Capitolo
5
John (A)
L’ambulanza correva per
le strade di Londra, urlando la propria urgenza a chiunque incrociasse lungo il
percorso.
Nel suo stato di semi-incoscienza,
John sentiva quella voce vicina a lui, che lo pregava di tenere duro, di non
lasciarlo. Quella voce era bassa e profonda, quella di un baritono disperato.
Era una voce che conosceva benissimo e che da troppo tempo sentiva solo durante
quelle visioni a occhi aperti, diventate così familiari dalla morte di
Sherlock.
John voleva sorridergli
e rassicurarlo. Non doveva temere, presto sarebbero stati insieme e nessuno
avrebbe più potuto dividerli.
Per un attimo, John
aprì gli occhi e vide l’uomo seduto accanto a lui, vicino al medico che
monitorava le sue funzioni vitali. Quegli occhi azzurri così chiari erano
talmente disperati, che John allungò una mano verso la visione, sorridendogli.
Tutto diventò buio.
L’urlo dell’ambulanza
si fece sempre più lontano.
****
John (B)
L’ambulanza correva
per le strade di Londra, urlando la propria urgenza a chiunque incrociasse
lungo il percorso.
Nel suo stato di
semi-incoscienza, John sentiva quella voce vicina a lui, che lo pregava di
tenere duro, di non lasciarlo. Quella voce era bassa e profonda, quella di un
baritono disperato. Quella voce che non sentiva da anni, ma che avrebbe
riconosciuto fra milioni.
John sapeva di
averlo visto dall’altra parte della strada. Era certo che non fosse stato una
visione, come tante ne aveva avute negli ultimi due anni.
Lui aveva davvero
visto Sherlock. Doveva riuscire a rassicurarlo. Doveva fargli capire che lo
amava e che avrebbe lottato con tutte le proprie forze per rimanere con lui.
John riuscì ad
aprire gli occhi e a immergersi nelle iridi azzurro chiaro di Sherlock. Sentiva
la sua voce, che, come una dolce cantilena, ripeteva: “Stiamo per arrivare,
John. Andrà tutto bene. Ci sono tante cose che ti devo spiegare e raccontare.
Ce ne è una importantissima che ti devo dire. Tieni duro. Non mi lasciare.
Siamo quasi arrivati.”
John allungò una mano, per
assicurarsi che Sherlock fosse veramente lì.
Il giovane Holmes afferrò la
mano e la strinse fra le sue: “Ti amo tanto, John. Sono tornato. Per te.”
Il cuore di John ebbe un
sussulto. Non credeva alle proprie orecchie, ma era sicuro di che cosa avesse
sentito. Aveva tanto sognato di sentire quelle parole e ora Sherlock le aveva
finalmente pronunciate. Le loro vite sarebbero state meravigliose.
Sorrise, felice: “Anche io ti
amo.” Sussurrò.
Un sibilo maligno invase
l’abitacolo dell’ambulanza. Il medico urlò al conducente: “Più veloce! Lo
stiamo perdendo!”
John fu avvolto dal buio.
L’urlo dell’ambulanza si fece
sempre più lontano.
****
Sherlock
(A)
Era in quell’ospedale da
un’eternità. Seduto in terra, con la schiena appoggiata alla parete. Le mani
cingevano le ginocchia, raccolte contro il petto.
Il personale medico aveva rinunciato
a farlo alzare e sedere su una sedia della sala d’attesa. Al povero medico che
lo aveva avvicinato, aveva spiattellato che la moglie lo tradiva con la sua
migliore amica e che lo aveva sposato solo perché la sua famiglia non avrebbe
mai accettato la sua relazione lesbica. L’uomo si era allontanato sconvolto e
nessuno si era più avvicinato.
Tranne l’uomo con l’ombrello.
Mycroft entrò nella sala d’attesa
con passo flemmatico, facendo picchiettare la punta metallica del suo
inseparabile ombrello nero sul lindo pavimento. Era vestito in modo elegante,
con un abito a tre pezzi di colore chiaro. Osservò il fratello, con uno sguardo
di disapprovazione negli occhi chiari.
“Nessuno ti ha chiamato. Puoi
tornartene da dove sei venuto. Vai a fare scoppiare qualche guerra e lascia in
pace me,” lo apostrofò Sherlock, in tono secco.
“Lo so, fratellino caro, che non mi
hai chiamato. Lo ha fatto Lestrade. Quell’uomo era piuttosto stravolto, anche
se non saprei dire che cosa lo abbia sconvolto di più. Se il fatto che qualcuno
abbia tentato di ucciderlo. Se il fatto che il buon dottore lo abbia salvato.
Se il fatto che tu sia comparso, vivo e vegeto, sulla scena di questo tentato omicidio.”
“Lestrade sopravvivrà,” ribatté
Sherlock, laconico.
“E John?”
“Vuoi dirmi che non ti sei fatto
dire tutto dall’infermiera della reception?” Ringhiò il giovane Holmes, asciutto.
“Mi hanno assicurato che John è in
ottime mani. Vedrai che andrà tutto bene.”
“Deve andare tutto bene. Non posso
avere trascorso due anni d’inferno, a sgominare l’organizzazione di Moriarty
per proteggere John e perderlo lo stesso giorno in cui faccio ritorno a casa.
Non può accadere.”
Mycroft osservò il fratello,
provando una profonda compassione per lui. Non disse nulla. Si sedette in una
sedia accanto a lui e rimase in attesa.
****
Sherlock
(B)
Non c’era nessuno nella stanza a
parte lui. A parte il cadavere di John.
Sherlock era seduto su una
sedia, accanto al letto sul quale John era stato adagiato per gli ultimi e
inutili tentativi di tenerlo in vita.
Sherlock stringeva una mano di
John fra le sue. Una mano che stava diventando sempre più fredda, con il
passare del tempo.
Nessuno aveva tentato di
allontanare quell’uomo disperato dal cadavere del suo amato. Provavano talmente
tanta pietà per quel giovane uomo, che non nessuno aveva fretta di allontanarlo
da quella stanza.
L’uomo con l’ombrello nero entrò
silenziosamente nella stanza. Era vestito in modo elegante, con un abito di tre
pezzi di colore scuro. C’era tanta tristezza nel suo sguardo.
“Non sono riusciti a salvarlo.
Le ferite interne erano troppo gravi. Quando siamo arrivati in ospedale lui era
più morto che vivo.”
“Mi dispiace, fratellino,”
mormorò Mycroft.
Sherlock sapeva che il fratello
era sincero, ma la sua pietà lo faceva più infuriare, che lenire le sue ferite.
“Tutto quello che ho fatto in
questi due ultimi anni è stato inutile. Dovevo salvare John. Proteggerlo.
Ricongiungermi con lui per cominciare una nuova vita. Mi ha detto che mi amava.
Mi ha detto che mi…”
La voce si ruppe. Sherlock
strinse ancora più forte la mano di John. Mycroft appoggiò una mano sulla
spalla del fratello e la strinse in modo leggero, per fargli capire che lui era
lì e che ci sarebbe sempre stato.
“Dopo i funerali di John,
partirò per quella missione che mi ha offerto l’MI6.”
Mycroft si irrigidì. Pensava che
quel discorso fosse già stato accantonato. La missione era troppo pericolosa e
Sherlock avrebbe potuto morire: “Non è il momento per prendere decisioni di
questo tipo…”
“Io andrò. Avvisa tu l’MI6 o lo
farò io.” Lo interruppe Sherlock, in tono deciso.
Mycroft spostò lo sguardo verso
John Watson. Il dottore, in qualche modo, era riuscito a sopravvivere alla
morte di Sherlock Holmes.
Sherlock Holmes non avrebbe
fatto lo stesso. Sherlock Holmes non sarebbe sopravvissuto alla morte di John
Watson.
Il silenzio cadde nella stanza.
I rumori dell’ospedale erano lontani.
Solo la morte aleggiava sugli
uomini presenti.
****
John
(A)
Aveva l’impressione di un déjà-vu.
Il dolore alla spalla. Il battito ritmico dei macchinari. Il forte odore di
disinfettante, tipico degli ospedali.
A John Watson sembrava di essere
tornato indietro nel tempo. A quando gli avevano sparato in Afghanistan.
Solo che non sentiva il caldo afoso
del deserto afghano.
Anzi. Qualcuno gli stava tenendo
stretto una mano. A dire il vero, gliela stava praticamente stritolando.
Spostò la testa appena un po’, per
vedere a chi appartenesse quella mano. Il suo cuore iniziò a battere
velocissimo, registrato dai macchinari.
“Calmati, John. Sei fuori pericolo.
Il proiettile non ha leso organi vitali e potrai riprendere la piena
funzionalità del tuo braccio, se non ti fai venire un infarto ora,” lo
apostrofò Sherlock, fra l’irritato e il preoccupato, spostando velocemente lo
sguardo fra lui e i monitor.
John non poteva credere ai propri
occhi. Abbassò lo sguardo e vide che era la mano di Sherlock, che gli stava
stringendo la sua: “Tu sei reale,” gracchiò, con voce ruvida.
“Certo che sono reale! Perché non
dovrei esserlo?”
Si fissarono negli occhi per qualche
secondo. John incredulo. Sherlock perplesso.
“Oh. Quello. Non morto,” Sherlock
tentò di sorridere, ma gli venne fuori una smorfia strana.
“Dovrei prenderti a pugni…” cominciò
a dire John.
“Capisco, ma lascia che…” cercò di
intervenire Sherlock.
“… dovrei ucciderti per quello che
mi hai fatto, ma sono così felice di vederti…”
“… ti spieghi… io lo ho fatto
proteggere…”
“… che ti bacerei.” Concluse John.
“… te e…” Sherlock serrò la bocca di
scatto.
I due uomini si fissarono negli
occhi.
“Che cosa hai detto? Solo l’ultima
frase, non tutto il discorso.”
“Hai qualche problema con il tuo
palazzo mentale?” Ridacchiò John.
“Il mio palazzo mentale sta
benissimo. Se anche ripeti ciò che hai detto, non succede nulla,” ribatté
Sherlock, in tono lamentoso.
“Ho detto che ti bacerei,” ripeté
John, con un sorriso malizioso.
“Su una guancia?”
“Sulle labbra, idiota!” Sbottò John,
alzando gli occhi al soffitto.
Sherlock lo osservò attentamente.
Oh, quanto erano mancati quegli occhi a John. Avrebbe potuto trascorrere tutta
la vita a specchiarsi in essi.
Sherlock avvicinò le proprie labbra
a quelle di John. I due uomini si scambiarono un bacio tentennante, timido e
pieno di promesse.
Il giovane Holmes si staccò in
fretta e osservò John. Il dottore sorrideva felice.
“Quelli… – Sherlock si passò un dito
sul labbro superiore – devono sparire. Sono fastidiosi, quando ti bacio. E ho
intenzione di baciarti molto spesso, se tu sei d’accordo.”
“Sono d’accordo sul baciarci, ma
questi… – John scimmiottò il gesto di Sherlock – rimangono esattamente dove si
trovano. Saranno la tua punizione per quello che hai fatto, fino a quando non
potrò alzarmi da questo letto e darti il pugno, che ti meriti, senza che
saltino tutti i punti.”
Sherlock storse la bocca: “Dobbiamo
proprio arrivare al pugno?”
“Beh, dipende,” ribatté John
cercando di scrollare le spalle, ma facendo una smorfia di dolore, quando il
movimento interessò la spalla ferita.
“Non ti muovere. Potresti farti
male. Approfitterò del tempo in cui sarai fuori gioco, per spiegarti tutto e
vedrai che non mi prenderai a pugni.”
“Sembri molto sicuro di te.”
“Lo sono. E avrò modo di dirti tante
cose importanti. Avrai modo di pensarci e di dirmi che cosa ne pensi. Io spero…
io spero…”
“Anche io ti amo,” sussurrò John.
Sherlock lo fissò sbalordito:
“Davvero?” A John si strinse il cuore. Sherlock non gli era mai apparso così
vulnerabile.
“Davvero. E ora baciami ancora.
Chissà che tu non riesca a convincermi a tagliare i baffi,” sogghignò John.
“Come lei comanda, mio signore,”
mormorò Sherlock, con un lampo negli occhi.
C’era voluto tanto tempo, ma
Sherlock Holmes e John Watson erano finalmente insieme.
Piccolo angolo dell’autrice
È
sempre un po’ triste quando una storia finisce. Spero che vi sia piaciuta e che
sia stata di compagnia.
Grazie
a chi la abbia letta.
Ciao
ciao.