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Autore: edoardo811    02/07/2021    5 recensioni
Questa è una raccolta di drabble, oneshot, missing moments e capitoli extra della mia storia, La Spada del Paradiso.
Esploreremo le menti di più personaggi, scopriremo segreti sulla vita al Campo Mezzosangue e soprattutto scopriremo come se la cavano i nostri eroi dopo gli avvenimenti de "La Spada del Paradiso."
Vi consiglio dunque di leggere quella storia per comprendere questa raccolta e soprattutto per evitarvi spoiler nel caso decidiate di farlo in futuro. Potete trovarla nella mia pagina autore.
Spero che la raccolta vi piaccia, buona lettura!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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Nota: questo capitolo si svolge subito dopo il capitolo 44 della storia principale, nella stessa giornata.

 

 

– ROSA –

3

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«Va bene angioletti. Per prima cosa, siccome ieri non c’erano allenamenti, voglio approfittare della presenza di tutti quanti per dare un caloroso bentornato alla nostra cara amica Rosa Mendez!»

Rosa sorrise imbarazzata, mentre di fronte a lei tutti quei ragazzi con cui aveva condiviso l'arena per anni applaudivano e la incitavano. Anche il coach Hedge batté una mano sul suo braccio, sorridendole gentile. «Sono felice che tu stia bene.»

Era stato proprio lui ad aiutarla a muovere i primi, timidi passi dentro quell’arena. Forse il più delle volte si comportava come un vecchio satiro pazzo, ma era un brav’uomo. O capra. O quello che era.

«Mi era mancato, coach Hedge» rispose Rosa, distendendo il sorriso. 

Per un istante, lui sembrò in procinto di piangere. Si schiarì la gola e tornò ad essere il solito vecchio rompiscatole che però tutti adoravano. «D’accordo angioletti, ora basta con i convenevoli. Tutti a terra, venti flessioni prima di cominciare!»

Il boato di versi di protesta che si sollevò fece ridacchiare Rosa. Era stata via per solo una settimana, ma le era sembrato molto di più. Era felice di vedere che non fosse cambiato nulla, eccetto il fatto che adesso sembravano tutti più gentili con lei. O forse in realtà lo erano sempre stati, ma lei non aveva mai dato loro una vera occasione. Si era sempre tenuta alla larga da tutti, ricordava bene cosa molti dicessero e pensassero di lei, la figlia di Apollo che voleva combattere con le spade, e aveva sempre creduto che fosse un pensiero unico per tutti. Era felice di essersi sbagliata.

Dopo gli esercizi più semplici, arrivò il momento che tutti quanti sempre attendevano con più trepidazione. Hedge disse ai ragazzi di dividersi in coppie, per affrontarsi tra di loro in una serie di scontri dimostrativi. 

Dimostrativi nel senso che avrebbero dovuto mostrare quello che avevano imparato, cercando, se possibile, di non far fuori l’avversario. Di solito Rosa rimaneva senza compagno, tutti quanti amavano prendere in giro la figlia di Apollo anticonformista, però per qualche arcano motivo avevano paura di affrontarla. Quel giorno, però, ebbe una sorpresa inaspettata.

Sophia Ferreira, l’unica ragazza della capanna Cinque, una stangona con un caschetto di capelli color bronzo e la pelle ambrata si fece avanti per affrontarla. La scrutò con un sorriso freddo, divertito perfino, mentre si piazzavano in mezzo al cerchio di terra. 

Rosa ricambiò il sorriso, felice di potersi allenare davvero con qualcuno che non fosse quel pappamolla di Edward. Gli voleva bene, certo, ma ricordava i suoi piagnistei dopo essersi procurato appena cinque o sei lividi; erano davvero fastidiosi. Sperò che la sua avversaria fosse più resistente.

Quando Hedge diede il via, Sophia si avventò su di lei. Abbatté la spada, che si scontrò con quella di Rosa a pochi centimetri dalla sua fronte. Le braccia le tremolarono; la figlia di Ares era davvero forte. Rosa si ritirò con un balzo e poi scattò in avanti, mirando al fianco destro della sua avversaria. 

Sophia roteò la spada, parando la lama. Rosa saltò di nuovo indietro e tentò un altro assalto, questa volta al fianco sinistro, che la figlia di Ares deviò per un soffio, con una smorfia. Per un istante, i loro sguardi si incrociarono e una venatura di incertezza percorse il volto di Sophia. Rosa distese il sorriso, pronta per attaccare ancora, sentendosi carica ed energica come non mai, ma all’improvviso un’immagine balenò nella sua mente. 

Trasalì, mentre due occhi color cremisi la scrutavano spietati, incastrati sopra un volto pallido e scarno. Sophia riapparve all’improvviso nel suo campo visivo, la spada che si avvicinava pericolosamente alla sua guancia. Si riscosse appena in tempo per parare l’attacco ed indietreggiare di nuovo, per scrollare la testa e riordinare le idee. Osservò Sophia, e ancora una volta il suo aspetto cambiò.

«Arrenditi, piccola dea.»

Il grido di Sophia la fece ridestare. Si fiondò ancora una volta su di lei, gridando a perdifiato. La figlia di Apollo si scansò e mulinò la sciabola, incrociando di nuovo lo xiphos di Sophia e rimanendo premuta contro di esso a mezz’aria.

«Non rendere le cose più difficili.»

«Sta zitto» sussurrò Rosa.

«Ma io non ho…» Sophia cercò di rispondere, ma venne interrotta da un grido furibondo. Rosa la caricò, tempestandola di attacchi. La figlia di Ares spalancò gli occhi e cominciò ad indietreggiare, incalzata da quelle stoccate veloci e letali. «A-Aspetta Rosa! Calmati!»

La figlia di Apollo digrignò i denti, mentre quel volto maledetto continuava a balenare nella sua mente. Abbatté di nuovo la spada su quella dell’avversaria, con così tanta forza da fargliela volare via dalle mani. Sophia inciampò e cadde a terra, insozzandosi sulla sabbia. Si coprì il volto, gridando terrorizzata, mentre Rosa sollevava la sciabola pronta per il colpo di grazia.

«Basta, basta! Per le corna di Pan, fermati!» gridò Hedge, parandosi tra di loro e saltellando come un fagiolo messicano. 

Rosa si placò, la spada ancora alzata. Sbatté le palpebre un paio di volte, mentre cominciava a rendersi conto di quello che aveva appena fatto. Spalancò gli occhi e abbassò la sciabola, facendo diversi passi indietro.

«Tu sei pazza!» urlò Sophia, mentre cercava di rimettersi in piedi.

«M-Mi dispiace, io…» provò a rispondere Rosa, mortificata, ma quella non volle saperne. Afferrò lo xiphos e se ne tornò a passo svelto in mezzo alla folla di ragazzi, che avevano fissato la scena altrettanto sconvolti. Rosa si sentì soffocare sotto il peso di tutti quegli sguardi. 

«Beh… c’è da dire che non hai perso un colpo…» commentò Hedge, scrutandola perplesso mentre si grattava la barbetta. 

Rosa si sentì ancora più in imbarazzo di quanto già non fosse. Non riusciva a credere a quello che fosse appena successo. Per poco non aveva fatto fuori l’unica persona che avesse accettato di essere la sua partner di duello. Dopo quel casino, poteva essere certa che nessuno di loro si sarebbe di nuovo avvicinato a lei. 

«Su, forza angioletti, non è successo niente, ricomponetevi. A volte capitano anche incidenti come questo, l’importante è che nessuno si sia fatto male… o sia morto.» Hedge tentò di risollevare gli animi, ma Rosa ne aveva avuto abbastanza per quel giorno. 

«Avanti con la prossima coppia, e mi raccomando, ricordate che non dovete uccider… Mendez, dove stai andando?»

«Mi… serve una pausa» mormorò lei, mentre si dirigeva verso l’uscita. Sentì il satiro fare un verso sorpreso e non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che gli sguardi di tutti erano ancora puntati su di lei.

 

***

 

I suoi fratelli chiacchieravano sereni, mentre lei fissava svogliata il suo piatto di carne e verdure grigliate. Non aveva nessuna voglia di sbranare quel cibo. Continuava a pensare a quello che era successo all’arena. 

Aveva… perso il controllo. Non le era mai successo niente del genere prima di allora, mai. La razionalità era tutto, durante uno scontro. Era stata la prima cosa che aveva cercato di inculcare nella testa vuota di Edward. Eppure, aveva infranto la sua stessa regola. 

Pensare a quello, di conseguenza, la portava anche a pensare a cosa avesse scaturito quell’assurdo teatrino che aveva messo in piedi.

Aveva passato tre anni ad allenarsi ininterrottamente, al campo. Corsa, esercizi, le flessioni di Hedge, aveva studiato tecniche di disarmo, di combattimento con e senza armi, aveva lavorato duro, senza mai darsi un attimo di tregua, al punto da diventare così pericolosa da far fuggire da lei i figli di Ares.

Voleva diventare la spadaccina migliore del campo, voleva essere un’eroina, le cacciatrici le avevano chiesto in ogni modo possibile di unirsi a loro, aveva perfino affrontato Orochi a viso aperto dopo essere stata fuori gioco per una settimana.

Eppure tutto il suo lavoro, tutti i suoi sforzi, la costanza, la determinazione, ogni cosa… non erano bastati.

Naito l’aveva annientata. Nemmeno l’aveva attaccata alle spalle, come qualsiasi mostro avrebbe fatto. Era uscito allo scoperto, aveva reso nota la sua presenza, le aveva detto di arrendersi prima ancora di combattere e lei si era lanciata su di lui. 

Non l’aveva neanche sfiorato. 

Strinse i pugni sotto il tavolo, affondandosi le unghie nei palmi fino a sentire dolore. In pochi minuti, quel tizio aveva vanificato tutti i suoi sforzi e tutto il suo lavoro di anni. L’aveva sconfitta, riuscendo in qualcosa che nessun’altro prima di allora era mai riuscito a fare, e le aveva fatto capire che razza di abisso ci fosse ancora tra lei e quello che voleva diventare.

Che razza di eroina si fa sconfiggere dal primo nemico reale che incontra? Che razza di eroina si fa rapire e si fa salvare come una principessa in pericolo?

Nessuna, ecco la risposta. 

Sospirò profondamente, rilassando i pugni. 

«Tutto ok hermana?»

La voce di Edward la fece voltare verso di lui. Stava rosicchiando delle patatine fritte, visto che il cibo sano per lui pareva quasi un veleno, e la fissava preoccupato. Rosa cercò di non incrociare il suo sguardo. «Sì, sì… sono solo pensierosa.»

«Questa è la stessa frase che dico io quando è successo qualcosa di grave» borbottò lui, riuscendo nonostante tutto a farla sorridere.

«Sarà un vizio di famiglia» replicò.

«Mh. Può darsi.»

Ci fu qualche istante di silenzio imbarazzato, in cui Edward dimostrò ancora una volta la sua inettitudine nelle discussioni. «Vuoi… vuoi parlarne?» le domandò infine, con voce incerta.

Rosa si strinse nelle spalle. Non le andava a genio l’idea di aprirsi a lui visto che lui mai si era sognato di farlo con lei, però, d’altra parte, la sua testa non era dura come quella dell’hermano. «Sta mattina all’arena ho quasi fatto fuori la sorella di Konnor» ammise. 

«Ehm… che cosa?»

«Ci stavamo allenando e… ho perso il controllo.» 

Gli spiegò quello che era successo, dandogli qualche rapida occhiatina per scorgere le sue reazioni, che come prevedibile furono perlopiù di sorpresa. Non parlò del motivo per cui aveva perso il controllo, tuttavia. In parte se ne vergognava, in parte preferiva che il nome di quel verme di Naito non uscisse più dalla bocca di nessuno.

«Non è da te, Rosa» disse Edward, a racconto concluso. 

Quella risposta la fece irrigidire. «Grazie, non c’ero arrivata da sola.»

Lo vide sussultare e fare un’espressione imbarazzata. «Scusa…»

Rosa sospirò, per poi scuotere la testa. «No, scusami tuSono solo tesa.»

«Sì, ti capisco. Dopo tutto quello che è successo…»

Malgrado tutto, Rosa riuscì a sorridere di nuovo. Edward non era in grado di parlare, in compenso però era molto bravo ad ascoltare. Incrociò il suo sguardo, battendogli un pugno sul braccio. «Va… va un po’ meglio, adesso. Grazie hermano.»

Anche Edward le sorrise, prima di farsi pensieroso all’improvviso. «Anch’io… ho alcune cose da dirti.»

«Riguardo quello che è successo ieri sera?» gli domandò, sollevando un sopracciglio. Non si era affatto dimenticata di lui che cadeva in ginocchio all’improvviso mentre si teneva lo stomaco.

«Anche, sì» rispose Edward, facendole spalancare gli occhi. Quindi voleva davvero raccontarle cosa gli fosse preso. Non riusciva a crederci, sembrava un miracolo. Avrebbe dovuto segnare quel giorno sul calendario. 

«Hai da fare dopo pranzo?» le domandò, lanciandole un’occhiatina fugace, circospetta perfino, quasi come se qualunque cosa volesse raccontarle fosse un segreto di stato.

«No, perché?»

«Troviamoci dall’albero di Talia, tra un’ora. Vi racconterò tutto.»

«Vi?»

Edward si grattò gli sfregi sopra la guancia, sembrando quasi imbarazzato. «Non… non ci sarai solo tu. Voglio raccontare tutto anche agli altri.»

Rosa schiuse le labbra. Quello cambiava tutto quanto. «Quindi… oh!» Si coprì la bocca, facendo un verso sorpreso, prima di spalancarla di nuovo in un enorme sorriso. «Ma… non vorrai mica fare coming out??»

«E-EH?!»

«Oh, hermano! Come sei dolce!» Rosa unì le mani di fronte al petto. «Sono sicura che Konnor dirà di sì!»

«… ti odio.»

Rosa rise, battendo la mano sulla sua spalla. «Dai, lo sai che scherzo.»

Invece no, non scherzava. E un giorno, ne era sicura, anche Edward avrebbe aperto gli occhi e avrebbe capito che Konnor era l’uomo per lui.

Edward borbottò qualcosa di incomprensibile e, dopo averle ripetuto di trovarsi all’albero di Talia, si defilò. Rosa lo guardò allontanarsi con un sorrisetto divertito, poi riportò l’attenzione sul suo piatto. Quando avvertì lo stomaco brontolare, distese il sorriso e azzannò la bistecca di manzo. 

 

***

 

Un’ora dopo, trovò in cima alla collina anche Thomas, Lisa, Stephanie e, dulcis in fundo, Konnor. Dovette sforzarsi di non scoppiare a ridere mentre guardava proprio quest’ultimo. Giurò a sé stessa che se Edward davvero avesse fatto coming out allora si sarebbe messa ad imparare il tiro con l’arco. Il suo sguardo cadde sul vello attorno all'albero, che emanava un fioco bagliore, mentre più lontano Peleo stava dormendo, come al solito. Si domandò perché non l'avessero ancora mandato in pensione. Forse c'era penuria di draghi guardiani di velli. La statua di Atena, invece, osservava severa tutti loro come al solito, come per dirgli di spicciarsi ad alzare i tacchi da lì e tornare a fare cose semidivine nel campo.

«Avete idea di cosa voglia dirci?» domandò Lisa, seduta all’ombra del pino, mentre teneva la mano di Tommy. Non appena vide le loro dita intrecciate, Rosa fece un sorriso. L’aveva capito fin dal primo sguardo che c’era qualcosa tra quei due e non si era fatta troppi scrupoli a spingerli verso quella direzione, specie dopo che Edward la aveva parlato dei sentimenti di Thomas per lei. 

Era sicura fosse un bravo ragazzo, ma… non era il suo tipo. E in ogni caso, in quel momento preferiva non pensare a quel genere di cose. 

Mentre si sedeva vicino a loro, Konnor si strinse nelle spalle. «Forse riguarda quello che gli hanno detto Artemide e Susanoo, a San Francisco.»

Rosa aveva perfino dimenticato quella storia. Non aveva dubbi che proprio Konnor la ricordasse, invece. Era ossessionato da Edward, ne era sicura. Era solo questione di tempo. 

Certo, la povera Steph dopo sarebbe rimasta da sola, ma era un prezzo da pagare per il bene superiore. La osservò mentre teneva Konnor a braccetto, lo sguardo fisso verso il campo, in attesa dell’hermano. Stephanie si accorse del suo sguardo e le sorrise.

«Figlia dei fiori» la salutò Rosa, trattenendo a stento un altro sorrisetto divertito. Passò lo sguardo su di lei, ricordandosi ancora una volta perché fosse tanto ambita tra i ragazzi. Si domandò come facesse a tenersi così in forma nonostante non si allenasse mai. 

Le classiche ingiustizie del mondo. 

Pochi minuti dopo, due figure salirono la collina. La testa di Edward fece capolino. Osservò tutti loro sorpreso, infastidito perfino. «Ma… siete già tutti qui!»

«Si vede che anche loro erano impazienti di sentirti parlare» ribatté la persona assieme a lui, una ragazza slanciata, con lunghi capelli color rame, la stessa che Rosa aveva visto limonare allegramente con lui la sera prima.

«Nat?» domandò Thomas con voce stupita. «Tu che ci fai qui?»

Edward e la diretta interessata si scambiarono uno sguardo. «Non gliel’hai detto?» chiese lui.

«Tu non gliel’hai detto!» protestò la ragazza. 

«Ma… ma ci vivi insieme!»

«Che vuol dire? Non è il tuo migliore amico?»

«Ehm… scusate ma… detto cosa?» chiese ancora Tommy, mentre Rosa cercava di nuovo di non ridere di fronte all’assurdità di tutto quello. 

«Beh… vedi, Tommy…»

«No, aspetta.» Natalie interruppe Edward, posandogli una mano sulla spalla, prima di guardare il fratello più giovane. «Lascia che ci arrivi da solo» concluse, facendo ridacchiare l’hermano.

«Ma a cosa?» insistette Thomas. 

Lisa scosse la testa, facendo un sospiro esausto. «Tonto figlio di Ermes…» borbottò in italiano, questa volta riuscendo a strappare una risatina a Rosa.

Non aveva idea del perché, ma stare assieme a loro la faceva sentire davvero bene. Forse per via di quell’affiatamento quasi contagioso che avevano e che chiunque avrebbe notato. 

«Siediti se vuoi, qui andrò avanti per un po’…» disse ancora Edward a Natalie, che annuì, sorridendogli. 

«Stai facendo la cosa giusta» gli disse, dandogli un bacio sulla guancia. Il modo in cui si guardarono fece tremolare il bellissimo sogno di Rosa su Konnor ed Edward, ma non si sarebbe arresa così. Avrebbe continuato a sperarci finché avrebbe avuto un cuore che batteva. 

«Oh… ecco cosa…» bisbigliò Thomas, mentre Natalie si sedeva accanto a lui, con un’alzata di occhi. Perfino Konnor e Stephanie sembrarono sorpresi della scoperta. In effetti, pure Rosa faticava a credere che il suo tonto hermano fosse riuscito a trovare una ragazza. Si augurò per lui che Natalie avesse più pazienza di lei, altrimenti non sarebbero durati molto a lungo.

«Allora…» iniziò Edward, mentre osservava tutti loro con aria imbarazzata. E non solo, sembrava anche teso. Spaventato, perfino, al punto che Rosa decise di smetterla di pensare alle stupidaggini e di rimanere concentrata. «… ho… parecchie cose da dirvi.»

Raccontò la storia di sua madre, di come lei fosse venuta in possesso di quella spada che aveva scatenato quel putiferio e di come l’avesse tramandata a lui. Raccontò che dei mostri l’avevano rapita di fronte ai suoi occhi, causandole un tuffo al cuore. Incrociò proprio il suo sguardo mentre raccontava quella parte ed esitò. Rosa assottigliò le labbra e lo tranquillizzò con un cenno. Edward si fece coraggio e proseguì.

La parte che venne dopo sembrò costargli ancora di più. A stento, prendendo diverse lunghe pause, riuscì a spiegare cos’era successo quando aveva restituito la spada, nel museo di San Francisco. E non appena raccontò di essere morto, sei sussulti di sorpresa si alzarono in un tutt’uno. 

Rosa rimase a bocca aperta, sconvolta, mentre lui si toglieva la maglia del Campo Mezzosangue per mostrare una ragnatela di cicatrici sul suo busto. La peggiore era sicuramente quella sul suo stomaco. Un cratere di pelle sbrindellata e cicatrizzata male. Riuscì a malapena a sentirlo mentre raccontava come se le fosse procurate. 

Edward si rimise la maglietta, coprendole, e distolse lo sguardo da loro. Sembrava stesse per piangere. Rosa non aveva idea di come reagire a tutto quello. Anche lei era stata nello Yomi, ma non così. Non era… morta. Non aveva incontrato nessuna dea psicopatica, non aveva combattuto contro nessun mostro orripilante. E soprattutto… non le avevano detto che sarebbe dovuta morire alla nascita. 

Se Natalie non si fosse alzata per prima, lei avrebbe continuato ad osservare suo fratello come in trance, immobile. La vide avvicinarsi a lui per abbracciarlo con forza, mormorandogli qualcosa all’orecchio. Edward appoggiò la fronte sulla sua spalla, per nascondere un’espressione che Rosa mai gli aveva visto fare. Era terrorizzato.

Il suo gemito si sollevò in aria, folgorandola come una scarica. 

«Ehi…» Natalie gli prese il volto tra le mani, obbligandolo a guardarla ed asciugandogli alcune lacrime. «… va tutto bene. È tutto finito. Sei qui con noi adesso. Sei al sicuro.»

Edward annuì, prendendo le mani di Natalie tra le sue. Si osservarono di nuovo, sorridendosi dolcemente, finché non furono entrambi travolti da Rosa. Due grida di sorpresa si sollevarono, mentre Rosa si cacciava in mezzo a loro quasi di prepotenza, stritolando l’hermano con gli occhi pieni di lacrime. Il pensiero di averlo quasi perso l’aveva sconvolta molto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. 

«Sei… sei stato un incosciente!» esclamò, affondando la fronte contro il suo petto duro. «Non azzardarti mai più a fare le cose di testa tua!»

Lo sentì ridacchiare. Le avvolse le braccia attorno alla schiena, mormorando con voce gentile: «Non succederà più. Te lo prometto.»

«B-Bene! Be…» sussurrò lei, prima che la voce le si incrinasse. «Be…ne…» Si staccò dal fratello, per fissarlo dritto negli occhi. «E non è vero che sei stato un errore! Nessuno è un errore!»

«S-Sì, lo so…» mormorò lui, stupito, ma con un sorriso.

«Ricordatelo sempre! Non sei un errore!» Rosa lo stritolò di nuovo, appoggiando il mento sulla sua spalla. «Non per me…»

Edward le accarezzò i capelli, appoggiando la guancia contro la sua. «Gracias hermana.»

«­P-Prego! Non c’è di che!»

«Mi… mi lasci andare ora?»

«No! Ti abbraccerò finché non capirai quanto sei importante!»

«Ma… l’ho capito…»

«Meglio essere sicuri!»

Qualcun altro appoggiò un braccio sulla sua schiena. «Ha ragione» si intromise Natalie, stringendosi anche lei a loro due. «Testardo come sei, forse non ne sei davvero convinto.»

Rosa annuì come una forsennata. «Ecco, ascolta tu novia, che è chiaramente più sveglia di te!»

Edward fece un verso di protesta, prima di ridacchiare di nuovo. «Va bene, va bene… grazie ragazze.»

Rimasero stretti ancora per diversi istanti, durante i quali Rosa ringraziò mentalmente suo padre e tutti gli dei per avergli riportato Edward sano e salvo. Se l’avesse perso… non poteva nemmeno pensarci. Era uno zuccone, un testone, una causa persa, frignava di continuo, ma gli voleva bene. 

«Eres mi hermano tonto» bisbigliò, prima di separarsi da lui. Squadrò poi Natalie, ancora accanto a loro, dalla testa ai piedi ed incrociò il suo sguardo. «Forse… forse sei meglio di Konnor…»

Il sorriso gentile svanì dal volto di Natalie. «In… in che senso?»

«Lascia perdere» si intromise Edward, frapponendosi tra di loro e scrutandola infastidito. «Non azzardarti a trascinare Nat nelle tue follie, o giuro che torno nello Yomi a piedi.»

Rosa riuscì a ridere di nuovo e gli diede un pugno al petto senza pensarci, mozzandogli il fiato. Spalancò gli occhi, ricordandosi delle cicatrici, e si coprì la bocca mortificata. «Scusa!»

«Tranquilla… sta volta non mi hai centrato in pieno la cicatrice sullo stomaco» gracchiò lui, con un sorrisetto sofferto. Rosa ripensò al cazzotto che gli aveva tirato a San Francisco e sentì le guance in fiamme. In effetti, avrebbe potuto risparmiarselo.

Ripensò anche al giorno in cui lui aveva deciso di allenarsi con lei, il giorno in cui tutto aveva avuto inizio. Sembrava passata una vita. E soprattutto, l’hermano sembrava tutta un’altra persona. Gli aveva detto di voler diventare un’eroina, ma alla fine era stato lui a diventare un eroe. E lei non poteva sentirsi più orgogliosa.

Un po’ invidiosa, anche, visto che se non era più una mammoletta era anche merito suo, ma si sarebbe premurata di non farglielo mai notare, altrimenti gli allenamenti sarebbero potuti diventare molto più brutali all’improvviso, giusto per ricordargli di non montarsi troppo la testa.

Lo sguardo di Rosa scivolò sul suo braccialetto con le perle del campo. Ripensò alla conversazione che aveva avuto con Edward, quando gli aveva detto che sperava che qualcosa di grosso succedesse nel campo. E a conti fatti, era successo davvero. Poteva già immaginare la grossa, scintillante spada che avrebbero ricevuto sulla perla di fine estate, quell’anno. Il pensiero fece nascere un ampio sorriso sul suo volto.

Stephanie si avvicinò ad Edward dopo di loro. «Non posso crederci» sussurrò, con voce incrinata. «Tu hai… hai passato tutto quello e io… ho baciato Konnor di fronte a te… sono stata una vera egoista…»

«Un po’» rispose Edward, strappandole uno squittio sorpreso, prima di ridacchiare e darle una pacca sul braccio. «Poteva andare peggio. Avrei potuto non vedere nemmeno quel bacio.»

La figlia di Demetra abbassò lo sguardo. «Sì, però…»

«E rilassati, una volta ogni tanto» borbottò Edward, abbracciandola. «Non puoi farti una camomilla o cose del genere con i tuoi poteri?»

«Certo. Dimmi Edward, hai qualche altro bello stereotipo in mente?»

«Quindi non puoi farti una camomilla?»

«… non è questo il punto!»

Dopo di lei arrivò Thomas, che si grattò dietro al collo imbarazzato. «Hai sempre detto di non voler essere un eroe, Edward, ma… penso proprio che tu sia il più grande eroe che questo campo abbia visto negli ultimi vent’anni. So che detto da me non significa molto, ma…»

«Invece significa tutto, Tommy.» Edward sollevò il pugno. «E se non fosse stato per te, non sarei mai arrivato fin qui. Sei un eroe tanto quanto me.»

Lo sguardo del figlio di Ermes si colmò di gratitudine, le labbra che gli tremolavano. Scostò il braccio di Edward e lo abbracciò, strappandogli una risatina. «Sei sempre così emotivo, amico.»

«S-Scusa» mugugnò Thomas, che era riuscito a mettersi a piangere nel giro di mezzo secondo. «Sniff… scusa…»

Rosa non riuscì a trattenere un sorriso intenerito. Tommy era un barattolino di miele che camminava.

«Cioè… quindi… hai sconfitto la morte?!» domandò infine Lisa con voce atterrita, dopo aver abbracciato Edward.

«Beh… sì.»

«Ma che ficata!» gridò, per poi ammansirsi. «Cioè… deve… essere stato orribile…»

«Diciamo che è stato un misto delle due cose» concluse Edward. «Da una parte mi sentivo un fico da paura, dall’altra avrei voluto mettermi in ginocchio, piangere e succhiarmi il pollice.»

Lisa rovesciò la testa all’indietro, scoppiando a ridere, per poi battere il pugno con lui. «Sei una vera forza.»

Infine, anche Konnor si avvicinò. Sembrò voler dire qualcosa, forse perfino abbracciarlo, ma poi entrambi si accorsero dello sguardo di Rosa e si limitarono a schiarirsi la voce e a battere il pugno imbarazzati. 

E dopo quel gesto, il suo sogno su di loro tornò a brillare più forte che mai.

Spiacente Natalie, c'hai provato.

«Comunque… non ho finito» disse Edward, prima di fare un’espressione imbarazzata di fronte agli sguardi sorpresi di tutti. 

«Ma quante cose nascondevi?!» domandò Rosa, adirata.

«Un po’…» ammise l’hermano, prima di schiarirsi la voce. «Ho… ho rivisto Naito, ieri sera.»

Rosa scattò come una molla. Ogni traccia di quiete svanì da dentro di lei. «Che cosa?!»

«Quando… mi sono allontanato dalla festa» spiegò Edward, grattandosi la cicatrice come suo solito. «L’ho… l’ho incontrato. Ma non era ostile» aggiunse, frettoloso, prima che potessero interromperlo. 

Uno strano silenzio scese tra di loro. Tutti quanti sembravano confusi o sorpresi. Rosa, invece, era soltanto furiosa.

«Scusate, chi è Naito?» domandò Natalie, che pareva di più la prima tra le opzioni. «Thomas l’aveva menzionato, ma…»

«È il bastardo che mi ha rapita» rispose Rosa con un sibilo, affondandosi le unghie nei palmi. I fatti di quella sera maledetta tornarono a balenare nella sua mente, facendole salire il desiderio di affettare qualcosa. 

Natalie schiuse le labbra, mentre Edward parve angosciarsi. «Rosa…»

«Che cosa voleva?» domandò lei, interrompendolo.

«Voleva… scusarsi per quello che ha fatto. Mi ha detto di dire a tutti voi che era dispiaciuto e che… non lo vedremo più.»

Quelle parole ronzarono nelle orecchie di Rosa per diversi istanti. «E tu l’hai ucciso, vero?»

«C-Che cosa?»

«L’hai ucciso» ripeté Rosa. «Vero?»

Edward rimase in silenzio. Il suo sguardo fu una risposta più che chiara, ma lei si rifiutò di crederci. 

«Vuoi dirmi che l’hai lasciato andare!? Dopo tutto quello che ha fatto!?» Urlò senza nemmeno rendersene conto. La sua voce riecheggiò lungo la collina, probabilmente la sentirono fin dal Campo Mezzosangue, ma a lei non importò. Era livida di rabbia.

«Calmati, Rosa.»

«Io non mi calmo!» sbraitò lei, avvicinandosi a lui e piantandogli l’indice in mezzo al petto. «Sei morto per colpa sua! Come puoi non essere arrabbiato?!»

«È stato Orochi a pugnalarmi, non lui» rispose Edward, con voce sottile.

Rosa scosse la testa, incapace di accettare le sue parole. «Se non fosse stato per lui, non ti saresti mai trovato là! Non m’importa se stava seguendo gli ordini di qualcuno, la responsabilità è stata soltanto sua!»

Edward la afferrò per le spalle, placandola. Il suo sguardo la colse alla sprovvista. Non l’aveva mai visto così serio. «Mi sarei trovato là comunque, invece. Dovevo restituire la spada, l’hai dimenticato? Il fatto che… che tu sia stata coinvolta… non ha niente a che vedere con quello che mi è successo. Avrebbero cercato di uccidermi comunque.»

Le accarezzò la guancia, facendosi apprensivo. «Capisco che tu sia arrabbiata con lui, Rosa. Penso che… lo siamo tutti, nel profondo, per quello che ha fatto. Non mi aspetto che lo perdoniate. Ma… non prendetevela con il messaggero. Io vi porto le sue scuse, voi siete liberi di accettarle oppure no.» 

Allontanò la mano di lei, sospirando. «Io… l’ho perdonato. Ma l’ho fatto solo perché… non importa. Io l’ho perdonato. Ma se tu non vuoi farlo, Rosa, non ti biasimerò. Hai tutto il diritto di non farlo» concluse, distogliendo lo sguardo da lei. Sembrava triste. E Rosa non riuscì affatto a capire il perché. 

Una mano si posò sulla sua spalla, facendola voltare. Incrociò lo sguardo di Konnor, che rimase fermo per qualche istante, in silenzio. All’improvviso, cominciò a sollevarsi la maglietta di fronte a lei, facendole spalancare gli occhi atterrita. La sua mente andò in tilt, poi si accorse della brutta cicatrice proprio in mezzo all’addome, uno sfregio rosa brillante lungo e sottile. 

«Questa me l’ha fatta lui» disse, prima di lasciar andare la maglia, coprendola di nuovo. «Per farti capire che non sei l’unica a cui ha fatto del male.»

Rosa sbatté le palpebre, cercando di allontanare l’immagine di quegli addominali dalla sua testa. «Quindi?»

«Quindi… proprio come te, ho una valida ragione per odiarlo. Quando l’ho affrontato, al museo, avrei potuto ucciderlo, ma non l’ho fatto. Naito ha capito di aver sbagliato. Il fatto che sia venuto a scusarsi ne è la conferma.»

«E quindi?» ripeté Rosa, cominciando ad infastidirsi.

Konnor esitò. «Quindi… forse non è davvero malvagio. Forse può migliorare. Prova a… a considerare l’idea di dargli un’altra possibilità.»

Un sorrisetto incredulo nacque sul volto di Rosa. «Che ne dici di… no?»

«Rosa, ascolta…»

«Non ha rapito te!» urlò lei, all’improvviso, facendolo sussultare. «Non ha rinchiuso te in una prigione di oscurità! Non ti ha portato tra le braccia di un essere viscido che voleva mangiarti! Non ho alcuna intenzione di ascoltare le tue fesserie sul fatto che può migliorare o sul fatto che non è davvero malvagio!» 

Rosa cercò la sua spada, ma l’aveva lasciata nella capanna Sette. Strinse i pugni furibonda, mentre avvertiva le guance inumidirsi. «Se mai dovesse tornare… la pagherà per quello che mi ha fatto. Lo ucciderò io stessa con le mie mani.»

Konnor rimase in silenzio, ad osservarla incerto. Rosa distolse lo sguardo da lui, asciugandosi frettolosa le lacrime. Non aveva alcuna intenzione di piangere per quella storia. Naito l’aveva sconfitta, l’aveva rapita, non gli avrebbe permesso di farla sembrare ancora più fragile di quanto già avesse fatto.

Era una guerriera, una combattente. E da quel momento in poi si sarebbe allenata con il triplo dell’intensità solo per poter, un giorno, trovarlo e restituirgli il favore. Non si sarebbe data pace finché non lo avrebbe ucciso.

Konnor sembrava voler dire ancora qualcosa, ma Stephanie apparve accanto a lui. Gli posò una mano sulla spalla e scosse la testa. Il figlio di Ares piegò le labbra, facendo vagare lo sguardo tra le due ragazze ancora per qualche istante. «Mi dispiace Rosa. Non volevo sminuire quello che ti è successo» disse ancora, sembrando imbarazzato.

«Non mi è successo niente» rispose lei, con voce molto più infastidita di quanto avrebbe voluto. 

«Rosa…» si intromise Stephanie, con sguardo apprensivo. «… non devi aver paura di aprirti con noi.»

La figlia di Apollo la squadrò confusa. Fece per domandarle cosa volesse dire, ma quella la abbracciò, strappandole uno squittio sorpreso. «Mi dispiace per quello che ti è successo. Deve essere stato terribile.»

Le labbra di Rosa tremolarono, mentre la figlia di Demetra la avvolgeva con tocco caldo e morbido. «N-Non mi serve un abbraccio» mugugnò.

Per tutta risposta, Stephanie la strinse ancora più forte. Rosa fece per divincolarsi in maniera non molto garbata, ma anche Lisa arrivò per abbracciarla alle spalle, stritolandola tra lei e Stephanie. Si ritrovò incastrata tra le due ragazze e provò a dimenarsi, ma senza alcun risultato. Non volevano lasciarla andare.

«S-Smettetela» bisbigliò, sentendo altre lacrime solcarle le guance. «N-Non mi serve la vostra pietà!»

«Non è pietà» rispose Lisa, appoggiando la guancia sulla sua spalla. «Vogliamo aiutarti.»

«Sei stata prigioniera di Orochi e non hai nemmeno fiatato una volta» proseguì Stephanie. «Sappiamo che sei forte, Rosa, ma non puoi tenerti tutto dentro così. Rischi di farti del male.»

Rosa singhiozzò contro il proprio volere. «L-Lasciatemi…»

«Te lo scordi» ribatté Lisa, stritolandola attorno ai fianchi con ancora più forza. «Non finché non tiri fuori tutto.»

«Lasciatemi ho detto…» sussurrò ancora la figlia di Apollo, prima di piegare la testa. 

Rivide sé stessa sdraiata sopra un letto, incapace di muoversi, mentre i mostri la circondavano osservandola famelici, le mani che fremevano, desiderosi di toccarla. 

Ripensò a quella sensazione di impotenza, a quelle urla disperate che avrebbe voluto fare, a quelle richieste di aiuto che nessuno aveva mai udito mentre Orochi passava minuti, forse ore, a raccontarle tutto quello che voleva fare a lei, ai suoi amici e agli dei dopo averla uccisa e divorata. La paura che aveva provato. Lo sgomento che l’aveva assalita. Il pensiero che quella fosse la fine per lei. La disperazione che copriva ogni cosa.

E la rabbia dovuta al non poter far nulla per tutto quello. La rabbia dovuta al fatto che fosse finita alla mercé dei mostri, al fatto che avesse dovuto dipendere dagli altri per avere salva la vita.

La rabbia, la paura e la tristezza si riversarono fuori da lei in quelle lacrime che cominciarono a scendere dai suoi occhi, inesorabili. Appoggiò la fronte sulla spalla di Stephanie e cominciò a piangere, non riuscendo più a trattenersi. Aveva provato ad evadere dai fatti, ma non c’era riuscita. Sorridere, suonare e allenarsi fingendo che non fosse successo niente non era bastato. Non sarebbe mai bastato per coprire quello che aveva subito. 

Stritolò la figlia di Demetra, mentre lei continuava ad incoraggiarla e a dirle di non trattenersi. Si voltò, riuscendo a districarsi quel tanto che bastava per permetterle di abbracciare anche Lisa, che la avvolse con delicatezza. «Sta tranquilla, Rosa. Puoi contare su di noi.» 

Rosa singhiozzò, stringendole ancora più forte. Si era abituata a non poter contare mai su nessuno. Poi, aveva conosciuto Edward, che per la prima volta l’aveva fatta sentire meno da sola. E adesso c’erano anche loro due. Il pensiero che, forse, poteva avere delle amiche riuscì ad allentare il groppo che sentiva alla gola.

«G-Grazie…» bisbigliò, separandosi infine da loro. Le sorrisero apprensive e anche lei riuscì a sorridere di nuovo. Si gettò di nuovo su entrambe, abbracciandole una per volta e strappandole alcuni versi sorpresi, seguiti da risatine.

«A proposito, per quegli allenamenti insieme ci sei ancora?» le domandò Lisa, quando si separarono. Rosa schiuse le labbra per lo stupore. Lisa sembrava sincera. Voleva davvero allenarsi con lei. Un gigantesco sorriso prese forma sul suo volto. 

«Certo che ci sono» rispose. «Possiamo anche andare più tardi, se vuoi.»

La figlia di Bacco sollevò le spalle. «Perché no?»

Rosa non riuscì a credere alle proprie orecchie. Stritolò di nuovo Lisa per la felicità, sentendola ridacchiare di nuovo. Avrebbe dovuto fare attenzione a non perdere il controllo anche con lei, ma dubitava che avrebbe fatto la stessa fine di Sophia. Aveva visto Lisa combattere e aveva anche sentito quello che aveva combinato ad Efialte. La romana sapeva il fatto suo, su quello non c’erano dubbi. 

Osservò poi gli altri. Anche Thomas le sorrise comprensivo e Natalie fece lo stesso. Edward le posò una mano sulla spalla, invece Addominali Scolpiti le rivolse un cenno della testa. 

Rosa sbatté le palpebre. Konnor le rivolse un cenno della testa. 

Le venne da ridacchiare di nuovo. Non poteva credere che persone così fantastiche fossero diventate amiche di un tontolone come Edward. Anzi, poteva crederlo in realtà. Anche lui era fantastico, ma non gliel’avrebbe mai detto ad alta voce, o il suo ego smisurato lo avrebbe fatto esplodere come un palloncino.

E il pensiero che ormai la vedessero come una di loro la riempì di gioia.

La voce di Edward frantumò ancora una volta la quiete. «C’è… c’è… dell’altro che devo dirvi.»

Rosa spalancò gli occhi. «Ancora?!»

«Ehm… meglio se vi sedete di nuovo tutti.»

Naito non era tornato solo per scusarsi, a quanto pareva. Secondo lui, la madre di Edward non era morta, ma in Giappone, tenuta prigioniera da chissà chi. Quando rivelò la cosa, Edward rimase straordinariamente calmo, come se ci avesse riflettuto sopra già per chissà quanto tempo, cosa che Rosa poteva immaginare, a dire il vero. Non disse molto altro su di lei, ma era palese cosa stesse pensando. E se, in qualche modo, avesse voluto partire per il Giappone a cercarla, lei lo avrebbe seguito. Ed era sicura di non essere l'unica.

Naito aveva detto poi di aver visto qualcuno parlare con Orochi. Rosa stava per dire di aver visto la stessa cosa, ergo quell’informazione era inutile e perciò Naito avrebbe potuto anche andarsene a marcire nel Tartaro, ma secondo lui non era un semplice uomo: era un dio.

Un dio aveva collaborato con Orochi. 

«Ricordo… ricordo di aver sentito qualcosa del genere» mormorò Thomas all’improvviso, voltandosi verso di Lisa. «Quella kitsune… aveva detto che Orochi era solo un “fantoccio.”»

Lisa posò la mano sul ciondolo che aveva attorno al collo. «Me lo ricordo anch’io.»

«Bene, quindi Naito non ha mentito» mugugnò Edward, massaggiandosi una tempia esausto. «Grandioso…»

«Perché un dio avrebbe dovuto collaborare con Orochi?» domandò allora Konnor. 

«Per aiutarlo a rovesciare Amaterasu dal trono» rispose Edward, con voce grave. Vi furono alcuni sussulti di sorpresa. Rosa lanciò un’occhiatina verso di Natalie, che era seduta accanto a loro e faceva vagare lo sguardo sui presenti con aria smarrita. Era probabile che quella poveretta non stesse capendo neanche un terzo delle loro parole, però stava comunque ascoltando, paziente, per essere di supporto ad Edward. Nonostante tutto, le venne da sorridere. Non era carina come Konnor, ma si meritava un lontano secondo posto.

«Ho… fatto un sogno, ieri notte» proseguì Edward, prima di alzare il braccio di fronte a sé, arrivando all'altezza del petto. Un lampo di luce apparve nel suo palmo. Un’istante dopo, stava reggendo una lunga katana dall’elsa d’oro e la lama bianca e luminosa. Diversi sussulti si sollevarono tra di loro. Rosa schiuse le labbra. Era una spada bellissima. Sembrava fatta apposta per stare nella mano del proprietario ed irradiava un’energia così forte da farle arricciare la pelle.

«Ma… quella è Ama no Murakumo!» esclamò Konnor.

«Q-Quella è la spada?» domandò Rosa, sconvolta e meravigliata. «Ma… come? Credevo l’avessi restituita!»

Edward abbassò la spada, che svanì di nuovo dal suo palmo, prima di fare un tenue sorriso. Raccontò del sogno che aveva fatto, del templio giapponese nascosto tra le colline, in una gigantesca caverna, e del suo incontro con Susanoo e Amaterasu. Quando parlò di lei, la descrisse come la cosa più meravigliosa che avesse mai visto, al punto che sembrava essersene innamorato. Natalie si schiarì la voce, facendogli intuire che doveva darsi un contegno. Imbarazzato, Edward farfugliò delle scuse. Rosa trattenne una risatina. 

Hermano tonto…

«Però avreste dovuto vederla» disse ancora lui. «Era proprio… impossibile non guardarla. Era come se avesse un magnete addosso. Non so come spiegarmi.»

«Tipo… Afrodite?» domandò Thomas. 

«Ancora di più.»

Un tuono scosse il cielo in quel momento, facendo sussultare l’hermano. Afrodite non doveva aver gradito quelle parole. A Rosa scappò un sorrisetto. Adesso anche lei era curiosa di conoscere Amaterasu.

«Comunque…» riprese Edward, dopo aver dato un’occhiata nervosa al cielo. «… è stata Amaterasu a cedermi di nuovo la spada. Vuole che… che io sia il suo araldo.»

Raccontò la sua conversazione con la dea e spiegò che, secondo lui, alcuni dei orientali volevano detronizzare Amaterasu e prendere il suo posto. E ciò che Naito aveva detto non faceva altro che rafforzare la sua teoria. Aveva perfino menzionato il dio della luna, fratello di Amaterasu, come il possibile traditore. 

Rosa si ritrovò a pensare a suo padre e ad Artemide. Certo, tra loro esisteva una sorta di rivalità fraterna, ma non sarebbe mai riuscita ad immaginare sua zia che cercava di uccidere il fratello per prendere il dominio del sole. Non aveva alcun senso. Era anche vero, tuttavia, che non era Apollo il sovrano degli olimpi, ma Zeus. E i fratelli di Zeus in svariate occasioni avevano provato a fargli qualche scherzetto di cattivo gusto sfociato in morte e devastazione. 

A conti fatti, la teoria di Naito sembrava reggersi in piedi. Ma siccome era di Naito, Rosa decise di scartarla a priori. Non le importava come, dove, o quando, non lo avrebbe mai ascoltato, né avrebbe mai accettato le sue scuse e tantomeno lo avrebbe mai visto in maniera diversa rispetto a quella in cui lui si era presentato. 

«Quindi… ci sono altri guai in arrivo?» chiese infine Stephanie, angosciata.

«Ho… paura di sì» ammise Edward, cupo in volto. «Ma forse, prima di trarre conclusioni affrettate, dovremmo discuterne anche con Chirone. Deve sapere che ho di nuovo la spada. E magari potrà dirci qualcosa che ci aiuti a capire meglio la situazione.»

Rosa non ci avrebbe giurato. Di solito prima di far spiccicare qualcosa a Chirone occorrevano anni e anni e anche un sacco di semidei uccisi. E nella maggior parte dei casi, si decideva a parlare soltanto quando bene o male la situazione era già chiara a tutti. E questo per quanto riguardava le situazioni “normali.”

Quella non era affatto una situazione normale. C’erano di mezzo dei e mostri giapponesi, qualcosa che nessuno di loro aveva mai affrontato prima, qualcosa di sconosciuto, pericoloso e potenzialmente distruttivo.

E a quel pensiero, le venne da sorridere. Fece vagare lo sguardo su tutti loro. Stephanie e Konnor, Lisa e Thomas, Natalie ed Edward. Distese il sorriso, pensando a tutto ciò che aveva portato quei sei ragazzi a trovarsi lì, tutti insieme, uniti.

Proprio come aveva detto all’hermano diverse settimane prima, parlandogli delle guerre che c’erano state tantissimi anni prima. Avere un nemico comune aveva portato tutto il Campo Mezzosangue ad unire le forze e aveva spinto i semidei a diventare amici, una famiglia. E anche lei ne faceva parte. E per questo motivo, avrebbe combattuto con tutte le sue forze. E soprattutto si sarebbe allenata fino a stramazzare di fatica ogni sera.

Non vedeva l’ora. 

Ripensò a Naito. Edward aveva detto che non lo avrebbero più rivisto e Rosa si augurò che fosse davvero così. In caso contrario, si sarebbe assicurata che quel verme non rapisse mai più nessuno. In quel momento, però, avevano altro a cui pensare. 

«Che stiamo aspettando allora?» domandò, alzandosi in piedi di scatto. Sollevò una mano a pugno e fece vagare lo sguardo su tutti loro, determinata. Edward era suo fratello, era legata a lui, e anche tutti quei ragazzi erano legati a lui. Non solo, l’avevano anche salvata da Orochi. Per questo motivo, lei avrebbe ricambiato il favore. Anche lei avrebbe combattuto, assieme a loro e soprattutto per loro.

Distese il sorriso, volgendo lo sguardo verso il cielo. Il sole caldo la carezzò con i suoi raggi, rinvigorendola. Nonostante ammirasse sua zia, rimaneva comunque una figlia di Apollo. Un giorno, sperava di incontrare anche lui. E soprattutto, sperava di renderlo fiero di lei.  

Anzi. Era certa che l'avrebbe reso fiero di lei.

«Andiamo da Chirone!»

 

 

 

 

 

 

Buonasera a tutti! Non ho davvero qualcosa di importante da dire, in realtà, ma siccome è passato un po' dall'ultima volta che mi sono rivolto a voi in maniera informale, ho deciso di farmi vivo per un secondo. Intanto vorrei ringraziare di cuore Farkas, Roland e Nanamin per aver recensito questi piccoli orrori. 

Questo capitolo su Rosa era da molto che volevo farlo, penso si noti anche dalla lunghezza, che ricorda un po' quelli della storia principale. Possiamo dire che a tutti gli effetti questo è stato un capitolo extra della storia. Ma soprattutto, volevo fare il punto di vista con lei, spero sia venuto bene e ovviamente spero che vi sia piaciuto!

E quindi... sì, immagino di aver appena distrutto le speranze di alcuni. Non odiatemi, pls.

Grazie per aver letto e ci vediamo ad un prossimo aggiornamento! 

 

   
 
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