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Autore: Koome_94    15/06/2021    1 recensioni
[The Falcon And The Winter Soldier
WinterBaron - Bucky x Zemo]
A sei mesi dagli eventi di The Falcon and the Winter Soldier, Zemo si trova ancora prigioniero in Wakanda, in attesa che alla Raft si liberi il posto che gli spetta di diritto. Shuri, tuttavia, non è interamente convinta che la reclusione possa essere davvero una pena valida per un uomo come Helmut Zemo.
Quando una serie di furti di vibranio scuote il Wakanda e anche nel resto del mondo misteriosi individui incominciano a prendere di mira navi cargo e persino le Stark Industries, Sam e Bucky tornano in azione, preoccupati che dietro ai misteriosi avvenimenti si celi di più e per Shuri è decisamente giunto il momento di ricomporre il vecchio trio.
Zemo non può fare altro che accettare, ma è davvero pronto a rivedere James dopo il loro addio a Sokovia? E Bucky è davvero pronto a tornare ad affrontare il dolore negli occhi dell'uomo che aveva giurato di odiare?
Una caccia al tesoro attraverso l'Europa li metterà di fronte a domande difficili e risposte sconvenienti.
Nel frattempo il passato di entrambi è in agguato.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, James ’Bucky’ Barnes, Sam Wilson/Falcon, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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I’m thinking to myself

That I’ve done something wrong

That I have crossed the line

Running Away - Three Days Grace

 



 

 

 

 

Quando il taxi fece il suo ingresso nel grande giardino curato, il sole era ormai calato da un pezzo.

Bucky riusciva a intravedere le sagome scure degli alberi ben potati e intuiva nelle luci dei faretti le aiuole di fiori colorati che, viste dall’alto, dovevano comporre qualche disegno, forse uno stemma o un decoro. Di certo, tuttavia, fu la villa, imponente e maestosa, ad attirare maggiormente il suo sguardo.

Le luci al primo piano erano accese, ma le tende tirate per lo più celavano l’interno alla vista dei visitatori.

- E’ un’antica villa della seconda metà del Cinquecento. Fu fatta ereggere dalla famiglia dei Medici, all’epoca vantavano addirittura il soglio pontificio. Poi passò in mano agli Asburgo-Lorena e divenne proprietà della famiglia di Francesco attorno agli inizi del Novecento. - spiegò Zemo dopo aver pagato e congedato il tassista.

Bucky annuì, ammirato. Non era eccessivamente edotto sulla storia d’Italia, ma era evidente che quel luogo doveva aver assistito a molti cambiamenti e molte vicende degne di nota nel corso dei secoli.

- E che tipo è questo Francesco? Che cosa devo aspettarmi? - chiese mentre si incamminavano verso la scalinata che portava all’ingresso principale.

Uno strano sorriso andò a curvare le labbra sottili dell’uomo in una sfumatura in cui Bucky si sorprese a riconoscere un certo grado di affetto.

- E’ vedovo e non ha figli. L’Arte e la Storia sono le sue grandi passioni, potrebbe essere definito un tipo eccentrico, se non… - ma non concluse ciò che stava dicendo.

La sua mano stava salendo verso il campanello quando qualcosa dovette attirare la sua attenzione, perché interruppe il gesto a metà e aggrottò le sopracciglia.

- Che succede? - fece Bucky, allarmato.

Zemo portò lo sguardo su di lui, gli occhi leggermente sgranati dall’urgenza.

- Il portone è aperto. -

Bucky si accorse in quel momento della sottilissima lama di luce che attraversava i gradini, in fuga dalla porta socchiusa. Che gli Wraiths li avessero preceduti?

- Merda. - sibilò.

Si scambiarono un’occhiata veloce, Zemo annuì e Bucky spinse la porta con una spallata, scivolando all’interno della villa.

L’ingresso era deserto e buio, la lama di luce proveniva dal piano superiore e non fu l’unica cosa ad attirare la loro attenzione.

Una serie di rumori diversi, mobili spostati, oggetti frantumati e grida li travolsero in un’accozzaglia incomprensibile, e prima che Bucky potesse reagire in alcun modo Zemo lo aveva già spinto da una parte e si era lanciato verso le scale.

- Zemo, aspetta! - ma l’uomo non lo stette a sentire.

Cazzo, quel cretino era disarmato!

Senza attendere un momento di più Bucky lo inseguì, salendo i gradini a tre a tre e trasalendo quando assieme al suo sorvegliato fece il suo ingresso nel salone.

Durò un istante, Zemo e Bucky, ad occhi spalancati, si ritrovarono ad osservare una scena di totale devastazione: gli arazzi alle pareti erano lacerati, i tappeti ricoperti di cocci di antiche porcellane mentre resti di sedie e grandi schegge di legno ricoprivano ciò che rimaneva della stanza.

Di fronte a loro, armati fino ai denti, cinque individui a volto coperto si erano immobilizzati vedendoli entrare.

- Attento! - urlò Bucky, spingendo Zemo di lato e bloccando con il braccio sinistro un colpo di pistola che gli avrebbe trapassato la fronte.

Si gettò in avanti, un pugno sferrato alla cieca che colpì il nemico sul volto ma che non sortì nessun effetto particolare. L’individuo incassò e si spostò indietro, cercando di puntare la pistola contro Bucky, mentre Zemo roteava in modo da evitare un montante partito da un altro dei malviventi.

Bucky cercò di disarmare il suo avversario, ma quello gli assestò uno spintone che lo spedì dritto contro il grande tavolo da cerimonie.

L’uomo tentò di colpirlo al volto, ma Bucky afferrò un coltello dalla tavola e lo piantò nel braccio dell’assalitore, che lasciò finalmente cadere la pistola.

- James! - urlò Zemo dall’altro lato della stanza, e l’americano non attese un momento di più, lanciandogli al volo l’arma.

Pur con la pistola fra le mani, tuttavia, Zemo non era in grande vantaggio: i misteriosi individui erano forti e ben allenati e, combattendo contro un terzo elemento che stava schivando ogni sua coltellata, Bucky si accorse con un brivido che erano esperti.

- Che cosa volete? - sibilò glaciale quando si ritrovò faccia a faccia con una donna dal volto coperto.

Quella non rispose, ma le piccole rughe che comparvero attorno ai suoi occhi fecero da portavoce al ghigno che stava di certo esibendo da sotto il passamontagna scuro.

Roteò di lato per liberarsi di lui, mentre un suo compagno cercava di assalirlo e Zemo lo aiutava sparando un colpo che colpì di striscio il braccio dell’avversario.

- Che cosa volete?! - replicò quello, a voce più alta di Bucky, liberandosi da una presa e sferrando un pugno violento sul naso di uno di loro.

Ancora nessuna risposta, ma quando il volto di Zemo si trasfigurò in una maschera di puro panico Bucky comprese che era accaduto il peggio.

- No! - esclamò l’uomo, scrollandosi di dosso un nemico con una spallata violenta e correndo dall’altro lato del salone.

Solo a quel punto Bucky si accorse che a terra, sdraiato fra cassetti rovesciati di antiche credenze e ciarpame vario, un uomo stava rantolando, il volto tumefatto e il panciotto chiaro intriso di sangue.

La distrazione gli fu fatale, un pugno violento lo colpì alla tempia e lo spedì dritto per terra, i sensi per un attimo annebbiati da un lungo fischio.

- No, no, no! Resta con me, rispondimi, segui la mia voce, resta con me! -

Sentiva Zemo urlare qualcosa in Italiano, ma non comprese nulla. Un calcio alla bocca dello stomaco lo fece piegare in due dal dolore, ma prima che chi lo aveva colpito potesse fare altro si aggrappò al piede e tirò con violenza, facendo cadere l’individuo.

Senza attendere oltre, Bucky gli si portò a cavalcioni, disarmandolo e scaricando sul suo volto quanti più colpi riusciva a infierire, ma il nemico ribaltò le posizioni e gli portò le mani attorno al collo, stringendo forte.

Bucky sentì immediatamente la gola stringersi e il respiro farsi affannoso, ma non si perse d’animo e portò il braccio di vibranio contro il suo collo, spingendo forte e mettendo l’uomo in difficoltà. Con un colpo di reni, Bucky riuscì a scrollarselo di dosso quanto bastava affinché i due si ritrovassero a rotolare sul pavimento avvinghiati l’uno all’altro, ma all’improvviso l’uomo si dimenò con un violento strattone grazie al quale riuscì definitivamente a liberarsi.

Bucky si ritrovò fra le mani un pezzo della sua maglia che si era strappata nella colluttazione. C’era qualcosa attaccato alla stoffa, una spilla con uno strano simbolo, ma ancora una volta la distrazione che si permise fu un errore: bastò un secondo, ma quando riuscì a rialzarsi in piedi si accorse che i cinque malviventi stavano fuggendo da una porta secondaria che doveva condurre a un corridoio.

- Fermi! - esclamò, lanciandosi all’inseguimento.

Aprì con un calcio la porta che era stata sbattuta, pronto a continuare a combattere, ma il lungo corridoio di fronte a lui era deserto.

- Venite fuori! - urlò digrignando i denti, il coltello che aveva recuperato prima di inseguirli stretto in pugno, ma dei misteriosi nemici non vi era più traccia.

- Cazzo… - sussurrò.

Erano come spariti nel nulla.

- Zemo! - esclamò tornando indietro, ma ammutolì quando entrò nuovamente nel salone.

Non ci aveva nemmeno fatto caso, ma nella colluttazione il grande lampadario di cristallo doveva essere stato colpito nel suo supporto da qualche proiettile vagante e adesso giaceva distrutto sul tavolo un tempo apparecchiato. La stanza era adesso immersa nella penombra, uniche fonti di luce i faretti giù in giardino e il corridoio adiacente.

Zemo era inginocchiato a terra, il cappotto primaverile disteso sul pavimento come un mantello. Gli dava la schiena, e Bucky non osò parlare mentre la mano di Francesco scivolava via dal volto del suo ospite e cadeva a terra inanimata.

Rimase immobile, mentre Zemo, a capo chino, sussurrava qualcosa che non comprese e chiudeva gli occhi del vecchio padrone di casa con un movimento lento e colmo di rispetto.

- Zemo? - azzardò a chiamarlo dopo qualche istante di silenzio.

Zemo si voltò verso di lui, il volto cinereo e gli occhi fissi sulla sua persona.

- Hanno preso il libro. - disse solo.

- Ne sei sicuro? - ribatté, allarmato.

Zemo non rispose, si voltò nuovamente a guardare il vecchio, disteso in una pozza di sangue che era arrivata a lambire un angolo del tappeto.

- Siamo stati troppo lenti. - disse solamente.

Si alzò in piedi lentamente, e per un momento a Bucky sembrò oscillare come un giunco nel vento.

Fece un passo avanti verso di lui, ma non gli disse nulla, non avrebbe saputo cosa.

Poi Zemo si voltò, gli occhi ancora distanti in un ragionamento occulto, ma comunque consapevoli.

- Vieni. - e senza aspettarlo lo superò, uscendo in corridoio e percorrendolo fino in fondo. Aprì una porta sulla destra ed entrambi si ritrovarono a sgranare gli occhi nel trovare due persone, un uomo e una donna, riverse sul pavimento imbrattato di rosso.

Bucky si precipitò al loro capezzale, ma uno recava un foro di proiettile in fronte e l’altra due colpi precisi al petto.

Si voltò verso Zemo e scosse la testa, ma l’uomo doveva aspettarselo.

- Ovviamente. - disse soltanto, muovendosi verso un mobile sul quale se ne stava un telefono fisso. Zemo si chinò ad osservarlo e scosse la testa: il cavo era reciso, e la cornetta penzolava inerte e abbandonata accanto all’apparecchio.

- Dobbiamo andarcene da qui. Se ci trova la Polizia siamo finiti. - sentenziò.

Bucky si guardò attorno, notò altri schizzi di sangue sul muro, altri cassetti rovesciati e si sentì impotente.

- Sono svaniti nel nulla… - sussurrò.

Zemo, ancora una volta, non disse niente. Si chinò accanto all’uomo e prese a tastargli gli abiti, facendo emergere da una tasca della giacca la chiave di un’automobile.

- Giovanni era il suo autista. - spiegò solamente.

Bucky riservò al cadavere dell’uomo e della donna stesi di fronte a lui uno sguardo colpevole, poi seguì Zemo fuori dalla stanza e lungo una scala che li condusse nuovamente al piano inferiore.

Nessuno dei due aprì bocca mentre attraversavano la grande villa deserta. Gli unici rumori ad accompagnarli erano quelli dei loro passi sul pavimento di marmo e il distante ticchettio di una pendola.

Il buio che regnava al piano inferiore non sembrava infastidire Zemo. Proseguiva dritto e senza esitazioni, e fu solo quando raggiunsero la porta del garage che si sentì in dovere di accendere la luce premendo piano sull’interruttore.

Davanti a loro, immobile come i cadaveri, se ne stava un’Audi nera che rispose al comando remoto con un paio di bip allegri e irrispettosi.

- Guido io. - propose Bucky, ma Zemo lo ignorò platealmente e, dopo aver aperto la saracinesca, prese posto sul sedile dell’autista.

Mise in moto, sistemò la pistola che avevano rubato ai malviventi in uno degli scomparti interni della macchina e, quando Bucky ebbe allacciato la cintura, diede gas.

- Conosci la strada? - chiese Bucky, gettando un’occhiata nervosa allo specchietto retrovisore.

Zemo annuì, le mani salde attorno al volante rivestito il pelle chiara.

- All’incirca. Preferisco evitare l’autostrada, è meglio sorvegliata della statale. - fece, svoltando a sinistra e imboccando una stradina che attraversava i campi.

Nei venticinque minuti successivi non fu sprecata nemmeno una parola.

Entrambi rimasero in silenzio, lo sguardo puntato sulla strada, fuori dal finestrino, sulle stelle che disinteressate pulsavano sopra la campagna.

La macchina sfrecciava nel fresco tepore di quella notte di primavera, i canti dei grilli a salire dai campi attorno a loro che presto si mutarono in dolci colline e fitti vigneti.

Sarebbe stato idilliaco, se non fossero stati in fuga da un massacro.

Zemo non aveva più aperto bocca, il volto ancora pallido e le labbra sempre tese in una linea retta.

Con un po’ più di luce si sarebbe accorto della pupilla minuscola e fissa sul percorso di fronte a loro, ma adesso tutto quello che riusciva a scorgere era la rigidità della sua postura, la forza con cui le mani stringevano il volante e la mascella contratta di tensione ogni volta che i fasci di luce dei lampioni gli illuminavano il volto.

Guidarono ancora per qualche manciata di minuti, poi, mentre attraversavano un agglomerato di case, Bucky decise di rompere il silenzio.

- Dobbiamo fermarci a mangiare qualcosa. -

Zemo si voltò di scatto verso di lui ma non perse la rigidità nei suoi muscoli.

- Con la Polizia plausibilmente alle calcagna? Bravo, ottima idea. - replicò.

Bucky sbuffò, seccato.

- Allora potresti dirmi dove stiamo andando? - cercò di metterlo in difficoltà.

Missione compiuta, Zemo tornò a guardare la strada, l’espressione torva.

- Lontano da Firenze. Non ho ancora pensato ad una meta definitiva. - ammise.

- Ascolta, è quasi un’ora che stiamo guidando. Fermiamoci da qualche parte al volo, prendiamo qualcosa, decidiamo dove andare e poi ripartiamo. Un quarto d’ora di pausa, non di più. Non possiamo guidare tutta la notte senza aver mangiato. Tu per lo meno non puoi. - provò a farlo ragionare.

Zemo si prese qualche secondo per riflettere mentre scalava la marcia e rallentava ad un incrocio.

- Solo un quarto d’ora, poi ripartiamo. - concesse, rendendosi probabilmente conto che dopo il combattimento alla villa era poco saggio continuare a guidare per ore senza mettere niente sotto i denti.

-Guarda se c’è un McDonald’s o qualche altro posto dove prendere qualcosa al volo. - aggiunse.

Bucky fece per recuperare il cellulare dalla tasca dei pantaloni, ma il suo occhio cadde su un’insegna luminosa poco più avanti.

- Quello è un diner. - osservò.

Zemo gli rivolse una strana occhiata, poi, senza aggiungere altro, mise la freccia e abbandonò la strada per entrare nel largo piazzale di fronte all’edificio.

Il piazzale era parzialmente occupato da una serie di tavolini e un grosso cartello, in assenza di parcheggi liberi al livello della strada, indicava di proseguire verso il parcheggio sul retro. Imboccarono la ripida discesa e si ritrovarono in un altro piazzale deserto e poco illuminato.

- Meglio così. - considerò Zemo a mezza voce, più un sussurro a dire il vero.

Tirò il freno a mano e spense il motore e Bucky fu rapido a togliersi la cintura e scendere dall’auto.

Nonostante le decorazioni colorate e le grandi bandiere americane che sventolavano sull’ingresso, il retro del locale aveva davvero qualcosa di inquietante, complice il nulla più assoluto della campagna che li circondava e i cassonetti della spazzatura abbandonati da una parte alla luce aranciata di un vecchio lampione.

Si voltò per seguire Zemo lungo la salita che li avrebbe condotti di nuovo al piazzale principale, ma un dettaglio lo fermò senza che potesse compiere il passo.

- Zemo. - lo chiamò.

Quello gli dedicò uno sguardo interrogativo e vagamente accigliato, ma quando Bucky gli fece segno di controllare il suo viso sembrò capire alla prima e la sua espressione mutò repentinamente.

Si portò le dita alla guancia sinistra e aprì appena la bocca senza che ne uscisse alcun suono quando si rese conto del sangue.

- Ah. Sì, giusto. - borbottò a voce bassa, sfregandosi una manica del cappotto scuro sulla guancia e pulendo alla bene e meglio la scia scarlatta che doveva avervi lasciato la mano di Francesco.

Durò una frazione di secondo, un momento impercettibile, ma a Bucky sembrò di leggere rimorso negli occhi dell’uomo, gli sembrò di trovarvi un sentimento che non avrebbe pensato di poter attribuire a Helmut Zemo.

Così concentrato sul suo volto non si accorse che la mano sporca di sangue aveva preso a tremargli appena e Zemo, ripartito a grandi falcate verso la porta del locale, non gli diede modo di farlo.

Spalancata la porta, entrambi furono per un momento sopraffatti: davanti a loro si trovava un diner in pieno stile anni ’50, interamente tappezzato di bandiere americane, targhe automobilistiche e qualsiasi altra cosa potesse ricordare gli Stati Uniti.

- Stai scherzando. - sibilò Zemo, e il disgusto nella sua voce gli rese impossibile trattenere una piccola risata.

- Se non altro è pittoresco! - fece Bucky superandolo e marciando dritto verso il bancone, mentre dall’esterno il fascio di luce dei fari di una macchina colpiva le vetrate del locale.

- Pittoresco? Una chianina al sangue è pittoresca. Un tagliere di salumi con un buon bicchiere di vino è pittoresco. - si lamentò borbottando come un vecchio radiatore ingolfato, mentre Bucky cercava di non sghignazzare mentre tentava di interpretare il menù.

- Americani. - lo sentì sbottare con vago disprezzo mentre, finalmente, ordinava un menù hamburger per entrambi.

La ragazza dietro al bancone indicò loro quello che evidentemente, per un bastardo scherzo del destino, doveva essere rimasto l’ultimo tavolo senza prenotazione e nemmeno Zemo ebbe la forza di replicare.

Si limitò a rispondere alla giovane con un grazie in Italiano e a marciare scuro in volto verso la destinazione assegnata.

- Continui a trovarlo pittoresco, James? - domandò, prendendo posto al tavolo costruito all’interno di un’automobile. Fortunatamente il tavolo si trovava in mezzo ai due sedili e non sarebbero stati costretti a mangiare fianco a fianco.

Bucky roteò gli occhi e fece per sfilarsi la giacca, bloccandosi appena in tempo nel ricordare che sotto indossava una maglia a maniche corte e un diner pieno di clienti non era esattamente il luogo più adatto dove fare bella mostra di un braccio bionico in vibranio.

Rimasero una manciata di minuti nel più religioso silenzio, entrambi piuttosto a disagio mentre un televisore su una parete trasmetteva video musicali a cui nessuno dei due prestò particolare attenzione.

- Hanno perso questo, nella lotta. -

Bucky fu il primo a rompere il silenzio. Posò sul tavolo la stoffa stracciata con la spilla e attese che Zemo desse un qualsiasi cenno di comprensione. Per sua sfortuna l’uomo non fece altro che accigliarsi.

- Non conosco questo simbolo. - ammise.

Prese in mano la spilla e se la rigirò fra le dita, assorto.

- Un triangolo inscritto in un cerchio, con dentro un quadrato e un altro cerchio. E questo è… un’aquila? - commentò, cercando di decifrare la natura dell’animale alato che racchiudeva il simbolo nel suo ventre.

- E qua sotto c’è una specie di ponte? - aggiunse Bucky, indicando le zampe dell’animale che posavano su un qualche supporto architettonico.

Si scambiarono un’occhiata perplessa e tornarono a guardare la spilla dorata.

- Non conosco nessuna di queste figure, non saprei a cosa attribuirle. - sospirò Bucky, passandosi stancamente una mano sugli occhi.

Zemo scosse la testa.

- L’aquila potrebbe essere un simbolo di forza, il ponte di unione? L’unione fa la forza? - azzardò.

- Pensi a qualche organizzazione come i Flag Smashers? - azzardò Bucky, ma prima che potesse ottenere risposta una cameriera sui pattini a rotelle apparve coi loro vassoi e Zemo fu svelto a far sparire il lembo di stoffa con la spilla, mentre la porta si apriva ed entravano altri clienti.

- Grazie! - azzardò Bucky con i rimasugli dell’orrido Italiano che aveva appreso ai tempi della guerra dagli abitanti delle Alpi.

La ragazza sorrise e si allontanò pattinando, ed entrambi si avventarono sui panini.

- Non saprei, i Flag Smashers mi sembrano un concetto già superato. Gli ideali sono diventati quanto di più effimero l’uomo possa concepire, oramai. I valori etici fluttuano come un battito d’ala di farfalla e nessuno si cura minimamente degli uragani che potrebbero generare altrove. - commentò, tagliente.

- Siamo poetici. - replicò Bucky, nonostante si trovasse in cuor suo a dovergli dare ragione. Una delle cose che più lo avevano messo in crisi del mondo moderno era la sua velocità, il modo in cui fagocitava, consumava e risputava le idee senza nemmeno darsi il tempo di assimilarle.

I Flag Smashers erano stati fermati da appena sei mesi ed erano già diventati inchiostro per le pagine dei libri di Storia.

Ma Zemo già aveva smesso di ascoltarlo, lo sguardo atterrito puntato oltre le sue spalle.

Preso dall’istinto si voltò in quella direzione e lì per lì non vide niente di strano.

- Che cosa hai…? - stava chiedendo, ma la domanda gli morì in gola.

A un paio di tavoli di distanza da loro, in una casualità troppo ironica per non essere stata calcolata, assieme a un gruppo di amici c’erano le due turiste che avevano scontrato quella mattina fuori dagli Uffizi.

- No dai. - disse solamente tornando a girarsi da Zemo e addentando un altro morso del suo hamburger nella speranza di dissimulare la sorpresa e fare finta di niente. Si era accorto che le ragazze li stavano guardando.

- Ti giuro, James, che se ci siamo trascinati dietro due spie perché non hai resistito dal flirtare con loro… - lo minacciò il suo compagno di sventure, la postura composta ma le narici appena dilatate dall’evidente nervoso a stento trattenuto.

- Non stavo flirtando! - ribatté lui sulla difensiva.

- E poi niente ci dice che siano spie. - aggiunse.

- Certo, figurati. Normalissimo che di tutta la popolazione fiorentina, dopo ore da un apparente contatto fortuito, in seguito alla nostra fuga da un attacco omicida dei nostri nuovi nemici, ci ritroviamo ad incontrarci casualmente nella ridente cittadina di… - diede un’occhiata all’indirizzo riportato sulla tovaglietta colorata e lo guardò negli occhi con disprezzo omicida.

- Poggibonsi. -

Bucky alzò le sopracciglia in segno di resa.

- Magari il diner è un’attrazione turistica. - tentò di salvarsi.

- Magari ti sei fatto fregare nel modo più idiota possibile. - continuò Zemo, impietoso.

Bucky incassò silenziosamente e terminò il suo hamburger bevendo qualche sorso di coca cola, ma pochi minuti dopo fu il suo turno di sbiancare.

- Cazzo. - disse solo e fu Zemo stavolta a seguire il suo sguardo verso il televisore.

I video musicali si erano interrotti in quello che sembrava un tg locale, alle spalle della giovane reporter un edificio terribilmente familiare.

- E’ la villa di Francesco. - sussurrò Bucky, portando meccanicamente delle patatine alla bocca.

Zemo trattenne il fiato per un momento.

- Cosa stanno dicendo? - lo interpellò sperando in una traduzione simultanea, anche se era ben consapevole che con tutto il casino del locale non avrebbe potuto sentire niente.

L’attenzione dell’uomo si spostò dunque sulle scritte in sovraimpressione, e prese a tradurre a mano a mano che i titoli scorrevano nella parte bassa dell’inquadratura.

- Assalto omicida a villa medicea… Probabile tentativo di rapina, gli abitanti sono deceduti… Nessun oggetto di valore è stato trafugato, la cassaforte è intatta. Secondo le telecamere di sorveglianza i malviventi… - sbiancò se possibile ancora di più.

- Sono arrivati in taxi e sono fuggiti a bordo dell’auto del padrone di casa. Non si esclude la pista della vendetta privata. -

Bucky rimase immobile, gli occhi sgranati e la mascella serrata.

- Dobbiamo andarcene. - disse solo.

Zemo annuì, la cannuccia della coca cola ancora poggiata sul labbro inferiore. Gettò ancora un’occhiata al notiziario e bevve un ultimo sorso, poi gli fece cenno di alzarsi.

- Andiamo. -

Si sistemò meglio il bavero del cappotto per camuffare i lineamenti, mentre Bucky raccoglieva i vassoi e si nascondeva dietro i bicchieri di coca cola marciando verso l’uscita. In un movimento fluido gettò la spazzatura nel cassonetto e abbandonò i vassoi al punto di raccolta, per poi uscire dalla porta che l’altro gli stava così cortesemente tenendo aperta.

- Ho lasciato la pistola in macchina. Ci stanno seguendo? - sussurrò Zemo mentre scendevano a passi misurati ma veloci verso il parcheggio.

Bucky non osò voltarsi, ma sapeva che la porta si era riaperta dopo che erano usciti. Non disse nulla, gli fece un cenno con la testa e non appena ebbero concluso la discesa si nascose dietro l’angolo offerto dalle fondamenta dell’edificio, Zemo poco lontano pronto ad aprire la portiera.

Ora non poteva fare altro che aspettare, sentiva i passi leggeri avvicinarsi, era questione ormai di pochi secondi.

Uno… due…

- AAAAAH! -

Uno strillo di puro terrore accompagnò il pugno da lui sferrato. Non colpì nulla e la reazione lo sorprese talmente tanto che per un istante abbandonò la guardia.

- Che cazzo fai, sei scemo?! - urlò una seconda voce in Inglese.

- Cosa?! - fece eco Zemo, la pistola puntata verso le due spie, di cui una si era istintivamente rannicchiata a terra per evitare il pugno in vibranio a lei diretto.

L’altra ragazza, quella in piedi, aveva le mani alzate in segno di resa ed alla luce aranciata dell’unico lampione sembrava bianca come un cencio.

- Giù la pistola, veniamo in pace. - esalò mentre la compagna la imitava e si rialzava in piedi con le mani in mostra.

- Chi siete? - sibilò Bucky, consapevole che alle sue spalle Zemo non aveva ancora abbassato l’arma.

Le due si scambiarono un’occhiata veloce prima di rispondere.

- Generale. - disse quella in piedi.

- E Sergente Maggiore. - si presentò l’altra.

- Un po’ giovani per il grado. - criticò Bucky, diffidente.

- Combatto gli alieni da quando ho dodici anni, penso di essermelo proprio guadagnato il grado. E comunque mi sembra che anche il caro Capitan America non fosse esattamente un Capitano a tutti gli effetti. - fece colei che si era presentata come Generale.

- Sentite, non cerchiamo grane, non vogliamo combattere, il mio hamburger starà diventando di gomma mentre parliamo, quindi iniziamo ad abbassare le armi, ok? - intervenne Sergente Maggiore abbozzando un sorriso incoraggiante.

Zemo rivolse un’occhiata dubbiosa a Bucky, ma lentamente abbassò l’arma.

- Perché ci state spiando? - domandò.

- Non vi stiamo spiando! - fece Sergente Maggiore, offesa, mentre Bucky si voltava verso Zemo con un’espressione eloquente.

- Beh, più o meno. - continuò Generale.

- Io e la mia socia siamo membri di un gruppo autonomo di difesa del pianeta. Sicuramente non ci avete mai sentiti nominare, tendiamo a lavorare in basso profilo e non è che gli Americani si siano mai filati particolarmente l’Italia… - spiegò poi.

- Siete dei supersoldati? - domandò Zemo prima che Bucky avesse il tempo di dire qualsiasi cosa.

- Ma che supersoldati! Andiamo avanti a botte di culo e improvvisazione! - rise l’altra ragazza.

I due tornarono a scambiarsi un’espressione perplessa.

- E quindi perché ci avreste pedinati? - incalzò Bucky.

Fu Generale a prendere nuovamente la parola.

- Sono più o meno vent’anni ormai che gestiamo vari attacchi alieni ai danni della Terra. Nei cinque anni di vuoto dopo Thanos ci siamo occupati di un’invasione vera e propria, abbiamo evitato l’ennesima potenziale fine del mondo lavorando per i fatti nostri tanto che gli Avengers erano impegnati a, boh, dissolversi nell’etere e ritirarsi a vita privata? L’America non è l’unica nazione con i suoi… corpi speciali, se li vogliamo chiamare così. -

- Il Governo italiano si è interessato alla nostra esistenza e adesso di tanto in tanto ci affibbiano qualche missione collaterale. A gratis, ovviamente, mai che sgancino due lire. - aggiunse Sergente Maggiore, bilanciando il peso da un piede all’altro.

- Ci sono state strane concentrazioni di energia non indentificata in giro per l’Europa ultimamente. Gli alieni con cui collaboriamo hanno degli apparecchi in grado di captare queste onde energetiche e l’ultimo flusso è stato a Firenze, per questo ci trovavamo lì. - spiegò ancora.

- E poi casualmente ci siamo imbattute nel caro amico di Capitan America. Ti ho riconosciuto subito, ho visto una mostra su di te a New York. - concluse Generale.

- Tu invece scusami ma proprio non ti riconosco. - fece poi all’indirizzo di Zemo.

Quello si accigliò, un poco offeso.

- Quindi state dicendo che questa misteriosa fonte di energia non ben dichiarata è apparsa a Firenze esattamente in concomitanza con il colpo agli Uffizi? - chiese Bucky, confuso.

Le ragazze annuirono.

- Ne abbiamo registrata un’altra a Sud della città, in un’antica villa medicea. Speravamo poteste aiutarci a chiarire la questione. - confessò Sergente Maggiore, mentre Generale accanto a lei incrociava le braccia al petto.

Ci fu un momento di silenzio nuovamente inglobato dal frinire dei grilli nell’aperta campagna attorno a loro, poi Bucky fece un passo in avanti e porse loro la mano in segno di pace.

- Io sono Bucky Barnes, questo con me è Helmut Zemo. - e mentre Sergente Maggiore gli stringeva la mano Generale diede un’occhiata a Zemo, pensierosa.

- Helmut Zemo… - sussurrò, lui palesemente irritato dal fatto che la sua identità fosse stata svelata senza interpellarlo.

- Ah sì, il terrorista di Vienna! E’ vero, ti ho visto al tg. - commentò semplicemente stringendogli la mano e guadagnandosi un’occhiataccia da parte dell’uomo.

- Avete qualche ipotesi sulla fonte di quest’energia? - domandò invece, sondando il terreno.

Le due ragazze scossero la testa e fecero spallucce.

- Dubitiamo sia qualcosa di alieno, le nostre apparecchiature non hanno alcun dato a riguardo. Alla villa… erano gli Wraiths, vero? - fece Sergente Maggiore.

Bucky annuì, torvo.

- Abbiamo combattuto contro di loro. Sembrerebbero umani, se non fosse per… E’ bastata una distrazione e sono letteralmente svaniti nel nulla. -

- Forse usano dei portali. O degli acceleratori di particelle. Qualcosa tipo teletrasporto insomma. La strana energia potrebbe servirgli per attivare questo meccanismo. - propose Generale, ma non sembrava eccessivamente convinta.

- Buchi neri controllati? - azzardò Bucky.

- No, è stata una delle nostre prime ipotesi ma gli apparecchi riconoscono i buchi neri. -

Zemo infilò la mano nella tasca del cappotto e ne fece emergere lo straccetto di stoffa.

- Abbiamo trovato questo. Sapete di cosa potrebbe trattarsi? -

Le ragazze si avvicinarono e Generale accese la torcia del cellulare per guardare meglio. Bucky si gettò istintivamente un’occhiata alle spalle, preoccupato che qualcuno, chiunque, potesse vederli.

- Sembra tipo un simbolo massonico. - sussurrò Generale, passando la spilla alla sua compagna.

- Siete riusciti a scoprire cosa è stato trafugato questa volta? - chiese Sergente Maggiore.

- Un manoscritto del Quattrocento di… Pico della Mirandola? - fece Bucky cercando il supporto di Zemo, non sicuro al cento per cento di ricordare correttamente.

A quel punto entrambe le ragazze alzarono la testa di scatto.

- Ha senso! - esclamarono in coro.

- Pico della Mirandola era un filosofo del Rinascimento. All’epoca erano fissati con la Cabala e l’Alchimia, robe magiche, insomma. E’ assurdo ma spiegherebbe le fonti energetiche. Se non sbaglio Pico della Mirandola era particolarmente affascinato dal rapporto fra spazio e tempo… - fece Generale, pensosa.

- Quindi potrebbero effettivamente aprire dei portali spaziotemporali. Non è tecnologia ed è per questo che gli apparecchi non la riconoscono. - le fece eco Sergente Maggiore.

- State dicendo che gli Wraiths sono dei maghi? - Bucky non riuscì a trattenere la sua perplessità, mentre Zemo portava una mano a sorreggersi il mento, l’indice posato sulle labbra con fare pensoso.

- Alchimisti… - lo corresse.

- Spiegherebbe il furto alle Stark Industries. - fece poi.

- Hanno rubato alle Stark Industries?! - esclamò Sergente Maggiore, ma Zemo preferì tenersi il resto dell’informazione per sé e annuì senza aggiungere altro.

- Dobbiamo sapere dove colpiranno, o dove si riuniscono. - incalzò Bucky, facendosi riconsegnare la spilla e infilandola nuovamente in tasca.

Le due giovani fecero spallucce ancora una volta.

- Ci sono decine di città europee legate al concetto di cabala e magia. Napoli, Torino… La stessa Roma… - incominciò Generale.

- Oppure Londra, Parigi, Praga… Forse decifrando quel simbolo potreste scoprire qualcosa di più. - aggiunse Sergente Maggiore.

- Purtroppo noi siamo legate ai confini italiani, il Governo perde giurisdizione altrove e ora come ora non possiamo proprio prendere ferie sul lavoro… - spiegò la collega.

- Voi eroi lavorate? - si lasciò sfuggire Zemo, sinceramente incuriosito.

 La ragazza rise amara.

- Eroi è un concetto molto americano di vedere la cosa. Ai tempi ci definirono intraprendenti universitari, poi ci diedero una pacca sulla spalla e tanti saluti: in qualche modo dovremo pur portare il pane in tavola, no? E in ogni caso non siamo eroi, non abbiamo armature o super sieri o altre stranezze. Non immaginateci come gli Avengers, siamo quanto di più distante da loro possa esistere. - spiegò.

Zemo le rivolse il primo sorriso amichevole dell’intera conversazione.

- Affascinante. - disse soltanto.

La ragazza guardò altrove, seccata.

- Una gran bella merda, fidati. - replicò mentre l’amica ridacchiava al suo disfattismo.

- Comunque vi conviene andare, se hanno tracciato la targa della macchina siete fottuti. - suggerì saggiamente.

- Ah, cazzo, è vero! - si lamentò Bucky voltandosi verso l’auto con la portiera ancora spalancata.

- Generale, non credi che sia il caso di…? - azzardò criptica Sergente Maggiore.

La ragazza sbuffò fintamente scocciata.

- Ma sì, aiutiamo il terrorista internazionale e l’ex killer potenziato a fuggire dalla giustizia, cosa mai potrebbe andare storto? - si concesse un sorrisetto andando a recuperare qualcosa nella sua borsa di pelle.

Bucky si aspettava che ne facesse emergere un’arma o qualche congegno per camuffare la loro identità e si ritrovò un pochino deluso quando vide che si trattava di una semplice penna rossa.

- Gentile concessione dei nostri amici alieni. Lavoreremo anche in basso profilo, ma un aiutino di tanto in tanto ci vuole. - spiegò, scribacchiandosi qualcosa sulla mano.

Prima che gli altri due avessero il tempo di capire che cosa stava succedendo, davanti a loro apparve come dal nulla una sorta di grande adesivo rettangolare.

- Una targa adesiva? Non potevi inventarti qualcosa di più fico? - la prese in giro Sergente Maggiore mentre la compagna tornava a incrociare le braccia al petto, ferita nell’orgoglio.

- Fossi in voi brucerei quell’auto il prima possibile, ma nel frattempo questo potrebbe bastare a fregare le telecamere. Non mi è venuto in mente altro di così rapido. - spiegò.

- Tecnologia aliena! - le fece eco l’amica muovendo le dita come se si fosse trattato di una magia.

- Grazie per il vostro aiuto. -

Bucky, che si era inginocchiato a sistemare la targa fasulla, si voltò di scatto verso Zemo. Non gli era sembrato che ci fosse scherno in quella frase, né il sentore di una bugia.

- Grazie a voi, è stata una chiacchierata fruttuosa. - sorrise allegra Sergente Maggiore, minimamente intimidita dalla potenziale minaccia dell’uomo di fronte a lui.

Bucky si rialzò in piedi e strinse loro le mani.

- Buon proseguimento, colleghe. - scherzò beccandosi un’occhiataccia da parte del suo compagno di fuga.

Le altre due risero piano e Generale strappò un pezzo di carta da un quadernino che aveva in borsa.

- Per piacere aggiornateci se scoprite qualcosa che potrebbe interessarci. - fece, consegnando a Bucky il foglietto con i loro numeri di cellulare scritti sopra in grafia frettolosa.

Non attesero oltre, si congedarono con un cenno della mano e risalirono velocemente la stradina che portava al diner.

- Le patatine saranno diventate cartone! - le sentirono lamentarsi prima che uscissero definitivamente dal loro campo visivo.

- Comunque non erano spie. - sentenziò immediatamente Bucky.

Zemo gli rivolse un’occhiata di fiele e tornò a sedersi in macchina, sbattendo la porta, ma Bucky riuscì comunque a intravedere un angolo della sua bocca alzarsi verso l’alto.

Controllò velocemente che le targhe finte, perfettamente aderenti al supporto, adempissero al loro compito e poi prese posto accanto a lui e allacciò la cintura mentre Zemo per la seconda volta in quell’assurda serata metteva a posto la pistola e premeva sull’acceleratore.

- Non abbiamo deciso dove andare. - gli fece notare Bucky dopo qualche minuto di guida silenziosa.

Zemo sospirò e si sistemò il ciuffo che gli era caduto davanti agli occhi.

- Conosco una persona a Roma esperta di simbologia occulta. Una professoressa alla Sapienza. Potrebbe esserci d’aiuto. E ha un jet. - aggiunse.

Bucky alzò le sopracciglia e inclinò appena la testa in segno di ammirazione. Di sicuro quell’idea sarebbe piaciuta a Sam.

Prima che Zemo potesse aggiungere qualcos’altro, tuttavia, il cellulare di Bucky prese a vibrargli insistentemente nella tasca.

- Merda. - sibilò, leggendo il nome sul display e presagendo grane in arrivo.

- Pronto, Shuri? -

Poco ci mancò che Zemo inchiodasse.

- Bucky, amico mio, luce dei miei occhi! - esclamò la ragazza dall’altra parte della linea.

- Oggi è una settimana precisa precisa da quando ci siamo salutati! - cinguettò allegra, e Bucky sentì il brivido salirgli su per la schiena.

- Ehm, sì? - azzardò, Zemo accanto a lui che continuava a lanciargli occhiate preoccupate.

- Bene, allora mi spiegheresti com’è che in sette giorni siete già ricercati dalla Polizia italiana?! Quando ti ho permesso di lavorare con Zemo non mi aspettavo esattamente questo risvolto! - lo rimproverò, la ramanzina resa ancora più imbarazzante dal tono scanzonato.

- Shuri, è stato un incidente, noi non… - ma la ragazza lo bloccò.

- Certo sì, ti dico solo che Ayo sta passando in rassegna le sue armi migliori. Anche darle il via libera per riportarmi la testa di Zemo su una picca potrebbe essere un incidente. - continuò come se niente fosse.

- Almeno avete novità? Sam mi ha detto che state seguendo due piste diverse. -

Bucky sospirò: sapeva di averla scampata per quella volta, ma la telefonata era un evidente avvertimento.

- Abbiamo avuto un incontro con gli Wraiths. Ora stiamo andando a Roma in cerca di indizi, Zemo dice che una professoressa potrebbe aiutarci a scoprire qualcosa sulla nostra pista. -

Sentì Shuri prendersi il suo tempo per incamerare quelle informazioni e riuscì a immaginarla sedersi svaccata sul trono o dovunque si trovasse.

- Passami il tuo sorvegliato. E Bucky, non cacciatevi nei guai più di quanto non ci siate ora. - fu l’ultimo ammonimento.

La salutò brevemente e passò il cellulare a Zemo. Non riuscì a sentire quello che la regina gli stava dicendo, ma Zemo annuì un paio di volte e concluse con un “ma certo” che portava con sé il peso di una lieve minaccia appena incassata.

Gli restituì il cellulare e sbuffò appena.

- Il fatto che la nostra garanzia siano quelle due ragazze del diner non mi piace per niente. - confessò, probabilmente riferendosi a qualcosa che gli aveva detto Shuri. Bucky non si sarebbe stupito se in Wakanda avessero saputo di quel sedicente gruppo autonomo di eroi italiani, o come diamine preferivano farsi chiamare.

Tacque una manciata di secondi, pensieroso, poi diede voce ai suoi dubbi.

- Non avevo mai sentito parlare di loro. Com’è possibile che lavorino da vent’anni e nessuno ne sappia nulla? -

Zemo fece spallucce, svoltando e imboccando una strada che saliva verso le colline.

- Hai sentito, operano in basso profilo. Chissà quante altre cellule come loro ci sono nelle varie nazioni di cui non sappiamo nulla. -

Bucky si sedette meglio e voltò il capo verso di lui.

- Zemo, non sono super soldati. - ci tenne a mettere in chiaro, ma la reazione dell’uomo lo spiazzò.

Zemo sorrise, una luce quasi divertita negli occhi, lontanissima dal modo in cui parlava degli Avengers o di Karli Morgenthau e i suoi seguaci.

- Sì, lo hanno messo bene in chiaro. - poi si concesse un altro risolino, e fra lo scherno generale Bucky captò anche una vena di strana ammirazione.

- In ogni caso saranno anche efficaci, ma sono troppo caotiche per i miei gusti. Non qualcuno su cui poter fare affidamento. - si affrettò a tornare al suo solito personaggio, la compostezza di sempre di nuovo esercitata senza sforzo.

Bucky scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.

- Non sei tu il capo. - disse solo.

Zemo gli scoccò un’occhiata obliqua e Bucky sogghignò, voltandosi verso il finestrino dove la campagna toscana sfrecciava veloce e le stelle si avvicendavano nel firmamento attraverso la notte.

Erano già le undici passate e all’incirca tre ore di guida li separavano da Roma.

Qualunque cosa li aspettasse nella capitale italiana, avrebbe fatto bene a riposarsi un poco.

 

   
 
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