che non sai è che, chi è in possesso di simili doti, è facilmente sondabile da chiunque, è privo di difese, perché le emozioni indeboliscono la mente, rendendola così terreno fertile per attecchire!”

Hyoga non rispose, era semplicemente schifato alla sola idea che quell’essere potesse aver visto loro, il legame che li univa, le incomprensioni, le sofferenze; ciò lo fece montare di rabbia, portandolo ad espandere ulteriormente il cosmo nel tentativo di vincerlo. Tuttavia il ghiaccio, sebbene fossero in due, non riusciva ad andare più a fondo di così, la situazione rimaneva quindi sostanzialmente in stallo da quel punto di vista, ma lui permaneva ad essere in svantaggio, avendo subito più danni.

“Risparmiati lo sforzo, ragazzo, non potete sconfiggermi. Non potevate farlo prima, non potete neanche adesso: due mezzi cosmi di due agonizzanti, non hanno energia sufficiente per recarmi danno!” li insultò ancora, in tono denigratorio, ghignando.

“Ba… bastard..!”

Hyoga non ebbe il tempo di finire la frase, che la mano di quell’essere si mosse velocemente sopra la sua bocca, tappandogliela, costringendolo poi a piegare innaturalmente la testa all’indietro e mostrare così il niveo collo all’entità che, sempre con quel sorriso meschino sulle labbra, stava alzando l’estremità artigliata sopra di lui. Realizzò, con un brivido lungo la schiena, le sue intenzioni.

N-no, no! Non può finire così, non posso finire così, d-devo...

“Muori, Cigno!”

E il bracciò calò, senza che Hyoga potesse impedirlo, senza che Camus, esausto al suolo, potesse urlare il nome dell’allievo. Ma qualcosa si frappose comunque, Utopo ebbe appena il tempo di realizzare l’avvicinamento di una variabile impazzita -come l’avrebbe definita lui stesso- che si ritrovò proiettato di lato, dopo che un assalto di feroce potenza lo aveva colpito precisamente poco sotto il costato. La sua visuale si perse in mille sfumature indistinguibili, mentre l’urto contro la parete gli fece vibrare tutte le ossa e i muscoli.

Cosa… diavolo… era appena accaduto?! Chi aveva osato…?!

“HYOGA!!!” una voce femminile, rotta dalla paura, gli diede la risposta che stava cercando. Ancora incastrato nella parete, da quanto fosse stato l’impeto, vide con distinzione quel patetico rifiuto di semi-dea dirottarsi verso il corpo di Hyoga, che respirava a scatti. Sarebbe bastato poco per ucciderlo, e invece… una simile interferenza lo fece vibrare di rabbia, mentre, con un sforzo non da poco liberava almeno un braccio.

Un affronto… che non avrebbe dovuto subire!

Michela intanto si era diretta verso Hyoga dopo aver inferto un colpo da distanza, fece per inginocchiarsi al suo fianco, ma nell’avvicinarsi, nel distinguere le sue condizioni, si bloccò, del tutto sconvolta.

“Mich-e-la! - la voce di Hyoga, mentre apriva i bei occhi azzurri usciva a fatica, la terrorizzò – N-no, non dovevi pensare a me, d-dovevi proteggere il… maestro...”

“Vi proteggerò entrambi, Hyoga, vi...” le si inumidirono gli occhi nel vedere per la prima volta, da vicino, il suo ragazzo ridotto così, ad un colabrodo. Anche lui provò ad alzarsi ma ricadde a terra, respirando con sempre maggior patimento.

Utopo lo aveva barbaramente disfatto dell’armatura, i cui pezzi erano sparsi per il pavimento, e poi era passato direttamente al suo corpo, infierendo più volte senza la benché minima pietà. La maglia era a brandelli, infatti, alcuni pezzi poi erano diventati un tutt’uno con la carne, bruciature qua e là, escoriazioni varie e, non in ultimo, quel sangue rubino che gli fuoriusciva dalle labbra logorate. Michela non riuscì ad avvicinarsi oltre, si sentì solo montare da una rabbia scellerata, che mai aveva provato in vita sua. Avvertì ancora, e di nuovo, le sue interiora ribollire, insieme al sangue, quello sì, le era capitato di frequente, ma in nessuna occasione le aveva assecondate, provandone paura. Quella volta no… non aveva più paura di seguire i suoi istinti, non dopo tutto quello che quel mostro aveva fatto provare a Hyoga e Camus.

Per pochi, brevi, necessari, secondi, si fece quieta, assottigliò le labbra, stringendo i pugni. Silenzio… avvertiva nient’altro che silenzio, mentre, lentamente e implacabilmente alzava lo sguardo in direzione di Utopo che aveva preso a chiamarla.

“P-patetica semi-dea… - il tono del nemico giunse a lei sibilante, mentre lo vedeva staccarsi dalla colonna e avanzare verso di lei, furioso, gli occhi iniettati di sangue – Devo averti più volte ripetuto che mi può danneggiare solo… solo...”

Ma fu costretto a bloccarsi, un gelo netto, invasivo, quasi fagocitante, seguito da un dolore estremo, lo fece cadere in ginocchio. Rantolò senza poterlo nascondere. Si tastò, incredulo, la zona lesionata, scoprendone una bruciatura che si allargava a macchia di leopardo nelle zone vicine, persino agli organi sottostanti, difficoltosamente assemblati. Era… era un bruciore profondo, non dissimile da una ustione di terzo grado, ma… ma i tessuti sottostanti, contrariamente alla pelle martoriata, avevano preso invece a congelarsi, deteriorandoli irreversibilmente.

“Cosa… cosa hai f-fatto, maledetta?! C-come hai potuto, t-tu…?!” non riuscì a proseguire, tossì e sputò sangue, piegandosi su sé stesso vittima di un dolore mai provato prima.

Hyoga fissava allibito la scena, cercando al contempo di mettersi quanto meno seduto, ma le forze non era sufficienti. Osservò la sua ragazza, quella strana luce che aveva preso a brillare nel suo volto insolitamente inespressivo per lei, che aveva sempre avuto la forza di un ciclone nel mostrare i propri sentimenti. Ingoiò a vuoto, quasi non riconoscendola.

“Miche-la!” la provò a chiamare, da terra, protraendo un braccio nella sua direzione. Avrebbe voluto raggiungerla e toccarla ma… gli mancò nuovamente il fiato in corpo, annaspò.

“”RISPONDIMI, RAGAZZINA!!! COME HAI POTUTO…?!”

Ma di nuovo non ebbe il tempo di finire la frase, perché fu centrato in pieno volto da un destro della ragazza che, alla velocità del lampo, si era gettata su di lui, con i pugni infuocati e un’aura… celestina?! Non ebbe il tempo per capirlo, perché si ritrovò schiantato a terra a grande velocità, aprendo così una voragine con il suo stesso volto. Alcuni denti, prima perfettamente assortiti, gli saltarono, ma nulla faceva male come quel… quel fuoco che sembrava ghiaccio!

“TACI, LURIDO BASTARDO!” sibilò Michela, atterrando appena sul pavimento per poi ripartire subito all’attacco con l’ovvio intento di non concedergli il benché minimo riposo.

“Michela… - Hyoga si ritrovò per la terza volta a chiamarla. Stavolta, sussurrandolo tra i denti con enorme sforzo, riuscì a rimettersi almeno seduto – Ma cosa… cosa ti sta succedendo?” si chiese, stordito, osservando automaticamente la cupola che aveva ricreato lui. Sotto alla suddetta, Camus giaceva ancora svenuto, un poco meno sofferente rispetto a prima, ma sempre scomposto.

Il giovane Cavaliere di Bronzo sussultò nello scorgere una falla nella sua barriera, piccola, ma sufficiente per uscire. Realizzò cosa avesse provato a fare Michela nello stesso istante in cui Utopo, cercando di sollevarsi, la faccia ricoperta di sangue, comprese a sua volta.

“Tu, maledetta, hai… hai fatto confluire lo Zero Assoluto di Cigno, sul tuo fuoco, per… per...”

Ancora non terminò, un calcio infuocato della ragazza, lo piallò sul pavimento, portando poi il suo corpo a cozzare su una colonna, sulla quale tentò di sorreggersi.

No, non sarebbe durato ancora molto a quel ritmo, avrebbe presto dovuto cambiare gli organi, ma quella megera non lo lasciava stare. La fissò, con una punta di paura; paura che non aveva mai provato in vita sua.

Dalla mano della ragazza fuoriuscì una fiamma color azzurro, l’aura intorno a lei si fece di uno splendente biancore inframezzato da alcune lingue di fuoco rosse.

“Maledizione…” imprecò tra i denti, sputando un incisivo prima di osservare, con frustrazione, le sue condizioni. Si rammentò delle parole di Fei Oz Reed.

 

-Ma stai attento, tuttavia, se userai, come esca, una delle semi-dee…

-Sire, mi dite di stare attento a… una mezza umana?! Noi siamo molto di più persino delle divinità e Voi temete che…

-Io non temo nulla, Utopo, sono solo… previdente!

Lo aveva fulminato con gli occhi neri, come monito.

-Mi consigliate quindi di prestare più attenzione a loro che non alla divinità di nome Francesca?!

-Esattamente, sì… e di non usare Marta, con lei sarò io a vedermela di persona!

-Sire… non posso dire di comprendere le vostre parole, ma farò come raccomandate!

Aveva risposto, infine, in tono fintamente umile, chinandosi in segno di ossequio, continuando però a guardarlo.

-Non puoi capirlo, in effetti, Utopo, non sei mai stato… umano… non sai, non ricordi, le immense potenziali di cui essi possono disporre…

 

Aveva scelto infine Michela, la più debole delle allieve dell’Acquario, colei che le sembrava più idonea per le sue scarse attitudini. Così pensava...

...Sbagliando, ormai era evidente, perché l’aveva erroneamente sottovalutata.

La vide incombere su di lui, incontenibile. Tremò suo malgrado, sentendosi patetico nel provare quell’insano sgomento per una ragazzetta di neanche due decadi di vita.

“Utopo… te lo ha già detto Hyoga prima, ma devi essere duro di comprendonio: ci sono cose che non ti puoi proprio permettere di toccare… - lo minacciò, chiudendo con foga le mani sulle fiamme azzurrine, le quali le circondarono la pelle delle braccia senza apparentemente scottarla – una di queste è la mia… FAMIGLIAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!” urlò, prima di caricarlo, come imbizzarrita, con una serie di pugni di intensità crescente.

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ergon, l’impulso vitale” da il titolo a questo quarto capitolo dei Cinque Pilastri, e non avrei potuto sceglierlo meglio.

Impulso vitale è quello che spinge il frammento dell’anima di Dègel a continuare a mostrarsi a Marta.

Impulso vitale è ciò che ha spinto Stefano a scappare dalla prigionia per cercare i suoi genitori.

Impulso vitale è il Potere maligno di Clio, la sua capacità di assorbirlo e prelevarlo per scopi che, qui in questo capitolo, vengono solo accennati.

Impulso vitale è lo stesso Principio Primo contenuto nell’addome di Camus, al quale il Cavaliere si sta cercando di opporre strenuamente

Impulso Vitale è, infine, ciò che muove tutti i protagonisti di questo scoppiettante capitolo.

Vi potrei spiegare un sacco di cose qua sotto, ma per stavolta preferisco non dirvi niente e lasciare il tutto alla vostra immagine e intuizione (sarà comunque ben trattato più avanti). Ho comunque disseminato un sacco di indizi qua dentro, ciò vi da la chiave per aprire un mondo fatto di teorie e idee che, se vorrete, potrete formularmi privatamente o tramite recensione, o ancora tenere per voi se preferite.

Io, nel mentre, sperando che abbiate apprezzato anche questo capitolo, vi porgo i più sentiti ringraziamenti per continuare a leggere queste mie storie.

A presto! :)

 

 

 

  
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