“Fossi
in te mi informerei meglio
Professorino dei miei stivali” – replica Teresa,
sentendo Sergio tirare in
ballo Anastasia – “Dovresti fuggire ora che sei in
tempo. Altrimenti sconterai
il resto della tua vita in galera” – ribadisce la
Boss ai Dalì, ricordando loro
che la polizia è prossima ad acciuffarli.
“Come
fai a rimanere impassibile di fronte al
nome di tua figlia, cazzo” – esclama
Bogotá, notando che l’argomento centrale
è
stato declassato dalla criminale.
In
realtà, la donna non è affatto
indifferente al ricordo della figlia, e quello stesso ricordo
l’ha colpita con
irruenza e violenza, con la stessa rapidità di una
pallottola che le affonda
nel cuore, riducendolo in poltiglia.
Trattiene
il respiro per alcuni secondi, poi
si mostra la solita fredda e agghiacciante donna di sempre.
“Salutatemi
il carcere!” – conclude, prima di
incamminarsi verso il suo mezzo.
Da
lontano le sirene sono ben udibili;
segnale che le pattuglie sono sempre più vicine.
La
Banda, preoccupata, opta per la fuga. A
quanto pare la Perez non ha mentito quando ha sostenuto di aver
avvertito chi
di dovere.
“Che
facciamo, Professore? Dobbiamo
andarcene?” – domanda, agitato, Denver.
“Abbiamo
recuperato Axel! E’ ciò che
volevamo, scappiamo subito” – aggiunge Rio.
Eppure
la freddezza di Teresa riguardo
all’argomento Anastasia ha spiazzato Sergio, intenzionato
quindi ad abbattere i
muri di quella criminale, lasciandola in preda al dolore che riemerge.
“Helsinki
e Palermo saranno qui a momenti.
Voi andatevene, io rimango!”
“Cosa?”
“Sei impazzito?”
“Non
ti lasciamo da solo con questi folli”
Il
gruppo, stranito dalla decisione del
Marquina, ha chiara la missione: non bisogna separarsi più,
qualsiasi cosa
accada. Uniti sono più forti.
E’
Nairobi stessa, alzandosi da terra, a
prendere parola – “Non voglio rischiare
più nulla per colpa di questa
maledetta!”
Lo
sussurra all’orecchio del Prof, lasciando
intendere che non vale la pena colpire Teresa perché, a
pagarne le conseguenze,
potrebbero essere solo i Dalì.
“Sono
sicuro che il confronto con chi sai tu,
potrebbe esserci utile” – insiste Sergio.
L’uomo
e la gitana si guardano in silenzio,
riuscendo a capirsi al volo.
E
Lisbona e Bogotà fissano i rispettivi
compagni, confusi.
Solo
allora, Agata annuisce con il capo e si
posiziona di fianco al marito, stringendogli la mano.
“Tutto
bene?” – le domanda, preoccupato.
“Ho
il cuore fracassato, ma con te accanto
posso superare ogni cosa. Non commetterò lo stesso errore di
giorni fa, non mi
allontanerò per patire in solitudine il mio
dolore” – sussurra lei, ricevendo
un rapido bacio sul capo dal consorte.
Il
capo della Banda, intanto, si rivolge
nuovamente alla Perez, seguendola passo passo - “So di
Anastasia, so di te e di
quel poliziotto! So tutto”
Allora,
e soltanto allora, la Perez s’immobilizza,
esattamente a pochi metri dal camper sul quale è prossima a
salire con i suoi
scagnozzi.
Stringe
i pugni, controllando un’emotività
sempre più instabile. E proprio
quell’instabilità la costringe a ricordare
qualcosa che, per anni, ha tentato di cancellare dalla memoria. Anzi,
piuttosto
che qualcosa sarebbe meglio dire… qualcuno! Un qualcuno
divenuto la causa del
sanguinamento di ferite profonde che non si potranno mai ricucire.
Teresa
aveva vent’anni quando s’innamorò di un
giovane madrileno di cui sapeva poco e
nulla. Lei lo definiva un colpo di fulmine, scattato casualmente
durante una
serata in un pub. In quel periodo era solita frequentare luoghi di
svago, per
concedersi una pausa dal “lavoro” ereditato da sua
madre. Quest’ultima, Anabel
Perez, per tutti “la Bella del Barrio”, era venuta
a mancare qualche mese prima
per un tumore che non le diede più respiro e la stessa
Teresa diventò una vera
e propria matriarca nella gestione di loschi affari criminali.
Fu
esattamente durante una notte di alcool e balli sfrenati che il destino
segnò
la sua vita.
“Mi
chiamo Antonio Garcia, piacere di conoscerti” – si
presentò al suo tavolo, un giovane
dai capelli chiari e gli occhi verdi. Non il tipico spagnolo, senza
evidenti
interessi sessuali, e decisamente dal cuore più tenero di
quanto si potesse
pensare.
“Teresa,
per gli amici Tere!” – con una stretta di mano i
due danno inizio ad una
frequentazione, sempre più assidua, che li
porterà ad innamorarsi.
O
almeno, l’innamoramento era reale, però
unilaterale.
“Incinta?
Sono incinta! Com’è possibile, pensavo fossimo
stati attenti” – fu la notte di
Natale di quello stesso anno, a distanza di sei mesi di conoscenza, che
la Boss
scoprì la sua gravidanza. Il momento più
emozionante e contemporaneamente più sconvolgente
mai vissuto.
Dirlo
ad Antonio o non dirlo?! Indipendentemente da ciò, la
ragazza sapeva benissimo
che quella era una sua decisione e di nessun altro: tenere il bambino o
eliminare il problema, era un dilemma che andava affrontato quanto
prima.
Raccolto
il coraggio, Teresa diede appuntamento al suo compagno, al solito Pub.
Studiò
ben benino le parole da utilizzare per dare la notizia bomba.
Preparò un
discorso saggio su quanto fosse inopportuno diventare genitori senza
che se ne
avvertisse il desiderio.
Eppure,
qualcosa accadde che la salvò letteralmente dalla galera. Il
ritardo di alcuni
preziosi minuti, per via del traffico stradale, le permisero di
scampare il
pericolo rappresentato da una pattuglia di poliziotti, pronti ad
arrestarla,
radunati insieme ad Antonio, fuori dal pub.
Preoccupata
per il fidanzato, la ventenne ignorava che, effettivamente, Garcia
fosse uno di
quelli. E quando, con le sue orecchie, sentì il biondino
raccontare ai colleghi
che il suo fu un piano ben studiato per incastrare la figlia di una
grande Boss
criminale, Teresa vide vacillare l’ultimo vessillo di
felicità.
Si
era illusa che potesse esistere al mondo qualcuno che
l’amasse davvero. Dopo un
passato doloroso, che l’ha vista patire per la mancanza
d’affetto di un padre
che prediligeva la figlia maggiore, dalla quale si era separato dopo
aver
tradito la sua prima moglie, con Anabel Perez…dopo aver
sofferto per colpa di una
madre che amava più i suoi loschi affari di sua
figlia…dopo aver pensato che un
uomo potesse nutrire nei suoi confronti un sentimento forte e profondo,
si
accorse che il destino si divertiva a giocare con le sue emozioni ed
era pronto
a sputarle in faccia la triste realtà, ogni qualvolta Teresa
respirava un
briciolo di serenità.
E
mentre il Professore continua a infierire
sulle ferite interiori della Perez, sottolineando che Anastasia non
può essere
dimenticata perché sangue del suo sangue, la sorella di
Nairobi continua ad
essere bombardata dai ricordi più dolorosi di quegli anni.
Arrabbiata
con il mondo intero, decise di abortire. Eppure fu un sogno a bloccare
tale
idea. L’immagine di sua madre che le ordinò di
tenere il bambino, o meglio, la
bambina dato che sarebbe stata una femmina, così come voleva
la dinastia e il
loro matriarcato, perché è a lei che avrebbe
ceduto l’eredità del Clan
criminale.
Mesi
dopo, come previsto, Tere diede alla luce una femminuccia. Difficile
dimenticare il dolore fisico, seppure mai forte quanto quello
psicologico che
per mesi la dominò, e che lei sfogò con azioni
mafiose estreme.
La
piccola fu chiamata Anastasia, un nome imperiale, visto che sarebbe
stata destinata
a grandi cose, tra cui il controllo di un Clan tra i più
ricercati e potenti,
un clan tutto al femminile.
Inizialmente,
Teresa, con la neonata, si mostrò fredda e distaccata. La
affidò alle cure di donne,
vincolate alla Boss per dei debiti di cui si liberarono servendo da
Balie alla
bambina. Finalmente accadde qualcosa che toccò il cuore
della giovane e
inesperta mamma. Una notte Ana non respirava normalmente, pallida e
tremante,
era come in apnea. Ciò spaventò a morte la Perez
che riuscì a salvarla giusto
in tempo e appellandosi esclusivamente ad un istinto materno che
credeva
inesistente.
Fu
quel preciso istante, quando tornò ad ascoltare il pianto
della piccina, che
tirò un sospiro di sollievo e scoprì che qualcuno
che aveva bisogno di lei
esisteva….ed era sua figlia!
“Hai
la benché minima idea di cosa significa
amare? A mio avviso, un mostro come te non sa farlo”
– Nairobi prende parola,
faticando a rivolgersi a sua sorella e a guardarla in faccia. Eppure lo
fa, non
nascondendo rabbia e disprezzo.
“Io
quella figlia non la volevo, non sarebbe
dovuta neanche nascere” – replica la donna,
volgendo lo sguardo altrove,
mentendo sul suo legame intimo e fondamentale con l’unica
persona al mondo che avrebbe
potuto amarla come merita.
E
Agata, schifata da quanto udito e convinta
della crudeltà della sorellastra, le sputa addosso il suo
odio – “Che pena mi
fai! Potremo anche avere gli stessi capelli o lo stesso naso,
però resta poco
altro! Non sono stata la madre che avrei potuto essere per Axel,
avrò sbagliato
a paragonare i miei figli! Però sto recuperando. Tu invece
sei e rimarrai una
merda per tutta la vita!”
I
Dalì sono informati su ogni dettaglio della
vita di Tere, e del suo rapporto con Anastasia e Nairobi non riesce a
zittirsi,
tanto da spiattellarle in faccia quanto sa – “Una
madre non eliminerebbe mai
sua figlia! MAI”
La
Perez capisce, soltanto adesso, che il
Prof e la sua Banda conoscono una parte del suo passato più
fangosa e
deplorevole, che la tormenta da quasi cinque anni.
Ebbene
sì, Tere ha commesso tanti crimini, ma
il più tragico è stato pagato dal sangue del suo
sangue.
Antonio
Garcia scoprì dell’esistenza di Ana, quando la
bambina aveva tre anni e forte
della sua carica istituzionale riuscì a strapparla dalle
braccia di sua madre.
Teresa, infatti, fu costretta dalle circostanze e da un ricatto vero e
proprio
impostole dall’ex, a scegliere tra Anastasia e la galera.
Se
la piccola fosse rimasta al suo fianco, la polizia l’avrebbe
sbattuta in
gattabuia senza darle più alcuna libertà. Nel
secondo caso, se Ana fosse stata
affidata al genitore di sesso maschile, l’uomo stesso avrebbe
garantito alla
Boss un buon avvocato e una pena ridotta.
Ma
Teresa non si abbassò ad alcuna minaccia. Non aveva
intenzione di credere alle
parole di quell’uomo che anni prima la tradì alla
prima occasione.
E,
seppure a malincuore, non avrebbe mai detto addio alla sua
libertà. Neppure se
questa libertà aveva un costo da pagare che consisteva nella
perdita della sua
amata bambina, nel rinunciare al suo DNA.
Prima
di comunicare l’esito della sua decisione al Garcia, la
ventitreenne si
organizzò in anticipo. Nel cuore della notte si
presentò in una chiesa di
Madrid, cedendo la minore ad una suora.
“Mi
raccomando, dovrà vivere con suo padre! Nessun orfanotrofio,
nessuna casa
famiglia… nessuna adozione!” –
precisò.
E
così fu.
Teresa
divenne fredda come il ghiaccio, decisa a dedicarsi solo al suo
“lavoro”,
mettendo un definitivo STOP ad emozioni e sentimenti.
Promise
a se stessa che si sarebbe vendicata al momento opportuno.
L’apice
della sua follia arrivò quando, scoperto che Antonio Garcia
si trovava in
Brasile, lì dove la Perez sostò per qualche mese,
per traffici di droga, la
donna decise di farsi giustizia, riprendendosi ciò che di
diritto le spettava:
sua figlia!
Ignara
che la sedicenne Anastasia era in auto con il genitore, la Perez
ordinò ad
alcuni uomini di provocare un incidente mortale.
Da
brava ed ingegnosa mente diabolica, studiosa di ogni dettaglio prima di
ogni
azione, stavolta non ragionò sulla possibilità
che viaggiassero in due su quel
maledetto mezzo.
E
accadde il disastro che ad oggi grava sulla sua coscienza. Teresa era
sul luogo
del dramma quando giunsero i soccorsi. Vide due corpi uscire
dall’automobile
distrutta, e uno di questi era fin troppo riconoscibile. Quella scena
le
trucidò l’animo. Venne appurato che il conducente,
Antonio Garcia, era in
pessime condizioni, però il cuore batteva ancora. Era
l’adolescente seduta al
lato passeggero ad aver riportato maggiori traumi. 24ore di agonia che
si
conclusero con un “Abbiamo tentato l’impossibile.
La ragazzina non ce l’ha
fatta” – pronunciato, a malincuore, dal direttore
dell’ospedale ai giornali
nazionali.
Una
sofferenza dietro l’altra che resero Teresa Perez
l’automa che oggi, tutti,
riconoscono. Un automa che vivrà da lì in poi di
continui spostamenti, di
camuffamenti, e di emozioni represse. Da allora, Tere non
vivrà, ma sopravvivrà
al dolore.
“Non
si vive alla morte di un figlio. È impossibile”
– continuò a ripetere a se
stessa i giorni successivi al funerale di Anastasia. Un funerale che
commosse
la Spagna, essendo quella ragazza la figlia di uno dei poliziotti
più in vista
e più rispettati della nazione. Colui che riuscì
in molte imprese, a cui mancò
solo una: sbattere in galera la madre di sua figlia, la donna che
tentò di
eliminarlo e che, nel farlo, punì ingiustamente
un’innocente.
La
Boss accettò passivamente la sofferenza e
concentrò la sua mente su un piano
che sembrò essere più soddisfacente di tanti
altri: vendicarsi di Nairobi.
La
pena, troppo forte per permetterle di respirare come ogni normale
essere umano,
mise in stand by i ricordi riguardanti Ana, dandole modo di incentrarsi
su un
obiettivo, appunto Agata Jimenez.
Nel
cuore, però, ciò che nutriva verso la gitana era
paradossalmente inferiore
rispetto al rancore provato nei confronti di Antonio Garcia.
Mossa
dalla convinzione di non meritare l’affetto di nessuno, di
essere detestata da
chiunque, decise di scoprire cosa, al contrario, rendeva amabile sua
sorella
maggiore.
“Cosa
vedono di tanto speciale in lei e in quei Dalì?”
– si chiese, subito dopo aver
saputo della fama raggiunta dalla Banda del Professore.
Quei
tipi con la tuta rossa e la maschera del pittore spagnolo rischiavano
di
rubarle la scena e andavano fermati.
La
sua attenzione, quindi, si spostò sulla guerra contro altri
“criminali” a lei
avversari.
Solo
una volta abbattuto l’avversario, Tere avrebbe puntato il
fucile contro il
nemico numero uno: Antonio Garcia.
Dopotutto,
era ciò che meditò per anni. Punire chi le
recò male.
Suo
padre, beh…era già morto, una morte avvolta nel
mistero! Per molti, causata da
Anabel.
Nairobi,
seconda vittima del piano… sorellastra da sempre considerata
superiore a lei!
Ed
infine lui… il poliziotto che le ha devastato la vita e che
l’ha resa una
ricercata nel mondo. Se
non fosse stato
per Garcia, i servizi segreti non avrebbero scoperto la sua
identità e avrebbe
potuto continuare a lavorare illegalmente in Spagna.
Costruitasi
il suo Piano di vendetta, la Boss spagnola arrivò a Perth,
portando con sé la
prima moglie di suo padre, precisamente Carmen Jimenez, cosciente che
quella
gitana era il punto debole di Agata. Lì scoprì
che, a differenza sua, Nairobi
era felice ed aveva una bella famigliola numerosa. Decise di inserirsi
nella
struttura scolastica privata, frequentata dai tre bambini, a tutti gli
effetti
suoi nipoti, cercando di studiare un modo per entrare nella loro
routine e di
conseguenza in quella della consanguinea. Ma Ginny colpì il
suo cuore ferito e divenne
il secondo colpo di fulmine di cui Tere necessitava. Stavolta non era
Ana il
suo centro nel mondo, ma Ginevra. Quella bambina di sette anni era
l’IO
ritrovato, una creatura bellissima, dai capelli neri come i suoi, con
cui
condivideva una parte di DNA. Tutto sembrò essere
perfetto…tutto sembrò trovare
un senso.
Ginny
sarebbe diventata la sua Ana.
Il
resto fu storia!
Teresa
trema mentre gli occhi s’inumidiscono,
lasciando emergere una profonda agonia,
una
sofferenza che sconta giorno dopo giorno,
e che non l’abbandona da cinque anni.
“Non
ho progettato la morte di mia figlia!” –
commenta poi, correggendo le accuse di sua sorella.
“Però
è morta!” – replica la gitana, mossa
dal solo desiderio di distruggere emotivamente la parente che ha appena
fatto
lo stesso con il suo di cuore, godendo raccontandole di averle
provocato
l’aborto – “Come hai potuto, dopo la
perdita di Anastasia, uccidere anche il
mio di bambino?” – chiede Nairobi, piangendo di
rabbia.
Ormai
è quella sensazione di ira a dominarla;
niente tristezza per una vita crudele, ma un sentimento forte che non
ama
provare perché la rende al pari della criminale che ha
davanti a sé, ma che in
un momento così difficile, dove nel giro di una settimana,
tutto è vacillato, e
ogni certezza si è sgretolata sotto i suoi piedi, Agata
avverte la necessità di
sfogare.
E
mentre le due consanguinee si scontrano
verbalmente, il rumore di un’auto, fermatasi a pochi passi
dal camper verso cui
era diretta la Perez, le costringe a zittirsi.
“La
polizia?”- esclama preoccupato Denver.
“No!”
– a rispondere è la Jimenez, per poi
rivolgersi di nuovo a Teresa, con un sorrisetto compiaciuto. Finalmente
la
palla passa nelle mani dei buoni, così, soddisfatta, le dice
–
“Maledetta! Guarda in faccia il tuo passato,
è proprio lì. Stavolta non hai altra scelta che
pagare per il male che hai
recato.”
Teresa
riconosce subito la persona che,
zoppicando, è scortata da due uomini, e che avanza nella sua
direzione.
E
così, mentre il passato riaffiora con
prepotenza, e la coscienza torna a pesare con violenza, come un macigno
enorme
da cui non può più liberarsi, la donna si ritrova
faccia a faccia con lo scacco
matto del Professore.
“Tu?”
– sbalordita, non avrebbe mai
sospettato che Sergio potesse rischiare così tanto pur di
vincere quella guerra.
“Ciao
Tere, e così ci si rivede!”
“Antonio
Garcia?!…avete chiamato un
poliziotto? Siete dei folli! Come si può pensare, da
ricercati quali siete, di
chiedere aiuto proprio a lui? Sappiate che non
avrà pietà e finirete in galera tutti
quanti! Avete appena firmato un patto con la vostra fine”