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Autore: liriel4444    18/07/2021    1 recensioni
Sherlock Holmes è morto, lasciando solo John Watson. Porte che si aprono o che si chiudono portano verso destini diversi.
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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4A

Capitolo 4

Universo A

John (A)

Erano trascorsi quasi due anni. John non riusciva a crederci.

Erano due anni che lui respirava senza che i suoi occhi cadessero sul corpo magro e flessuoso di Sherlock Holmes, sui suoi morbidi ricci e su quelle iridi così chiare, in cui qualsiasi cosa poteva specchiarsi.

John aveva atteso che il cuore smettesse di battere o che i polmoni cessassero di inalare aria.

Niente.

Cuore e polmoni avevano continuato a svolgere le loro funzioni, malgrado John avesse fatto di tutto per ostacolare la loro ostinata voglia di continuare a vivere.

Aveva perso il conto delle volte in cui si era svegliato sul divano, dopo essersi scolato una bottiglia di pessimo whiskey. Persino l’adrenalina che gli procurava il curare persone in modo clandestino, non gli bastava per provare quel brivido di piacere che aveva sempre provato, quando correva per le strade di Londra insieme a Sherlock.

La vita continuava e la sua lenta distruzione con lei.

John aveva rotto i ponti con tutti i suoi vecchi amici. Non era più andato a Baker Street. La signora Hudson aveva tentato di contattarlo, ma il dottore si era ben guardato dal risponderle. Lo stesso aveva fatto con Mike. Invece, con Mycroft, Greg e Molly non era stato difficile interrompere i contatti, perché non si erano più fatti sentire.

Non che John lo avesse notato.

Le uniche persone che incontrava erano i pazienti della clinica, in cui ancora lavorava part time, e i clienti illegali. Questi erano diventati numerosi. Ai criminali della banda di Campbell, si erano aggiunti diseredati di varia natura, come prostitute o senzatetto, che non si rivolgevano volentieri ai centri di assistenza medica legali.

Quella mattina, John fu svegliato da un insistente bussare.

Si era addormentato sul divano, con l’immancabile bottiglia di whiskey come unica compagnia.

Senza troppa fretta, il dottore si sedette, strofinandosi il viso con le mani. Chiunque stesse bussando, lo faceva con sempre maggiore intensità. Era davvero intenzionato a non andarsene, senza avere ricevuto una risposta.

Con un grugnito infastidito, John si alzò e spalancò la porta del suo misero appartamento: “Chi cazzo è!” ringhiò.

Si trovò davanti gli occhi nocciola di Gregory Lestrade, che aveva ancora il pugno sollevato a metà. John fissò il vecchio amico con sorpresa, che presto fu sostituita da un senso di strisciante malessere.

Greg lo stava guardando con qualcosa che assomigliava tanto alla pietà.

Investito da un rabbia improvvisa, John non salutò nemmeno il poliziotto, ma lo apostrofò in modo sgarbato: “Che cosa vuoi?”

“Buongiorno, John. Come stai? Avrei bisogno di parlarti, posso entrare?”

John non si mosse. Tenne saldamente la mano sulla porta, impedendo a Greg l’accesso all’appartamento: “Non abbiamo nulla di cui parlare. Non certo dopo due anni. È tardi per le scuse, ispettore Lestrade,” ribatté il dottore, in tono freddo.

Greg sospirò, passandosi una mano fra i capelli: “Per favore, è importante.”

John lo fissò negli occhi per qualche secondo, poi lasciò andare la porta e tornò a sedersi sul divano.

Greg entrò e chiuse la porta. Non si guardò intorno, ma non poté evitare di arricciare il naso, infastidito da un cattivo odore, che non riusciva a identificare.

“Dì quello che hai da dire e vattene. Fallo in fretta. Non ho l’eternità per starti ad ascoltare.”

Quello sguardo carico di pietà ricomparve negli occhi di Greg: “John… che cosa stai facendo della tua vita?” Sospirò, in tono addolorato.

“Non sono affari tuoi, Greg. Se sei venuto qui solo per farmi la paternale, puoi andartene subito. Non ho intenzione di stare ad ascoltare le tue stronzate,” ribatté John, furioso.

“Domani uscirà una notizia sui giornali. Volevo dartela di persona, perché penso che tu te lo meriti. Abbiamo riabilitato la sua memoria.”

John apparve disordinato, come se non avesse compreso le parole di Lestrade. La confusione fu presto sostituita dalla sorpresa, che fu cancellata dal dolore: “Ora? Lo state riabilitando ora? L’integerrima Scotland Yard ha impiegato solo due anni per riabilitare la memoria di un uomo di cui avrebbe dovuto fidarsi, senza provare alcun dubbio? Vi siete fatti prendere in giro da Moriarty come degli idioti, dubitando dell’integrità di uno degli uomini migliori, che abbiano mai camminato su questa Terra. Che cosa ti aspetti da me? Perdono? Riconoscenza? Cosa?”

“Vorrei solo che tu tornassi alla tua vecchia vita. In giro si mormora di un dottore che cura piccoli criminali e malcapitati, senza denunciare eventuali crimini alla polizia.”

“E questo, che cosa c’entra con me?” domandò John, in tono gelido.

“Stai facendo una cosa illegale, John. Non macchiare la memoria di Sherlock passando dall’altra parte,” sussurrò Greg.

John si alzò in piedi, i pugni stretti e le braccia rigide lungo i fianchi: “Come osi mettere in mezzo Sherlock, dopo che sei stato il primo a tradirlo? Quando quegli idioti di Anderson e Donovan hanno abboccato al tranello di Moriarty, tu non hai fatto nulla per lui.”

“Che cosa avrei dovuto fare, secondo te? I miei superiori hanno iniziato a mettere in dubbio il mio operato. Ho rischiato di perdere il lavoro, solo perché ho accettato la consulenza di Sherlock. Non ho potuto fare nulla per lui, se non cercare di mettere in evidenza i suoi pregi. Questo, comunque, non giustifica il fatto che tu sia diventato il medico della malavita. Pensi che Sherlock approverebbe?”

John era sempre più furioso. Nel profondo del suo cuore sapeva che Greg aveva ragione, ma non poteva ammetterlo: “Vattene! Fuori di qui o non rispondo più di me! Non farti più vedere!” ringhiò, infine.

Greg lo fissò per qualche secondo. Scosse la testa e si voltò per uscire. Con la mano sulla maniglia, si girò a guardare l’amico: “Sei ancora in tempo. John. Sherlock è morto. È stata una tragedia, ma non è giusto che tu ti rovini la vita. Devi andare avanti, non rimanere ancorato al passato.”

“Senza di lui, io non ho una vita,” sbottò John.

“Non fidarti di quei criminali. Per ora nessuno ti vuole mettere nei guai, ma vedrai che, alla prima difficoltà, ti tradiranno.”

“Esattamente come hai fatto tu con Sherlock. Dimmi, Greg, che differenza c’è fra te e quei presunti criminali? Loro, almeno, non si fingono tuoi amici, per poi pugnalarti alle spalle alla prima occasione,” ribatté John, in tono secco.

Un lampo di dolore attraversò gli occhi nocciola di Greg, che, scuotendo la testa e non riuscendo a trovare qualcosa da dire che placasse il dottore, uscì. John afferrò la bottiglia di whiskey e la lanciò contro la porta.

****

Sherlock (A)

Il barbiere aveva finalmente terminato di fare la barba a un impaziente Sherlock, che stava parlando con il fratello del caso per cui lo aveva ricondotto a casa. Il barbiere era abituato a non ascoltare i discorsi fatti in quella stanza, ben consapevole dei rischi che avrebbe corso, se avesse fatto trapelare anche solo mezza parola fuori da quelle mura sicure. Ad ogni modo, fino a quel momento i fratelli Holmes non avevano parlato di cose importanti. Anzi, erano quasi banalità, rispetto ad altre conversazioni cui aveva assistito. Che cosa mai poteva essere un eventuale attentato a Londra, rispetto al rovesciamento di un governo straniero? L’uomo terminò di fare la barba al più giovane dei fratelli Holmes, di nuovo annoverato fra coloro che camminavano e respiravano sulla Terra, e se ne andò, con un lieve cenno di saluto.

Finalmente soli, Sherlock affrontò l’argomento che gli stava davvero a cuore: “Dimmi di John.”

Mycroft non disse una parola. Si avvicinò al fratello e gli porse una cartellina. Sherlock lo aprì senza indugi. Si fermò a fissare la fotografia di un uomo dai capelli ingrigiti, con profonde occhiaie e orribili baffi biondastri, che coprivano il labbro superiore. Sembrava un uomo distrutto dal dolore, invecchiato troppo presto e senza speranza nel futuro.

Sherlock studiò quel volto familiare eppure così estraneo, con evidente sorpresa. Cercò nel proprio palazzo mentale l’ultima immagine che aveva immagazzinato di John e la confrontò con quella dell’uomo della foto.

Non avevano nulla in comune.

La vitalità e l’energia di John erano del tutto assenti in questa nuova versione incolore e apatica.

“Questi baffi sono orribili. Dobbiamo eliminarli. Non posso andare in giro con un vecchio,” affermò, in tono deciso, alzando gli occhi sul fratello e guardandolo in modo accusatorio, come se lo ritenesse personalmente responsabile per i baffi di John.

Mycroft sostenne lo sguardo di Sherlock: “Quei baffi non sono certo il problema maggiore di John.” lo informò, senza alcuna inflessione nella voce.

“Che cosa vuoi dire?”

“Leggi il fascicolo.”

Sherlock scorse velocemente la dettagliata relazione sull’attuale vita del dottor John H. Watson. Ne fu talmente sorpreso, che lo rilesse da capo, chiedendosi se fosse uno scherzo di cattivo gusto di Mycroft.

Non è possibile, ma è tutto vero. Perché John?

“Come hai potuto permettere che John cadesse così in basso?” ringhiò, rivolto al fratello.

Mycroft non si scompose, avendo già previsto la reazione di Sherlock: “Secondo te, che cosa avrei dovuto fare per impedire a John di fare ciò che ha fatto? Dopo la tua morte ha allontanato tutti. E, comunque, non mi avrebbe mai ascoltato. Secondo lui, io ero il responsabile principale della tua dipartita. Non mi sarei meravigliato se avesse tentato di uccidermi.”

“Così hai lasciato che John distruggesse la propria vita senza intervenire! – sbottò Sherlock, furioso – Non erano questi i nostri patti, Mycroft! Tu avresti dovuto vegliare su John…”

“È ciò che ho fatto. Ho sempre controllato chiunque avvicinasse John. In fin dei conti, si è preso cura di piccoli criminali e sbandati. Poveri diavoli che avevano più da perdere di lui, se lo avessero denunciato. So per certo che ha fatto anche alcune segnalazioni anonime alla polizia, quando si è reso conto che alcuni dei suoi… pazienti si trovavano in situazioni difficili. Se anche qualche poliziotto avesse avuto dei sospetti su John, nessuno lo avrebbe mai tradito. Vedi, Sherlock, malgrado il tuo dottore sia caduto molto in basso, non ha mai smesso di prendersi cura delle persone e, persino in quegli ambienti, questo ha un proprio valore.”

Sherlock chiuse la cartellina con un gesto irato e la buttò sulla scrivania del fratello: “Ora vado a Baker Street e farò in modo che tutto questo abbia fine. A cominciare da quegli orribili baffi.”

“John non vive più a Baker Street.” Lo informò Mycroft.

“Dove lo trovo?” domandò Sherlock, impaziente.

Mycroft gli diede un bigliettino. Il giovane Holmes lo afferrò e uscì dallo studio del fratello, come una folata di vento impetuoso.

****

John (A)

La ferita che stava curando non era niente di grave. La giovane donna che aveva accompagnato da lui la ragazza ferita, gli stava spiegando che era stato un cliente molto esuberante. Erano entrambe ragazze troppo giovani per trovarsi sulla strada e non avere nessuno che si occupasse di loro.

John sapeva che un tempo si sarebbe indignato e avrebbe fatto di tutto, pur di aiutare quelle ragazze a lasciare il marciapiede. Sapeva che, probabilmente, si sarebbe preoccupato per loro persino negli ultimi tempi.

Solo che, in quel momento, non sentiva nulla.

Dopo la visita di Lestrade, si sentiva svuotato.

Era come se i suoi sentimenti fossero stati annullati dalla consapevolezza che Sherlock non avrebbe approvato il suo comportamento.

Il fantasma non gli apparso, nemmeno dopo che Lestrade era uscito. Nemmeno dopo che John si era attaccato a una bottiglia nuova, per affogare la pietà, che aveva letto sul viso del suo amico.

La giovane donna lo strappò dai suoi cupi pensieri: “Dottore? Vorrei dirle una cosa…”

“Dimmi.” Rispose in modo indifferente.

“Ecco… si tratta di un… cliente… lui… ecco, parla molto, quando ha finito…” la giovane donna si bloccò, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Era chiaramente indecisa se continuare a parlare o tacere.

Per la prima volta, John alzò gli occhi su di lei e la vide veramente. Forse aveva diciotto anni. Era bassa e magra. I capelli corvini erano raccolti in una coda di cavallo alta. Il trucco era troppo pesante, ma John vide la paura che serpeggiava in quei giovani occhi marroni.

“Che cosa hai sentito?” domandò, con una dolcezza che pensava non gli appartenesse più.

“Quell’uomo era tutto fuorché gentile. Si è vantato di essere stato assunto da qualcuno di importante, per levare di mezzo un poliziotto di nome Lestrade, che si è immischiato in affari che non lo riguardano.”

John si sentì come se lo avessero colpito alla stomaco.

Greg! Greg era in pericolo e lui doveva salvarlo! Non poteva permettere che un altro suo amico morisse, senza che lui facesse anche l’impossibile per salvarlo: “Dimmi tutto quello che sai. Farò in modo che nessuno sappia che sei stata tu a dirmelo. Sai che ti puoi fidare di me.”

Senza alcuna esitazione, la giovane donna riferì tutto a John.

L’uomo aveva seguito Greg per alcuni giorni. Sapeva che il poliziotto fumava molto, quando era nervoso. Sapeva anche che non poteva farlo in ufficio. Da agente di Scotland Yard era molto ligio alle regole. Greg andava sempre a fumare in un luogo appartato, da solo. Sarebbe stato lì che l’uomo lo avrebbe ucciso. Mentre fumava la sua ultima sigaretta. Perché una sigaretta non si rifiuta nemmeno a un condannato a morte.

“Grazie!” John quasi urlò, quando la ragazza ebbe finito di parlare. Le diede un bacio sulla fronte e uscì di casa. Di corsa.

Stavolta non sarebbe arrivato troppo tardi per impedire il peggio.

****

Sherlock (A)

Non ricordava che fosse così complicato attraversare la sua amata Londra. Il taxi aveva impiegato un’eternità per raggiungere l’indirizzo dell’appartamento in cui viveva John.

Sherlock era agitato e infastidito allo stesso tempo.

Agitato perché finalmente avrebbe rivisto John. Durante la loro lunga separazione aveva compreso una cosa importante e doveva parlarne con John. Non sapeva che cosa aspettarsi. John avrebbe potuto buttargli le braccia al collo o sparargli. Entrambe le reazioni sarebbero state coerenti con il carattere di John.

Infastidito perché John si era messo nei guai e lui non lo aveva previsto. Sapeva che il dottore sarebbe stato sconvolto dalla sua morte, ma non immaginava che si sarebbe schierato dalla parte del crimine. Per fortuna, da quello che aveva letto, non era nulla di irreparabile. Sarebbe riuscito a tenere John fuori dalla prigione, a costo di dovere un favore al suo grasso fratello, pur di fare sparire le prove più compromettenti.

Finalmente arrivò a casa di John.

Sherlock scese dal taxi e squadrò il palazzo, scuotendo la testa. Il quartiere non aveva una bella reputazione e quella casa era messa peggio di alcuni luoghi in cui si era recato per bucarsi.

Dal palazzo stavano uscendo due giovani donne. Erano chiaramente delle prostitute e una era appena stata medicata.

Con un sorriso, Sherlock si avviò all’ingresso. Quella ragazza era stata da John e lui doveva essere in casa.

Si bloccò, quando percepì i discorsi delle ragazze: “Forse non avresti dovuto dire al dottor Watson del tuo cliente. E se lui lo scopre?”

“Il dottor Watson è un uomo buono e onesto. È sempre pronto ad aiutarci. Non volevo che soffrisse per la morte di un altro suo amico. Inoltre, quel bastardo di Carl sta bene in…”

La ragazza si bloccò, quando venne afferrata per la spalle da un uomo alto, magro, con una chioma scompigliata di ricci neri e gli occhi più azzurri e feroci che avesse mai visto in vita sua.

“Dove è andato! Dimmi dove è andato John Watson!” ordinò, in tono imperioso.

“A… a Scotland Yard… dall’ispettore Lestarde…” balbettò la ragazza, intimorita. Non riuscì ad aggiungere altro.

L’uomo l’aveva lasciata e si era fiondato dentro un taxi, sbraitando di correre verso Scotland Yard il più velocemente possibile.

****

John era arrivato a Scotland Yard. Sapeva che Greg andava in un terrazzo appartato del quarto piano, sul retro dell’edificio, quando voleva fumare in santa pace.

Correndo all’impazzata, il dottore scansò le persone e si precipitò all’ascensore, schiacciando il pulsante per il quarto piano.

L’ascensore non gli era mai sembrato così lento. Finalmente le porte si aprirono e lui piombò nell’ufficio di Lestrade.

Vuoto.

“Dov’è Greg?” domandò a una sorpresa Donovan.

“Cosa…”

“DOV’È GREG!” ripeté, con il tono imperioso di un capitano dell’esercito.

“Sta fumando.” Rispose Donovan, di riflesso.

Senza dare spiegazioni, John si precipitò verso il terrazzo. Greg stava fumando, appena al di là della porta di accesso al balcone. John intravide un bagliore e il cuore saltò un colpo.

Il cecchino si trovava sul palazzo di fronte.

“GREG!” urlò, precipitandosi verso l’amico e mettendosi fra lui e il cecchino.

Fu uno strano déjà-vu, quando il proiettile lo colpì alla schiena.

L’ultima cosa che John vide, fu il volto sorpreso e sconvolto di Greg.

L’ultima cosa che udì, fu qualcuno che urlava il suo nome. John avrebbe giurato che fosse stata la voce di Sherlock, a chiamare il suo nome.

Era stata un’allucinazione, ne era sicuro, ma non aveva importanza, perché presto, molto presto, si sarebbe finalmente ricongiunto con Sherlock.

 

 

 

Piccolo angolo dell’autrice

 

In questo capitolo non compare il John (B). Il capitolo è già molto lungo con la storia di John (A). Se ci fosse stato anche il secondo universo, sarebbe diventato troppo lungo. Così ho deciso di separare i due universi paralleli. Oggi è protagonista John (A), la prossima settimana sarà il turno di John (B).

Spero che il capitolo vi piaccia lo stesso.

Grazie a chi stia leggendo il racconto e a Himeko82 per la recensione.

A domenica prossima.

 

Ciao ciao.

 

 

   
 
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