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Autore: edoardo811    12/07/2021    3 recensioni
Questa è una raccolta di drabble, oneshot, missing moments e capitoli extra della mia storia, La Spada del Paradiso.
Esploreremo le menti di più personaggi, scopriremo segreti sulla vita al Campo Mezzosangue e soprattutto scopriremo come se la cavano i nostri eroi dopo gli avvenimenti de "La Spada del Paradiso."
Vi consiglio dunque di leggere quella storia per comprendere questa raccolta e soprattutto per evitarvi spoiler nel caso decidiate di farlo in futuro. Potete trovarla nella mia pagina autore.
Spero che la raccolta vi piaccia, buona lettura!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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 EDWARD 

5

Parti in movimento (pt2)



Mentre Edward si avviava verso l’arena dopo aver recuperato Veloce come il Vento, notò un capannello di persone che si raggruppavano lungo la stradina ai piedi della Casa Grande. Si fermò, incuriosito. Fece vagare lo sguardo tra quella scena e l’arena, indeciso.

Era sicuro che Rosa l’avrebbe ucciso per il ritardo, mentre andava a controllare cosa diamine stesse succedendo laggiù. 

I semidei si fecero da parte non appena lo videro arrivare. Ormai tutti quanti lo riconoscevano come Araldo di Amaterasu e sapevano che aveva di nuovo la spada, perciò lo rispettavano, o forse temevano, o magari un misto di entrambe le cose. Fatto stava che nessuno mise in discussione il suo diritto di vedere meglio. In cima alla fila, trovò Konnor. «Che sta succedendo qui?» gli domandò, affiancandolo.

Il figlio di Ares accennò con il mento di fronte a sé. «Guarda tu stesso.»

Edward obbedì, accorgendosi solo in quel momento di tre donne che stavano discutendo con Chirone, ai piedi della collina dell’albero di Talia. Il centauro era nella sua forma equina, torreggiava su tutte loro, ma sembrava teso. Edward riconobbe subito i kimono e gli happi che quelle tre stavano indossando. Erano giapponesi.

«E quelle chi sono?» domandò, con un bisbiglio. 

«Magari lo sapessi» mugugnò Konnor. «La Foschia non le ha ingannate. Hanno superato i confini senza alcun problema e sono scese fin qui. Chirone era sulla veranda, a giocare a carte con il signor D, quando se n’è accorto.»  

«E dov’è il signor D adesso?»

«Credo a dormire.»

«Che cosa?!» sbottò Edward, forse alzando un po’ troppo la voce, al punto che perfino Chirone e le tre donne si voltarono verso di lui. 

Spalancò gli occhi, mentre la donna in mezzo alle altre due apriva la bocca in un sorriso. «Ecco l’eroe che ha restituito Ama no Murakumo» disse, con voce melliflua. «Abbiamo sentito parlare di te.»

Aveva un forte accento, ma parlava bene l’inglese. Si avvicinò a lui, seguita dalle due compagne, ignorando un verso di protesta di Chirone. Tutti i semidei sussultarono, mentre Edward rimaneva immobile, a ricambiare lo sguardo di quella donna. Era bella, ma era una bellezza austera. Il suo sguardo era freddo, il suo sorriso con una venatura di malizia, gli occhi scuri a mandorla, i capelli tirati all’indietro in una coda lunghissima e sottile che scendeva lungo tutta la schiena. Reggeva un ombrello bianco con ghirigori oro per proteggersi dal sole e appeso ad un orecchio solo aveva un orecchino a pendente con una specie di fiorellino rosa, con tantissimi petali.

Lo stesso fiore era ricamato sul suo kimono, anch’esso bianco e oro, aperto in modo da mostrare i pantaloni neri ed una cintura a cui erano appesi un ventaglio ed una sfilza di pugnali da lancio. Kunai.

«Stavo giusto discutendo con il vostro direttore di te» disse, parandosi di fronte a lui.

Chirone trottò imbarazzato verso di loro. «Ho già detto che non sono io il dirett...»

«Il mio nome è Tamashī» si presentò lei, ignorando il centauro. Indicò poi la donna alla sua destra. «Lei è Meishu.»

Meishu abbassò la bandana rossa che teneva sopra il naso e la bocca, mostrando il viso ovale. Malgrado un brutto taglio cicatrizzato male sulla guancia sinistra, era davvero graziosa, molto più delle sue compagne. Aveva una cascata di capelli ebano lisci, che formavano una frangetta perfettamente dritta sopra agli occhi piccoli e scintillanti. Oltre ai kunai, alla cintura sotto il kimono nero teneva appeso il fodero di un tantō.

Fece un rapido inchino e sorrise fredda ad Edward, che si sentì penetrato dal suo sguardo.

«Invece, lei è Hageshī» concluse Tamashī, indicando l’ultima donna, che fece scrocchiare il collo. Era più bassa delle altre due – e più grossa, anche. Aveva delle mèche verdi e gialle e il viso rotondo pitturato in modo da far credere che stesse piangendo due fiumiciattoli di lacrime verdi. Anziché il kimono indossava un happi giallo sbottonato, mostrando la cintura a cui aveva appeso un falcetto attaccato ad una catena, un’arma che non aveva mai visto prima da nessuna parte, ma che Edward sapeva si chiamasse kusarigama.

«Non sanno parlare l’inglese, purtroppo. Temo che non sentirete nulla da loro» concluse Tamashī. Edward le osservò una per una, a disagio. Tamashī, Anima, Meishu, Responsabile, e Hageshī, Feroce. Non era sicuro sulle prime due, ma all’ultima quel nome sembrava calzare a pennello. Sicuramente erano degli alias.

Tamashī si rivolse di nuovo ad Edward, sempre con quel sorriso gelido sul volto. Sembrava che stesse studiando il metodo per scuoiarlo vivo nel minor tempo possibile. «Siamo il Clan Tsubaki. Stavamo dando la caccia a Yamata no Orochi ed al suo esercito. Purtroppo, lui è stato molto abile a far perdere le sue tracce. Quando abbiamo scoperto che si trovava qui in America, era già troppo tardi. Ma per nostra grande fortuna, ci avete già pensato voi a sconfiggerlo, e di questo vi siamo profondamente grate.»

Tutte e tre le donne si chinarono in un tutt’uno. Nonostante la cordialità, o presunta tale, Edward non abbassò la guardia nemmeno per un istante. Non seppe come prendere la scoperta del fatto che Orochi avesse avuto altri nemici, oltre agli dei. 

«Tuttavia, non tutto il suo esercito è stato spazzato via.» Tamashī conficcò i suoi occhi dritti in quelli di Edward e distese il suo sorrisetto. «Rimangono in vita ancora due componenti. Due mezzosangue, per l’esattezza. E sappiamo per certo che uno di loro è stato qui dopo la morte di Orochi. Si presenta con il nome Naito

Edward spalancò gli occhi. Anche Konnor, rimasto accanto a lui, sembrò irrigidirsi.

«Sembra che entrambi lo conosciate» commentò la donna, quasi con aria compiaciuta. «Non credo serva dirvi quanto sia pericoloso che un simile soggetto rimanga in vita. Se avete qualsiasi informazione per aiutarci a rintracciarlo, vi preghiamo di fornircela.»

I due semidei si scambiarono uno sguardo. Rimasto in disparte, anche Chirone si corrucciò. Per fortuna, Edward non gli aveva parlato della visitina di Naito. «È vero, lui è stato qui, ma è successo settimane fa, quando Orochi era ancora a piede libero. Non è più riapparso da allora.»

«E se fosse riapparso, mi creda, l’avremmo ucciso noi stessi» si intromise Konnor, facendo un passo avanti. «Desideriamo mettere le mani su di lui tanto quanto voi per tutto quello che ci ha fatto.»

Tamashī spostò il suo sguardo inquisitorio su Konnor. Edward si sentì sollevato di non essere più al centro dell’attenzione. Allo stesso tempo, si domandò che cosa il figlio di Ares avesse in mente. Lo vide mentre ostentava un enorme senso di sicurezza di fronte alla donna e si domandò come ci riuscisse. Sarebbe piaciuto anche a lui apparire sempre così impassibile in situazioni come quella.

«Lo sai, vero, che mentire non è affatto gentile?» disse ancora Tamashī, chinandosi su di Konnor. Edward sentì il respiro mozzarsi. 

Konnor, invece, non batté ciglio. «Non sto mentendo. Non l’abbiamo più rivisto.»

Per un istante, il tempo sembrò fermarsi. La donna non se l’era affatto bevuta, ma Konnor era così serio da far credere a chiunque, anche i più scettici, di essere sincero. 

Chirone si avvicinò con uno scalpiccio di zoccoli prima che qualcuno dicesse o facesse qualcosa di inappropriato. «Sentite signore, il nostro campo è rimasto coinvolto già in una battaglia che non lo riguardava. Non vogliamo altri problemi. Se i miei ragazzi stanno dicendo di non aver visto questo Naito, allora significa che non l’hanno visto per davvero. Non siamo bugiardi.»

Tamashī assottigliò le palpebre. Continuò a scrutare Konnor, severa. Edward sentì l’aria farsi molto più tesa. Non aveva idea di chi fossero quelle donne, ma non gli piacevano per niente. Alle sue spalle, percepì la folla di semidei cominciare ad agitarsi e anche il suo istinto gli stava suggerendo di prepararsi a combattere. 

«Scusate, ma… rimangono due mezzosangue?» si intromise, cercando di sviare la loro attenzione. «Chi è l’altro?»

«Non dovete preoccuparvene. Ci stanno già pensando le mie compagne rimaste in Giappone a lei. A noi interessa Naito.»

Edward rimase in silenzio, stupito. 

Lei?!

«Non sappiamo dove si trova. Ma promettiamo di tenere gli occhi aperti, nel caso in cui si rifacesse vivo» disse a quel punto Konnor. «E se dovesse tornare, ci premureremo di avvisarvi. Potreste lasciarci un modo per contattarvi, o…»

«Non sarà necessario» lo interruppe Tamashī, con aria infastidita. Non sembrava affatto felice. «Se dovesse riapparire, noi lo sapremo. E se dovessimo scoprire che ci avete mentito…» Un altro sorrisetto apparve sul suo volto, mentre faceva vagare lo sguardo sui semidei e sul campo. «Che bel posticino. Sarebbe un vero peccato raderlo al suolo, non trovate?»

«Ci state forse minacciando?» rantolò un ragazzo in mezzo alla folla, facendo un passo avanti. Edward l’aveva visto qualche volta, seduto al tavolo di Nemesi, ma non aveva idea di come si chiamasse. Assieme a lui, diversi altri si fecero avanti. Intravide alcuni ragazzi della capanna Sette, oltre che diversi fratelli di Konnor. 

«Chi è dalla parte dei mostri, merita la distruzione» rispose Tamashī, per nulla intimidita. «E in questo caso non si tratta di un mostro comune, ma di un mezzosangue, come voiNon ci sarebbe certo da sorprendersi se steste cercando di coprire la fuga di un vostro simile.»

Hageshī sputò a terra. «Dātihaiburiddo» gracchiò, mostrando una voce molto profonda, da contralto. Edward spostò lo sguardo su di lei, sentendo la rabbia montargli nel corpo. 

«C’è qualche problema?» domandò Tamashī proprio a lui, facendolo trasalire. Doveva aver notato la sua espressione. «La mia compagna stava solo ripetendo quello che ho detto io.»

Edward serrò la mascella. Era una bugia, Hageshī li aveva appena chiamati “sporchi ibridi.” Ma preferì non esporsi più del dovuto. Non voleva far capire loro che conosceva il giapponese o peggio ancora, far capire che possedeva di nuovo Ama no Murakumo. Sentiva che si trattava di un’informazione che in nessun modo avrebbe dovuto dare loro.

Osservò la donna ancora per qualche istante, avvertendo il desiderio sempre più forte di cancellarle quel sorrisetto dalla faccia. Tamashī si ritrasse all’improvviso. Si voltò verso Chirone, con fare accomodante. «Purtroppo, ora dobbiamo togliere il disturbo. Ma grazie infinite per l’ospitalità. Koko kara demashou» ordinò alle sue compagne. Finalmente si levavano dai piedi. 

«Arrevederci» sbiascicò Meishu con un pessimo inglese, emettendo una risatina acuta. Sollevò una mano e fece formicolare le dita coperte da lame affilatissime in segno di saluto. Delle neko-te. Piazzò il suo sguardo proprio su Edward e ammiccò con uno strano sorrisetto. 

«Sì, arrivederci» sbottò ancora il figlio di Nemesi, mentre le tre si allontanavano. 

Quando svanirono dietro la collina, Chirone sembrò invecchiare di diecimila anni all’improvviso. Abbassò la testa e rilassò le spalle, scacciando via la tensione. Edward non si sarebbe mai aspettato di vederlo così.

«Chirone, chi erano quelle donne?» domandò Konnor. Anche gli altri semidei si avvicinarono, in attesa di spiegazioni. 

Chirone scosse il capo, mentre frustava l’aria con la coda, agitato. «Non ne ho idea.»

Si sollevò uno stormo di versi di sorpresa. Chirone che non sapeva qualcosa non era da tutti i giorni. La conoscenza del giapponese venne in aiuto ad Edward. «Tsubaki significa… “camelia”» mormorò, pensieroso. Che quei fiori ricamati sui loro abiti fossero proprio camelie?

«Sì» convenne Chirone. «La camelia è il fiore che viene usato per ricordare le vittime di Yamata no Orochi.»

«Quindi… quelle erano vittime di Orochi?» domandò Edward, confuso. 

«Non credo» borbottò Konnor. «Da come parlavano, sembravano più… delle “giustiziere.”»

«Lo penso anch’io» convenne Chirone. 

Edward corrucciò la fronte. Un gruppo di donne pazze che volevano fare giustizia? Certo, aveva visto e sentito cose ben più strane, ma quella storia era così fuori posto che pareva l’assurdità più grande di tutte. 

«Coraggio, riprendete tutti le vostre attività» li invitò ancora Chirone, accorgendosi di come la folla non accennasse a sparpagliarsi. «Cercate di non pensare più a questa storia.»

Edward pensò che, invece, tutti quanti avrebbero fatto proprio quello, ma non lo disse ad alta voce. Non capitava tutti i giorni che tre donne armate fino ai denti, giapponesi, varcassero i confini del campo. 

«Naito aveva ragione» disse Konnor, mentre si allontanavano da lì. «Orochi era solo l’inizio. Altre parti stanno cominciando a muoversi.»

Il figlio di Apollo non si era nemmeno accorto che Konnor era rimasto accanto a lui. Gli venne da ridacchiare. «E poi il bugiardo sono io» gracchiò, alludendo alla storiella che Konnor aveva raccontato a quelle donne. «Di la verità, ti sei affezionato a Naito.»

«Ne abbiamo già parlato. Tutti meritano una seconda possibilità. Dovresti saperlo meglio di chiunque altro.»

Come al solito, Konnor lo lasciò senza una risposta pronta, eccetto l’unica che voleva sentirsi dire. Ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di dargli ragione. Rispose con un mugugno incomprensibile.

«Ma… ti hanno morso?» domandò Konnor all’improvviso.

Edward sbatté la mano sopra il collo con così tanta forza da farsi male, mentre sentiva le guance bruciare terribilmente. «Non è niente.»

Il figlio di Ares inarcò un sopracciglio, ma non disse altro a proposito. «Devo andare. Mi vedo con Steph» disse invece, fermandosi e spostando lo sguardo verso un punto imprecisato del campo. 

«Piccioncini» lo punzecchiò Edward. «Comunque anch’io devo andare, ho…» Spalancò gli occhi, interrompendosi. Cominciò a correre senza nemmeno salutare Konnor, che lo chiamò confuso. 

Rosa lo avrebbe ucciso per il ritardo, ne era sicuro. 

 

***

 

Si aspettava già una ramanzina da record, invece trovò una piacevole sorpresa. Rosa si stava già allenando, ma non era da sola: c’era Lisa con lei.

Rimase fermo sull’ingresso dell’arena, ad osservarle stupito mentre si affrontavano in un duello, facendo tintinnare le lame. La sciabola d’argento di Rosa tagliò l’aria, scontrandosi contro i pugnali d’oro di Lisa, che mugugnò per lo sforzo.

Edward si avvicinò cercando di non fare rumore per distrarle, mentre quelle due proseguivano il combattimento, entrambe mostrando la loro incredibile bravura. Non aveva visto combattere Lisa di persona, giusto all’aeroporto, quando avevano affrontato i mostri camuffati, ma già quella volta aveva potuto assistere a sprazzi della sua abilità. Adesso, poteva ammirarla appieno. 

Era veloce, si muoveva quasi come se i pugnali fossero un’estensione del suo corpo. La sua coda di capelli frustava l’aria ad ogni mossa, contromossa, parata o schivata. 

E Rosa, beh, lei era sempre la solita. Rapida e pericolosa. Molto pericolosa. I capelli arancioni erano appiccicati alla fronte per il sudore, un sorrisetto era stampato sul suo volto, come sempre quando si divertiva. E quella volta sembrava si stesse divertendo perfino di più del solito.

Ad Edward fu subito palese chi avrebbe vinto la contesa. Lisa poteva essere brava quanto voleva, ma Rosa era su un altro livello rispetto a tutti loro quando metteva piede in quel cerchio di terra. E quella volta sembrava perfino più in forma del solito. Provò pena per Lisa mentre la vedeva annaspare in cerca di un’apertura, sotto i colpi incessanti di Rosa.

La figlia di Bacco tentò una finta, mirando al fianco destro ma poi cambiando subito direzione, dirigendosi verso quello sinistro, ma Rosa l’aveva prevista già anni luce prima. Sferzò di nuovo l’aria con la sciabola e Lisa gridò di sorpresa, mentre entrambi i pugnali le saltavano dalle mani e veniva spedita all’indietro, atterrando non molto delicatamente sulla schiena. 

Fece un verso soffocato e provò a rialzarsi, ma si trovò la sciabola puntata al collo. Sollevò le mani in segno di resa e osservò Rosa dal basso, prima di sorridere entusiasta. «Porca vacca! Quella devi insegnarmela!» esclamò, mentre afferrava la mano di Rosa per issarsi di nuovo in piedi. 

L’hermana ridacchiò. «Temo che i pugnali non vadano bene per quella mossa. Ma se vuoi posso mostrarti qualche tecnica per…» Si interruppe, accorgendosi di Edward. «Ma guarda chi si è degnato di presentarsi!»

«Scusa il ritardo» disse Edward, avvicinandosi. 

Salutò Lisa con un cenno, che lei ricambiò. «Tua sorella è una forza!» 

Edward si accorse dello sguardo imbarazzato della diretta interessata e gli venne da ridere. «Lo so bene. Spero solo che non ti abbia fatto troppo male.»

Per tutta risposa, Lisa sollevò il labbro, mostrandogli un incisivo scheggiato. «Troppo tardi.»

«T-Ti ho già detto che mi dispiace!» protestò Rosa, diventando rossa all’improvviso. 

Lisa le avvolse un braccio attorno al collo e la trascinò verso il basso, chiudendola in una headlock. «Ma mica sono arrabbiata!»

«Ehi! Lasciami!» Rosa si districò e piantò le dita nel fianco della figlia di Bacco, facendola piegare. 

«AH! Ma allora vuoi la guerra!»

Cominciarono a ridere e ad accapigliarsi di fronte a lui, tirandosi pizzicotti, schiaffetti e piantandosi le dita nello stomaco o nei fianchi. Rosa era più brava con la spada, ma Lisa sembrava avere un vantaggio nel corpo a corpo. Era più grossa e forzuta dell’hermana. 

Edward le osservò confuso, sentendosi perfino di troppo. Tuttavia, vedere Rosa andare così d’accordo con Lisa lo fece sorridere. Era bello vedere che anche altri oltre a lui avessero cominciato ad accorgersi di lei. 

Quando quelle due si diedero una calmata, cominciarono ad allenarsi tutti insieme. Essere in tre anziché due si rivelò una grossa comodità per Edward. Intanto perché poteva confrontarsi con qualcuno che si trovava ad un livello intermedio tra lui e Rosa, e poi perché in quel modo non era più l’unico bersaglio dell’ira dell’hermana. Anche se Rosa ci stava andando decisamente più piano con Lisa che con lui. La figlia di Bacco si beccò giusto due o tre lividi, lui invece almeno una decina.

C’era da dire che Lisa era molto più allenata di lui. Era al campo da più tempo e aveva fatto l’addestramento romano, qualunque cosa significasse, perciò non doveva sorprendersi troppo del divario che c'era anche tra loro due.  

Alla fine, Edward e Lisa si sedettero a terra, stanchi e sudati, e rimasero fermi ad osservare Rosa mentre se la prendeva con qualche manichino che non aveva fatto niente di male per meritarsi tutto quello. Passò almeno un’altra mezz’oretta prima che anche l’hermana decidesse di fermarsi. Ultimamente, si allenava ancora più del solito, e prima mica si allenava poco. Sembrava davvero determinata come non mai a migliorarsi. In cosa, Edward non lo sapeva, visto che era già leghe sopra tutti loro.

«È stato divertente!» esclamò Lisa, mentre beveva un sorso di ambrosia dalla borraccia di Rosa. La passò alla sua proprietaria, che bevve a sua volta prima di consegnarla ad Edward. Stava per pulire il beccuccio per non beccarsi i germi di quelle due, quando la voce di Rosa lo punzecchiò: «Che succede hermano, ti fa schifo bere dove han bevuto gli altri?»

«N-No! Però è antigenico…»

Lisa e Rosa si scambiarono uno sguardo, prima di scoppiare a ridere. Edward sentì le orecchie pizzicare. «Ah, andate al diavolo» sbottò, prima di bere anche lui. «Ecco, contente?»

Ci volle ancora un po’ prima che quelle due smettessero di scimmiottarlo e di prenderlo in giro. All'improvviso, il pensiero di essere in tre non piacque più molto ad Edward. Una Rosa era più che sufficiente per farlo impazzire, due erano troppe.

Lisa sembrò leggergli nel pensiero, perché si alzò usando la maglietta come panno per asciugarsi il sudore della fronte, mostrando la pancia piatta e abbronzata. «Meglio che vada. Ho bisogno di una doccia.»

«E anche del tuo ottuso figlio di Ermes, immagino» aggiunse Rosa, facendola arrossire. Disse qualcosa in italiano e Rosa rispose in spagnolo. Entrambe ridacchiarono ed Edward sollevò un sopracciglio, non molto sicuro di voler sapere davvero cosa si fossero dette.

«Scusa ancora per il dente, Lisa. Vai dai miei fratelli, loro sapranno come sistemartelo. Dì pure che ti ho mandata io.»

«Ok! Grazie.» Lisa sorrise, osservandoli uno per uno. «Quando possiamo allenarci di nuovo?»

Rosa rispose che erano sempre lì – o meglio, lei era sempre lì. Così le due ragazze si diedero appuntamento per il giorno dopo. Si parlarono ancora una volta in italiano e spagnolo, lanciando anche alcune occhiatine ad Edward. Entrambe risero di nuovo e lui cominciò a sentirsi in pericolo. Forse quelle due insieme non erano una buona idea per la sua salute, fisica e mentale. Lisa se ne andò dopo aver pronunciato un “ciao”, lasciandoli soli.

«Come mai con me non sei mai stata gentile come con Lisa?» domandò Edward, infastidito dal trattamento di sfavore che gli veniva sempre riservato.

Sua sorella sollevò le spalle, lanciandogli uno sguardo divertito. «Perché lei è carina, a differenza tua, hermano

«Ah, certo. Mi sembra giusto.»

Rosa ridacchiò, anche se lui non ci trovava nulla di divertente. Bevve un altro sorso di nettare e gli porse di nuovo la borraccia. «Si può sapere perché ci hai messo così tanto per arrivare?» gli domandò, mentre anche lui beveva un altro goccio. Fece un sorrisetto, indicando il morso sul suo collo. «Eri di nuovo con tu novia?»

Edward si coprì il segno come se fosse questione di vita o di morte. «Beh… sì, prima sì.»

«Accidenti hermano, ma non pensi di esagerare un po’? Da quando state insieme non fate altro che…»

«Non ho fatto tardi per quello!» protestò Edward, sentendosi il volto in fiamme. «E comunque, quello che faccio con Nat non sono affari tuoi!»

«Lo siento» rispose Rosa, alzando le mani. «Ma allora dov’eri?»

Edward serrò le labbra infastidito. Non era la prima volta che lo punzecchiava in quel modo. Lasciò perdere con un sospiro e raccontò delle tre donne che avevano incontrato di fronte alla Casa Grande.

«Dannazione! Mi perdo sempre le cose più interessanti!» si lamentò Rosa, prima di fare una smorfia. «Quindi quelle donne vogliono fare fuori Naito… avreste dovuto dir loro di mettersi in fila.»

«Più o meno è quello che ha detto Konnor…»

«Ma… cos’erano quindi, delle specie di… ninja?» proseguì Rosa. «Insomma, hai detto che avevano quegli affari, i kunai. Non è tipo l’arma preferita dei ninja?»

Edward non ci aveva affatto pensato. Ancora una volta, la conoscenza del giapponese giunse in suo aiuto. «Il nome giusto sarebbe kunoichi» disse. «Per indicare i ninja donna.»

«Ah, giusto, mi dimentico sempre che ora anche su sei bilingue» commentò Rosa, con un sorrisetto divertito.

Il ragazzo rispose con un’alzata di spalle, sorridendo a sua volta. Si ritrovò a pensare a quello che aveva scoperto da Tamashī. Orochi non aveva addestrato solo un mezzosangue, quindi. Ce n’erano due, uno era Naito, l’altra, invece, era in Giappone. Questo spiegava perché non l’avevano incontrata. Si domandò che razza di mezzosangue fosse lei. Un han’yō come Naito, ma donna? Esistevano davvero? Figurò nella propria testa un oni ma con il corpo di una ragazza e rabbrividì. Improvvisamente, non era più molto sicuro di voler approfondire la cosa.

«Come sta la tua famiglia? Quella mortale, intendo» domandò a Rosa dopo qualche attimo di silenzio, facendola trasalire. Anche lei era rimasta ferma a pensare a chissà cosa. Si strinse nelle spalle, incupendosi. «Non lo so. Non li sento dall’inizio dell’estate.»

Edward schiuse le labbra. «Ma… non li hai chiamati dopo che… insomma, sei tornata?»

«Volevo farlo. Ma poi ho pensato che probabilmente nemmeno si sono accorti che sono sparita per una settimana. E così è stato. Potrei rischiare di morire mille volte e loro non noterebbero alcuna differenza…»

Sapeva che la sorella non avesse proprio un buon rapporto con la famiglia mortale. Aveva parlato raramente di loro e le poche volte in cui l’aveva fatto non era mai sembrata molto entusiasta, ma Edward non si sarebbe mai aspettato che la cosa arrivasse fino a quel punto. «Mi dispiace hermana…»

«Tu ti dispiaci?» Rosa si sforzò di sorridere. «Sta tranquillo, Edward. Per i nostri genitori mortali… è difficile convivere con noi. Molti di loro preferirebbero soltanto che svanissimo. Mia madre ha cercato di ricominciare dopo che Apollo se n’è andato dalla sua vita, si è risposata, cerca di avere una vita normale, ma non potrà davvero essere normale finché ci sarò io a ronzarle attorno. Prima o poi… dovrò andarmene di casa definitivamente. È la cosa migliore, per me, per lei e anche per la sua nuova famiglia.»

Edward sentì una stretta al petto. «Tua madre chi è?»

«Si chiama María Mendez. Era una cantante, emigrata da Città del Messico. Non era molto famosa, ma chiaramente a qualcuno di importante la sua voce deve essere piaciuta…» Rosa sospirò. «Ora si è ritirata dal mondo della musica. Vive a Nord, con il mio patrigno e i miei fratellastri.»

«Sì, ricordo che me ne avevi parlato» mormorò Edward. Sembrava passata un’eternità da allora. Era successo quando si erano appena conosciuti, quando entrambi erano i due reietti della capanna Sette e Jonathan faceva lo splendido al comando. Com’erano cambiate le cose da allora.

«Tornerai da loro, alla fine dell’estate?»

Rosa si strinse nelle spalle. «Io… sì, credo di sì. Non… non mi piace molto l’idea, ma presto non potrò più stare nel mondo mortale. Questi sono gli ultimi anni che posso trascorrere fuori dal campo.» La vide sollevare la testa e smarrirsi con lo sguardo nei meandri dell’arena. «Pensi mai… pensi mai a quello che faremo… dopo?»

«Dopo?»

«Dopo tutto questo.» Rosa accennò con il braccio allo spiazzale di terra battuta, i manichini e le rastrelliere con le armi. «Dopo… il Campo Mezzosangue. I semidei… non arrivano quasi mai all’età adulta. Alcuni trovano fortuna nel mondo mortale, diventano famosi, ricchi, molti altri invece…» Non finì la frase, ma lasciò ben intuire cosa volesse dire. «Pensi mai… che tutto questo… sia inutile?»

«Sempre» gracchiò Edward, prima che lei lo guardasse stupita. A quel punto, lui si schiarì la voce. «Cioè… sì, penso che… che tutto quello che facciamo sia fine a sé stesso. Combattiamo mostri, moriamo, loro si rigenerano, e così via, all’infinito, finché qualcuno di loro non riuscirà davvero a distruggere gli dei una volta per tutte. Si spera non mentre io sono in vita» aggiunse, con una smorfia. «Comunque… non lo so, hermana, che cosa farò dopoAl momento non so nemmeno se ci arriverò ad un dopo

Edward sollevò una mano. Ama no Murakumo apparve nel suo palmo, emanando un forte bagliore e scatenando una folata d’aria che spostò il terriccio dell’arena. Si rigirò la spada tra le mani, assorto. «Amaterasu… vuole che combatta per lei. Qualcuno proverà a spodestarla dal suo trono e se dovesse succedere, non ho idea di che cosa accadrà al mondo, ma non sarà piacevole. Qualcun altro, invece, ha fatto evadere dei mostri dal Tartaro. E adesso, sono apparse anche queste schizzate del Clan Tsubaki a minacciare di distruggere il campo. Sento gli occhi di tutti gli dei, greci e giapponesi, piazzati su di me. Tutti si aspettano chissà che cosa da me e io… io non ho idea di come comportarmi.»

Fece svanire la spada e sospirò profondamente. «Sono qui da appena un mese, e mi è successo di tutto e di più. Mi sono ritrovato in mezzo ad una crisi diplomatica tra gli dei di due culture diverse, a combattere mostri di entrambe le parti. E l’unica cosa che volevo, era trovare un luogo sicuro» ammise, abbassando la testa. «Prima di pensare a cosa farò dopo… dovrò combattere per far sì che questo dopo si avveri. E… ho paura di non farcela.»

«Hermano.» La mano di Rosa si posò sulla sua spalla, facendolo raddrizzare di scatto. Si voltò verso di lei, accorgendosi del suo sguardo determinato. «Hai detto bene, sei l’ultimo arrivato. Non azzardarti a pensare di dover fare tutto da solo ancora una volta. Claro? Qualunque cosa accadrà, qualunque minaccia arriverà… la affronteremo insieme. Io, Lisa, Stephanie, la tua cara Natalie, tutto il campo combatterà. Smettila di credere di essere l’unico da cui dipenda il destino del mondo, perché non lo sei. Ci siamo anche noi.»

«Hai… hai davvero detto “la tua cara Natalie”?»

«Konnor. Il tuo caro Konnor, volevo dire.»

«Ah, ecco. Ora sì che ti riconosco» borbottò Edward, facendola ridacchiare. La vide farsi più apprensiva. «Tranquillo hermano. Non ti permetteremo di fare altre stupidaggini che potrebbero mettere in pericolo il mondo intero tutto da solo.»

«Questo mi rassicura.»

Rosa ridacchiò di nuovo e allontanò la mano. Malgrado le sue parole di conforto, sembrava comunque ancora turbata da qualcosa. «Ehi, va tutto bene?»

Lei si riscosse. Si massaggiò un braccio, con aria afflitta, e non incrociò il suo sguardo. «A volte… a volte penso a quando abbiamo iniziato ad allenarci» cominciò a dire. «E a quanto eri… a quanto sei, imbranato.»

«Wow, grazie.»

«E penso a quello che ti ho detto, quella sera, sul voler essere un’eroina. Ricordi? È stato… è stato subito prima che… che venissi rapita…» mormorò Rosa. Affondò le dita nel braccio e la voce le si incrinò. «Tutto il tempo passato ad allenarmi… e mi sono fatta sconfiggere dal primo nemico reale che io abbia mai incontrato. Volevo… essere un’eroina, e invece… invece sono diventata “Quella che si è fatta salvare.”»

Edward schiuse le labbra. Non si sarebbe mai aspettato di sentire quelle parole da lei. Ricordava la discussione che aveva avuto. Ricordava ogni singola parola, uscita da una Rosa entusiasta, carica di eccitazione dopo aver appena finito di suonare la sua canzone preferita.

«Voglio anche io essere ricordata dalle generazioni future, come noi oggi ricordiamo i grandi del passato! Ma te lo immagini? Essere ricordati come un semidio pari, o addirittura superiore, ai Nove? Io scalpito al solo pensiero!»

«Rosa…» mormorò, mentre la osservava asciugarsi una lacrima.

«Lisa ha detto che sono forte. Anche tu lo pensi. Ma non è vero. Sono patetica» bisbigliò lei, abbracciandosi le ginocchia e abbassando la testa. «Non ho fatto nulla, a parte farmi rapire. Non c’è niente di “forte” in tutto questo.»

«Hai affrontato Orochi, ricordi?»

«Certo, dopo che era già mezzo morto. Ma per favore» biascicò lei, con voce quasi irritata. «Si è presentata una minaccia reale dopo anni ed anni al campo e io non c’ero per affrontarla assieme a voi. Io ero… ero la damigella in pericolo, “quella da salvare.” Mi hanno celebrata come un’eroina, come se avessi fatto qualcosa di speciale, ma non ho fatto nulla. Mi sono soltanto quasi fatta ammazzare come un’idiota.»

«Ma… senza di te non ce l’avrei mai fatta, e lo sai. Senza i tuoi allenamenti io…»

«Certo che ce l’avresti fatta, Edward. Non hai idea di quanto bruci il tuo spirito da guerriero. Forse tu non riesci a vederlo, o forse semplicemente ti rifiuti di credere che esista, ma credimi, c’è, ed è palpabile. Hai la stoffa del vero Eroe, Edward, ce l’hai sempre avuta. Non saresti sopravvissuto fuori dal campo per tutto quel tempo, altrimenti. È fuori dal campo che… che i semidei vengono messi davvero alla prova. Non c’è alcun allenamento che tenga il confronto. La vera stoffa di un semidio non si evince da quante flessioni o da quanti giri del campo di corsa riesce a fare.»

La voce di Rosa si ridusse ad un sussurro: «Non è colpa di Naito, o di Orochi, se sei finito nello Yomi. È colpa mia. Hai combattuto fino a farti ammazzare solo per salvare me. Se non mi fossi fatta rapire, tu…»

Edward aveva sentito abbastanza. Rosa smise di parlare quando lui la abbracciò con forza, strappandole invece un verso sorpreso. «Smettila, Rosa. Dacci un taglio.»

«Ma…»

«Lo sai cos’altro non fa un’eroina? Piangersi addosso. “Non fare la femminuccia.” Me l’hai detto tu, ricordi? Bene, prendi esempio dal tuo stesso consiglio.» Le accarezzò la schiena rigida come un chiodo e sorrise, usando un tono di voce più morbido. «Il valore di una persona… si evince anche da chi lo circonda. E credimi, senza di te non avrei mai fatto nulla di tutto quello che ho fatto. Forse ho davvero un… fuoco dentro di me, come hai detto tu, ma è stato grazie a te se sono riuscito a tirarlo fuori. Sei molto più importante di quanto tu voglia dartene atto, hermana.»

«Edward…» sussurrò lei, rilassandosi. Appoggiò la fronte sulla sua spalla e le scappò un gemito. «Mi dispiace… per quello che è successo. Ti… ti sarai preoccupato tantissimo…»

«Sei qui, adesso, no? Siamo qui. È questo quello che conta.» La accarezzò tra i capelli e lei si strinse a lui con forza.

«S-Scusami… non volevo fare quella scenata…» gli bisbigliò, tirando su con il naso.

«Non era una scenata. Ti conosco hermana. Mentre Orochi ti teneva in ostaggio… ho pensato a quanto tu avresti odiato tutto quello. Sapevo fin dall’inizio che essere una damigella in pericolo ti avrebbe fatto infuriare più di me quando sbaglio i tuoi esercizi…»

Rosa ridacchiò. «Tonto hermano…»

«Tanto conosco la verità, Rosa. Non vedi l’ora che le cose peggiorino, così potrai combattere in prima fila e riscattarti. Vero?»

Sua sorella si separò da lui, avvampando leggermente. «B-Beh… non voglio mica che muoia qualcuno! Voglio solo… prendere qualche mostro a calci…»

«Esaltata» la punzecchiò Edward, pungolandola al ventre.

Lei si piegò. «Ah! Non è vero! Non sono un’esaltata!»  

«Sei l’esaltata più grande che abbia mai conosciuto.»

«Ah sì? Beh, tu sei un testone impulsivo!»

«Non ho mai negato di esserlo.»

Per una volta, Rosa sembrò senza una risposta pronta. Edward sogghignò. Non si sarebbe mai dimenticato il giorno in cui era riuscito a zittirla. E soprattutto, non avrebbe scordato com’era riuscito a rassicurarla dopo quell’attimo di debolezza. Sentiva che… c’era qualcosa di sbagliato in Rosa afflitta. Come se lei non fosse proprio fatta per apparire senza quel sorriso raggiante sul volto.

«Direi… che ti serve una doccia, hermano» affermò Rosa dopo qualche istante, sciogliendo l’abbraccio con lui. «Hai l’odore di tu novia ancora addosso…»

«M-Ma la smetti?!» si lamentò Edward, imbarazzandosi.

Rosa rise, rovesciando la testa all’indietro. «Ehi… grazie, Edward. Di nuovo» aggiunse quando si calmò, con espressione più gentile.

Edward riuscì a fare un altro sorriso. «Prego. Forza, andiamocene. Tra poco è ora di cena.»

L’hermana rimise la borraccia di nettare dentro uno zainetto nero rimasto sugli spalti e se lo allacciò ad una spalla. «Vámonos.»

Mentre stavano uscendo, Edward realizzò di aver dimenticato di nuovo l’arco. Non era più abituato a portarselo dietro. Disse a Rosa di aspettarlo e tornò dentro, verso gli spalti dove l’aveva posato. Lo afferrò e lo richiuse. In qualche modo, si trasformò in uno zainetto pure quello, che Edward indossò senza farsi troppe domande. La Foschia era una strana belva, doveva ammetterlo.

Qualcosa catturò la sua attenzione, sul pavimento di terra. Sembrava una tessera color argento. Incuriosito, Edward la raccolse. Immaginò che fosse caduta dallo zaino di Rosa. Si rese conto che non era una tessera, ma un biglietto da visita. Ragazze vestite di argento erano raffigurate sullo sfondo mentre puntavano gli archi verso una creatura gigantesca, con la coda di scorpione e il corpo di leone: una manticora.

Diverse scritte recitavano:

 

 

UNA SCELTA SAGGIA PER IL TUO FUTURO!

IMMORTALITÀ

UN FUTURO SENZA MASCHI

UNISCITI ALLE CACCIATRICI DI ARTEMIDE!

 

 

Edward spalancò gli occhi.

Improvvisamente, tutto si fece chiaro nella sua mente. Rosa che eludeva la sua domanda sui ragazzi. Lei che gli chiedeva cosa avrebbe fatto dopo il Campo Mezzosangue. Lei che parlava di come i semidei non arrivassero quasi mai all’età adulta e di come, prima o poi, avrebbe dovuto trovare una sua strada.

«Edward, ci sei?»

Trasalì quando Rosa lo chiamò. «Arrivo!» gridò, infilandosi il bigliettino in tasca e premurandosi di non parlarne in alcun modo con lei.

Mentre la raggiungeva, quel verso della profezia riecheggiò nella sua mente:

Il sangue della vergine sarà il prezzo da pagare.”

Tutto ad un tratto, il sole sembrò molto più freddo.







Eccomi qua gente, con la seconda parte! Non mi dilungherò molto, anche perché non c'è molto da dire. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e... dite la verità, chi si aspettava delle kunoichi? Nemmeno io me le aspettavo, ad essere sincero. E torneranno, vedrete. Torneranno...

Questo capitolo ha sicuramente molti riferimenti al capitolo 9 della Spada del Paradiso, "Desideri" dove abbiamo potuto assistere al rapporto tra Edward e Rosa crescere piano piano. Mi sembrava giusto citare l'inizio del loro rapporto e fare un confronto con il punto a cui siamo arrivati ora.

Grazie a Farkas e Nanamin per aver recensito la scorsa parte e una menzione d'onore per Roland che è sempre presente. 

(se qualche altro recensore vuole farsi avanti, io non mordo mica. Più pareri diversi non possono che far piacere al sottoscritto!) 

Alla prossima amici! 

   
 
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