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Autore: mercutia    26/06/2021    1 recensioni
L'esperienza in Caerdicca Unitas ha cambiato Imriel, ma ha solo parzialmente rimosso la tensione dal suo rapporto con Phèdre. Per quanto sia felice di riaverlo a casa, a pochi mesi dal suo ritorno è chiaro che ancora tra loro esistano questioni in sospeso, attriti spinosi e ingombranti che solo una persona al mondo dice di poter dissipare. Con questa promessa Mélisande Shahrizai rientra improvvisamente nella vita di Phèdre, proponendole un patto controverso per quanto irrinunciabile.
A dodici anni di distanza la prescelta e l'erede di Kushiel si ritrovano faccia a faccia: chi delle due avrà la meglio nel loro eterno duello d'amore e d'odio?
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La storia è narrata dal punto di vista di Phédre anche se si colloca nella seconda trilogia, per la precisione dopo "Il sangue e il traditore", di cui però ignora il finale in cui Imriel decide di leggere le lettere di sua madre.
[fanfiction Phédre/Mélisande]
[piccoli spoiler fino a "Il sangue e il traditore"]
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Imriel nó Montrève de la Courcel, Joscelin Verreuil, Mélisande Shahrizai, Phèdre nó Delaunay, Ysandre de la Courcel
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Bondage
Capitoli:
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Fu difficile persuadere l'ostinazione di Joscelin a lasciarmi tornare sola da Mastro Louis, o meglio "da lei", come aveva sottolineato lui per tutta la discussione che precedette la mia partenza, rischiando di farmi tardare. E mentre la carrozza percorreva la strada che mi riconduceva alla villa dello scultore, mi chiedevo se davvero alla fine avesse desistito o piuttosto mi stesse stupidamente seguendo nascondendosi tra la rada boscaglia che ricopriva quelle colline. Pregavo con tutto il cuore che non fosse stato tanto scellerato da rischiare di compromettere tutto solo per quella cocciutaggine che nascondeva dietro i suoi giuramenti, ma lo conoscevo abbastanza bene da sapere che era là fuori e, lo ammetto, un po' in realtà il pensiero mi rincuorava, mentre sentivo il mio dannato corpo fremere alla sola idea che stavo per rivedere lei, Mélisande Shahrizai. 
La trovai ad attendermi nella veranda dove ci eravamo incontrate il giorno prima, seduta su una poltroncina davanti al colonnato dall'altra parte della stanza a guardare il panorama, la vidi di tre quarti da dietro quando entrai scortata da Marcel e mi bloccai. Lei si girò a guardarmi lentamente solo quando sentì la porta che si richiudeva a lasciarci sole. Io ero ancora lì, ferma a fissarla, spaventata dai battiti che già stavano percuotendo il mio petto. 
«Accomodati, Phèdre.»
Non farlo avrebbe significato palesarle lo stato d'animo in cui mi aveva gettata, per questo feci un sospiro, quindi mi avvicinai, pur sapendo che quella sensazione di precarietà che sentivo poteva solo acuirsi e pendere via via verso qualcosa che temevo di non poter controllare. I suoi occhi seguirono ogni mio movimento, ansiosi da un lato, predatori dall'altro. Avrei voluto fuggirli, ma non potevo, se volevo dimostrare, come avevo millantato con Joscelin, di essere in grado di tenerle testa e poter dettare le mie regole. 
«Ebbene?» mi chiese non appena mi sedetti davanti a lei. 
Elua! Quanto poteva essere velenosa la bellezza di un viso? Lo osservavo solo da pochi istanti, eppure già mi strappava via attenzione e lucidità, obbligandomi alla contemplazione. 
«Qual è il responso della tua riflessione?»
La sua voce mi riscosse, chiusi gli occhi un momento e presi un respiro per recuperare tutta la concentrazione e la freddezza di cui avevo bisogno. 
«Accoglierò la vostra richiesta, a patto che accettiate le mie condizioni.»
Mi soppesò qualche lungo istante, poi disse calma «Sentiamo.»
«Innanzitutto se, come credo, avete già in mente qualcosa, voglio sapere dove e come avverrà l'incontro.»
Mélisande attese che aggiungessi altro e al mio silenzio chiese «Tutto qui?»
«Certo che no. Ma rispondete a questo intanto.»
A quel punto fece un'espressione che non riuscii a decifrare, quindi sospirò e infine annuì. 
«Qualcosa in mente ce l'ho» disse guardandomi pensierosa, per poi distogliere lo sguardo da me e posarlo nuovamente sul panorama fuori. 
«Trattandosi di quello che potrebbe essere il mio ultimo giorno di libertà in terra angeline, ho in mente di celebrarlo, quasi fosse il Solstizio d'Inverno, ma per soli servi di Naamah. Oltre a me, te e Imriel, naruralmente.»
«Scherzate?» la interruppi trovando assolutamente fuori luogo l'idea. 
«Non molto distante da qui c'è la villa di campagna di Lord Sigàn, ne avrai sentito parlare» continuò lei come se io non avessi aperto bocca «Le feste che vi si tenevano erano piuttosto famose, prima che lui cadesse in rovina.»
Tornò a guardarmi, chiaramente attendendo che io confermassi di conoscerlo. Avrei voluto replicare diversamente, ma sapevo che di nuovo mi avrebbe ignorata, quindi mi limitai ad annuire. 
«Mastro Louis ha in concessione la villa a causa dei numerosi debiti che Sigàn ha verso di lui per opere commissionate e mai pagate. Quello sarebbe il luogo ideale.»
«Mélisande, ve lo chiedo di nuovo, state scherzando, vero?»
«No, Phèdre. Quella che ho in mente è una festa in maschera, che celi l'identità dei partecipanti una volta entrati. Non ci saranno temi, né costumi sfavillanti, ma la stessa maschera e lo stesso mantello che tu farai indossare a ogni partecipante all'ingresso.»
«Io?»
«Sì, tu sarai la madrina della serata. Chi se non te potrebbe organizzare una festa in onore di Naamah? Invierai una lettera al priore di ogni casa della notte, invitandolo a scegliere i suoi due adepti migliori, uno per sesso. Chiederai loro la massima discrezione, in modo che tu sia la sola a conoscere l'identità di tutti loro. 
Una volta giunti alla villa, separatamente, protetti dall'anonimato di maschera e mantello, saranno gli ospiti del tuo ricevimento, liberi, per una notte, di servire non la loro casa, non un patrono, ma soltanto Naamah e il loro piacere.»
Continuò ancora, scendendo nei dettagli mentre io la osservavo e ascoltavo allibita. Quando concluse la meticolosa spiegazione, non potei far altro che chiedere «Perché?»
Mélisande sorrise senza guardarmi e attese un po' prima di rispondermi. 
«Per Imriel.
La festa sarà in realtà per lui. 
Tutti quegli adepti il suo terreno di caccia. Una caccia libera, senza costrizioni, né vincoli, senza giudizi, né stereotipi. Sarà il campo in cui poter mettere in atto quanto gli trasmetterò durante il nostro precedente incontro, che dovrebbe avvenire almeno dalla mattina del giorno stesso.
Nessuno dovrà sapere della sua presenza. Maschera e mantello gli permetteranno di mimetizzarsi agli ospiti dandogli modo di esprimersi in totale libertà.»
«Ma voi e io non saremo presenti?»
«Sì. 
Ma fino ad un certo punto. 
Poi ci ritireremo.»
L'azzurro dei suoi occhi si pose su di me prima di proseguire. 
«A te scegliere come, se insieme oppure separatamente.»
Mi ci volle un'eternità per liberarmi dal languore che quella frase aveva riversato in me. 
Quando ne venni fuori dissi solo «Voi siete folle.»
«Folle? Per quale ragione?» la sua espressione era sinceramente stupita. 
«Avete una condanna a morte che vi pende sulla testa. Non avete nessun diritto di essere qui, dovreste preoccuparvi solo di non essere scoperta e voi invece volete partecipare a una festa?»
Mélisande tornò a guardare fuori. 
«Il nascondiglio migliore è sotto la luce del sole. Non dirmi che Delaunay non te l'ha insegnato.» 
Lo aveva fatto.
«È una follia.» replicai comunque. 
Mélisande sorrise, non divertita, semplicemente serena. 
«Cosa ti spaventa?»
«Il fatto che qualcuno vi riconosca, ovviamente.»
«E come potrebbe? Andiamo. Tu sei la causa della mia condanna a morte, del mio esilio e di ogni mio piano andato in fumo. Chi mai potrebbe pensare che sia io la tua accompagnatrice? Qui. Ora. 
E anche se proprio fosse, non dirmi che non hai intenzione di far sorvegliare la villa per assicurarti che io o chiunque altro se ne vada prima del dovuto.»
La guardai stranita. Quella era una delle mie condizioni. L'aveva prevista. Questo significava che davvero aveva intenzione di mantener fede al patto. O che sapeva come eluderlo comunque. 
«Credevi che non avrei immaginato volessi prendere misure di sicurezza?» domandò guardandomi ironica. 
«Dovendo mantenere segreta la vostra presenza, pensavo vi sareste opposta.»
«La festa sarà un'ottima scusa per chiedere a chicchessia di prestare servizio di guardia. Come avresti potuto farlo altrimenti?»
Era effettivamente un punto sul quale io e Joscelin ci eravamo riservati di riflettere meglio. 
«Dunque mettere qualcuno di guardia alla zona era un'altra delle tue condizioni, suppongo.» disse coprendo il silenzio. 
Annuii con un po' di imbarazzo. 
«Accolta. 
C'è altro?»
Come diamine riusciva a mettermi sempre in debito? Pensavo di avere il coltello dalla parte del manico e invece la sensazione che avevo era quella di chiedere un favore. Feci mente locale e cercai di risollevare il mio animo. 
«Non… » quello che mi uscì fu appena un fiato, al che mi schiarii la voce e ripresi imponendomi tutta la risolutezza che potevo «Mi avete parlato con cura della festa, ma non mi avete detto praticamente nulla dell'incontro privato che volete avere con Imriel.»
«Si terrà alla villa di Lord Sigàn, inizierà almeno la mattina del giorno della festa. Non ti serve sapere altro.»
«Cosa mi serve sapere è una decisione che spetta a me.»
«Ad esempio?»
Indugió lo sguardo incuriosito su di me. 
«Cosa… Come… » balbettai. 
Nemmeno io sapevo cosa chiedere del loro incontro. Elua! Non ero nemmeno certa di voler sapere qualcosa di quello che gli avrebbe detto!
«Ciò che avverrà tra me e Imriel durante il nostro incontro non ti è dato saperlo. Se te ne vorrà parlare lui in seguito, sarà libero di farlo. Per quel che riguarda me, ciò che abbiamo da dirci è soltanto affar mio e di mio figlio.
C'è altro?»
Rimasi interdetta qualche momento e poi cambiai argomento. 
«Il vostro… tuttofare… sarà presente?»
Mélisande annuì. 
«Che ruolo avrà?»
«Sarà l'addetto alla cucina e il solo servitore della serata. Un ruolo sicuramente impegnativo, ma non accetterei l'ingresso nella villa e ancor di più nella sala del ricevimento a nessun altro.»
«Nemmeno a Joscelin?»
Sorrise, divertita questa volta. 
«Oh, il tuo cassiliano può entrare. 
Non credo però che uno come lui gradirà ciò che potrebbe vedere.»
E anche questo ero vero. 
«Potrebbe eventualmente controllare quello che il vostro tuttofare fa in cucina. Ci avete drogato una volta, non accadrà una seconda volta.»
Mélisande rise brevemente. 
«Non ho intenzione di drogare, né avvelenare nessuno. Ma controllate pure quello che volete. Il tuo cassiliano può anche mettersi ai fuochi in persona, per quel che mi riguarda.
C'è altro?»
«Quando finirà la festa?»
«All'alba. Naturalmente. Nessuno potrà lasciare la villa prima del sorgere del sole. Nessuno tranne Imriel, ovviamente. Non sarà costretto a far nulla che non voglia. 
E nemmeno tu. 
Se non vorrai… restare per la notte… sarai libera di andartene.»
La malizia nei suoi occhi mi divorava. Avrei voluto sapere cos'aveva in mente per me, ma non era il momento. Dovevo cercare di non pensarci, dovevo restare lucida. Cambiai quindi velocemente argomento. 
«Io… Io e Joscelin dovremo perlustrare la villa prima della festa. Ogni sua stanza.»
Annuì lenta. 
«Te lo avrei proposto io, se non me l'avessi chiesto tu.
Possiamo andare oggi stesso. 
Faccio entrare il tuo cassiliano? Lo abbiamo trovato qua fuori.»
Mi si gelò il sangue. Spalancai gli occhi e mi affrettai a dire «Vi giuro che gli avevo detto di non seguirmi!»
Sollevò le labbra in un sorriso rassicurante. Giuro. Rassicurante. 
«Lo so.
Ma sapevi che non ti avrebbe obbedito. Così come lo sapevo io. 
Ad ogni modo non preoccuparti. 
Per questa volta.» 
La pausa che si prese prima dell'ultima frase enfatizzò la straordinaria concessione. 
«Posso solo immaginare quanta voglia avesse di rivedermi» continuó poi con un sorriso ironico. 
Mentre io cercavo di capire se davvero ci perdonava la trasgressione e se quindi potevo rilassarmi, Mélisande suonó la campanella che aveva usato il giorno prima per chiamare Marcel. Sussultai anche quella volta, poi mi voltai a vedere la porta che si apriva mostrandoci l'inchino del domestico sulla soglia. 
«Fai entrare l'ospite» ordinó Mélisande. 
Joscelin entrò poco dopo, tallonato da un uomo sconosciuto. 
«Mi dispiace, Phèdre» mi disse subito contrito. 
Non aveva la cintura con i pugnali, notai. Le sue mani erano dietro la schiena, legate probabilmente. Tuttavia non vedevo segni di colluttazione, né in lui, né nell'altro uomo. 
«Non usa salutare, cassiliano?» lo apostrofò Mélisande. 
Per tutta risposta lui si limitò a guardarla torvo. Lei sollevó un angolo della bocca e poi con un lento gesto della mano gli fece cenno di avvicinarsi. Lo sconosciuto si fece avanti, invitando Joscelin a camminare davanti a lui, mentre alle loro spalle Marcel restava sulla porta. 
«Il tuo cassiliano» disse Mélisande tornando a guardare me, quando i due uomini furono davanti a noi «ha già avuto modo di conoscere il mio fidato Emeric.»
Lo sconosciuto si inchinò profondamente guardandomi però con attenzione. Lo osservai a mia volta. Aveva tratti decisamente particolari, da tsingano, ma non angeline. Non era bello, nemmeno affascinante, i suoi lineamenti erano severi, bruschi. Non doveva avere più di 40 anni. Non avrei saputo assolutamente dire da che parte del mondo potesse provenire: il colore della sua pelle era olivastro, gli occhi erano chiari, i capelli neri folti e incredibilmente ricci. Sembrava un misto di qualsiasi razza avessi mai visto. 
«Mi dispiace vedere che Emeric ti abbia dovuto legare le mani.» proseguì Mélisande rivolta a Joscelin «Mi auguro con sincerità che il vostro incontro non sia stato troppo brutale, ma capirai che ha fatto solo il proprio dovere. Tu non dovevi essere qui.»
«Phèdre non c'entra, è stata una mia iniziativa!» specificó lui con foga. 
«Lo so perfettamente. 
Che sia l'ultima. 
Mi fido della parola di Phèdre e della sua intelligenza. Non posso dire altrettanto di te, ma lei sarà responsabile anche per le tue azioni. Cerca quindi di ponderarle meglio d'ora in poi. 
Posso farti slegare senza temere conseguenze?»
Joscelin cercó il mio sguardo, io lo ricambiai e risposi per lui. 
«Farà quello che gli verrà chiesto, vi do la mia parola.»
Mélisande annuì verso Emeric. Un attimo dopo le mani di Joscelin erano libere.
«Phèdre mi ha chiesto di vedere la villa in cui avverrà l'incontro. Se non avete nulla in contrario possiamo andare oggi stesso.»
Annuii mentre Joscelin mi osservava spaesato. 
«Solo una cosa, prima. 
Marcel, avvicinati pure.»
Attese che il domestico ci fosse vicino poi continuò. 
«Mastro Louis vorrebbe sapere se poserai ancora per lui. Cos'hai deciso?»
«Lo farò» risposi. 
Marcel annuì prostrandosi verso di me in un inchino immagino di ringraziamento. 
«Posso farlo chiamare ora?» chiese la voce di Mélisande. 
«Per posare?» domandai come una stupida, girandomi di scatto verso di lei mentre cominciavo a intuire dove volesse andare a parare. 
«Beh, sì. Ha bisogno di rivederci insieme.»
Sentivo gli occhi di Joscelin addosso. La sua gelosia che si scaldava. Di fronte a me Mélisande percepiva di certo lo stesso e ne gongolava. 
«No.» dovetti rispondere «Non oggi.»
Non l'avrei mai fatto davanti a lui: nemmeno posare poteva avere un minimo di innocenza se lo dovevo fare insieme a lei. Per quanto me ne vergognassi e per quanto fosse evidente il significato di quel rifiuto, non potevo fare altrimenti, pur sapendo che Joscelin ne avrebbe comunque sofferto, come la contrazione della sua mascella mi confermó. E purtroppo quella non fu che la prima scoccata che Mélisande si divertì a infliggergli da quel momento in poi.




Note dell'autrice
Dai, se hai letto fin qui sta storia così schifo non ti farà. Oppure sì, ma t'intriga abbastanza da sopportarlo.
Fai il tuo atto di gentilezza quotidiano, lascia un commento oppure scrivimi e dimmi che ne pensi o anche solo che ci sei.
Un piccolo passo per te
Un grande passo per la mia felicità.

Ad ogni modo, grazie

   
 
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