Capitolo
4
Universo A
John (A)
Erano trascorsi quasi
due anni. John non riusciva a crederci.
Erano due anni che lui
respirava senza che i suoi occhi cadessero sul corpo magro e flessuoso di
Sherlock Holmes, sui suoi morbidi ricci e su quelle iridi così chiare, in cui
qualsiasi cosa poteva specchiarsi.
John aveva atteso che
il cuore smettesse di battere o che i polmoni cessassero di inalare aria.
Niente.
Cuore e polmoni avevano
continuato a svolgere le loro funzioni, malgrado John avesse fatto di tutto per
ostacolare la loro ostinata voglia di continuare a vivere.
Aveva perso il conto
delle volte in cui si era svegliato sul divano, dopo essersi scolato una
bottiglia di pessimo whiskey. Persino l’adrenalina che gli procurava il curare
persone in modo clandestino, non gli bastava per provare quel brivido di
piacere che aveva sempre provato, quando correva per le strade di Londra
insieme a Sherlock.
La vita continuava e la
sua lenta distruzione con lei.
John aveva rotto i
ponti con tutti i suoi vecchi amici. Non era più andato a Baker Street. La
signora Hudson aveva tentato di contattarlo, ma il dottore si era ben guardato
dal risponderle. Lo stesso aveva fatto con Mike. Invece, con Mycroft, Greg e
Molly non era stato difficile interrompere i contatti, perché non si erano più
fatti sentire.
Non che John lo avesse
notato.
Le uniche persone che
incontrava erano i pazienti della clinica, in cui ancora lavorava part time, e
i clienti illegali. Questi erano diventati numerosi. Ai criminali della banda
di Campbell, si erano aggiunti diseredati di varia natura, come prostitute o
senzatetto, che non si rivolgevano volentieri ai centri di assistenza medica
legali.
Quella mattina, John fu
svegliato da un insistente bussare.
Si era addormentato sul
divano, con l’immancabile bottiglia di whiskey come unica compagnia.
Senza troppa fretta, il
dottore si sedette, strofinandosi il viso con le mani. Chiunque stesse
bussando, lo faceva con sempre maggiore intensità. Era davvero intenzionato a
non andarsene, senza avere ricevuto una risposta.
Con un grugnito
infastidito, John si alzò e spalancò la porta del suo misero appartamento: “Chi
cazzo è!” ringhiò.
Si trovò davanti gli
occhi nocciola di Gregory Lestrade, che aveva ancora il pugno sollevato a metà.
John fissò il vecchio amico con sorpresa, che presto fu sostituita da un senso
di strisciante malessere.
Greg lo stava guardando
con qualcosa che assomigliava tanto alla pietà.
Investito da un rabbia
improvvisa, John non salutò nemmeno il poliziotto, ma lo apostrofò in modo
sgarbato: “Che cosa vuoi?”
“Buongiorno, John. Come
stai? Avrei bisogno di parlarti, posso entrare?”
John non si mosse.
Tenne saldamente la mano sulla porta, impedendo a Greg l’accesso
all’appartamento: “Non abbiamo nulla di cui parlare. Non certo dopo due anni. È
tardi per le scuse, ispettore Lestrade,” ribatté il dottore, in tono freddo.
Greg sospirò,
passandosi una mano fra i capelli: “Per favore, è importante.”
John lo fissò negli
occhi per qualche secondo, poi lasciò andare la porta e tornò a sedersi sul divano.
Greg entrò e chiuse la
porta. Non si guardò intorno, ma non poté evitare di arricciare il naso,
infastidito da un cattivo odore, che non riusciva a identificare.
“Dì quello che hai da
dire e vattene. Fallo in fretta. Non ho l’eternità per starti ad ascoltare.”
Quello sguardo carico
di pietà ricomparve negli occhi di Greg: “John… che cosa stai facendo della tua
vita?” Sospirò, in tono addolorato.
“Non sono affari tuoi,
Greg. Se sei venuto qui solo per farmi la paternale, puoi andartene subito. Non
ho intenzione di stare ad ascoltare le tue stronzate,” ribatté John, furioso.
“Domani uscirà una
notizia sui giornali. Volevo dartela di persona, perché penso che tu te lo
meriti. Abbiamo riabilitato la sua memoria.”
John apparve disordinato,
come se non avesse compreso le parole di Lestrade. La confusione fu presto
sostituita dalla sorpresa, che fu cancellata dal dolore: “Ora? Lo state
riabilitando ora? L’integerrima
Scotland Yard ha impiegato solo due
anni per riabilitare la memoria di un uomo di cui avrebbe dovuto fidarsi, senza
provare alcun dubbio? Vi siete fatti prendere in giro da Moriarty come degli
idioti, dubitando dell’integrità di uno degli uomini migliori, che abbiano mai
camminato su questa Terra. Che cosa ti aspetti da me? Perdono? Riconoscenza?
Cosa?”
“Vorrei solo che tu
tornassi alla tua vecchia vita. In giro si mormora di un dottore che cura
piccoli criminali e malcapitati, senza denunciare eventuali crimini alla
polizia.”
“E questo, che cosa
c’entra con me?” domandò John, in tono gelido.
“Stai facendo una cosa
illegale, John. Non macchiare la memoria di Sherlock passando dall’altra
parte,” sussurrò Greg.
John si alzò in piedi,
i pugni stretti e le braccia rigide lungo i fianchi: “Come osi mettere in mezzo
Sherlock, dopo che sei stato il primo a tradirlo? Quando quegli idioti di
Anderson e Donovan hanno abboccato al tranello di Moriarty, tu non hai fatto nulla per lui.”
“Che cosa avrei dovuto
fare, secondo te? I miei superiori hanno iniziato a mettere in dubbio il mio
operato. Ho rischiato di perdere il lavoro, solo perché ho accettato la
consulenza di Sherlock. Non ho potuto fare nulla per lui, se non cercare di
mettere in evidenza i suoi pregi. Questo, comunque, non giustifica il fatto che
tu sia diventato il medico della malavita. Pensi che Sherlock approverebbe?”
John era sempre più
furioso. Nel profondo del suo cuore sapeva che Greg aveva ragione, ma non
poteva ammetterlo: “Vattene! Fuori di qui o non rispondo più di me! Non farti più
vedere!” ringhiò, infine.
Greg lo fissò per
qualche secondo. Scosse la testa e si voltò per uscire. Con la mano sulla
maniglia, si girò a guardare l’amico: “Sei ancora in tempo. John. Sherlock è
morto. È stata una tragedia, ma non è giusto che tu ti rovini la vita. Devi
andare avanti, non rimanere ancorato al passato.”
“Senza di lui, io non
ho una vita,” sbottò John.
“Non fidarti di quei
criminali. Per ora nessuno ti vuole mettere nei guai, ma vedrai che, alla prima
difficoltà, ti tradiranno.”
“Esattamente come hai
fatto tu con Sherlock. Dimmi, Greg, che differenza c’è fra te e quei presunti
criminali? Loro, almeno, non si fingono tuoi amici, per poi pugnalarti alle
spalle alla prima occasione,” ribatté John, in tono secco.
Un lampo di dolore
attraversò gli occhi nocciola di Greg, che, scuotendo la testa e non riuscendo
a trovare qualcosa da dire che placasse il dottore, uscì. John afferrò la
bottiglia di whiskey e la lanciò contro la porta.
****
Sherlock (A)
Il barbiere aveva
finalmente terminato di fare la barba a un impaziente Sherlock, che stava
parlando con il fratello del caso per cui lo aveva ricondotto a casa. Il
barbiere era abituato a non ascoltare i discorsi fatti in quella stanza, ben
consapevole dei rischi che avrebbe corso, se avesse fatto trapelare anche solo
mezza parola fuori da quelle mura sicure. Ad ogni modo, fino a quel momento i
fratelli Holmes non avevano parlato di cose importanti. Anzi, erano quasi
banalità, rispetto ad altre conversazioni cui aveva assistito. Che cosa mai
poteva essere un eventuale attentato a Londra, rispetto al rovesciamento di un
governo straniero? L’uomo terminò di fare la barba al più giovane dei fratelli
Holmes, di nuovo annoverato fra coloro che camminavano e respiravano sulla
Terra, e se ne andò, con un lieve cenno di saluto.
Finalmente soli,
Sherlock affrontò l’argomento che gli stava davvero a cuore: “Dimmi di John.”
Mycroft non disse una
parola. Si avvicinò al fratello e gli porse una cartellina. Sherlock lo aprì
senza indugi. Si fermò a fissare la fotografia di un uomo dai capelli
ingrigiti, con profonde occhiaie e orribili baffi biondastri, che coprivano il
labbro superiore. Sembrava un uomo distrutto dal dolore, invecchiato troppo
presto e senza speranza nel futuro.
Sherlock studiò quel
volto familiare eppure così estraneo, con evidente sorpresa. Cercò nel proprio
palazzo mentale l’ultima immagine che aveva immagazzinato di John e la
confrontò con quella dell’uomo della foto.
Non avevano nulla in
comune.
La vitalità e l’energia
di John erano del tutto assenti in questa nuova versione incolore e apatica.
“Questi baffi sono
orribili. Dobbiamo eliminarli. Non posso andare in giro con un vecchio,” affermò,
in tono deciso, alzando gli occhi sul fratello e guardandolo in modo
accusatorio, come se lo ritenesse personalmente responsabile per i baffi di
John.
Mycroft sostenne lo
sguardo di Sherlock: “Quei baffi non sono certo il problema maggiore di John.”
lo informò, senza alcuna inflessione nella voce.
“Che cosa vuoi dire?”
“Leggi il fascicolo.”
Sherlock scorse
velocemente la dettagliata relazione sull’attuale vita del dottor John H.
Watson. Ne fu talmente sorpreso, che lo rilesse da capo, chiedendosi se fosse
uno scherzo di cattivo gusto di Mycroft.
‘Non è possibile, ma è tutto vero. Perché John?’
“Come hai potuto
permettere che John cadesse così in basso?” ringhiò, rivolto al fratello.
Mycroft non si
scompose, avendo già previsto la reazione di Sherlock: “Secondo te, che cosa
avrei dovuto fare per impedire a John di fare ciò che ha fatto? Dopo la tua
morte ha allontanato tutti. E, comunque, non mi avrebbe mai ascoltato. Secondo
lui, io ero il responsabile principale della tua dipartita. Non mi sarei
meravigliato se avesse tentato di uccidermi.”
“Così hai lasciato che
John distruggesse la propria vita senza intervenire! – sbottò Sherlock, furioso
– Non erano questi i nostri patti, Mycroft! Tu avresti dovuto vegliare su
John…”
“È ciò che ho fatto. Ho
sempre controllato chiunque avvicinasse John. In fin dei conti, si è preso cura
di piccoli criminali e sbandati. Poveri diavoli che avevano più da perdere di
lui, se lo avessero denunciato. So per certo che ha fatto anche alcune
segnalazioni anonime alla polizia, quando si è reso conto che alcuni dei suoi…
pazienti si trovavano in situazioni difficili. Se anche qualche poliziotto
avesse avuto dei sospetti su John, nessuno lo avrebbe mai tradito. Vedi,
Sherlock, malgrado il tuo dottore sia caduto molto in basso, non ha mai smesso
di prendersi cura delle persone e, persino in quegli ambienti, questo ha un
proprio valore.”
Sherlock chiuse la
cartellina con un gesto irato e la buttò sulla scrivania del fratello: “Ora
vado a Baker Street e farò in modo che tutto questo abbia fine. A cominciare da
quegli orribili baffi.”
“John non vive più a
Baker Street.” Lo informò Mycroft.
“Dove lo trovo?”
domandò Sherlock, impaziente.
Mycroft gli diede un
bigliettino. Il giovane Holmes lo afferrò e uscì dallo studio del fratello,
come una folata di vento impetuoso.
****
John (A)
La ferita che stava
curando non era niente di grave. La giovane donna che aveva accompagnato da lui
la ragazza ferita, gli stava spiegando che era stato un cliente molto
esuberante. Erano entrambe ragazze troppo giovani per trovarsi sulla strada e
non avere nessuno che si occupasse di loro.
John sapeva che un
tempo si sarebbe indignato e avrebbe fatto di tutto, pur di aiutare quelle
ragazze a lasciare il marciapiede. Sapeva che, probabilmente, si sarebbe
preoccupato per loro persino negli ultimi tempi.
Solo che, in quel
momento, non sentiva nulla.
Dopo la visita di
Lestrade, si sentiva svuotato.
Era come se i suoi
sentimenti fossero stati annullati dalla consapevolezza che Sherlock non
avrebbe approvato il suo comportamento.
Il fantasma non gli
apparso, nemmeno dopo che Lestrade era uscito. Nemmeno dopo che John si era
attaccato a una bottiglia nuova, per affogare la pietà, che aveva letto sul
viso del suo amico.
La giovane donna lo
strappò dai suoi cupi pensieri: “Dottore? Vorrei dirle una cosa…”
“Dimmi.” Rispose in
modo indifferente.
“Ecco… si tratta di un…
cliente… lui… ecco, parla molto, quando ha finito…” la giovane donna si bloccò,
mordicchiandosi il labbro inferiore.
Era chiaramente
indecisa se continuare a parlare o tacere.
Per la prima volta,
John alzò gli occhi su di lei e la vide veramente. Forse aveva diciotto anni.
Era bassa e magra. I capelli corvini erano raccolti in una coda di cavallo
alta. Il trucco era troppo pesante, ma John vide la paura che serpeggiava in
quei giovani occhi marroni.
“Che cosa hai sentito?”
domandò, con una dolcezza che pensava non gli appartenesse più.
“Quell’uomo era tutto
fuorché gentile. Si è vantato di essere stato assunto da qualcuno di
importante, per levare di mezzo un poliziotto di nome Lestrade, che si è
immischiato in affari che non lo riguardano.”
John si sentì come se
lo avessero colpito alla stomaco.
Greg! Greg era in
pericolo e lui doveva salvarlo! Non
poteva permettere che un altro suo amico morisse, senza che lui facesse anche
l’impossibile per salvarlo: “Dimmi tutto quello che sai. Farò in modo che
nessuno sappia che sei stata tu a dirmelo. Sai che ti puoi fidare di me.”
Senza alcuna
esitazione, la giovane donna riferì tutto a John.
L’uomo aveva seguito
Greg per alcuni giorni. Sapeva che il poliziotto fumava molto, quando era
nervoso. Sapeva anche che non poteva farlo in ufficio. Da agente di Scotland
Yard era molto ligio alle regole. Greg andava sempre a fumare in un luogo
appartato, da solo. Sarebbe stato lì che l’uomo lo avrebbe ucciso. Mentre
fumava la sua ultima sigaretta. Perché una sigaretta non si rifiuta nemmeno a
un condannato a morte.
“Grazie!” John quasi
urlò, quando la ragazza ebbe finito di parlare. Le diede un bacio sulla fronte
e uscì di casa. Di corsa.
Stavolta non sarebbe arrivato
troppo tardi per impedire il peggio.
****
Sherlock (A)
Non ricordava che fosse
così complicato attraversare la sua amata Londra. Il taxi aveva impiegato
un’eternità per raggiungere l’indirizzo dell’appartamento in cui viveva John.
Sherlock era agitato e
infastidito allo stesso tempo.
Agitato perché
finalmente avrebbe rivisto John. Durante la loro lunga separazione aveva
compreso una cosa importante e doveva
parlarne con John. Non sapeva che cosa aspettarsi. John avrebbe potuto
buttargli le braccia al collo o sparargli. Entrambe le reazioni sarebbero state
coerenti con il carattere di John.
Infastidito perché John
si era messo nei guai e lui non lo aveva previsto. Sapeva che il dottore
sarebbe stato sconvolto dalla sua morte, ma non immaginava che si sarebbe
schierato dalla parte del crimine. Per fortuna, da quello che aveva letto, non
era nulla di irreparabile. Sarebbe riuscito a tenere John fuori dalla prigione,
a costo di dovere un favore al suo grasso fratello, pur di fare sparire le
prove più compromettenti.
Finalmente arrivò a
casa di John.
Sherlock scese dal taxi
e squadrò il palazzo, scuotendo la testa. Il quartiere non aveva una bella
reputazione e quella casa era messa peggio di alcuni luoghi in cui si era recato
per bucarsi.
Dal palazzo stavano
uscendo due giovani donne. Erano chiaramente delle prostitute e una era appena
stata medicata.
Con un sorriso,
Sherlock si avviò all’ingresso. Quella ragazza era stata da John e lui doveva
essere in casa.
Si bloccò, quando
percepì i discorsi delle ragazze: “Forse non avresti dovuto dire al dottor
Watson del tuo cliente. E se lui lo scopre?”
“Il dottor Watson è un
uomo buono e onesto. È sempre pronto ad aiutarci. Non volevo che soffrisse per
la morte di un altro suo amico. Inoltre, quel bastardo di Carl sta bene in…”
La ragazza si bloccò,
quando venne afferrata per la spalle da un uomo alto, magro, con una chioma
scompigliata di ricci neri e gli occhi più azzurri e feroci che avesse mai
visto in vita sua.
“Dove è andato! Dimmi
dove è andato John Watson!” ordinò, in tono imperioso.
“A… a Scotland Yard…
dall’ispettore Lestarde…” balbettò la ragazza, intimorita. Non riuscì ad
aggiungere altro.
L’uomo l’aveva lasciata
e si era fiondato dentro un taxi, sbraitando di correre verso Scotland Yard il
più velocemente possibile.
****
John era arrivato a
Scotland Yard. Sapeva che Greg andava in un terrazzo appartato del quarto
piano, sul retro dell’edificio, quando voleva fumare in santa pace.
Correndo all’impazzata,
il dottore scansò le persone e si precipitò all’ascensore, schiacciando il
pulsante per il quarto piano.
L’ascensore non gli era
mai sembrato così lento. Finalmente le porte si aprirono e lui piombò nell’ufficio
di Lestrade.
Vuoto.
“Dov’è Greg?” domandò a
una sorpresa Donovan.
“Cosa…”
“DOV’È GREG!” ripeté,
con il tono imperioso di un capitano dell’esercito.
“Sta fumando.” Rispose
Donovan, di riflesso.
Senza dare spiegazioni,
John si precipitò verso il terrazzo. Greg stava fumando, appena al di là della
porta di accesso al balcone. John intravide un bagliore e il cuore saltò un
colpo.
Il cecchino si trovava
sul palazzo di fronte.
“GREG!” urlò,
precipitandosi verso l’amico e mettendosi fra lui e il cecchino.
Fu uno strano déjà-vu,
quando il proiettile lo colpì alla schiena.
L’ultima cosa che John
vide, fu il volto sorpreso e sconvolto di Greg.
L’ultima cosa che udì,
fu qualcuno che urlava il suo nome. John avrebbe giurato che fosse stata la
voce di Sherlock, a chiamare il suo nome.
Era stata
un’allucinazione, ne era sicuro, ma non aveva importanza, perché presto, molto
presto, si sarebbe finalmente ricongiunto con Sherlock.
Piccolo angolo dell’autrice
In
questo capitolo non compare il John (B). Il capitolo è già molto lungo con la
storia di John (A). Se ci fosse stato anche il secondo universo, sarebbe
diventato troppo lungo. Così ho deciso di separare i due universi paralleli.
Oggi è protagonista John (A), la prossima settimana sarà il turno di John (B).
Spero
che il capitolo vi piaccia lo stesso.
Grazie
a chi stia leggendo il racconto e a Himeko82 per la recensione.
A
domenica prossima.
Ciao
ciao.