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Autore: CedroContento    30/06/2021    4 recensioni
[Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Beh, i vermi mica se ne fanno niente delle monete, era un peccato lasciarle lì. E poi fa sempre comodo avere un po' di contante in più nascosto da qualche parte - lo dico sempre anche a Gimli - per le emergenze, sia chiaro. Non si sa mai.”
 
Gloin

  

 
Bilbo aveva deciso che vedere una caverna troll non lo incuriosiva poi più di tanto. 
Anche solo stando all'imboccatura della galleria poteva sentire un odore terribile di qualcosa di putrido salire dal basso, per non parlare dello sciame di mosche che si agitava sopra una massa informe; somigliava in maniera raccapricciante alla carcassa di qualche animale, Bilbo cercò di non pensare al povero fattore. 
“No,” decise, preferendo allontanarsi, mentre invece Gandalf, Thorin, Bofur, Gloin, Nori e Dwalin lo superavano tenendo sollevate due torce accese, pronti all’esplorazione. 
Per quanto riguardava Bilbo le emozioni che aveva provato durante la folle notte appena trascorsa gli sarebbero bastate per un po'. Non gli rimaneva che aspettare che tutti quelli che erano scesi a caccia di tesori riemergessero. Illesi, si augurava.
Si sedette accanto a Balin, i modi di fare tranquilli del nano e la sua saggezza erano quello che gli ci voleva in quel momento, si sentiva ancora tutto sottosopra. 
Non poteva credere di essersi ritrovato faccia a faccia con un troll enorme e orrendo e di essere sopravvissuto per poterlo raccontare. Ad essere onesto non riusciva nemmeno a capire da dove avesse tirato fuori il coraggio per fare quello che aveva fatto; forse lo doveva al senso di colpa per aver fatto catturare tutti.
Aveva agito in modo sciocco, mettendo l'intera compagnia in pericolo e i nani non avevano esitato un momento a battersi per salvarlo, gliene era infinitamente grato, ma si sentiva anche terribilmente in dovere nei loro confronti. 
L'unica cosa positiva era che i pony almeno erano salvi.
“Smetti di torturati, Bilbo,” disse Balin, intuendo perspicacemente quello che passava per la testa de lo hobbit.
“Sapessi quante ne ho combinate io quando ero più giovane, molto molto tempo fa,” ammiccò.
Bilbo sorrise mestamente, non sapeva nemmeno trovare le parole per dire quanto fosse dispiaciuto per il suo errore di valutazione. Per la vergogna non era quasi neanche riuscito a trovare il coraggio di guardare in faccia Thorin, poco prima. 
“Quindi non pensi che gli altri ce l'abbiano con me?” chiese. 
“Ma certo che no! Noi nani abbiamo tanti difetti, ma non portiamo rancore per queste cose,” disse il nano. “E poi siamo tutti qui no!? Smetti di preoccuparti, se ne saranno già dimenticati”.
Bilbo cercò di convincere sé stesso che Balin avesse ragione; non gli sarebbe spiaciuto allentare un po' il nodo che sentiva dentro. 
“Forse, l'unico che fa eccezione è Thorin. Lui è imprevedibile in queste cose, ha la memoria lunga. Sai, ha questa tendenza a legarsi tutto al dito,” aggiunse dopo un po' Balin, scuotendo la testa sovrappensiero. 
Bilbo sentì il cuore sprofondare, era la cosa peggiore che potesse dirgli! Lui voleva piacere a Thorin, ed era già abbastanza difficile provare a riuscirci così. 
“Bilbo!” lo chiamò Gandalf proprio in quel momento, riemergendo dalla caverna troll. 
“Tieni, è più o meno della tua misura,” disse lo stregone, porgendogli un lungo pugnale.
Bilbo prese l'arma, in mano sua sembrava proprio una vera e propria spada, sorprendentemente leggera e maneggevole. Non ne aveva mai tenuta in mano una, non così bella per di più: la lama, la cui forma ricordava quella di una lunga foglia, era incisa con una linea sinuosa e delicata; l'impugnatura era decorata con un motivo a spirale, a richiamare a sua volta un ramo di edera rampicante.
“Non posso accettarla,” disse. 
In quel momento, con l'amor proprio sotto i piedi, non sentiva affatto di essere qualcuno che meritasse di ricevere un dono simile. 
“Sono stati gli elfi a farla, elfi di Gondolin”.
Bilbo ricordava di aver letto un libro riguardo quell’antica città segreta degli elfi, con la sua bianca torre e le bianche mura. 
“Quando orchi o goblin sono nelle vicinanze la lama diventa blu,” spiegò lo stregone, senza fare il minimo accenno a riprendersi la spada che Bilbo gli stava restituendo. 
“Non ho mai usato una spada in vita mia,” replicò lo hobbit, arricciando la bocca disturbato dal fatto che Gandalf lo stesse così palesemente ignorando.
Bilbo gli voleva un mondo di bene, ma qualche volta era irritante. Perché doveva sempre fare così? 
“E spero che non dovrai mai farlo. Ma in caso ricorda questo: il vero coraggio si basa sul sapere non quando prendere una vita, ma quando risparmiarla.”
Bilbo rigirò quella frase nella sua mente, non era certo di aver capito cosa intendesse dire l'amico stregone. Ancora non sapeva che avrebbe sperimentato sulla sua pelle cosa significasse quell'insegnamento, non molto tempo dopo. 
Thorin si avvicinò a loro, osservando Bilbo con la spada in mano.
Lo hobbit lo vide alzare un sopracciglio cercando, senza troppo impegno, di trattenere un'aria divertita. Già mortificato, si preparò ad incassare lo scetticismo del nano, ma il suo commento non arrivò. 
Thorin si irrigidì e la sua mano scattò veloce all'elsa della spada che aveva al fianco, allarmando per un momento Bilbo che aveva stupidamente pensato che ce l'avesse con lui. 
“Arriva qualcosa!” diede l'allarme Thorin, guardando il bosco. 
In un baleno tutti i nani, Gandalf e Bilbo si strinsero in un gruppo compatto, in posizione di difesa, ognuno con la propria arma stretta in pugno.
Perfino lo hobbit strinse la propria spada nuova. Si sentì incredibilmente goffo e ridicolo, era contento che Thorin fosse di spalle, così che non potesse vederlo. 
Se Gandalf aveva detto il vero riguardo a quella spada chiunque fosse in arrivo non era né un orco né un goblin, perché la lama non aveva cambiato colore. Questo non impedì al cuore de lo hobbit di battere all'impazzata per l'apprensione, aveva appena imparato che c'erano altri nemici terribili anche escludendo quelle due razze. 
Effettivamente quello che sbucò dagli alberi non era un orco o un goblin, e non sembrava nemmeno molto minaccioso, era più bizzarro che altro. 
Bilbo aveva davanti agli occhi una slitta trainata da lepri enormi. L'uomo strano che la conduceva sembrava agitato e confuso.
“Ladri, fuoco, assassinio!” sbraitava in maniera incoerente.
Bilbo storse il naso, notando che quelli che avevano proprio l'aria di essere escrementi di uccello gli imbrattavano la punta del cappello e buona parte dei capelli, se si potevano chiamare capelli quell'ammasso grigio e stopposo. 
“Radagast!” esclamò Gandalf, riconoscendo quello che altri non poteva essere che un suo amico. Quelli strani li conosceva tutti lui.
“È Radagast il Bruno,” spiegò lo stregone grigio al resto della compagnia.
Bilbo avvertì la tensione sciogliersi man mano che ognuno riponeva la propria arma e tornava alle proprie faccende, ovvero spartirsi il bottino dei troll.
“Cosa ci fai qui?” chiese Gandalf. 
“Ti stavo cercando, Gandalf” rispose Radagast concitatamente. “C'è qualcosa di sbagliato, qualcosa di terribilmente sbagliato!” 
“Sì…?” lo incalzò Gandalf, in attesa.
Improvvisamente però Radagast sembrava aver dimenticato cosa avesse di così urgente e importante da dire. Assunse un'espressione perplessa. 
“Oh!” esclamò sconsolato. “Avevo un pensiero ed ora l'ho perso. Eppure ce l'avevo qui, proprio sulla punta della lingua,” farfugliò.
Bilbo cominciò a chiedersi se quello fosse realmente lo stregone di grande valore, sapiente e intelligente, di cui gli aveva parlato qualche volta Gandalf con grande affetto. Bilbo aveva l'impressione fosse più un povero vecchietto uscito di senno.
Subito si sentì in colpa per averlo pensato, in fin dei conti non spettava di sicuro ad uno hobbit giudicare. Se aveva imparato qualcosa in tanti anni di amicizia con Gandalf era che con gli stregoni non si poteva mai sapere, e che spesso le apparenze ingannano. 
“Ah no! Non è un pensiero, è un insetto stecco,” disse Radagast tirando fuori la lingua, in modo che Gandalf potesse rimuovergli l'animaletto dalla bocca. 
Una volta che l'insetto fu liberato, Radagast sembrò recuperare un minimo di lucidità. 
“Il Bosco Fronzuto  (1) è malato, Gandalf,” cominciò a raccontare in maniera più sensata lo stregone bruno.
“L'oscurità è discesa su di esso. Non cresce più niente ormai, niente di buono almeno. L'aria è satura di putredine. Ma il peggio sono le ragnatele.” 
“Ragnatele, che intendi dire?” 
“Ragni, ragni giganti. Ungoliant (2) , o io non sono uno stregone” disse Radagast, scuotendo veementemente la testa. “Ho seguito le loro tracce, venivano da Dol Guldur”. 
“Cosa? Ma la vecchia fortezza è abbandonata!” fece Gandalf, evidentemente restio a credere alle sue orecchie, o per niente contento di sentire notizie del genere, Bilbo non seppe decidersi.
“No, Gandalf, non lo è!” esclamò Radagast, quasi urlando. “Un potere oscuro dimora lì, di una forza tale che non ho mai avvertito prima. L'ombra di un antico orrore, l'ombra che può riunire gli spiriti dei morti. L'ho visto, Gandalf, dall'oscurità è giunto un Negromante.”
Bilbo ebbe la preoccupante sensazione che Radagast fosse sul punto di perdere di nuovo la calma. Gandalf dovette pensare la stessa cosa perché gli porse la sua lunga pipa. 
“Prova a fare un tiro, ti aiuta a calmare i nervi,” disse all'amico. “Dunque, un Negromante, nei sei sicuro?” indagò poi, ancora una volta lo stregone grigio. 
In risposta Radagast tirò fuori da sotto alla veste marrone qualcosa di avvolto in un panno.
Bilbo allungò il collo, curioso di sapere di cosa si trattasse, ma non riuscì a intravedere nulla del fagotto che Gandalf teneva nascosto il più possibile agli occhi dei presenti. 
“Non proviene dal mondo dei viventi,” udì Radagast mormorare grave. 
Un rumore nella foresta fece sobbalzare lo hobbit, già suggestionato, distogliendo all'istante la sua attenzione dal pacchetto misterioso.
Gli era sembrato di sentire un verso spaventoso, come un ululato. 
“Cosa è stato? Un lupo? Ci sono i lupi da queste parti?” chiese. 
“No, quello non è un lupo,” rispose Bofur, che era il più vicino a lui. 
Bilbo registrò preoccupato che anche lui sembrava in allarme, nonostante il tono misurato. Ad ulteriore conferma il nano cominciò a guardarsi attorno guardingo. 
Bilbo udì per la seconda volta un verso terrificante, solo che questa volta sembrava un basso ringhio. E sembrava più vicino, molto più vicino…
Con il cuore in gola si voltò di scatto. 
Ad una decina di metri da lui una bestia enorme - decisamente non era un semplice lupo, era almeno tre volte più grande! -, dalle zanne storte e aguzze e il corpo scheletrico e scattante, li osservava feroce, pronta ad attaccare. 
Ciò che avvenne dopo accadde così rapidamente che Bilbo quasi non fece in tempo a realizzare di non essere morto.
Pietrificato, vide il lupo balzare su di loro. Fece per urlare, ma i polmoni non vollero collaborare, non trovò il fiato. E poi, senza alcuna logica, vide il mostro crollare a terra, senza vita. Non capì cos'era successo, fino a quando non distinse Thorin estrarre la sua spada dal collo dell'animale.  
Bilbo udì un secondo ringhio provenire dalla sua destra. Aveva appena fatto in tempo ad accorgersi della presenza dell'altra bestia, e girare la testa per vedere dove fosse, che Thorin stava già urlando: “Kili, usa l'arco!”
Bilbo non sapeva dove fosse Kili, ma dalle sue spalle una freccia sibilò centrando il lupo, che rovinò a terra e fu finito da Dwalin con un fendente della sua ascia. 
“Un mannaro ricognitore, un branco di orchi non è molto distante,” commentò secco Thorin. 
“Orchi hai detto?” non riuscì che ripetere Bilbo, frastornato.
Ebbe la sensazione di essere lento come uno dei troll della notte precedente, solo che lui non potendo contare sulla grossa stazza si sentiva anche inerme e vulnerabile, a differenza loro. 
“A chi hai parlato della tua impresa oltre che a me e alla tua famiglia?” tuonò Gandalf, superando, scostandolo senza troppe cerimonie, un confusissimo Bilbo. 
“A nessuno” ribattè Thorin, con la stessa forza dello stregone nella sua voce. 
“A chi lo hai detto?” chiese Gandalf, alzando ancora di più la sua, sempre più infervorato.
Bilbo non riuscì a capire cosa avesse a che fare ora quella domanda con gli orchi e i mannari. 
“A nessuno, sono pronto a giurarlo. Dimmi che succede!” disse Thorin, per niente intimorito dai modi dello stregone, non sarebbero stati molti quelli in grado di tenergli testa con tanta sicurezza. 
“Ci stanno dando la caccia,” ringhiò Gandalf, sbuffando subito dopo, forse perché non credeva del tutto alle parole del nano. 
“Dobbiamo andarcene,” si intromise Dwalin. 
Dwalin di solito non parlava molto. Bilbo pensò che se il nano aveva deciso di interrompere quel battibecco per dire ciò che pensava doveva essere fermamente convinto che fosse la cosa da fare, e alla svelta. Pensò anche che avesse ragione, non era certo il momento di mettersi a discutere, tutto ciò che chiedeva era di allontanarsi da quel maledetto bosco, e non rimetterci mai più piede, possibilmente. 
“Non possiamo, non abbiamo i pony, sono scappati!” annunciò Ori. 
Quella notizia colpì lo hobbit come un pugno allo stomaco, lasciandolo a bocca aperta. Non era possibile. Dopo tutta la strada che avevano percorso insieme, dopo che Bilbo aveva rischiato la sua stessa vita per salvarli, i pony li avevano traditi fuggendo così. Si chiese se erano stati spaventati dai mannari, o se forse si erano consultati e avevano infine deciso di averne abbastanza di tutti quei pericoli, e se n'erano tornati a casa, approfittando della prima distrazione della compagnia per allontanarsi. Senza nemmeno un saluto, era così ingiusto. 
“Li depisto io!” si offrì Radagast.
Bilbo saltò su udendo quella voce estranea al gruppo, si era completamente dimenticato dello stregone bruno.  
“Sono mannari di Gundabad, non si scherza con loro, ti raggiungeranno,” si oppose Gandalf. 
“E questi sono conigli di Rhosgobel (3) . Che ci provino!” ribatté fieramente Radagast alzando il mento, pronto a raccogliere la sfida.
 
 
 
In pochi minuti i nani della compagnia di Thorin Scudodiquercia raccolsero alla svelta tutti i propri averi.
Non potendo più contare sull'aiuto dei pony divisero tra loro solo l'indispensabile. Nascosero ciò che non potevano trasportare nella caverna dei troll, un giorno, se i Valar avessero voluto, sarebbero tornati a recuperare ciò che avevano dovuto lasciare indietro. Bilbo notò alcuni nani riempirsi le tasche di monete, Gloin in particolare riuscì a infilarsene un gran numero ovunque.
Come aveva promesso, Radagast si congedò, e spronò le lepri a correre più veloce di quanto avessero mai fatto, pronto ad attirare su di sé l'attenzione dei nemici, mentre i nani si lasciavano il bosco alle spalle per lanciarsi a loro volta in una corsa a rotta di collo attraverso le brughiere dell'est dell'Eriador. 
L' aria era fredda e un tetto di fitte nuvole grigie nascondeva il cielo. Il paesaggio attorno a loro non era altro che un saliscendi tappezzato di erba rinsecchita e rocce a perdita d'occhio, ad eccezione di qualche tenace arbusto di erica e ginestra. 
Bilbo non sapeva dov'erano diretti, sapeva solo che non aveva mai corso tanto, e ad un ritmo tanto sostenuto, in vita sua. Sapeva solo che se gli orchi li avessero catturati non avrebbero avuto tempo di intontirli a suon di chiacchiere come avevano fatto con i troll. 
I nani ansimanti, con i loro fardelli e sempre più provati, sgusciarono veloci tra le rocce. Qualche volta il vento freddo portava alle loro orecchie i terribili ululati dei mannari, sollecitandoli a tener duro e correre più in fretta. 
Bilbo continuava a pensare in apprensione a Radagast, al rischio che stava correndo per consentire loro di mettersi in salvo, pur conoscendoli appena. E, anche se non se lo meritavano per niente, pensava ai pony, sparava fossero ormai lontani da lì e in salvo. 
“Dove ci stai portando?” chiese Thorin a Gandalf, durante una delle rare pause che si concedevano per riprendere fiato, quando le rocce consentivano loro di nascondersi.
Con grande sorpresa di Bilbo Gandalf non rispose, possibile che non lo sapesse nemmeno lui? 
Osservò meglio in volto l'amico per trovare una risposta. Ed eccola lì, Bilbo conosceva quell'espressione: Gandalf sapeva bene dove voleva andare, ma evidentemente sapeva anche che ciò che aveva in mente non sarebbe piaciuto affatto a Thorin. 
Si chiese se non fosse il caso di dire qualcosa. Il comportamento di Gandalf, per quanto potesse essere a fin di bene, ne era certo, era del tutto scorretto; avrebbe dovuto essere sincero. Esitò troppo nell'indecisione, Gandalf incoraggiò tutti a proseguire e l'occasione di dire qualcosa sfumò.
Bilbo cominciava ad essere esausto. La notte precedente insonne, la tensione e lo sforzo cominciarono a farsi sentire. Le sue gambe ormai sembravano muoversi da sole solo per inerzia; l'erba ai suoi piedi gli appariva sempre più sfocata. Sempre più spesso incespicava, e si accorse che molti nani che prima erano dietro di lui lo avevano distanziato avanti di diversi metri.
Non passò molto prima che inciampasse su di un sasso e si ritrovasse lungo disteso a terra, con i palmi delle mani, la pancia e le ginocchia doloranti per l'impatto.
Per un lungo istante Bilbo immaginò cosa sarebbe accaduto se avesse ceduto alla voglia di non rialzarsi affatto, se fosse rimasto lì, con il naso affondato nel terreno. Non aveva la forza di tirarsi su, tutto sommato stava bene sdraiato a terra. Cominciava anche a sentire di nuovo le gambe, urlavano di dolore per la fatica. Era anche vero che se gli orchi lo avessero preso sarebbe morto, una morte violenta e orribile. 
Mentre si perdeva in questo pensiero, due vigorose paia di mani lo afferrarono per le braccia, tirandolo su di peso. 
Quasi senza rendersene conto Bilbo stava correndo di nuovo, tra Dwalin e Thorin. 
“Forza, Mastro Baggins. Non ho voglia di venire a recuperati un'altra volta,” disse Thorin.
I due nani tennero la stretta salda su Bilbo per qualche metro. Per sua fortuna, perché non sapeva se le gambe lo avrebbero ancora retto una volta visto che non solo i mannari erano sempre più vicini, ma cercavano già di accerchiare il gruppo in fuga.
Alla fine il nemico li aveva individuati, il diversivo creato da Radagast non li aveva più ingannati. 
Ansimanti i membri della compagnia si rifugiarono sotto uno spuntone di roccia.
A Bilbo ormai sembrava di avere i polmoni in fiamme a causa del fiatone, un po' dovuto allo sforzo e un po' allo spavento. Ma trattenne il fiato quando sentì il sordo ringhio di uno dei mannari provenire dall'alto: un orco era sopra di loro.
Nessuno di loro mosse un muscolo. 
Accanto a lui, Thorin fece un lento cenno con la testa a Kili, che aveva l'arco pronto a colpire.
Con un coraggio che lo hobbit non avrebbe mai potuto sognarsi di avere, il giovane nano saltò allo scoperto. Scoccò rapidissimo un colpo preciso, che andò a segno nel petto del mannaro. L'orco che lo cavalcava cadde assieme alla bestia; pronti Dwalin e Bofur gli saltarono addosso, uccidendolo. L'orco non ebbe tempo di emettere un solo suono.
“Muovetevi, correte!” li incitò ancora Gandalf.
Ripartirono di corsa, ma ormai erano circondati. La brughiera si estendeva ancora per chilometri e chilometri e Bilbo capì che non sarebbero riusciti a scappare ancora per molto in campo aperto; senza un riparo in vista, per loro la fuga sarebbe finita presto. Molti nani probabilmente realizzarono lo stesso, perché smisero di correre e si prepararono ad affrontare il nemico.
Anche Bilbo estrasse la sua spada, non sapeva usarla ma si sarebbe difeso fino all'ultimo. 
La loro unica speranza era che Gandalf avesse qualche asso nella manica; dopotutto si diceva fosse un grande stregone, se non era quello il momento per una potente magia Bilbo non sapeva quando altro avrebbe dovuto essere. 
Si guardò intorno, cercando l'amico. Gandalf però non c'era, era sparito. 
Sorpreso girò più volte su sé stesso tentando di individuarlo, anche in lontananza. Non poteva averli abbandonati. Sentendosi un po' sciocco lo hobbit controllò perfino in alto, in cielo. 
“Da questa parte, stupidi!”
La voce dello stregone arrivò da dietro una grossa roccia, sorprendendo Bilbo con il naso ancora all'insù. Si voltò giusto in tempo per vedere l'alto cappello a punta scomparire di nuovo tra i sassi.
Guidati dall'istinto più che da un pensiero nitido, i poveri piedi de lo hobbit cominciarono a muoversi in quella direzione. I nani stavano facendo lo stesso.
Thorin, fra i più veloci, si portò all'imboccatura di quella che doveva essere una caverna sotterranea, aspettando che tutti si mettessero in salvo e fermando a colpi di spada gli orchi che riuscivano ad avvicinarsi troppo. 
“Kili!” lo sentì urlare, quando mancavano solo loro due. 
Proprio nel momento in cui finalmente anche Thorin scivolò al riparo, il suono limpido di un corno risuonò nella brughiera; l'istinto disse a Bilbo che non apparteneva agli orchi. E dovette essere un’intuizione corretta, perché quelli che seguirono sembrarono proprio i rumori di una battaglia, o meglio di un massacro.
Lo scontro tra chiunque fosse arrivato in soccorso dei nani e gli orchi non durò a lungo. Dal loro riparo la compagnia udì i versi degli orchi che venivano sterminati dai loro silenziosi avversari, come se lo spettro della morte stessa si stesse semplicemente aggirando tra loro, prendendoli con sé. 
Non capirono cosa stesse accadendo fino a quando il corpo di un orco non rotolò giù, tra loro. Una freccia elfica spuntava dal suo petto. 
 
 
 
Quando dall'alto non arrivò più alcun suono, la compagnia cominciò a guardarsi attorno, valutando il da farsi. 
Decisero di seguire il corso della galleria sotterranea in cui si trovavano. Non avevano poi tanta altra scelta, sarebbe stato rischioso risalire all'aperto, dove poteva ancora aggirarsi qualche orco superstite. Thorin in ogni caso non avrebbe corso il rischio di trovarsi faccia a faccia con un elfo se ce n'erano nei paraggi; Bilbo era certo che avrebbe preferito incontrare un altro troll o un intero esercito di orchi piuttosto.
Gandalf invece sembrò fin troppo accomodante nell'accettare il percorso che avevano scelto, non disse molto. Così si addentrarono per uno stretto camminamento. 
In alto, sulla sommità delle ripide pareti di roccia che avevano ai lati, si poteva intravedere il cielo, tornato azzurro e limpido. 
Bilbo lo guardò a lungo. C'era qualcosa di strano in quel cielo, e c'era anche qualcos'altro di bizzarro: attorno a sé avvertiva qualcosa, come una leggera tensione, un delicato e stuzzicante brulichio nell'aria. 
“Gandalf, dove siamo?” chiese. 
“Riesci a sentirla?” chiese lo stregone, alzando le sopracciglia, colpito. Evidentemente conosceva la sensazione che provava lo hobbit in quel momento.
“Sì, ma non so cos'è”.
“È magia, una grande, potente magia” rivelò,sorridendogli con affetto. (4)
Quando sbucarono da quel singolare corridoio di pietra, si trovarono sulla sommità di una parete di roccia.
Bilbo spalancò la bocca per la meraviglia: ai loro piedi si estendeva una vallata che pareva incantata.
Un meraviglioso paesaggio autunnale, un’infinità di cascate di acqua limpida e la meravigliosa luce calda della sera facevano da cornice al palazzo più bello ed elegante che lo hobbit avrebbe mai potuto immaginare. Il clima era mite - Bilbo avrebbe scoperto che non cambiava mai lì - e l’aria profumava di legno e resina.
“La valle di Imladris,” annunciò Gandalf. “Nella lingua corrente è nota con un altro nome”.
“Gran Burrone,” terminò per lui Bilbo, rapito dalla bellezza di quel luogo. 
Gandalf annuì al suo fianco: “Qui si trova l'Ultima Casa Accogliente ad est del mare. O la prima, dipende da dove arrivi”. 
“Era il tuo piano fin dall'inizio” giunse alle loro spalle la voce di Thorin. “Trovare rifugio dal nostro nemico,” disse a denti stretti. 
“Non hai alcun nemico qui, Thorin. Il solo malanimo che trovi in questa valle è quello che porti tu stesso!” replicò Gandalf, facendosi un pochino più alto.
Sicuramente lo stregone sapeva che avrebbe dovuto affrontare quella conversazione. 
“Pensi che gli elfi vorranno benedire la nostra impresa? Tenteranno di fermarci!” ringhiò Thorin, trattenendo a stento la collera, ma cercando di rimanere ragionevole. 
“Certo che lo faranno. Ma noi abbiamo domande che attendono una risposta. Tu lascia fare a me!” disse Gandalf, con quel suo tono che, Bilbo lo sapeva, non prometteva che un altro pasticcio.
 
 

 
  1. Bosco Fronzuto è uno degli altri nomi con cui viene chiamato Bosco Atro. (su)
  2. Ungoliant è uno spirito malvagio che prende la forma di in un gigantesco ragno, è alleata di Melkor. I ragni di cui parla Radagast dovrebbero essere suoi discendenti, così come lo è poi Shelob. (su)
  3. Rhosgobel è il luogo in cui abita Radagast, non si sa con precisione dove sia. (su)
  4. Come dicevo non so decidere se nel film vorrebbero sott'intendere che il passaggio è una scorciatoia magica o se la magia serva solo a celare Gran Burrone ai visitatori indesiderati. Le mie ricerche sono state infruttuose e rimango col dubbio. (su)
   
 
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