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Autore: Urban BlackWolf    06/08/2021    3 recensioni
Possono i desideri personali, l’ambizione insita in ognuno di noi, la latente frustrazione che comporta il ritrovarsi a tirare parzialmente le somme della propria vita vedendo quanto si è dovuto rinunciare per aver fatto scelte diverse, oscurare l’amore che fino a pochi istanti prima si considerava il punto di forza di tutta la propria esistenza?
Questo Michiru non lo sa, ma lo scoprirà presto.
Sequel dei racconti:
”l'Atto più grande”
“Il viaggio di una sirena”
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Quando anche Giovanna perde la pazienza

 

 

Giovanna guardò Tigre che di rimando le puntò contro quei suoi soliti occhietti da ruffiano scrutatore. “Adesso perché non mangi? Ieri nasello e sgombro ti sono piaciuti.” Disse senza neanche pensare a quanto potesse essere buffo quel loro siparietto fatto di frasi dette in falsetto da lei e recepite con assoluta indifferenza da lui.

“Siete tutti uguali… - Sospirò voltandosi per aprire l’anta sopra la piastra elettrica dove sapeva avrebbe trovato lo scatolame. - Cos’è, ti sei già stancato del sapore? E magari adesso vorresti anche che te ne aprissi un’altra, vero?”

Giovanna amava i gatti, forse anche più della stessa Haruka e aveva accettato più che volentieri il piacere che la sorella le aveva chiesto nel badare per qualche ora a quel piccolo felide, ma visto come la bionda l’aveva trattata e passato un giorno di completa latitanza, stava iniziando a chiedersi del perché si trovasse ancora in quella casa che non aveva mai sentito così vuota.

“Quella sottospecie di papà umano che ti ritrovi avrebbe anche potuto essere più gentile invece di tagliarmi in quattro come ha fatto! E lo sai? Sono qui solo per te e tu che fai? Mi tratti anche peggio?!”

Voltandosi mostrò all’animale placidamente seduto sul piano della penisola, l’etichetta blu scuro indicante un altro gusto. “Questa per sua signoria Mister micio potrebbe andar bene?” Chiese e lui di rimando si alzò muovendo un paio di passi nella sua direzione.

“A, questa si? - E lui iniziò a strofinarle contro al braccio la sua grossa testa rigata. - A prescindere dal fatto che se Michiru ti vedesse camminare sul piano della penisola avrebbe un attacco apoplettico, sei tale e quale alla sua donna; ruffiano, egocentrico e narcisista!”

Sbattendo leggermente il metallo della scatoletta sulla penisola, Giovanna sospirò non vedendo in lui alcuna reazione se non profondi e poderosi ronfati di condiscendenza. Quel povero micio non c’entrava niente con il caratteraccio della bionda, come non aveva nessuna colpa se solo ed abbandonato come lei, stava cercando solamente un poco d’attenzione. Già, sola ed abbandonata. Giovanna si sentiva proprio così con Michiru partita per la Svezia ed Haruka per uno sputo di città dalla parte opposta della Svizzera.

“Che poi anche quando c’è, non è che ultimamente mia sorella sia tanto di compagnia.” Borbottò aprendo il cassetto delle posate proprio davanti al suo addome.

Latitante, isterica, intrattabile, ecco cos’era diventata Haruka Tenou da una settimana a questa parte. Già dopo l’acquisto della Winchester le due sorelle avevano avuto modo di vedersi sempre più di rado, ora poi, con la partenza di Michiru, le volte che stavano insieme diventavano un monologo lamentoso sul perché e per come la dottoressa Kaiou si fosse lasciata abbacinare dalle luci della ribalta artistoide di Kristen Kocc.

Lasciando cadere l’occhio sul grembiule a rombi colorati che Kaiou aveva comprato di recente regalandogliene uno uguale, dimenticato appoggiato alla maniglia del forno, scosse la testa stringendo forte le labbra. E io sono proprio nel mezzo, come sempre, pensò facendo scattare la linguetta della scatoletta cercando simultaneamente d’impedire a Tigre di non fiondarcisi dentro.

“Tagliati eh?!” Smaniò allontanandolo con il gomito in cerca di una forchetta.

Michiru le aveva già fatto uno scherzo simile, circa tre anni prima, quando partendo per la Grecia le aveva lasciato l’inconsapevole incombenza di cercare di star dietro ad una bionda completamente fuori giri. Ma allora la scarsa conoscenza che le due sorelle ancora sentivano come un ostacolo al loro lasciarsi totalmente andare, aveva trattenuto la minore dal dire o fare cose spiacevoli o spigolose. Adesso invece, raggiunto un soddisfacente grado d’equilibrio ed intimità, Haruka si sentiva in diritto di esprimere al meglio tutti i lati del suo essere, sia in positivo, che in negativo.

Giovanna doveva ammettere che da quando aveva deciso di trasferirsi a Bellinzona, la bionda aveva sempre cercato di starle vicina, sia per renderle meno duro l’inserimento in un ambiente diverso, sia per approfondire la conoscenza con una sorella che aveva da soli cinque anni. Ora l’ennesimo scossone nel pur stretto legame Kaiou-Tenou aveva rimescolato le carte. Trovandosi in mezzo al fuoco incrociato di due caratteri estremamente forti, per un po’ Giovanna aveva anche retto all’urto, ma adesso iniziava a risentire della situazione. D’indole gioviale ed estremamente allegra, da quando aveva iniziato a lavorare con Michiru a Castel Grande, era comunque riuscita ad imbastire delle amicizie ed essere così sentimentalmente autosufficiente dalla coppia, ma soprattutto la sera, non era raro che venisse assalita da profondi momenti di nostalgia.

Inalando pesantemente si fermò un attimo guardando la profondità del soggiorno. Il casino apocalittico che Haruka stava lasciando al suo passaggio ora che Michiru non c’era aveva qualcosa di preoccupante. Tenou non era mai stata un tipo chi sa ché ordinato, ma almeno la decenza era sempre riuscita a mantenerla. Se non altro per quieto vivere. Adesso la lordura che quell’appartamento, gioiello prezioso dell’orgogliosa Kaiou, stava raggiungendo, sembrava quasi fatto apposta.

Forse dovrei dare una pulita, si disse poco convinta mentre Tigre iniziava a spazientirsi costringendola a dargli retta.

“Va bene, ho capito. Non c’è bisogno di smaniare tanto.” Sfotté riempiendo la ciotola per poi accovacciarsi dietro la penisola e poggiarla sulle maioliche arancione chiaro.

Così facendo non si accorse della presenza che intanto era entrata nell’appartamento e quando si rialzò incrociando gli occhi di Haruka ebbe un comprensibile sobbalzo.

“Tenou!”

“Per la miseria, Aulis! Ma sei impazzita!” Disse l’altra portandosi la destra al petto.

“Non ti ho sentita entrare.”

“Me ne sono accorta! Ma che ci fai qui!” Inquisì gettando sul divano lo zainetto con il quale era partita.

Guardandola aggirare la penisola nella sua nuova maglietta bianca e nera della Scorpion Bay, l’altra alzò Tigre per le ascelle mostrandoglielo come uno stendardo ed Haruka capì.

“Ah…, è vero. Ciao piccoletto.”

Agitandosi per essere stato distratto dal suo cibo, Tigre si divincolò riuscendo a saltare via per tornare a concentrarsi sulla ciotola posta ad un lato dei pensili.

Ciao piccoletto, risuonò nella testa di Giovanna mentre la bionda ne approfittava per darsi una lavata alle mani.

“Ha fatto il bravo? Spero non ti abbia dato troppi problemi. Sa essere alquanto bastardo quando rimane da solo troppo allungo.” Rivelò apaticamente iniziando a lavarsi le mani.

Mi ricorda qualcuno. “No, no. Tutto bene.”

“Perfetto! Allora grazie. Non sarebbe certo morto di fame, ma avrebbe sicuramente demolito casa.” Ammise asciugandosi senza neanche guardarla.

“E tu? Tutto ok?”

Un laconico si e la maggiore la vide tornare verso il divano. “Sei soddisfatta del pezzo per la moto?”

“Anche di più. Questa mattina sono riuscita a trovare altri due ricambi, perciò…”

“Mi fa piacere. Visto che è quasi l’ora di cena ti andrebbe una pizza?” Gettò cercando d’ingolosire il pesce.

Haruka non la convinceva. Da quando era entrata non aveva incrociato il suo sguardo neanche una volta, come se fosse stata invisibile. Così, una volta sentita accampata la scusa della stanchezza, Giovanna ebbe la riprova di un qualcosa che non andava.

“Da quando ti conosco non hai mai rifiutato una pizza. Non me la racconti giusta sorella.” Disse sforzandosi scherzosa sapendo che in genere bastava uno dei suoi classici sorrisi a rimettere a posto il malmostoso umore della bionda.

Ma questa volta non bastò. Lasciandosi cadere pesantemente sul divano, Haruka iniziò ad armeggiare con il telecomando non rispondendole nemmeno. Sentendosi la donna invisibile l’altra la guardò allibita fare zapping senza un briciolo d’interesse ne per lei, ne per la programmazione televisiva.

“Haruka… Tutto bene?” Chiese posando entrambe le mani sul piano mentre Tenou sprofondava sempre di più sul cuscino della seduta.

“Mmmm.”

Non certo questa gran risposta ed iniziando a preoccuparsi Giovanna dovette cedere accettando quel gioco che tanto poco le piaceva e che spesso, se non sempre, la portava a scontrarsi con l’altra. Così andando verso il divano cercò quel contatto visivo che ancora non l’era stato dato. Due calcetti all’anfibio sinistro della bionda e ripeté la domanda scandendo bene le parole.

“Neanche le scarpe ti sei tolta.” E attese la prevedibile eruzione in puto stile Krakatoa.

Ma nulla. Con sua grande sorpresa Haruka ne si difese, ne tanto meno l’azzannò alla gola. Continuò invece ad ignorarla massacrando nervosamente i tasti del telecomando. Così vista la situazione e colpita dalla reazione anomala del fuego del viento di casa Ducati, Giovanna agì strappandoglielo letteralmente dalla mano.

“Rispondimi, per la miseria!” E finalmente uno sguardo, ferale e verdissimo si riattivò puntandola come un cannone pronto a sparare.

Mettendo il palmo all’insù, la bionda attese la restituzione del telecomando e di tutta risposta l’altra spense la televisione gettandolo sulla saslong. “Senti, fammi la cortesia di non trattarmi così! Lo sai che non lo sopporto. Il Padre Eterno ci ha dato l’uso della parola per farne buon uso!”

“Non mi va di parlarne!”

“Allora qualcosa c’è!”

“Ed anche se fosse?!” Ringhiò colpendola giù duro.

“Anche… se … fosse?! - Ripeté la maggiore raddrizzando la postura. - Ma certo… In fin dei conti chi sono io?”

“Senti Aulis, potresti accettare il fatto che anche se sorelle, possa volermi tenere qualcosa per me? Ti costa così tanto? Ci riesci?”

“Ci riesco e come! Sono settimane che ingoio e sto zitta …”

“Ma ingoi cosa?! Chi ti ha fatto niente!” Alzò il tono sbattendo i palmi sulle cosce.

“Forse il fatto che sia venuta a vivere in un altro paese per stare vicino a mia sorella e che quest’ultima sia tanto umorale da pensare che la cosa le sia dovuta?”

“Cosa?” Chiese Haruka sgranando gli occhi.

“Si cara, è un fatto. Mi sono trasferita e l’ho fatto con tutto l’amore possibile, ma non puoi continuare a darmi sempre per scontata!”

“Alzi tutto questo casino per una ciotola di cibo per gatti?!”

“Non è per questo, Tenou! Vai, vieni, fai come cazzo ti pare sentendoti in diritto di usarmi come pezza d’appoggio quando e come ti fa comodo. Ogni volta che hai un qualche cavolo prendi e sparisci e fino a quando c’era Michiru la cosa mi stava anche bene, perché almeno avevo lei, ma ora NO! Ora non puoi più farlo.”

“E’ sempre questa la storia, Giovanna? Vuoi la compagna di giochi per non sentirti sola? Allora fatti degli amici!”

“Ce li ho già degli amici, ma non QUI!” Urlò stringendo furiosa i pugni dimenticati lungo i fianchi.

Di colpo Haruka capì. Tutto le fu chiaro. Era vero; la dava sempre troppo per scontata. Stava per aprire la bocca per scusarsi quando la sorella facendo dietro front lanciò l’ennesimo sfondone puntando al portoncino blindato.

“Giov…”

“Ma vaffanculo Tenou! A te, alla dottoressa Kaiou e a me… che ancora vi sto dietro!” Chiuse sentendosi un groppo alla gola.

“Giovanna!” Chiamò quando già con una scarpa in mano, l’altra continuò ad inveirle contro.

“Non voglio più farmi coinvolgere da voi! Mi sono rotta le palle.”

Prima di conoscere quelle due top model dai caratteri assurdi, aveva una vita tranquilla, magari un po’ monotona e precaria dal punto di vista lavorativo, ma serena e ricca d’affetto. La sera si ritrovava da sola, e’ vero, ma almeno erano sue quelle quattro mura di calce bianca. Ora si ritrovava da sola e BASTA. Lontana dalla famiglia. Lontana dagli amici. Lontana dalla sua terra.

“E tutto questo per cosa? Ogni volta che non c’è Michiru mi prendi a pallettonate sui denti. Ora basta! Fottiti!” Rimuginò convulsamente cercando d’infilarsi una scarpa il più velocemente possibile.

Ma quando ormai pronta stava per uscire, Haruka la chiamò un’ultima volta e all’ascoltare quel tono non poté che bloccarsi di colpo.

“Giò… Ti prego - Disse mentre la sorella si voltava lentamente nella sua direzione. - Ho fatto un casino...”

 

 

China sulla schiena con la fronte appoggiata alle nocche delle mani, Haruka la sentì tornare indietro. Lo sapeva che non sarebbe stata in grado di nasconderle le ultime ventiquattro ore, come era fermamente decisa a raccontare a Michiru quello che era successo dietro i banchi dell’Historischer Gummi tra lei ed una donna conosciuta solamente il giorno prima. Ma non essendo molto brava con le parole, il difficile sarebbe stato il cercare di far capire ad entrambe una circostanza che l’era sfuggita dannatamente di mano.

“La amo, Giovanna. La amo con tutta me stessa.”

E sapendo perfettamente a chi si stesse riferendo, l’altra tornò sui suoi passi rimanendo però ferma tra camino e divano. “Dove sarebbe il casino?”

“Il casino sta nel fatto che mi manca talmente tanto che sto iniziando a cercarla in altre donne.”

A quelle parole la maggiore ebbe un brivido e schiacciando i denti gli uni contro gli altri attese che continuasse.

“E per assurdo che sia, non lo faccio neanche a posta.”

Scuotendo la testa la sorella le chiese di spiegarsi meglio. “Non vedo il problema…”
“Ho flirtano! - Confessò alzando la testa. - Questo è il problema! Ho flirtato con una perfetta estranea.”

“Cosa avresti fatto!?” Chiese sedendosi.

“Te l’ho detto… Ho flirtato.”

“Non sarebbe la prima volta che lo fai.”

Haruka sembrò stizzirsi. “Non è come quando mi va di dar noia a Kaiou ed inizio a guardare le altre per vedere lo sguardo assassino che monta su prima che gli sbotti a ridere in faccia. E’ un gioco; lo sa lei, come lo so io. Questa volta è stato diverso. Ero attratta da quella donna.”

“Quanto attratta?!”

“Abbastanza da trovarmi in una situazione delicata.”

Giovanna sospirò spaventata. “Quanto delicata?!”

“Abbastanza da baciarla.”

“E che cazzo, Ruka!” Esplose alzandosi di scatto.

“Lo so, lo so!” Si ritrovò a dire piombando la testa tra le mani.

“Ma porcaccia miseria, quando Michi andò ad Atene non facesti cose del genere!”

“E adesso si! Vuoi spararmi in testa?!”

“No, voglio capire.”

“Non c’è bisogno di uno psicologo per dirmi quanto complicato sia il periodo che stiamo vivendo e quanto perciò siamo vulnerabili. Quanto la vorrei qui, quanto mi manca e quanto abbia paura che mi lasci per vivere la vita che sotto sotto avrebbe sempre voluto. - Ingoiando a vuoto tornò a guardarla. - Forse se fosse partita in un qualsiasi altro momento non l’avrei vissuta tanto male. Lo hai visto anche tu quanta tensione c’è tra noi negli ultimi mesi. Si sono accavallati troppi impegni da parte di entrambe ed il nostro rapporto ne ha risentito. Ammetto che la colpa sia soprattutto mia. L’acquisto della Winchester ha peggiorato le cose. Da quando mi ci sono messa a lavorare non ho avuto più tempo per niente e sono finita per trascurare la mia donna, la mia casa e persino te.”

“Di me non ti devi preoccupare.” Disse riguadagnando la seduta.

“Ma se neanche un minuto fa mi hai inveito contro! Dovrai spendere un patrimonio per tutte le parolacce che hai sparato.”

“Che?”

Scattando il mento verso la penisola, Haruka la costrinse a girarsi verso il barattolo. “Non ti dice niente?”

“Oddio…, credevo fosse un qualche tipo di scultura moderna.”

“Si, dal titolo la follia della mia donna.”

“Bé, devi ammettere che di cose strane ne stiamo vedendo parecchie…”

“Già.”

“Senti un po’, è per questa donna che sei rimasta a Sion?”

“In verità non saprei. E’ diventata il contatto con un paio di fornitori, ma ho iniziato a lanciarle segnali inequivocabili ancor prima che questo avvenisse. E mi dispiace anche per lei, perché non era assolutamente mia intenzione prenderla in giro.” Haruka guardò la portafinestra che dava sul terrazzo perdendo sguardo e ricordi al verde delle montagne che s’intravedevano dal vetro.

Era ancora talmente fresca la sensazione di quelle labbra che al solo pensiero si sentiva stordita.

Aspetta Martah… Non è il caso” Le aveva detto non appena il corpo nella sua totalità le aveva fatto capire che non si stava trattando della bocca della sua compagna, ma di quella di un’estranea.

Dolente e di colpo innervosita, l’altra l’aveva guardata voltarsi in direzione del cellulare che Tenou portava nella tasca posteriore e che aveva appena segnalato una notifica.

Credevo che lo volessi anche tu.”

Scusami se ti ho dato questa idea, ma vedi…” E portando in alto l’anulare sinistro le aveva mostrato la fede che indossava quando non era in officina.

L’avevo vista, ma non mi sembrava che da parte tua risultasse un impedimento.” Aveva detto staccandosi definitivamente dal corpo della bionda riguadagnando la strada verso i banchi poco oltre.

Tornando a guardare Giovanna, Haruka scosse la testa ancora incredula. “Una parte della mia coscienza sapeva che stavo giocando una sporca partita con il fuoco, ma l’altra…”

“Questa Martah è dunque tanto simile a Michiru d’averti spinta verso di lei?”

La bionda non ci pensò neanche per un istante e scuotendo la testa negò risoluta. “ No Giò. Qualche stupido dettaglio che però mi ha spinta verso di lei crogiolandomi nel pensiero di quanto sarebbe bello se Kaiou ogni tanto s’interessasse alla mia vita fuori di casa e poi … il sorriso.”

Anche la sorella schiuse le labbra. “Michiru ha un sorriso bellissimo; caldo e materno.”

“Esattamente. Di tutte le cose che adoro di lei, è forse la cosa che amo di più. Anche se ultimamente non lo vedo tanto spesso. E la colpa è sempre e solo mia. Mi sono allontanata e per che cosa? I motori? Ma si fottano!”

”Non dire così. - Se ne uscì attirandone l’attenzione. - Siete in due in questo rapporto, no?”

“Michiru ha fatto bene ad andare a Stoccolma.”

“Certo, per seguire un suo sogno, come tu fai con i tuoi.”

“Se per seguire le mie passioni devo correre il rischio di sfasciare il nostro rapporto, allora te lo ripeto, il gioco non vale la candela!”

“Questo è un punto di merito che apprezzo, ma non è che la frustrazione gioverebbe di più.”

”Allora non se n’esce.”

Per niente convinta Giovanna si sistemò meglio cercando di essere franca. “Vedi Ruka, il tuo carattere ti porta a guardare il mondo con gli occhi del o tutto bianco o tutto nero. Lo fai sempre e per ogni cosa. Ma quante volte Michi ti ha detto che nella vita ci sono le sfumature?”

“Scusami Giovanna, ma in questo caso le sfumature non le vedo proprio!”

“Ma ci sono. Se Kaiou ti manca, se hai addirittura paura che possa lasciarti, allora cerca di… insinuarti nel suo soggiorno a Stoccolma come un bruco in una mela.”

“Non capisco…”

“Ma si! Cosa fanno i bruchi? Vogliono una cosa e se la prendono. Scavano, scavano, scavano, fino a quando non arrivano a dama. Lo sai che alla tua donna piacciono le attenzioni e allora falle sentire che ci sei anche se non sei presente.”

“Ma sta lavorando! Non voglio essere opprimente. Ora ha bisogno di concentrarsi.”

“Un sms, un mazzo di fiori o un ti amo, non credo proprio che distrarrebbero un caterpillar come la dottoressa Kaiou.”

Haruka ricordò il messaggio che Michiru le aveva mandato proprio qualche istante dopo essersi sottratta al bacio datole da Martah. Mi manchi tanto amore mio. Scusami. Ed era seguita una foto di una power bank a forma di gatto comprata di buon ora al bookshop del museo.

Schiacciando la schiena al cuscino la bionda si portò il dorso della destra alle labbra sentendosi pizzicare gli occhi. “Cazzo, quanto la amo.”

“Aaaa, ecco perché viaggi a cento franchi per volta. - Stemperò la sorella posandole una mano sulla spalla. - Da quanto non vi sentite per telefono?”

“Da ieri sera e abbiamo discusso per una immensa boiata!”

“Perché non la chiami?”

“Francamente? Perché di Martah vorrei provare a parlargliene di persona e ora come ora sentirebbe subito dalla voce che ho fatto qualche danno.”

“E allora scrivile. Chatta. Muovi il culo, Tenou! - Concluse alzandosi per afferrare il suo cellulare. - Io intanto ordino la pizza. La vuoi, vero?”

Finalmente Haruka sorrise e Giovanna si sentì meglio. “Scusa se sono sparita.”

“Scusa tu se sono esplosa.” Replicò guardandola andare fuori dalla terrazza con il suo I phon in mano.

 

 

Il cellulare di Michiru vibrò che era appena uscita dalla doccia. Meno di un’ora e si sarebbe dovuta presentare nell’holl dell’albergo per l’ennesima cena in qualche ristorante del Gamla Stan e francamente non ne aveva per niente voglia. Era troppo grande ormai per far tardi tutte le sere e iniziava a non sopportare più i monologhi del signor Marinof e gli sguardi criptici di Kristen.

Guardandosi allo specchio del suo grande bagno sospirò togliendosi la cuffietta dai capelli. La superficie le rimandò l’immagine di una bella quarantenne dallo sguardo triste. Le mancava Haruka, aveva iniziato a preoccuparsi per Philip e per la prima volta in tutta la sua vita, lavorativamente parlando si stava sentendo inadeguata. Afferrando la spazzola dimenticata sul piano accanto al lavabo, iniziò a spazzolarsi ravvivando la capigliatura castano chiara dall’inconfondibile frezza color acquamarina. Forse erano le ore di sonno rade e mal gestite che la stavano portando a farsi sempre più domande, ma non era così che se l’aveva figurata quella avventura. Forse aveva fantasticato troppo forviata dai ricordi dell’esposizioni che aveva fatto da ragazza e dal suo lavoro come curatrice di un modesto museo di provincia. O forse era semplicemente Michiru Kaiou ad essere cambiata. L’international woman, come ogni tanto l’aveva chiamata Haruka all’inizio del loro rapporto, si era pian piano trasformata in una modesta donna dalle ambizioni casalinghe, contenta della sua vita, dei suoi tempi e dei traguardi che aveva raggiunto.

Ed anche se fosse? Ci sarebbe qualcosa di male? Pensò stilettando con il cobalto degli occhi la sua immagine riflessa nell’opacità umida dello specchio per poi uscire dal bagno ed afferrare il cellulare dimenticato sulla sopraccoperta del letto. Convinta che fosse un messaggio di Philip vide invece che la compagna era on line e si sedette sul bordo.

Non preoccuparti amore. Sono arrivata a casa. Tutto bene.” Pragmatico come sempre e come spesso accadeva dopo una discussione, Michiru le rispose con un vocale per scioglierla un po’.

Grazie amore. Il pezzo va bene?”

Smorfiando le labbra la bionda inanellò allora una serie di emoticon senza capo ne coda ed inviò.

Dalla parte opposta Kaiou scosse la testa inarcando le sopracciglia. “Ma sei ancora arrabbiata?”

Assolutamente no. Anzi… scusami tu.” Registrò l’altra guardando il crepuscolo che stava scendendo sulla valle di Bellinzona.

Mi andrebbe tanto di parlare un po’, ma anche questa sera il Direttore del museo ha organizzato una cena. Se non dovessi fare troppo tardi… ci sentiamo dopo?”

Haruka si sentì morire. Passi per brevi frasi smozzate, ma come aveva detto poco prima alla sorella non sarebbe riuscita a sostenere una conversazione per intero, specialmente se notturna, dove tutto è dilatato, inclusi cuore e spirito. Sapeva come sarebbe andata a finire; avrebbe sputato tutto fuori per liberarsi la coscienza e avrebbe fatto peggio. Così mal volentieri si appellò ancora una volta al lavoro e complice una riunione di primissima mattina cercò di svicolare.

Amore scusa, ma domani arrivano i consulenti del lavoro. Devo stare in sede prestissimo e il ritorno in moto mi ha steso.”

Michiru ascoltò portandosi il cellulare all’orecchio e un po’ delusa lo fissò oscurarsi lentamente. Una volta Haruka avrebbe fatto tutta una tirata in macchina pur di vederla, figuriamoci fare le ore piccole al telefono pur sapendo di avere una sveglia all’alba.

Chinando la testa le rispose che si sarebbero sentite l’indomani e senza pensarci troppo su la salutò con un affettuoso buonanotte amore.

A te, Michi mia.” Ed uscirono entrambe dalla chat.

Michiru rimase seduta sul letto con in cellulare nelle mani per svariati minuti prima di trovare la forza per alzarsi, sfilarsi l’accappatoio bianco con il monogramma dell’albergo ed iniziare a prepararsi. L’ennesima serata di sorrisi, sarcasmo, battute pungenti ed alcol. Questa volta avrebbe tanto voluto passarla al buio distesa sul letto a parlare con la sua donna, a ridere, a scherzare, a sviscerare quello che aveva dentro, anche se a distanza, anche se con il cuore un po’ arrabbiato.

“Colpa tua che hai voluto la bicicletta. E adesso pedali, Kaiou!” Si disse aprendo il primo cassetto del mobile in puro stile Ikea che troneggiava minimalista al lato della porta del bagno.

Si vestì senza fretta, noncurante del tempo e della sua solita ed incrollabile puntualità svizzera, tanto da non accorgersi di aver fatto tardi se non quando lo sguardo glaciale di Kristen non si posò sul suo abito da sera verde scuro.

“Vedo con rammarico che l’essere puntuale non è più nelle tue corde, Kaiou-san!”

“Scusami.” Ammise cercando di rimanere impassibile all’urto di nervi che quell’atteggiamento pretenziosamente arrogante iniziava a provocarle.

“Poco male. Il taxi è già qui fuori che ci aspetta. - Comunicò voltandosi di scatto inondandola con la scia di un’essenza di pino. - Comunque spero stia bene.”

Naturalmente era implicito che l’artista si riferisse ad Haruka, ma Michiru non fece in tempo a chiedere conferme che Philip si presentò proprio fuori dalla porta a vetri dell’albergo, in abito scuro ed accompagnato da un sorriso radioso. Un cenno d’intesa con Kristen mentre le apriva lo sportello del mezzo per porgere subito dopo la mano all’altra donna.

“Sei bellissima Michiru.” Disse accennando ad un baciamano.

“Grazie. Anche tu stai benissimo.”

“Sai…, ho novità. Ho seguito il consiglio che mi hai dato e questa mattina Simon ha accettato di venire con me da un consulente di coppia.” Bisbigliò lasciandola poi passare.

Era una buona notizia che francamente le allietò i pochi minuti che impiegarono per lasciare il quartiere dove sorgeva il loro albergo ed arrivare nel cuore del centro storico della capitale svedese.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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