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Autore: Ivy001    26/07/2021    2 recensioni
Quando la felicità di una famiglia viene distrutta da un evento inaspettato e inspiegabile...qualcuno scompare, la Banda si riunisce
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bogotà, Nairobi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Fossi in te mi informerei meglio Professorino dei miei stivali” – replica Teresa, sentendo Sergio tirare in ballo Anastasia – “Dovresti fuggire ora che sei in tempo. Altrimenti sconterai il resto della tua vita in galera” – ribadisce la Boss ai Dalì, ricordando loro che la polizia è prossima ad acciuffarli.

“Come fai a rimanere impassibile di fronte al nome di tua figlia, cazzo” – esclama Bogotá, notando che l’argomento centrale è stato declassato dalla criminale.

In realtà, la donna non è affatto indifferente al ricordo della figlia, e quello stesso ricordo l’ha colpita con irruenza e violenza, con la stessa rapidità di una pallottola che le affonda nel cuore, riducendolo in poltiglia. 

Trattiene il respiro per alcuni secondi, poi si mostra la solita fredda e agghiacciante donna di sempre.

“Salutatemi il carcere!” – conclude, prima di incamminarsi verso il suo mezzo.

Da lontano le sirene sono ben udibili; segnale che le pattuglie sono sempre più vicine.

La Banda, preoccupata, opta per la fuga. A quanto pare la Perez non ha mentito quando ha sostenuto di aver avvertito chi di dovere.

“Che facciamo, Professore? Dobbiamo andarcene?” – domanda, agitato, Denver.

“Abbiamo recuperato Axel! E’ ciò che volevamo, scappiamo subito” – aggiunge Rio.

Eppure la freddezza di Teresa riguardo all’argomento Anastasia ha spiazzato Sergio, intenzionato quindi ad abbattere i muri di quella criminale, lasciandola in preda al dolore che riemerge.

“Helsinki e Palermo saranno qui a momenti. Voi andatevene, io rimango!”

“Cosa?”
“Sei impazzito?”

“Non ti lasciamo da solo con questi folli”

Il gruppo, stranito dalla decisione del Marquina, ha chiara la missione: non bisogna separarsi più, qualsiasi cosa accada. Uniti sono più forti.

E’ Nairobi stessa, alzandosi da terra, a prendere parola – “Non voglio rischiare più nulla per colpa di questa maledetta!”

Lo sussurra all’orecchio del Prof, lasciando intendere che non vale la pena colpire Teresa perché, a pagarne le conseguenze, potrebbero essere solo i Dalì.

“Sono sicuro che il confronto con chi sai tu, potrebbe esserci utile” – insiste Sergio.

L’uomo e la gitana si guardano in silenzio, riuscendo a capirsi al volo.

E Lisbona e Bogotà fissano i rispettivi compagni, confusi.

Solo allora, Agata annuisce con il capo e si posiziona di fianco al marito, stringendogli la mano.

“Tutto bene?” – le domanda, preoccupato.

“Ho il cuore fracassato, ma con te accanto posso superare ogni cosa. Non commetterò lo stesso errore di giorni fa, non mi allontanerò per patire in solitudine il mio dolore” – sussurra lei, ricevendo un rapido bacio sul capo dal consorte.

Il capo della Banda, intanto, si rivolge nuovamente alla Perez, seguendola passo passo - “So di Anastasia, so di te e di quel poliziotto! So tutto”

Allora, e soltanto allora, la Perez s’immobilizza, esattamente a pochi metri dal camper sul quale è prossima a salire con i suoi scagnozzi.

Stringe i pugni, controllando un’emotività sempre più instabile. E proprio quell’instabilità la costringe a ricordare qualcosa che, per anni, ha tentato di cancellare dalla memoria. Anzi, piuttosto che qualcosa sarebbe meglio dire… qualcuno! Un qualcuno divenuto la causa del sanguinamento di ferite profonde che non si potranno mai ricucire.

 

Teresa aveva vent’anni quando s’innamorò di un giovane madrileno di cui sapeva poco e nulla. Lei lo definiva un colpo di fulmine, scattato casualmente durante una serata in un pub. In quel periodo era solita frequentare luoghi di svago, per concedersi una pausa dal “lavoro” ereditato da sua madre. Quest’ultima, Anabel Perez, per tutti “la Bella del Barrio”, era venuta a mancare qualche mese prima per un tumore che non le diede più respiro e la stessa Teresa diventò una vera e propria matriarca nella gestione di loschi affari criminali.

Fu esattamente durante una notte di alcool e balli sfrenati che il destino segnò la sua vita.

“Mi chiamo Antonio Garcia, piacere di conoscerti” – si presentò al suo tavolo, un giovane dai capelli chiari e gli occhi verdi. Non il tipico spagnolo, senza evidenti interessi sessuali, e decisamente dal cuore più tenero di quanto si potesse pensare.

“Teresa, per gli amici Tere!” – con una stretta di mano i due danno inizio ad una frequentazione, sempre più assidua, che li porterà ad innamorarsi.

O almeno, l’innamoramento era reale, però unilaterale.

“Incinta? Sono incinta! Com’è possibile, pensavo fossimo stati attenti” – fu la notte di Natale di quello stesso anno, a distanza di sei mesi di conoscenza, che la Boss scoprì la sua gravidanza. Il momento più emozionante e contemporaneamente più sconvolgente mai vissuto.

Dirlo ad Antonio o non dirlo?! Indipendentemente da ciò, la ragazza sapeva benissimo che quella era una sua decisione e di nessun altro: tenere il bambino o eliminare il problema, era un dilemma che andava affrontato quanto prima.

Raccolto il coraggio, Teresa diede appuntamento al suo compagno, al solito Pub.

Studiò ben benino le parole da utilizzare per dare la notizia bomba. Preparò un discorso saggio su quanto fosse inopportuno diventare genitori senza che se ne avvertisse il desiderio.

Eppure, qualcosa accadde che la salvò letteralmente dalla galera. Il ritardo di alcuni preziosi minuti, per via del traffico stradale, le permisero di scampare il pericolo rappresentato da una pattuglia di poliziotti, pronti ad arrestarla, radunati insieme ad Antonio, fuori dal pub.

Preoccupata per il fidanzato, la ventenne ignorava che, effettivamente, Garcia fosse uno di quelli. E quando, con le sue orecchie, sentì il biondino raccontare ai colleghi che il suo fu un piano ben studiato per incastrare la figlia di una grande Boss criminale, Teresa vide vacillare l’ultimo vessillo di felicità.

Si era illusa che potesse esistere al mondo qualcuno che l’amasse davvero. Dopo un passato doloroso, che l’ha vista patire per la mancanza d’affetto di un padre che prediligeva la figlia maggiore, dalla quale si era separato dopo aver tradito la sua prima moglie, con Anabel Perez…dopo aver sofferto per colpa di una madre che amava più i suoi loschi affari di sua figlia…dopo aver pensato che un uomo potesse nutrire nei suoi confronti un sentimento forte e profondo, si accorse che il destino si divertiva a giocare con le sue emozioni ed era pronto a sputarle in faccia la triste realtà, ogni qualvolta Teresa respirava un briciolo di serenità.  

 

E mentre il Professore continua a infierire sulle ferite interiori della Perez, sottolineando che Anastasia non può essere dimenticata perché sangue del suo sangue, la sorella di Nairobi continua ad essere bombardata dai ricordi più dolorosi di quegli anni.

 

Arrabbiata con il mondo intero, decise di abortire. Eppure fu un sogno a bloccare tale idea. L’immagine di sua madre che le ordinò di tenere il bambino, o meglio, la bambina dato che sarebbe stata una femmina, così come voleva la dinastia e il loro matriarcato, perché è a lei che avrebbe ceduto l’eredità del Clan criminale.

Mesi dopo, come previsto, Tere diede alla luce una femminuccia. Difficile dimenticare il dolore fisico, seppure mai forte quanto quello psicologico che per mesi la dominò, e che lei sfogò con azioni mafiose estreme.

La piccola fu chiamata Anastasia, un nome imperiale, visto che sarebbe stata destinata a grandi cose, tra cui il controllo di un Clan tra i più ricercati e potenti, un clan tutto al femminile.

Inizialmente, Teresa, con la neonata, si mostrò fredda e distaccata. La affidò alle cure di donne, vincolate alla Boss per dei debiti di cui si liberarono servendo da Balie alla bambina. Finalmente accadde qualcosa che toccò il cuore della giovane e inesperta mamma. Una notte Ana non respirava normalmente, pallida e tremante, era come in apnea. Ciò spaventò a morte la Perez che riuscì a salvarla giusto in tempo e appellandosi esclusivamente ad un istinto materno che credeva inesistente.

Fu quel preciso istante, quando tornò ad ascoltare il pianto della piccina, che tirò un sospiro di sollievo e scoprì che qualcuno che aveva bisogno di lei esisteva….ed era sua figlia!

 

“Hai la benché minima idea di cosa significa amare? A mio avviso, un mostro come te non sa farlo” – Nairobi prende parola, faticando a rivolgersi a sua sorella e a guardarla in faccia. Eppure lo fa, non nascondendo rabbia e disprezzo.

“Io quella figlia non la volevo, non sarebbe dovuta neanche nascere” – replica la donna, volgendo lo sguardo altrove, mentendo sul suo legame intimo e fondamentale con l’unica persona al mondo che avrebbe potuto amarla come merita.

E Agata, schifata da quanto udito e convinta della crudeltà della sorellastra, le sputa addosso il suo odio – “Che pena mi fai! Potremo anche avere gli stessi capelli o lo stesso naso, però resta poco altro! Non sono stata la madre che avrei potuto essere per Axel, avrò sbagliato a paragonare i miei figli! Però sto recuperando. Tu invece sei e rimarrai una merda per tutta la vita!”

I Dalì sono informati su ogni dettaglio della vita di Tere, e del suo rapporto con Anastasia e Nairobi non riesce a zittirsi, tanto da spiattellarle in faccia quanto sa – “Una madre non eliminerebbe mai sua figlia! MAI”

La Perez capisce, soltanto adesso, che il Prof e la sua Banda conoscono una parte del suo passato più fangosa e deplorevole, che la tormenta da quasi cinque anni.

Ebbene sì, Tere ha commesso tanti crimini, ma il più tragico è stato pagato dal sangue del suo sangue.

 

Antonio Garcia scoprì dell’esistenza di Ana, quando la bambina aveva tre anni e forte della sua carica istituzionale riuscì a strapparla dalle braccia di sua madre. Teresa, infatti, fu costretta dalle circostanze e da un ricatto vero e proprio impostole dall’ex, a scegliere tra Anastasia e la galera.

Se la piccola fosse rimasta al suo fianco, la polizia l’avrebbe sbattuta in gattabuia senza darle più alcuna libertà. Nel secondo caso, se Ana fosse stata affidata al genitore di sesso maschile, l’uomo stesso avrebbe garantito alla Boss un buon avvocato e una pena ridotta.

Ma Teresa non si abbassò ad alcuna minaccia. Non aveva intenzione di credere alle parole di quell’uomo che anni prima la tradì alla prima occasione.

E, seppure a malincuore, non avrebbe mai detto addio alla sua libertà. Neppure se questa libertà aveva un costo da pagare che consisteva nella perdita della sua amata bambina, nel rinunciare al suo DNA.

Prima di comunicare l’esito della sua decisione al Garcia, la ventitreenne si organizzò in anticipo. Nel cuore della notte si presentò in una chiesa di Madrid, cedendo la minore ad una suora.

“Mi raccomando, dovrà vivere con suo padre! Nessun orfanotrofio, nessuna casa famiglia… nessuna adozione!” – precisò.

E così fu.

Teresa divenne fredda come il ghiaccio, decisa a dedicarsi solo al suo “lavoro”, mettendo un definitivo STOP ad emozioni e sentimenti.

Promise a se stessa che si sarebbe vendicata al momento opportuno.

L’apice della sua follia arrivò quando, scoperto che Antonio Garcia si trovava in Brasile, lì dove la Perez sostò per qualche mese, per traffici di droga, la donna decise di farsi giustizia, riprendendosi ciò che di diritto le spettava: sua figlia!

Ignara che la sedicenne Anastasia era in auto con il genitore, la Perez ordinò ad alcuni uomini di provocare un incidente mortale.

Da brava ed ingegnosa mente diabolica, studiosa di ogni dettaglio prima di ogni azione, stavolta non ragionò sulla possibilità che viaggiassero in due su quel maledetto mezzo.

E accadde il disastro che ad oggi grava sulla sua coscienza. Teresa era sul luogo del dramma quando giunsero i soccorsi. Vide due corpi uscire dall’automobile distrutta, e uno di questi era fin troppo riconoscibile. Quella scena le trucidò l’animo. Venne appurato che il conducente, Antonio Garcia, era in pessime condizioni, però il cuore batteva ancora. Era l’adolescente seduta al lato passeggero ad aver riportato maggiori traumi. 24ore di agonia che si conclusero con un “Abbiamo tentato l’impossibile. La ragazzina non ce l’ha fatta” – pronunciato, a malincuore, dal direttore dell’ospedale ai giornali nazionali.

Una sofferenza dietro l’altra che resero Teresa Perez l’automa che oggi, tutti, riconoscono. Un automa che vivrà da lì in poi di continui spostamenti, di camuffamenti, e di emozioni represse. Da allora, Tere non vivrà, ma sopravvivrà al dolore.

“Non si vive alla morte di un figlio. È impossibile” – continuò a ripetere a se stessa i giorni successivi al funerale di Anastasia. Un funerale che commosse la Spagna, essendo quella ragazza la figlia di uno dei poliziotti più in vista e più rispettati della nazione. Colui che riuscì in molte imprese, a cui mancò solo una: sbattere in galera la madre di sua figlia, la donna che tentò di eliminarlo e che, nel farlo, punì ingiustamente un’innocente.

La Boss accettò passivamente la sofferenza e concentrò la sua mente su un piano che sembrò essere più soddisfacente di tanti altri: vendicarsi di Nairobi.

La pena, troppo forte per permetterle di respirare come ogni normale essere umano, mise in stand by i ricordi riguardanti Ana, dandole modo di incentrarsi su un obiettivo, appunto Agata Jimenez.

Nel cuore, però, ciò che nutriva verso la gitana era paradossalmente inferiore rispetto al rancore provato nei confronti di Antonio Garcia.

Mossa dalla convinzione di non meritare l’affetto di nessuno, di essere detestata da chiunque, decise di scoprire cosa, al contrario, rendeva amabile sua sorella maggiore.

“Cosa vedono di tanto speciale in lei e in quei Dalì?” – si chiese, subito dopo aver saputo della fama raggiunta dalla Banda del Professore.

Quei tipi con la tuta rossa e la maschera del pittore spagnolo rischiavano di rubarle la scena e andavano fermati.

La sua attenzione, quindi, si spostò sulla guerra contro altri “criminali” a lei avversari.

Solo una volta abbattuto l’avversario, Tere avrebbe puntato il fucile contro il nemico numero uno: Antonio Garcia.

Dopotutto, era ciò che meditò per anni. Punire chi le recò male.

Suo padre, beh…era già morto, una morte avvolta nel mistero! Per molti, causata da Anabel.

Nairobi, seconda vittima del piano… sorellastra da sempre considerata superiore a lei!

Ed infine lui… il poliziotto che le ha devastato la vita e che l’ha resa una ricercata nel mondo.  Se non fosse stato per Garcia, i servizi segreti non avrebbero scoperto la sua identità e avrebbe potuto continuare a lavorare illegalmente in Spagna.

Costruitasi il suo Piano di vendetta, la Boss spagnola arrivò a Perth, portando con sé la prima moglie di suo padre, precisamente Carmen Jimenez, cosciente che quella gitana era il punto debole di Agata. Lì scoprì che, a differenza sua, Nairobi era felice ed aveva una bella famigliola numerosa. Decise di inserirsi nella struttura scolastica privata, frequentata dai tre bambini, a tutti gli effetti suoi nipoti, cercando di studiare un modo per entrare nella loro routine e di conseguenza in quella della consanguinea. Ma Ginny colpì il suo cuore ferito e divenne il secondo colpo di fulmine di cui Tere necessitava. Stavolta non era Ana il suo centro nel mondo, ma Ginevra. Quella bambina di sette anni era l’IO ritrovato, una creatura bellissima, dai capelli neri come i suoi, con cui condivideva una parte di DNA. Tutto sembrò essere perfetto…tutto sembrò trovare un senso.

Ginny sarebbe diventata la sua Ana.

Il resto fu storia!

 

Teresa trema mentre gli occhi s’inumidiscono, lasciando emergere una profonda agonia,

una sofferenza che sconta giorno dopo giorno, e che non l’abbandona da cinque anni.

“Non ho progettato la morte di mia figlia!” – commenta poi, correggendo le accuse di sua sorella.

“Però è morta!” – replica la gitana, mossa dal solo desiderio di distruggere emotivamente la parente che ha appena fatto lo stesso con il suo di cuore, godendo raccontandole di averle provocato l’aborto – “Come hai potuto, dopo la perdita di Anastasia, uccidere anche il mio di bambino?” – chiede Nairobi, piangendo di rabbia.

Ormai è quella sensazione di ira a dominarla; niente tristezza per una vita crudele, ma un sentimento forte che non ama provare perché la rende al pari della criminale che ha davanti a sé, ma che in un momento così difficile, dove nel giro di una settimana, tutto è vacillato, e ogni certezza si è sgretolata sotto i suoi piedi, Agata avverte la necessità di sfogare.

E mentre le due consanguinee si scontrano verbalmente, il rumore di un’auto, fermatasi a pochi passi dal camper verso cui era diretta la Perez, le costringe a zittirsi.

“La polizia?”- esclama preoccupato Denver.

“No!” – a rispondere è la Jimenez, per poi rivolgersi di nuovo a Teresa, con un sorrisetto compiaciuto. Finalmente la palla passa nelle mani dei buoni, così, soddisfatta, le dice  – “Maledetta! Guarda in faccia il tuo passato, è proprio lì. Stavolta non hai altra scelta che pagare per il male che hai recato.”

Teresa riconosce subito la persona che, zoppicando, è scortata da due uomini, e che avanza nella sua direzione.

E così, mentre il passato riaffiora con prepotenza, e la coscienza torna a pesare con violenza, come un macigno enorme da cui non può più liberarsi, la donna si ritrova faccia a faccia con lo scacco matto del Professore.

“Tu?” – sbalordita, non avrebbe mai sospettato che Sergio potesse rischiare così tanto pur di vincere quella guerra.

“Ciao Tere, e così ci si rivede!”

“Antonio Garcia?!…avete chiamato un poliziotto? Siete dei folli! Come si può pensare, da ricercati quali siete, di chiedere aiuto proprio a lui? Sappiate che  non avrà pietà e finirete in galera tutti quanti! Avete appena firmato un patto con la vostra fine”

 

   
 
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