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Autore: Signorina Granger    06/07/2021    8 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 10: Merry Catmas
 
25 dicembre, 8.15 am
 
 
Quando venne svegliato dal bussare alla porta della sua cabina, Asriel stava facendo un sogno meraviglioso: era circondato da teneri e morbidi gattini – tutti con addosso, per qualche strano motivo, cappelli da Babbo Natale – che non chiedevano altro che essere coccolati.
Proprio per questo motivo quando si ridestò dal sonno l’Auror aprì gli occhi chiari e si guardò attorno spaesato prima di realizzare con un sospiro cupo di essere ancora su quel treno pieno zeppo di possibili assassini: quell’indagine sembrava non avere mai fine.
Asriel scostò le coperte con un sonoro sbuffo, si alzò in piedi e borbottò alla sua visita che stava arrivando prima di afferrare, alla cieca, una maglietta da mettersi. Se l’era appena infilata quando aprì la porta della cabina, non stupendosi per nulla quando incontrò il candido e allegro sorriso di Clodagh, condito dai brillanti capelli rossi della strega e dal suo maglione a tema natalizio.
“Buongiorno, stella splendente!”
Qualsiasi cosa Clodagh dovesse dirgli, la strega la dimenticò quando concentrò la propria attenzione sulla maglietta che il collega indossava. Asriel, in piedi sulla soglia, aggrottò la fronte mentre guardava la strega strabuzzare gli occhi, indicare il suo petto e infine sorridere più allegra che mai, trattenendo a stento una risata:
Porca Tosca, non ci posso credere… ma allora te la sei messa!”
“Che cosa?”
“Come sarebbe “cosa”, la maglietta che ti ho regalato l’anno scorso per Natale!”
Confuso, Asriel chinò lo sguardo e fu con orrore che scorse cosa si era infilato nel buio della sua cabina: era vero, indossava proprio la maglia che Clodagh gli aveva regalato l’anno prima. Una maglietta nera dove faceva capolino il disegno di uno scatolone pieno di gattini stilizzati e la scritta “Merry Catmas”. Ricordava benissimo quanto avesse riso quando l’aveva vista per la prima volta, ma non era decisamente il caso di farsi vedere da tutto il treno con quella addosso.
“Già, a quanto pare sì… ma preferisco toglierla prima che qualche sospettato mi veda con addosso questa. Senza offesa, Clo.”
“Nessuna offesa, so che ci tieni a dare un’impressione professionale.”
La strega si strinse nelle spalle senza smettere di sorridere, soddisfatta di essere riuscita a vederlo indossare la sua maglietta mentre Asriel se la sfilava dalla testa. L’Auror stava per tornare nella cabina e mettersi qualcosa di più dignitoso per continuare la conversazione quando udì un familiare ed inconfondibile click metallico.
Yaxley! Smettila di fotografarmi!”
Ridotti gli occhi a due fessure e le mani strette a pugno, Asriel si trattenne dal lanciare la maglietta che ancora stringeva contro la fotografa, che era appena apparsa nel vagone della prima classe ma che, per qualche assurdo motivo, non teneva in mano nessuna macchina fotografica.
“Non so di che cosa stai parlando. Sai Mr Auror, dovresti proprio sgonfiare il tuo ego… solo perché sei un bell’uomo non significa che tutti smanino per fotografarti!”
Mentre Clodagh faceva di tutto per non scoppiare a ridere, Delilah superò lei e Asriel stringendo il braccio di Prospero, un bastoncino di liquirizia tra le labbra e scoccando all’uomo l’occhiata più sostenuta di cui era capace. Tuttavia, una volta superati gli Auror – percependo lo sguardo torvo di Asriel fisso sulla sua schiena – la strega sfoderò un sorrisetto udendo il mormorio che l’amico le rivolse:
“Lo hai preso?”
Mi prendi per una pivella? Ovvio che l’ho preso.”
“Brava la mia ragazza. Ora abbiamo il nostro regalo di Natale.
Anche Prospero sorrise, divertito, e allungò il pugno verso l’amica per far sì che lei lo facesse scontrare con il proprio.
La giornata iniziava proprio per il verso giusto.

 
*

 
“Clo, smettila di ridere!”
“Scusa, ma trovo troppo divertente il fatto che tu venga paparazzato in giro neanche fossi una diva del cinema…”
Asriel alzò gli occhi al cielo e Clodagh ridacchiò mentre lo seguiva nel vagone ristorante. Lì trovarono James con una pila altissima di pancake davanti e Alpine – che sembrava essersi svegliata di buon umore e si stava facendo accarezzare docilmente dal padrone – sulle ginocchia.
“Ciao JJ!”
Clodagh rivolse un largo sorriso al collega, che ricambiò e rivolse loro un cenno appena prima che Alpine, scorto Asriel, saltasse sul pavimento e gli corresse incontro.
“Ciao bellissima.”
Ritrovando all’improvviso un po’ di buon umore, Asriel si inginocchiò sorridendo e diede delle carezze alla bella gatta bianca, che sollevò la testa e si lasciò grattare le orecchie soddisfatta mentre James li osservava sconsolato:
“Era troppo bello per durare… prima gli smile, ora la gatta, Asriel mi ruba ogni cosa.”
“Su, non è colpa sua questa volta, è Alpine che va da lui…”
Clodagh sedette accanto all’amico dandogli dei colpetti consolatori sulla spalla, e James annuì tetro mentre osservava la gatta fare le fusa ad Asriel.
Ruffiana di una gatta.

 
*

 
Elaine versò un po’ di tè nero nella tazza bianca che aveva davanti, aggiungendoci un goccio di latte prima di mescolarlo leggermente. Stava per prendere uno scone dall’alzatina per dolci che aveva davanti quando gli occhi chiari della strega indugiarono sulla ragazza che le sedeva di fronte.
Il sopracciglio destro di Elaine arrivò quasi a sfiorare l’attaccatura dei suoi capelli ramati quando si ritrovò a guardare, accigliata, May con il suo telefono stretto in una mano e l’altra, invece, impegnata a portarsi alle labbra tutte le cose più caloriche presenti sulla tavola elegantemente apparecchiata.
“Hai stretto un patto col diavolo?”
“Come?”
L’ex Grifondoro alzò lo sguardo dallo schermo del telefono – con il quale stava litigando incessantemente da quando si era svegliata – per rivolgere un’occhiata confusa ad Elaine, che parlò prima di portarsi la tazza alle labbra e scoccarle un’occhiata indagatrice.
“È  l’unica soluzione che mi viene in mente, vedendoti mangiare così tanto pur restando in forma perfetta.”
“Sai, me lo dice sempre anche mia madre. Ma è solo allenamento. Mai provato?”
Era una fortuna, per May, che la strega avesse sempre adorato l’attività fisica. Fin da quando era piccola sua sorella le aveva sempre chiesto dove trovasse l’energia per fare tutto quello sport, ma per lei non era mai stato un peso. E cosa più importante, poteva mangiare a volontà.
Posso farlo con le Jimmy?”
“Meglio di no.”
“Allora lascio l’allenamento a te. Sempre niente campo?”
La cantante appoggiò con delicatezza la tazza sul suo piattino e addentò lo scone prima di pulirsi educatamente le labbra con il tovagliolo candido, guardando May scuotere il capo sconsolata:
“No, niente. Dopo proverò ad andare fuori, volevo chiamare Pearl e farle gli auguri… e chiederle se Babbo Natale le ha portato tutti i regali anche se ha passato il Natale in un altro posto. Era preoccupata che lui non la trovasse.”
Un sorriso tenero incurvò le labbra dell’ex Grifondoro, come capitava sempre quando nominava la nipotina. Poteva solo sperare che il set di Barbie veterinaria e l’orso di peluche gigante avrebbero indotto la bambina a perdonarla per aver saltato il Natale.
“Ha già dato qualche segno? Di poteri magici, intendo.”
“No, non ancora. Mia madre è preoccupata che possa essere una Maganò, ma io continuo a dirle di non agitarsi. Sono sicura che Pearl sarà una strega brillante come sua madre.”
“È piccolina, c’è ancora tempo direi. Io non so di preciso quanto avessi al mio primo incantesimo… di sicurò avrà fatto impazzire mia madre con qualche guaio, anche se se fossi stata Maganò mi avrebbe defenestrata più rapidamente di Era con Efesto.”
May rise, ma Elaine non la imitò mentre prendeva un altro sorso di tè, scura in volto. Non era mai stata così seria in vita sua.

 
*
 

“James, no. Non faremo una battaglia a palle di neve. Abbiamo del lavoro da fare.”
Amareggiato, James infilzò un pezzo di pancake coperto di sciroppo d’acero borbottando che quel Natale si prospettava il più noioso di sempre mentre la faccina creata con lo sciroppo sul pancale lo guardava sorridente.
“Lavorare il 25 Dicembre dovrebbe essere contro la legge.”
“Disgraziatamente anche uccidere qualcuno è contro la legge, e tocca a noi occuparcene. E poi, se anche giocassimo ne uscireste terribilmente umiliati e voglio risparmiarvi la pena.”
Asriel si portò la tazza di caffè alle labbra per celare un sorriso soddisfatto mentre Clodagh, invece, gli scoccò un’occhiata eloquente da sopra una tazza di tè verde fumante:
“Oh, come sei magnanimo… Grazie Asriel. Pensi davvero che potresti battermi? Non credo proprio.”
“Ti prego, tu non porti i guanti, ti congeleresti le mani in mezzo minuto e poi diventeresti completamente inerme. Non farmi ridere.”
Asriel rivolse alla collega un sorrisetto che Clodagh non ricambiò, guardandolo torva mentre James spostava stupito lo sguardo da una collega all’altro:
“Non ti facevo un tipo competitivo, Asriel.”
Udendo quelle parole Clodagh rischiò di scoppiare a ridere e di mandarsi il tè di traverso, tossicchiando un paio di volte prima di rimettere la tazza al sicuro sul piattino e rivolgere un sorriso al più giovane:
“Dici così perché TU non hai frequentato l’Accademia insieme a lui, e forse non ricordi le mazzate che dava ai giocatori avversari durante le partite di Quidditch. Ascolta un consiglio, JJ. Non giocare mai con quest’uomo a Cluedo e non avvicinarti quando c’è un Bolide nei paraggi.”
Clodagh si era presto pentita di aver insegnato a giocare al suo collega: ogni volta in cui tiravano fuori il gioco da tavolo, la partita sfociava in litigate piuttosto accese.
“Ti rode solo perché perdi sempre, invidiosa!”
“Ma non farmi ridere, prima o poi riuscirò a provare che trucchi i dadi con qualche incantesimo.”
 
Impotente, James stava guardando i due colleghi discutere sulle partite passate – il giovane Auror si ripromise di non proporre mai a quei due di fare una partita a qualche gioco da tavolo – quando un cameriere raggiunse il tavolo. Tuttavia, invece di sparecchiare il ragazzo si chinò leggermente verso Asriel, mormorando qualcosa in tedesco che né James né Clodagh poterono comprendere.
L’uomo rimase impassibile mentre ascoltava, gli occhi chiari fissi davanti a sé prima di annuire, mormorare un “Danke” e infine lasciare il tovagliolo candido sul tavolo prima di alzarsi:
“Devo andare a parlare col capotreno. Cercate di non far saltare in aria niente, né di… natalizzare tutto e tutti prima che io ritorni. Ah, e dite a Elaine Fawley-Selwyn che voglio parlare con lei stamani.”
 
James e Clodagh guardarono il collega allontanarsi fino ad uscire dal vagone ristorante, salutando Lenox quando incrociò uscendo l’ex Tassorosso.
“Cosa pensi che debba dirgli?”
“Magari ci sono sviluppi… in ogni caso, lo scopriremo presto. Io vado ad informare la nostra celebrità.”
Vuotata la tazza con un’ultima sorsata di tè, Clodagh si alzò rassettandosi il maglione a trama natalizia e i corti capelli ramati prima di dirigersi verso il tavolo occupato da Elaine e da May.
Quando Clodagh si fermò davanti al tavolo entrambe le streghe sollevarono lo sguardo su di lei, ascoltandola senza dire nulla. Mentre Elaine, per nulla sorpresa, annuiva con un lieve cenno del capo lo sguardo di May scivolò alle spalle di Clodagh fino a posarsi su James, indirizzando all’Auror un sorriso e un complimento in labiale per il suo maglione.
James ricambiò il sorriso, sentendosi improvvisamente un po’ più allegro: finalmente qualcuno che condivideva il suo spirito natalizio!
 
 
*

 
Mon Dieu, vedo che non hai ancora abbandonato le tue vesti natalizie…”
Joyeux Noël anche a te, Coco. Visto e considerato che posso indossare questo maglione solo un paio di giorni all’anno, ne approfitto. Loki però ha distrutto il suo adorabile cappellino, quelle tristesse…”
Corinne alzò gli occhi al cielo, astenendosi dall’informare l’amica di comprendere pienamente i sentimenti del suo micio mentre chiudeva il libro che stava leggendo e lo appoggiava su un lato del tavolo.
L’espressione affranta di Clara – che aveva impiegato giorni di assidua ricerca per trovare un cappello da Babbo Natale formato mignon per il suo Loki – tuttavia si rasserenò in fretta: lei e Corinne avevano appena ordinato quando Prospero e Delilah, passando loro accanto dopo aver fatto colazione, si complimentarono con la strega per il suo maglione.
Clara sorrise, improvvisamente di buon umore, ringraziandoli prima di tornare a rivolgersi all’amica con un aria soddisfatta:
Merci! Visto, Coco? Les anglais apprezzano i gatti natalizi, a differenza tua.”
“Io vorrei solo poter scendere dal treno e fare una passeggiata… e comprare delle dannate sigarette. Le sto quasi finendo, e non va affatto bene!”
Innervosita a causa delle sigarette sempre più sporadiche che poteva concedersi – temendo di finire le scorte prima di giungere a Nizza, Corinne stava razionando sempre di più le sue preziose Gauloises Blondes Bleues – Corinne giocherellò nervosamente con una manica della camicia bianca che indossava mentre Clara, sedutale di fronte, osservava distrattamente fuori dal finestrino.
“Un giorno senza quello schifo potrà solo farti bene.”
“Facile dirlo per una che non ha mai fumato in vita sua…”
“E ne vado anche fiera.”
“Beh, ti avviso che potrei diventare vagamente intrattabile, forse entro la fine del viaggio rimpiangerai le mie sigarette.”


Le due streghe stavano facendo colazione quando un cameriere, appena entrato nel vagone ristorante, si avvicinò ad Asriel per parlargli in tedesco a bassa voce.
Corinne non era mai stata tipo da origliare le conversazioni altrui: lo aveva sempre trovato terribilmente maleducato, nonché di pessimo gusto. Tuttavia, la mattina di quel particolare Natale l’ex fantina si ritrovò ad infrangere una delle sue regole: stava imparando il tedesco, e sedendo nel tavolo davanti a quello occupato dagli Auror non fu difficile cogliere alcune delle parole che il giovane cameriere rivolse ad Asriel, che sedeva dandole le spalle.
La strega si bloccò sulla sedia tenendo la tazza di caffè a mezz’aria, la testa leggermente ruotata per sentire meglio.
“Coco? Che succede?”
Corinne non rispose, restando perfettamente immobile e in ascolto di quella brevissima conversazione. Quando Asriel ringraziò il cameriere e si alzò in piedi la francese si affrettò a rimettersi dritta sulla sedia, rivolgendosi nuovamente ad una Clara sempre più confusa.
La bionda aspettò che Asriel se ne fosse andato e che Clodagh si fosse alzata per andare verso un altro tavolo, poi si sporse leggermente verso Clara per mormorare qualcosa in francese:
Credo che sia arrivato qualcosa che ci riguarda.”
“Intendi informazioni su di noi?”
Dovranno pur confermare ciò che gli abbiamo detto. C’è da chiedersi quanto a fondo riusciranno a scavare.”
Corinne si rimise seduta dritta sulla sedia con un sospiro, rigirandosi nervosamente il braccialetto d’oro bianco che portava al polso sinistro mentre Clara, deglutendo, spostava lo sguardo dall’amica fino a Clodagh, che stava parlando con Elaine.

Merde
 

 
*

 
Quella mattina Renée aveva lasciato la sua cabina ed aveva varcato la soglia del vagone ristorante più tardi del solito: la notte precedente non aveva quasi chiuso occhio, ed alzarsi presto le era risultato praticamente impossibile.
Elaine e May dovevano aver già fatto colazione, perché l’ex Grifondoro non le trovò nel vagone ormai quasi vuoto, tanto che un paio di camerieri stavano mettendo a posto alcuni tavoli chiacchierando a bassa voce.
Seduta vicino al finestrino, la strega bevve il suo tè pensando alla sua famiglia – era pur sempre Natale, e di sicuro sua madre si stava già adoperando per il pranzo costringendo i suoi fratelli ad apparecchiare e a mettere in ordine – e in particolare a sua sorella maggiore Corinne. Dire che le due non avevano un buon rapporto sarebbe stato un eufemismo, ma aveva comunque mandato una lettera a casa – storcendo il naso quando gli Auror avevano voluto leggerla prima che venisse spedita – per informare la sorella che Alexandra Sutton era deceduta.
Le due si conoscevano molto bene, e si chiese come l’avrebbe presa sua sorella.
Dubbiosa, Renée lanciò un’occhiata in tralice ai camerieri che chiacchieravano con fare concitato, come se si stessero scambiando informazioni importanti. Mai come in quel momento si pentì di non aver studiato tedesco: aveva la netta sensazione che qualsiasi cosa fosse successa riguardasse lei e gli altri passeggeri.
 

 
*

 
“Hans, Caspar, finitela di giocare, sapete che dobbiamo mettere a posto in fretta per lasciare posto agli Auror.”
Il bonario rimprovero di Ruven – visto che era Natale aveva deciso di essere più buono del solito, anche se minacciato tutti di morte quando i camerieri gli avevano proposto per scherzo di mettere un cappello da Babbo Natale al posto della sua solita bandana nera – non sembrò colpire particolarmente i due camerieri, che avevano riportato in cucina vassoi pieni di stoviglie sporche per poi iniziare a lanciarsi i bicchieri da lavare da una parte all’altra della cucina.
“Scusi chef. E oggi avranno anche parecchio da fare.”
Mentre prendeva un vassoio per iniziare a riempire la lavastoviglie, Hans rivolse al collega un sorriso complice che Ruven, non riuscendo ad interpretare, accolse aggrottando confuso la fronte:
Che cosa intendi? Hans, parla, non fare il furbo con me, lo sai come va a finire.”
Preferendo vuotare il sacco piuttosto che pulire la cucina da cima a fondo da solo – per di più senza magia – il ragazzo si affrettò a parlare:
Prima Johann è stato fermato dal capotreno, gli ha chiesto di dire qualcosa all’Auror. Pare che sia arrivato qualcosa per gli Auror dall’Inghilterra. Qualcosa che riguarda l’omicidio e i sospettati.”
In condizioni differenti Ruven avrebbe sbuffato e rimproverato il cameriere per aver origliato, ricordandogli che in sala doveva fare il suo lavoro e non ascoltare le conversazioni altrui. In quel preciso istante, tuttavia, il pensiero non lo attraversò neanche lontanamente.
Lo chef s’irrigidì, quasi impallidendo mentre spalancava gli occhi color verde chiaro. Caspar, in piedi accanto a lui, guardò il superiore con leggera preoccupazione prima di chiedergli se si sentisse bene.
Benissimo. Datevi una mossa a finire, tra mezz’ora voglio che tutto sia in ordine, fatemi risparmiare le lamentele degli Auror.”
Ridestandosi e cercando di contenere il nervosismo, Ruven girò sui tacchi e uscì dalla cucina in fretta e furia, camminando a passo spedito verso la cabina che condivideva con alcuni degli altri inservienti mentre si sbottonava nervosamente la casacca da chef.
Che cosa poteva essere arrivato dall’Inghilterra che riguardava l’omicidio, se non informazioni utili al caso? Nella migliore delle ipotesi si trattava di informazioni sulla vittima, nella peggiore gli Auror avevano fatto in modo che qualche loro collega indagasse sul conto dei presenti sul treno.
Avrebbe pagato fiumi di galeoni, tutto ciò che guadagnava in mesi e mesi di lavoro, per mettere le mani su ciò che era arrivato quella mattina. E all’evenienza far sparire qualsiasi cosa che avrebbe potuto metterlo in cattiva luce.

 
*

 
Halleluja, il Dipartimento è riuscito a mandarci qualcosa su queste persone… se la sono presa comoda. C’era anche un biglietto dove Collins ha scritto che manderanno altre informazioni il prima possibile.”
Asriel varcò la soglia della cabina dopo che Clodagh aveva aperto la porta con la magia, uno scatolone di cartone tra le braccia.
“Via, è pur sempre Natale… e non era una distanza da poco. Quei poveri gufi erano stremati.”
La strega lo seguì con la bacchetta in mano e un lieve sorriso sulle labbra, guardando il collega lasciare il pacco sul letto prima di voltarsi verso Geraldine e osservare ciò che avevano scritto e appuntato fino a quel momento.
Natale un cavolo, noi siamo bloccati qui mentre Potter e Weasley, ieri sera, si abbuffavano di lasagne. Li esamineremo dopo, prima voglio parlare con la cantante.”
“Stanno sgomberando il vagone ristorante, a breve potremo iniziare. Pensi che leggere questa roba ci aiuterà?”
L’ex Tassorosso diede le spalle alla lavagna per avvicinarsi al letto, accennando alla scatola mentre Asriel osservava il pacco speranzoso:

“È quello che spero. James dov’è?”
“Si è fermato a chiacchierare con May Hennings.”
“Tipico, quel ragazzo sarebbe capace di attaccare bottone anche con la maniglia di una porta. Dai, andiamo, se non ci muoviamo passeremo qui anche il prossimo Natale.”
Asriel si diresse verso la porta della cabina infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni grigi, e Clodagh lanciò un’ultima occhiata allo scatolone prima di seguirlo abbozzando un sorriso:
“Finiremmo le scorte di cibo ben prima.”
“Tanto peggio per voi allora, sai come divento quando non mangio.”
“Allora sarà meglio risolvere il caso in fretta, prima che questo treno si trasformi in uno scenario da film dell’orrore. Sono davvero curiosa di sentire che cos’ha da dire quella ragazza.”
“Perché?”
Mentre sigillava la serratura con un Colloportus non verbale, Asriel volse lo sguardo sull’amica per lanciarle un’occhiata pregna di curiosità, guardandola alzare gli occhi al cielo prima di sospirare:
“Ma non li leggi, i giornali?”
“Certo, ma non perdo tempo sugli articoli di gossip, e non sono un patito di lirica.”
“Beh, capita spesso che scrivano su di lei, è una delle vittime preferita di quella deficiente della Skeeter…”
Nel pensare a quella donna, Asriel sentì chiaramente un conato di vomito risalirgli la gola, ma fece del suo meglio per non pensare a quella palla al piede che era solita scrivere di lui evidenziando i suoi addominali e la sua faccia anziché i suoi successi professionali.
“… ma in realtà di quella strega e della sua vita privata da qualche anno a questa parte non si sa quasi niente, pare sia riservatissima. Assolutamente niente, da quando ha lasciato Hogwarts.”
“In tal caso, andiamo a farci un po’ di affari altrui.”
 

 
*

 
Quando Lenox era uscito per fumare una sigaretta si era imbattuto in Corinne e Clara, che stavano discutendo fitto fitto in francese mentre la bionda – che evidentemente non aveva saputo resistere dopo la notizia appresa quella mattina – stringeva una sigaretta tra le dita.
Dopo aver rivolto alle due streghe un educato cenno, il mago aveva tirato fuori il suo zippo d’argento dalla tasca interna della giacca e aveva acceso una sigaretta a sua volta, in piedi ad un paio di metri di distanza dalle due passeggere.
Certe di poter conversare indisturbate, Corinne e Clara parlavano senza curarsi particolarmente della presenza di Lenox, gesticolando e, nel caso della bionda, agitando nervosamente di tanto in tanto la mano che teneva la sigaretta tra una boccata e l’altra.
Non era abitudine di Lenox origliare, nel modo più assoluto, ma a causa della vicinanza non poteva fare a meno di sentire che cosa le due si stessero dicendo, e né Clara né Corinne potevano immaginare che il mago comprendesse ogni singola parola grazie a suo nonno, che da fiero canadese aveva insistito per insegnargli il francese.
 
“Che cosa gli hai detto, di preciso? È importante.”
“Gli ho detto dell’incidente di mio fratello, del perché ho cambiato lavoro… non gli ho detto della causa.”

“Non gli hai detto della causa?!”
“Non gli ho detto che era coinvolta lei. Mi hanno chiesto se la conoscessi e ho detto di no.”
“In pratica hai mentito.”

“Non ho propriamente mentito, in fondo non la conoscevo personalmente… ho omesso di averci indirettamente avuto a che fare, questo sì. Merde…”
Sbuffando, Clara colpì nervosamente la sbarra di metallo a cui era appoggiata mentre Corinne, sospirando, annuiva:
“Puoi ben dirlo, mon amie. Avresti dovuto dire la verità.”
“E così chissà che cosa avrebbero pensato! Tu che cosa hai detto?”
“Non potevo mentire sulla mia relazione con Alexandra… sono famosa in Francia e di noi si parlò per giorni, ci avrebbero messo cinque minuti a scoprirlo. No, ho detto la verità. Potrei non aver citato proprio tutte le conseguenze di quelle sue stupide confessioni alla stampa, ma non credo sia troppo grave.”
“Coco, sei stata insieme a lei. Non sono pratica di indagini per omicidio, ma oserei dire che la cosa ti mette automaticamente al primo posto nella lista dei più sospettabili.”
“Lo so, per questo non ho mentito, sono già in una posizione di merda. Puoi solo sperare che non scoprano di tuo fratello e di Alexandra, Clara.”
 
Pochi minuti dopo, quando le due rientrarono sul treno, Lenox le seguì brevemente con lo sguardo stringendo la sigaretta tra le dita. Gli occhi chiari fissi su Corinne, si chiese quasi con una nota di disgusto come si potesse aver amato quella donna. Quando aveva sentito la strega citare la sua relazione con Alexandra aveva dovuto fare del suo meglio per mascherare la sorpresa, o avrebbero capito che aveva compreso tutto ciò che si erano dette. Pensando invece a ciò che aveva detto l’altra strega, Lenox non poté fare a meno di chiedersi quante famiglie avesse rovinato, oltre alla sua.

 
*

 
“Signorina Fawley-Selwyn…”
“Può chiamarmi Elaine.”
Seduta compostamente sulla sedia davanti al tavolo occupato dagli Auror, Elaine parlò stringendo le mani in grembo, le gambe accavallate e ricambiando placidamente lo sguardo di Asriel, per nulla a disagio dalla situazione e perfettamente in ordine come sempre.
L’Auror esitò, titubante – non era solito chiamare le persone con cui aveva a che far per lavoro per nome, ma trattandosi di una richiesta esplicita doveva fare un’eccezione – ma infine annuì e riprese a parlare con calma:
“D’accordo. Che cosa l’ha portata su questo treno, Elaine?”
“Avrei dovuto raggiungere mio zio per passare il Natale insieme. Vive vicino a Nizza, è francese. Se volete potete verificare scrivendogli.”
“E che cosa ci faceva a Berlino?”
“Un concerto al Staatsoper Unter den Linden, l’ultimo prima delle feste, per me.”
“Questo è un periodo strano per non lavorare per un’artista.”
Come sempre, Elaine non si scompose, limitandosi ad una stretta di spalle appena accennata mentre si sfiorava la lunga ed elaborata treccia alla francese che le ricadeva sulla spalla destra con le dita smaltate di rosso.
“Ho promesso a mio zio che sarei stata con lui e che mi sarei presa una breve pausa. Lui ha solo me.”

 
*

 
“Mamma, mi vergogno. Non credo di volerlo fare… e se sbaglio una nota?”
“Motivo in più per non sbagliare, Elaine. Pensa alla figura che ci faresti fare!”
Seduta davanti alla toeletta bianca della sua enorme camera, Elaine si stava facendo pettinare i capelli dalla sua Elfa, Wonky, mentre guardava nervosamente la madre attraverso lo specchio ovale che aveva davanti agli occhi. Elaine aveva preso lezioni di piano, di canto e di danza fin da piccolissima per volere della madre, e anche se la bambina apprezzava moltissimo la musica e adorava esercitarsi e prendere lezioni, si sentiva sempre molto a disagio quando i suoi genitori la facevano esibire davanti ai loro amici, tutti pronti ad applaudirla tanto quanto a giudicarla.
Quando Juliet lasciò la sfarzosa stanza della figlia per andare a controllare che la sala da pranzo fosse in ordine, Elaine si rivolse con un sospiro carico di nervosismo all’Elfa mentre faceva dondolare ritmicamente le gambe dallo sgabello imbottito e si tormentava l’orlo del vestitino rosso.
“Wonky, secondo te sarò brava?”
“Certo Signorina, lei è bravissima!”
“Vorrei almeno che ci fossero gli zii, loro sono così gentili. Ma la mamma non li invita mai. Tu sai perché non vuole bene a zia Theodora?”
La bambina si girò, stringendo lo schienale della sedia per poter guardare l’Elfa Domestica negli occhi. La Creatura, spiazzata da quella domanda, si dondolò avanti e indietro e si guardò nervosamente attorno – appurando che la madre della bambina era uscita dalla stanza e non a portata d’orecchio – prima di sussurrare qualcosa alla padroncina:
“Perché… Perché il Signor Duplessis è Mezzosangue, Signorina Elaine.”
“Che cosa vuol dire?”
“Che non ha tutti e due i genitori maghi e Purosangue. Non come lei, Signorina Elaine, e non come sua madre e sua zia. I suoi nonni non ne furono molto contenti, no no.”
“Ma la mamma dice che è importante sposare un uomo ricco e lo zio è ricco. Non va bene comunque?”
La bambina spalancò innocentemente gli occhi verdi, chiedendosi quanti requisiti dovesse quindi avere un uomo per andare bene a sua madre. Di sicuro, considerato il carattere di suo padre, Elaine constatò che la simpatia non rientrava nella lista.
“No Signorina Elaine, per questo ai suoi genitori non piacciono molto i suoi zii. Ma non dica a sua madre che glie l’ho detto!”
Sorridendo, Elaine giurò all’Elfa che avrebbe mantenuto il segreto e che non sarebbe stata punita. Mentre l’affezionata Wonky finiva di acconciarle i capelli rossi in una treccia a corona, Elaine osservò la propria immagine riflessa nello specchio chiedendosi che cosa avesse di sbagliato lo zio Armand.
Lei gli voleva bene, e del suo sangue non le era mai importato. Come a sua zia Theodora.
 
 
*

 
“Deve averle dato parecchio fastidio restare bloccata qui per Natale, in tal caso.”
All’improvviso, l’espressione della strega si fece più seria, quasi accigliata, e l’ex Tassorosso annuì mentre cercava di non pensare all’amato zio costretto a trascorrere le feste da solo per la prima volta.

“Infatti, sì. Spero che riusciate a venirne a capo in fretta.”
“Si fidi, è quello che speriamo anche noi. Potrebbe darci il nome di suo zio e il suo indirizzo, così possiamo contattarlo?”
“Armand Duplessis. È… era il marito della sorella di mia madre.”

 
*

 
Elaine Fawley-Selwyn trascorse la sua prima sera ad Hogwarts nascosta dietro le tende di quello che sarebbe stato il suo letto a baldacchino per i successivi sette anni. Un foglio di pergamena davanti e una penna in mano, la giovanissima strega scriveva quasi in lacrime una lettera indirizzata a sua zia materna Theodora e a suo marito Armand.
Sentiva le voci allegre delle sue compagne, tutte impegnate a commentare la stanza, la Sala Comune e a chiedersi che cosa avrebbero imparato durante le primissime lezioni del giorno successivo. La piccola Elaine, invece, si sentiva tutto fuorché emozionata: era arrivata al castello di cui aveva tanto sentito parlare piena di meraviglia nei grandi occhi chiari, ma al momento dello Smistamento si era letteralmente sentita morire dentro.
Il Cappello Parlante l’aveva tenuta inchiodata su quello sgabello per quelle che alla giovane strega erano sembrate delle eternità, anche se una sua compagna le aveva giurato che fossero stati solo cinque minuti, che era comunque un arco di tempo non indifferente per gli standard dello Smistamento. Elaine aveva sperato che il Cappello decidesse di smistarla a Corvonero, visto che era indeciso tra quella Casa e Tassorosso, ma alla fine aveva optato per la Casa di Tosca.
Impassibile e celando il suo sgomento, la ragazzina si era sfilata il Cappello dalla testa e poi aveva raggiunto la tavolata senza udire gli applausi: l’unica cosa che la strega sentì furono le voci dei genitori, che di certo non avrebbero gradito la notizia.
Quando sua madre, giorni prima, aveva espressamente dichiarato di rifiutarsi di pensare alla sua unica figlia tra i Tassorosso, Elaine si era rivolta a sua zia Theodora chiedendole che cosa avesse quella Casa di così sbagliato. Il marito della zia aveva studiato a Beauxbatons, quindi la donna era l’unica a cui la piccola Elaine poteva permettersi di chiedere tutto ciò che le passava per la testa senza preoccuparsi del giudizio dei genitori. Theodora aveva riso e le aveva assicurato che fossero tutte inutili paranoie dei suoi genitori e che ogni Casa fosse splendida, ma Elaine non ne era così convinta.
Nella lettera, Elaine comunicò agli zii l’esito dello Smistamento chiedendo loro di non dire nulla ai suoi genitori. Non aveva nemmeno bisogno di chiedere a sua zia se pensava che sua madre sarebbe stata delusa dalla notizia, perché Juliet glielo aveva espressamente detto prima di vederla partire per Hogwarts.
Ci sarebbero volute settimane prima che Elaine, dopo essersi ritrovata costretta a dirlo ai suoi genitori, si rendesse conto che appartenere a quella Casa non aveva nulla di sbagliato. C’erano molte persone gentili che condividevano il Dormitorio e la Sala Comune con lei. In fondo, i Tassorosso non sembravano poi così male.
 
 
*

 
“Conosceva la vittima?”
“Ci ho avuto a che fare, ma non la conoscevo bene. Me la ricordo bene a scuola, ma non siamo mai state amiche. Onestamente, non credo che io le piacessi molto, all’epoca.”
E la cosa era reciproca, pensò la strega accennando una smorfia appena percettibile con gli angoli delle labbra carnose.

“E perché mai?”
“Se ha conosciuto anche vagamente Alexandra sa quanto fosse egocentrica. Convinta che tutto e tutti dovesse sempre ruotare attorno a lei. Mi prese in antipatia perché convinta che io “la copiassi” o una stupidaggine simile.”
“Ed era vero?”
Alla domanda di Asriel Elaine si accigliò, guardandolo come se improvvisamente si sentisse offesa:
“Merlino, no. Io non tratto le persone come faceva lei, Signor Morgenstern. Il fatto che anche io fossi una persona sicura di me non implica che io “la copiassi”.”

 
*
 
 
Per tutti gli anni che lei e Alexandra condivisero ad Hogwarts, la giovane Tassorosso non si avvicinò mai alla Grifondoro, più grande di lei di ben tre anni. Se fin dai primi, difficili mesi di scuola Alexandra aveva colpito la giovane strega, Elaine si era sempre sentita frenata dall’avvicinarsi a lei. C’era qualcosa, a pelle, che della bella Grifondoro non la convinceva.
Ciononostante, Elaine non poteva fare a meno di ammirare da lontano il carattere forte della compagna, e sopra ad ogni cosa la sua evidente sicurezza in se stessa. Lei, che si era sempre sentita fuori posto per colpa dei suoi genitori e del modo in cui era stata cresciuta, non poteva che invidiarla.
“Hai sentito della lite tra la Sutton e Jennifer Bailey? Pare che Jennifer l’abbia chiamata… beh, hai capito, e lei le ha gettato la borsa giù dalle scale… al terzo piano!”
Elaine vagava per gli scaffali della Biblioteca alla ricerca di un volume per un compito di Pozioni mentre May, seguendola passo passo, bisbigliava concitata.
“E tu le hai viste?”
Incuriosita dalla faccenda – e in parte sicura che Alexandra si fosse meritata l’insulto, anche se ammirava il modo in cui la Grifondoro aveva reagito senza farsi mettere i piedi in testa – Elaine si fermò in mezzo al reparto dedicato alle pozioni e rivolse un’occhiata carica di curiosità a May, che però scosse la testa con un debole sbuffo:
“Purtroppo non ero nei paraggi, me l’ha detto mia sorella! Mi sarebbe piaciuto assistere, ne parlano tutti.”
Elaine non ebbe modo di rispondere, perché un’irritata Madama Pince le zittì con la più gelida delle occhiate quando passò davanti agli scaffali dove le due giovani streghe si erano fermate. Abbozzato un timido sorriso di scuse in direzione della bibliotecaria, Elaine tornò a rivolgersi all’amica mentre si alzava in punta di piedi per cercare di prendere il libro che cercava.
“Non mi piace molto quella ragazza, non è affatto gentile.”
“No, è vero. Però vorrei avere il carisma e la sicurezza che ha lei.”
May parlò con un sospiro cupo e l’amica annuì, mordendosi al contempo in labbro inferiore mentre si sforzava di prendere il libro. Dopo diversi sforzi la ragazzina riuscì a tirarlo giù dallo scaffale, sorridendo sollevata prima di tornare a rivolgersi all’amica:
“Hai ragione, ma tu non hai niente da invidiarle. Io, casomai, sono un mezzo disastro…”
Mentre tornavano al loro tavolo, May rimproverò l’amica intimandole di non essere così dura con se stessa. Elaine ascoltò distrattamente le parole della Grifondoro pensando invece ad Alexandra: era vero che non le ispirava particolare fiducia, ma era anche vero che per certi versi le sarebbe piaciuto essere come lei.
 
 
*


“L’ha vista, quando è salita sul treno?”
“Sì, a cena. Non ci siamo rivolte la parola, i camerieri possono confermarlo.”
“Lei viaggia in I classe, come la vittima. Ha sentito niente, durante la notte?”
“Mi risulta difficile dormire in treno, e credo di aver sentito delle porte che si aprivano e chiudevano, ma non so dire se fosse la porta della sua cabina, in I classe alloggiano anche Renèe e la Signorina Leorux. E voi.”
“Che ora era?”
“Non molto tardi, prima di mezzanotte.”

 
*

 
Negli anni trascorsi ad Hogwarts Elaine si sentì, per la prima volta, libera di essere se stessa al 100%. Lontana dagli sguardi e dai giudizi dei suoi genitori, che non le avevano mai fatto mancare nulla – fuorché un affetto sincero – ma che l’avevano sempre fatta sentire fuori posto, iniziò a maturare una crescente disinvoltura e sicurezza in se stessa. Forse in parte era stata effettivamente la figura di Alexandra ad ispirarla, ma Elaine continuò a tenersene a debita distanza.
Per Julius e Juliet, aridi di sentimenti, la loro unica figlia era stata per lo più qualcosa da esibire, e da piccola Elaine si era sempre detta che se si fosse comportata bene e se fosse stata una “brava bambina” si sarebbe guadagnata un sorriso, un abbraccio e il loro affetto. Era ormai entrata nell’adolescenza quando la giovane strega si rese conto che non avrebbe mai potuto riuscire in quell’impresa: poteva essere perfetta ed eccellere in qualsiasi cosa, ma i suoi genitori non l’avrebbe mai apprezzata e amata come era invece per i suoi zii, o per i genitori delle sue amiche che inviavano loro decine di lettere ogni anno e che le accoglievano a braccia aperte di ritorno dalle vacanze – che lei spesso e volentieri trascorreva in Francia con i suoi zii –.
Giunta al quarto anno ad Hogwarts, i suoi genitori iniziarono a parlarle di matrimonio. Elaine di sposarsi non ne voleva sapere, tantomeno con qualcuno scelto dai suoi genitori. Scartando e ignorando un ragazzo dietro l’altro, la giovane e sempre più bella strega ribadiva a se stessa che se mai si sarebbe sposata lo avrebbe fatto solo per amore, come sua zia Theodora. Sua madre si compiaceva sempre di più della bellezza della figlia e Elaine era perfettamente consapevole che per i suoi genitori lei rappresentava solo un proficuo investimento.
Fu sua zia l’unica a vera figura materna nella vita di Elaine, e fu Theodora a farle conoscere e apprezzare la musica lirica.
Compiuti i 17 anni e tornata a casa per le vacanze di Natale durante il suo ultimo anno ad Hogwarts, Elaine si decise a comunicare ai suoi genitori la sua volontà di intraprendere una carriera nel mondo Babbano, creando il punto di rottura definitivo con Julius e Juliet.
A seguito di una furiosa litigata come mai se ne erano sentite dentro quelle mura, Elaine ricordò a suo padre che era maggiorenne, che le sue minacce di diseredarla non la spaventavano e che avrebbe fatto della sua vita ciò che desiderava. Giunta nella sua stanza, la strega si chiuse la porta alle spalle lasciandosi indietro le urla furiose di Julius e trascinò il baule già pronto fuori da sotto il letto.
“Wonky!”
L’Elfa apparve nella stanza mentre Elaine prendeva la sua bacchetta, riponendola con cura in tasca prima di rivolgersi alla Creatura quasi tremante e con i grandi occhi verdi fissi su di lei:
“Sì, Signorina?”
“Wonky, io me ne vado stasera, volevo ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me. Ma non meriti di restare a farti maltrattare dai miei genitori, quindi…”
La strega afferrò uno dei due guanti bianchi di velluto che aveva appositamente lasciato sul comodino, inginocchiandosi e porgendone uno all’Elfa sotto i suoi occhi increduli:
“Se lo desideri, da stasera sarai libera anche tu. E mi renderesti davvero molto felice se accettassi di venire con me. Da Elfa libera, ovviamente.”
“Ma Signorina… Lei… Lei non può dire sul serio.”
“Certo che dico sul serio. Lo avrei fatto anni fa, ma ti voglio bene e egoisticamente non volevo che mi lasciassi.”

Elaine accennò un sorriso di scuse all’Elfa, che guardò incredula il guanto che la strega le porgeva prima di allungare una mano tremante e prenderlo timidamente.
“Se mi vuole Wonky viene con lei, Signorina.”
“Meraviglioso. Grazie, Wonky. Andiamo.”
Sorridendo soddisfatta, Elaine si rimise in piedi e porse una mano all’Elfa mentre con l’altra afferrava il manico del baule. Stringendo il guanto bianco a sé come se si fosse trattato di un tesoro inestimabile, la creatura le strinse delicatamente la mano prima di lanciarle un’occhiata apprensiva:
“E dove andiamo, Signorina?”
“In Francia, Wonky. E appena arriviamo ti farò avere dei vestiti veri, ovviamente.”

 
*
 
 
“Ha avuto a che fare con la vittima dopo il suo diploma ad Hogwarts?”
“Non l’ho vista letteralmente per anni. L’ho incrociata in tribunale, in qualche occasione… tempo fa era impegnata in un processo che ha coinvolto parte della mia famiglia.”
“I suoi genitori?”
“Mio zio e mia zia. Non vedo i miei genitori da anni. Mio zio intentò una causa contro un medico accusandolo di negligenza durante un ricovero e lei lo difese.”
Di quella storia, Elaine non ne aveva praticamente mai parlato ad anima viva. Riportare a galla il periodo più difficile della sua vita fu quasi più doloroso di quanto non si fosse aspettata, ma si impose di darsi un tono e di non far trasparire il disagio che provava: era consapevole di dover parlare della sua famiglia durante l’interrogatorio, e si era ripetuta più volte di non fare scenate.
Se c’era una cosa che la sua anaffettiva madre le aveva insegnato e che le era tornato utile quando era diventata una celebrità, era proprio questa: tenersi tutto dentro.

 
*

 
Non ci vollero molti anni perché Elaine e la sua voce diventassero famose in Inghilterra, in Francia e poi lentamente in buona parte d’Europa. Sul palco, il giovane talento scrutava sempre la platea prima di iniziare, cercando i volti dei suoi zii. Quando scorgeva Armand e Theodora sorriderle, Elaine scordava l’ansia, il nervosismo e come quando era bambina si imponeva di non pensare a tutte quelle paia d’occhi su di sé.
Forse, guardandosi indietro, costringerla ad esibirsi per renderla un trofeo era l’unica cosa di cui doveva essere grata ai suoi genitori: se non altro quelle serate l’avevano temprata a dovere.
 
“Sei stata meravigliosa, mon amour!”
Dopo averle depositato un enorme mazzo di gigli tra le braccia Armand le aveva stretto le spalle e le aveva scoccato il tipico doppio bacio alla francese sulle guance, facendo sorridere la giovane cantante:
“Merci zio.”
“Assolutamente meravigliosa. Siamo davvero molto fieri di te, tesoro.”
Il turno di abbracciarla e di farle i complimenti era poi stato di sua zia, che le aveva sorriso pronunciando parole che mai Elaine rammentava di aver udito dai suoi genitori.
“Grazie. Andiamo a cena? Muoio di fame, prima di esibirmi non mangio per il nervosismo.”
“Una cena mi sembra il minimo che possiamo offrirti, dopo questa esibizione. Ma sai che non approvo questi digiuni, tesoro, prima dei concerti dimagrisci troppo.”
Elaine incassò l’occhiata di rimprovero di Theodora sfoggiando un sorriso di scuse mentre Armand, prendendola sottobraccio, asseriva che avrebbero risolto il problema costringendola ad una cena di tre portate.
Vivendo con gli zii e viaggiando insieme a loro e a Wonky per l’Europa per i suoi concerti, quelli furono senza dubbio gli anni più felici della vita di Elaine. All’epoca la ragazza di certo non avrebbe potuto immaginare quanto poco sarebbe durata quella vita praticamente perfetta.
 

*

 
“Vinse la causa?”
“Non esattamente, l’imputato accettò di patteggiare. Credo che lei la reputasse una delle più grandi delusioni della sua carriera. Prima che me lo chieda, no, non ho avuto stretti contatti con lei in quel periodo. La vedevo in aula, nulla di più, non le ho nemmeno mai rivolto la parola. Dalla fine del processo non l’ho rivista fino a qualche giorno fa, sul treno.”
Quando Elaine finì di parlare Asriel la osservò, cercando di cogliere qualche segnale paralinguistico che potesse suggerire che la strega stesse mentendo ma che, tuttavia, non si palesò. La strega si limitò a ricambiare il suo sguardo, impassibile e perfettamente calma senza lasciar trasparire il minimo segnale di disagio.
“Può, andare. Per ora non ho altro da chiederle.”
 
Elaine aveva appena lasciato il vagone ristorante quando Clodagh, che era rimasta in religioso silenzio fino a quel momento stringendo le braccia al petto e osservando attentamente l’interrogata, parlò osservando pensierosa la sedia lasciata vuota dalla strega:
“Mi è venuta in mente una cosa.”
“Ovvero?”                                                                                   
“La cabina di Alexandra era abbastanza in disordine, no? Come se qualche incantesimo fosse stato scagliato nella stanza, prima che lei morisse…. Sappiamo che è stata uccisa per mano della sua stessa bacchetta, quindi prima dev’essere stata disarmata, probabilmente Alexandra e il colpevole hanno lottato.  Come è possibile che nessuno abbia sentito nulla, con tutta la confusione che c’è lì dentro? Nemmeno voi, che dormivate lì vicino.”
“Magari il colpevole ha usato un incantesimo per insonorizzare la cabina non appena è entrato.”
Dubbioso, James volse lo sguardo su Asriel per sentire che cosa ne pensasse il collega, che tuttavia si limitò a sospirare e a rigirarsi distrattamente una penna tra le dita:
“Questa è una fantastica domanda. Disgraziatamente, se conoscessi la risposta probabilmente avrei già chiuso il caso.”
 

*

 
In aula, Elaine sedeva vicino a suo zio. La strega gli stringeva la mano per dargli conforto, ma i suoi occhi chiari erano fissi davanti a sé, indugiando sul tavolo a cui sedeva l’imputato. L’uomo le dava le spalle e Elaine poteva solo osservarne la nuca coperta da folti capelli scuri e il profilo quando si voltava per avvicinarsi e scambiare qualche parola con il suo avvocato.
Alexandra si scostava i capelli quando si chinava verso il suo cliente, gettandoseli sulla spalla sinistra e permettendo così ad Elaine di poterla osservare meglio.
Avrebbe voluto alzarsi, chiederle davanti a tutti quanto era disposta a scendere in basso e a farsi pagare pur di difendere persone orribili. Non era la prima volta, e di certo nemmeno l’ultima, Elaine lo sapeva. Invece Elaine restava seduta, impassibile, lo sguardo gelido fisso su quelle persone per non lasciare la mano tremante di suo zio.
 

*

 
Delilah si annoiava, e dopo aver ponderato attentamente sul da farsi aveva deciso di ripiegare su uno dei suoi più antichi passatempi: andare a disturbare il suo migliore amico.
Ferma davanti alla porta della cabina di Prospero, la strega bussò un paio di volte prima di aprire la porta udendo l’invito dell’amico. Sbuffando debolmente, la fotografa stava per implorare l’amico di fare una partita a Spara Schiocco per salvarla dalla noia quando i suoi occhi scivolarono su ciò che Prospero, seduto sul suo letto, stringeva tra le mani.
“RO! Ti sei completamente ammattito? Cosa stai facendo?”
“Sto… pulendo le mie cose. È un problema per te?”
Accigliato, Prospero lanciò un’occhiata stranita all’amica mentre Delilah, in piedi sulla soglia della cabina, spostava allibita lo sguardo dal viso del ragazzo al coltello d’argento che teneva in mano e che stava lucidando con un panno.
“Stanno indagando su un omicidio e tu vai in giro a lucidare coltelli? Idiota!”
Ripresasi dallo sconcerto, Delilah si avvicinò all’amico per strappargli il coltello dalle mani stringendone il manico d’avorio. Prospero, incrociando le braccia al petto, sospirò esasperato prima di alzare lo sguardo e incrociare così quello torvo della strega:
“Non me ne sto “andando in giro”, sono nella mia cabina. E ti ricordo che la Sutton è stata uccisa da un incantesimo, non a coltellate. Non c’è nessuna arma del delitto da cercare, qui. Se anche gli Auror dovessero vedermi a lucidare coltelli, non sarebbero affari loro.”
“Ah, è vero. Beh, mi pare comunque una brutta idea. Mi spieghi perché te li sei portati?”


In piedi davanti a lui, Delilah parlò agitando nervosamente le mani prima di lanciare un’occhiata schifata al coltello che teneva in mano, affrettandosi ad appoggiarlo sul tavolino e borbottando in direzione dell’amico di tenerli lontani da lei. Prospero se ne riappropriò in tutta calma, finendo di lucidarlo prima di riporlo con cura nella fodera che ne conteneva altri 5, tutti della stessa misura ma con i manici diversi.
La particolare passione di Prospero per le lame, Delilah non era mai riuscita a comprenderla e a condividerla, e lo guardò maneggiarle con una leggera apprensione che sparì solo quando il mago ebbe chiuso il fodero di tessuto e le rivolse il solito, candido sorriso di sempre.
“Preferisco tenere con me le cose di cui sono geloso. Ti serviva qualcosa, Fogliolina?”
Prospero la guardò con un sorriso, le lunghe gambe accavallate e la sua solita espressione gentile impressa sul volto pallido. Ancora leggermente a disagio, Delilah si dondolò leggermente avanti e indietro stringendo le mani dietro la schiena e lanciando un’ultima occhiata al fodero nero prima di rispondere:
“Mi annoio, volevo stare un po’ con te. Il Natale si passa con le persone che amiamo, no?”
“Certamente.”
Alzatosi in piedi, e superata così l’amica in altezza di quasi trenta centimetri, Prospero le sorrise dolcemente prima di circondarle le spalle con un braccio, stringendola affettuosamente a sé mentre Delilah ricambiava debolmente il sorriso:
“Sai, da una parte sono felice che sia successo tutto questo… era da parecchio che non passavamo tanto tempo insieme come ai vecchi tempi. E di sicuro non sentirò la mancanza di Alexandra.”
“Oh, nemmeno io. Su questo non ci piove.”
 

*

 
“Ah, eccoti. Com’è andata? Eravamo un po’ in pensiero.”
Quando Renèe aprì la porta della sua cabina, sorrise nel trovarsi davanti Elaine. L’ex Grifondoro si fece da parte per far passare la rossa, osservandola dubbiosa prima di chiuderle la porta alle spalle. May, seduta sul divanetto con i ferri e della lana in mano, stava cercando di finire la sciarpa nuova per Pearl.
“May si preoccupa sempre troppo.”
Mentre si inginocchiava sul pavimento per accarezzare Artemis, la Scottish di Renèe che le andò incontro per strusciarsi sulla sua gamba, Elaine accennò un debole sorriso in direzione di May, che ricambiò prima di lanciare un’occhiata stranita ai vertiginosi tacchi dell’amica: se lei avesse solo azzardato a chinarsi con quei trampoli ai piedi, di sicuro ci sarebbe voluto un tir per rimetterla in posizione eretta.
“Sicura che vada tutto bene? Non ti hanno tenuta molto.”
Le braccia strette al petto, dove era allacciato un blazer a doppio petto color malva, Renèe guardò dubbiosa l’amica rialzarsi in piedi e rassettarsi la giacca nera del completo Armani:
“Questo perché non avevo molto da dire, non conoscevo Alexandra personalmente. Credo proprio che la prossima sarai tu, quindi tieniti pronta.”
Prima di andare a sedersi accanto a May, Elaine rivolse un’occhiata eloquente a Renèe, che accennò ad una debole smorfia con le labbra, per nulla entusiasta di quella prospettiva anche se consapevole che ormai fosse una dei pochi passeggeri a non aver ancora parlato con gli Auror.
“Sono davvero stanca di stare qui. Mi manca suonare il piano tutte le mattine… e continuo a pensare a zio Armand solo a Natale. È il primo Natale senza la zia, dev’essere orribile per lui restare solo oggi.”
Elaine si sfilò le scarpe per raccogliere le gambe contro il petto, poggiandosi il mento sulle ginocchia mentre May metteva da parte la lana per avvicinarsi all’amica e metterle una mano sulla spalla:
“Penso che iniziamo tutti ad essere esausti della situazione. Tu come ti senti, invece? È il primo Natale senza di lei anche per te. Sappiamo quanto tieni a tuo zio, ma dovresti pensare anche un po’ a te stessa.”
“Io sto bene. Davvero. Se non altro tutta questa situazione assurda mi tiene la mente impegnata. È l’unico lato positivo.”
Chinatasi per prendere Artemis in braccio, Renèe accarezzò il soffice pelo della gatta mentre ripensava al Natale precedente, quando si era lamentata con i suoi fratelli Achilles ed Elian per essere costretta a passare del tempo con le sorelle.
“Un anno fa ascoltavo quella spocchiosa di Corinne(1) pavoneggiarsi insieme alle gemelle e mia madre tessere le loro lodi… dissi ad Elian che avrei preferito trovarmi ovunque piuttosto che seduta a quella tavola, ma a ripensarci forse non mi era andata tanto male, l’anno scorso.”
“Nora e Nova sono sempre le fotocopie di Corinne?”
“Oh, sì… la imitano in tutto fin da quando erano piccole. Parlano come lei, vestono come lei, fingono di avere un ridicolo accento francese perché hanno studiato a Beauxbatons, anche se sono cresciute in Inghilterra come tutti noi… Ridicole.”
Renèe sedette tirando le labbra sottili in una lieve smorfia, la gatta tra le braccia che faceva le fusa mentre Elaine – che essendo figlia unica di rapporti fraterni ne sapeva e comprendeva ben poco – riservava un’occhiata in tralice all’amica:
“Perché si comportano così?”
“Perché io sono la preferita di nonno Garrick e perché lavoro nell’attività di famiglia, a differenza di Corinne. L’invidia è una gran brutta malattia.”
Renèe accennò un sorriso quasi soddisfatto e Elaine, accigliata, si domandò come potessero esistere rapporti tra sorelle meravigliosi come quello che aveva legato May e sua sorella e allo stesso rapporti quasi distruttivi come quello tra Renèe e le sue sorelle. O, ancor peggio, quello tra sua madre e la sua defunta zia.
 

*

 
“Nessuna delle bacchette dei passeggeri ha lanciato un incantesimo per insonorizzare gli ambienti e nemmeno un Expelliarmus, ancora una volta queste non hanno assolutamente niente da dirci. Come è possibile che non abbiamo sentito nulla, quella notte?!”
Asriel rimise malamente l’ultima bacchetta che aveva controllato, quella di May, nel bauletto insieme alle altre. Dopo averlo richiuso l’Auror si accasciò sulla poltroncina, sospirando e passandosi stancamente una mano tra i capelli chiari mentre James, seduto con Alpine in braccio, parlava con aria pensierosa:
“Magari… magari ci hanno infilato qualcosa nel cibo per farci dormire molto profondamente?”
“Parleremo di nuovo con lo chef, che per inciso ho la sensazione che non la racconti giusta… Ma nessuno poteva sapere che avremmo preso questo treno, o l’assassino se ne va in giro con la valigia piena di droghe per ogni evenienza, o non abbiamo ingerito un bel niente. Ho la sensazione che su questo treno ci siano molte più persone che hanno avuto a che fare con la vittima di quanto non sembri.”
“Non le hai provate tutte. Manca quella della vittima.”
Dubbioso, Asriel guardò Clodagh aggrottando le sopracciglia: aveva seri dubbi che fosse andata in quel modo, o comunque non avrebbe avuto il benchè minimo senso. Tuttavia, decise di dare ascolto alla collega e annuì, puntando la propria bacchetta verso la valigia di Alexandra:
Accio.”
La valigia di Louis Vuitton di Alexandra, appoggiata in un angolo della cabina, si aprì e la bacchetta della vittima si librò in aria prima di planare dritta sul palmo aperto di Asriel, che la osservò brevemente prima di utilizzare sulla bacchetta l’incantesimo Reversus per la seconda volta. Invece di fermarsi all’ultimo incantesimo lanciato dalla bacchetta, Asriel, Clodagh e James la guardarono aspettando che mostrasse loro anche il ricordo del penultimo.
 
“Oh.”
A disagio, James si mosse sulla poltrona stringendo Alpine tra le braccia e spostando con leggera apprensione lo sguardo su Asriel, quasi temesse di vederlo esplodere da un momento all’altro dopo aver visto e riconosciuto il fantasma del penultimo incantesimo lanciato dalla bacchetta.
“Non ho mai detestato l’idea di avere ragione come in questo momento.”
Seduta sul bordo del letto di Asriel, Clodagh si lasciò cadere sulla coperta con un sospiro, le braccia abbandonate sopra la testa e gli occhi chiari fissi sul soffitto mentre Asriel faceva appello a tutto il suo autocontrollo per non imprecare e non spezzare a metà la bacchetta della vittima.
“Non ha… non ha un cazzo di senso! Perché dovrebbe essere stata lei a farlo?! Se anche solo una minuscola parte di lei pensava di poter essere in pericolo non avrebbe mai fatto qualcosa di così idiota!”
“Evidentemente non lo pensava. Evidentemente non considerava una minaccia chi l’ha uccisa.”
“Allora doveva essere qualcuno che conosceva, o comunque qualcuno che non riteneva pericoloso. E si ritorna al fatto che più o meno tutti, qui, stanno dicendo mezze verità.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): Per riassumere e per non lasciare spazio a fraintendimenti, visto che in questa storia metà dei nomi si ripetono: sia May, sia Lenox avevano una sorella di nome Morgan; Clodagh ha un fratello di nome Finn e Renèe ha una sorella di nome Corinne.
 
 
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Angolo Autrice:
Devo ammettere che scrivere un capitolo ambientato il giorno di Natale mentre il tuo corpo va lentamente verso la liquefazione causa 8000° all’ombra fa un certo non so che.
Detto questo, grazie a Phoebe che mi ha fornito la meravigliosa maglietta di Asriel che dà il titolo a questo capitolo. Ne è estasiato.
Grazie come sempre a tutte per le recensioni, e visto che siamo verso la fine se volete avanzarmi teorie sul colpevole fate pure, le leggerò con piacere <3
A prestissimo, spero, con il Camp per chi partecipa anche lì!
Signorina Granger
   
 
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