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Autore: CedroContento    12/08/2021    3 recensioni
[Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“È Carcharoth, Fauci Rosse, il più grande mannaro della storia. Morgoth lo nutrì di sua propria mano con carne viva, e pose il proprio potere su di lui. Rapidamente il lupo crebbe, fino a non poter più entrare in nessuna tana, ma giaceva, enorme e famelico ai piedi del suo signore. Così il fuoco e la furia dell’inferno entrarono in lui, ed egli fu repleto di uno spirito divorante, tormentato, terribile e forte.”
 
Balin (1)
 
 

 
 
Bilbo aveva le gambe a pezzi, ma si costringeva a correre ancora. Perché finivano per correre sempre?
In quella particolare occasione correvano giù per il versante est delle Montagne Nebbiose, tra rocce e radici sporgenti, che rischiavano di farli ruzzolare a tradimento e senza alcuna pietà, se non stavano bene attenti a dove mettevano i piedi.
La notte, intanto, calava veloce mentre scappavano dai loro inseguitori.
I mannari, leggeri e agili senza nessuno a cavalcarli, con il favore della sorpresa, erano riusciti ad avvicinarsi molto e molto in fretta alla compagnia di Scudodiquercia; di lì a poco li avrebbero raggiunti. Bilbo non vedeva come avrebbero fatto a scamparsela questa volta, e ogni speranza di farcela si dissipò definitivamente in lui quando vide la via arrestarsi di colpo, ai margini di una foresta di pini. Davanti a loro il bosco si interrompeva bruscamente nel nulla.
Nella frenesia della corsa, non si erano accorti di aver imboccato un vicolo cieco, avanzando su uno sperone roccioso che dominava la valle sottostante. E sarebbe stata una vista mozzafiato in altre occasioni, ma quel baratro vertiginoso sotto di loro li aveva messi una volta per tutte in trappola e dopo pochi istanti i loro inseguitori furono tra di loro.
Improvvisamente, Bilbo si ritrovò a fissare il ghigno di un lupo enorme, stava ad un millimetro dal suo naso, poteva addirittura sentire il calore del suo alito - terribilmente fetido - sulla pelle. Lo hobbit lo fissò ad occhi sgranati, mentre la bestia gli ringhiava ad un palmo dal viso, aspettando solo l'ispirazione giusta per sbranarlo. Solamente per un istante, incrociando il suo sguardo ferino, a Bilbo parve di scorgerne l’anima inquieta e sofferente; quelli erano gli occhi di un essere dannato.
Quando il mannaro si decise a scagliarglisi contro, istintivamente, stupendo non poco anche sé stesso, Bilbo gli infilò la spada dritto nel centro della fronte. In realtà lo hobbit non aveva dovuto fare molto, gli era bastato tenere la spada puntata dritta davanti a sé, il lupo ci si era infilzato praticamente da solo, nell'impeto di attaccare. Ma Bilbo non riusciva comunque a credere a quello che aveva appena fatto.
Gli richiese un piccolo sforzo di volontà, ma riuscì a distogliere lo sguardo dalla carcassa del lupo che aveva appena ucciso, solo allora tornò consapevole dei suoi compagni, che attorno a lui lottavano - e avevano la meglio - contro altri mannari; l'avanguardia nemica.
E aveva contribuito anche lui, si era reso utile! 
“Forza salite sugli alberi, tutti. Forza sali, Bilbo, sali!” udì urlare Gandalf, che forse lo aveva visto lì, sorridere soddisfatto, e stupidamente imbambolato.
Bilbo avrebbe voluto seguire subito quel consiglio, ma perso com'era realizzò solo in quel momento di dover ancora recuperare la propria spada. Facendo bene attenzione a rimanere a distanza di sicurezza dal corpo privo di vita del mannaro, Bilbo afferrò l'elsa dello spadino, che però non si mosse di un centimetro. Non riusciva più ad estrarlo, si era incastrato! 
“Arrivano!” urlò qualcuno, mentre Bilbo sentiva il panico invaderlo.
Cominciò a sudare freddo, che idiota era stato a perdere tempo a quel modo. La sua spada non voleva saperne di liberarsi, ma non voleva lasciarla lì, proprio dopo aver avuto prova di quanto fosse portentosa.
Quando finalmente la lama si sfilò, strusciando disgustosamente sulla carne, per la sorpresa Bilbo barcollò all'indietro; inciampò su una radice e cadde. Il suo fondoschiena impattò violentemente sul terreno e una fitta di dolore lo immobilizzò sul posto. Era stato tanto contento di essere riuscito a difendersi, solo un minuto prima, e ora si ritrovava praticamente spacciato, con i mannari che gli sarebbero stati addosso da un secondo all'altro. Si era distratto, e avrebbe pagato quell'errore con la vita. 
“Non è il momento di cincischiare, mastro Scassinatore!” disse una sagoma, che dal nulla si parò rapida davanti a lui. 
Senza troppe cerimonie, Bilbo si sentì sollevare per la collottola dalle forti mani di Thorin. Un pensiero fugace, prontamente ricacciato per non perdere ancora una volta la concentrazione, attraversò per un momento la mente frastornata de lo hobbit: Thorin era tornato indietro, per lui.
Riuscirono a mettersi in salvo giusto per un pelo. Più veloci che potevano, si arrampicarono su per il tronco del pino più vicino, prima che il grosso delle forze nemiche li assediasse.
Dall'alto dei rami, Bilbo, già intento a rimpiangere una fine orribile e dolorosa, poté vedere i lupi cominciare ad affollarsi e aggirarsi nervosamente alla base degli alberi. Ogni tanto qualcheduno ne artigliava violentemente la corteccia, impaziente. Sapevano che i nani non potevano rimanere abbarbicati lì su per sempre, era solo questione di tempo e li avrebbero stanati. Finché d'un tratto, senza motivo apparente, le bestie si fermarono e si zittirono.
Quasi simultaneamente i lupi si voltarono e lo hobbit seguì, incuriosito e un po' perplesso, la direzione del loro sguardo. Illuminati sinistramente dalla pallida luce lunare vide tre lupi, con altrettanti cavalieri in groppa: orchi. Uno dei mannari, quello centrale, era grosso almeno il doppio degli altri, la sua pelliccia era bianca e candida come la neve, e portava un enorme orco, altrettanto pallido, dal cranio rasato e le lunghe orecchie a punta; il suo volto era segnato da numerose cicatrici e i suoi occhi, piccoli e crudeli, erano di un azzurro gelido. Al posto dell'avambraccio sinistro, dal gomito, spuntava un grosso artiglio appuntito. 
“Azog…” sussurrò Thorin, accanto a Bilbo, con l'aria di chi guarda in faccia un fantasma, riconoscendo il suo storico rivale. “Non può essere, sei morto”. 
Azog rispose in una lingua che Bilbo non conosceva, ma Thorin evidentemente sì, perché ciò che gli disse l'orco pallido lo fece infuriare.
Ghignando compiaciuto davanti alla rabbia impotente del nano, Azog sbraitò un ordine e i mannari senza cavaliere ripresero a demolire con le zampe massicce e con la forza delle mandibole possenti i rami dei pini su cui avevano trovato rifugio Bilbo e i suoi compagni. 
Non occorse loro molto tempo o fatica prima che gli esili alberi cedessero sotto la loro furia, presto riuscirono a sradicarne diversi. I nani furono costretti a balzare da un albero all'altro, spingendosi, loro malgrado, sempre di più sull'orlo del precipizio; finché non rimase che un solo povero pino sghembo in piedi, che non avrebbe retto a lungo sotto il peso di tredici nani, uno stregone e un piccolo hobbit.
Ma né Gandalf né tanto meno i nani sembravano disposti a darsi per vinti tanto in fretta. Con l'aiuto della magia, lo stregone grigio appiccò fuoco ad una grossa pigna - l'albero ne era pieno - e la spedì come fosse un proiettile contro i mannari. Gandalf prese in pieno un grosso lupo grigio, dritto sul muso, e quello si ritirò guaendo. Veloci, tutti i nani lo imitarono, passandosi di mano in mano le pigne incandescenti per accenderne di nuove. Il terreno, asciutto e ricoperto di aghi e rami secchi, prese fuoco quasi all'istante, spaventando ulteriormente i lupi che indietreggiarono. E anche Bilbo mise a segno qualche bel colpo, pensando tra sé e sé che tutto sommato essere bravo a tira-castagne alla fine si era rivelato utile per davvero.
Quando i lupi fuggirono, i nani esultarono soddisfatti di quella piccola, per quanto effimera, vittoria.
Azog, invece, dinnanzi a quello spettacolo inaspettato lanciò un ruggito irato e terrificante, che fece venire la pelle d'oca a Bilbo. E proprio a quel ruggito terribile lo hobbit, in seguito, avrebbe attribuito la causa di ciò che avvenne dopo.
Le radici dell’esile pino su cui erano inerpicati alla fine, inevitabilmente, cedettero; l'albero si piegò, inclinandosi e sporgendosi oltre il bordo del burrone. 
Bilbo udì i nani urlare attorno a sé, mentre stringeva con tutte le proprie forze il ramo bitorzoluto a cui era riuscito ad aggrapparsi. Cercando di resistere alla tentazione di guardare in basso, si chiese con rammarico perché si ritrovasse così spesso con le gambe penzoloni nel vuoto, proprio lui, che si era sempre vantato di essere uno hobbit con i piedi saldamente piantati a terra.
Sapeva che non ce l'avrebbe fatta ancora per molto, e anche i suoi compagni cominciavano a cedere; cominciò a temere il momento in cui avrebbe dovuto vedere i suoi amici precipitare, fino a quando non sarebbe toccato anche a lui. Poi qualcosa lo distrasse.
Bilbo percepì un movimento sopra di sé. Quando alzò lo sguardo, si ritrovò a guardare, inspiegabilmente, uno stivale di Thorin.
 
 
 
Il Principe dei nani, senza un segnale o una parola di preavviso, si era issato sul tronco caduto e lo stava percorrendo, fieramente, tra le fiamme, dritto verso il suo nemico. La spada sguainata e, fedele al suo nome, nient'altro che un grosso pezzo di legno come scudo.
Bilbo capì subito che Thorin non aveva alcuna intenzione di attendere la morte aggrappato ad un ramo, aspettando di cadere, non era quella la fine a cui era predestinato. Finché avesse avuto una scelta Thorin Scudodiquercia avrebbe preferito morire combattendo, affrontando i suoi demoni, e, possibilmente, portandoli con sé nella tomba. 
Dopo un primo istante di sorpresa, Azog, che stava assistendo allo spettacolo da poca distanza, sorrise malvagiamente. Spalancò le braccia invitando il suo avversario a farsi avanti.
Thorin percorse gli ultimi metri che lo separavano dalla sua nemesi correndo all'attacco e in risposta anche l'orco pallido lanciò il suo mannaro alla carica. Travolse Thorin senza il minimo sforzo.
Il nano cadde, ma con fatica, nonostante lo stordimento, si rialzò quasi subito. L'orco pallido, senza scomporsi, voltò la sua cavalcatura e caricò ancora; questa volta però levò la sua pesante mazza, colpì Thorin in pieno petto e il nano non si rialzò più. 
“Thorin, no!” urlò Balin alle spalle di Bilbo, seguito da Dwalin e da tutti gli altri nani.
Bilbo invece sentiva di non riuscire nemmeno a respirare, mentre guardava il mannaro bianco prendere il Principe dei nani tra le sue fauci e sbalzarlo violentemente a destra e sinistra, come fosse una bambola di pezza. Thorin si lasciò sfuggire un urlo di dolore, ma stupendo tutti riuscì ancora a difendersi: assestò un vigoroso fendente al muso del lupo, che mollò la presa e lo scaraventò lontano diversi metri. L' impatto con la dura roccia fece perdere a Thorin una volta per tutte i sensi.
Ad Azog, che già sorrideva trionfante, non rimase che dare un ordine ad uno dei suoi tirapiedi, e quello prese ad avanzare verso il nano, minaccioso.
Come in un sogno, Bilbo osservò l'orco avvicinarsi inesorabile a Thorin. Non poteva credere che tutto sarebbe finito così; non poteva essere che quel nano, coraggioso e zuccone che non era altro, morisse a quel modo davanti ai suoi occhi impotenti.
Non sapeva quando era successo, o come avesse fatto, ma si trovò lì, in piedi sul tronco del pino caduto. Aveva preso una decisione senza nemmeno rendersene conto.
Se il Principe dei nani aveva preferito affrontare la morte combattendo poteva farlo anche lui, poteva provare che anche lui valeva abbastanza, che anche la sua vita valeva il tentativo di essere difesa fino all'ultimo, e forse poteva tentare di salvare anche quella del nano.
Con questa determinazione, lo hobbit mosse le gambe in equilibrio su quel benedetto tronco, seguendo le orme di Thorin, con i suoi piedi scalzi. (2)
Corse, senza sapere di preciso cosa intendesse fare, anzi, senza averne la più ben che minima idea. Sapeva solo doveva allontanare quell'orribile orco da Thorin, così gli si lanciò semplicemente addosso.
Colto alla sprovvista, il suo nemico non ebbe la prontezza di riflessi per opporre una qualsiasi resistenza. Perse l'equilibrio e Bilbo ne approfittò per attaccarlo e, nonostante l'importante differenza di stazza, ebbe la meglio. In un eccesso di adrenalina estrasse la spada e infilzò ripetutamente l'orco al petto, alle spalle, alla gola. Una parte di lui si riscoprì preoccupantemente simile a Gollum, quando aveva infierito sul goblin. Ma quello era diverso, Bilbo stava difendendo un amico, da un essere orribile. Era diverso. 
Una volta che fu certo che il suo avversario fosse senza vita, lo hobbit si parò davanti a Thorin, pronto a difenderlo da chiunque avesse cercato di fargli del male.
Le fiamme divampavano tutto attorno a loro, riempiendo l'aria di fumo e cenere, mentre Bilbo mulinava la spada a caso per aria, nel patetico tentativo di sembrare almeno un pochino minaccioso. In realtà non poteva fare molto contro i quattro mannari che avanzavano senza fretta nella sua direzione, lo sapeva lui e lo sapevano sicuramente anche loro. Bilbo non era altro che una piccola scocciatura, una mosca fastidiosa, da schiacciare.
Le bestie si avvicinavano lente e minacciose e lo hobbit aveva una paura matta, il cuore avrebbe potuto esplodergli in petto per quanto velocemente batteva. Poi, d'improvviso, il mannaro in testa al gruppo, voltò di scatto la testa. Bilbo meccanicamente lo imitò.
Nella baraonda che seguì distinse Fili e Kili, che come due saette erano calati alla carica e avevano affrontato gli orchi e i mannari che incombevano su Bilbo e il loro Principe. Come un mare in tempesta, dopo i due fratelli, tutti i nani in grado di farlo si abbatterono sul nemico.
Bilbo, rincuorato, non si sentì più solo e abbandonato al suo destino. Aveva dimenticato di essere parte di una squadra, per la prima volta realizzò veramente cosa volesse dire.
Con rinnovato coraggio, si batté contro il lupo più vicino, ma quasi subito nello scontro venne scaraventato a terra e lì rimase, ignorato. Non era lui che il mannaro voleva veramente. Un istante dopo, infatti, la bestia si voltò verso Thorin. Una voce agghiacciante lo fermò prima che potesse avventarglisi contro. Bilbo alzò la testa ed incrociò lo sguardo dell'orco pallido, che lo guardava minaccioso attraverso la fumera da cui stava emergendo, ed era inquietante più che mai.
Con orrore di Bilbo, cominciò ad avanzare nella sua direzione, o meglio, verso Thorin.
Dolorante, lo hobbit strisciò fino al corpo immobile del nano. Era consapevole di non avere alcuna possibilità di fare qualcosa davanti ad un avversario come Azog, l'unico che avrebbe potuto giaceva lì, accanto a lui, immobile. 
“Thorin, ti prego…” disse, trattenendo a stento l'angoscia. 
Gli tastò il petto, non capiva se il cuore battesse o meno, non avrebbe dovuto avere così tanta importanza visto che di lì a poco sarebbero morti comunque entrambi, ma in quel momento significò tutto. Bilbo non voleva più stare in un mondo in cui Thorin non c'era, anche se solo per pochi minuti. Accarezzò il suo viso spento, la barba scura, i lunghi capelli intrecciati, le sue labbra sottili, rimpiangendo tutto ciò che avrebbe dovuto confessargli, tutto ciò che provava, e che non era mai stato in grado di definire con esattezza, ma che ora gli appariva chiaro, così assurdamente, inutilmente, chiaro. 
“Thorin,” sussurrò, e non poté proprio più fermare le lacrime che spingevano per uscire, appannandogli la vista.
Non desiderò altro che Thorin aprisse i suoi stupendi occhi grigi e lo guardasse ancora come aveva fatto poche ore prima, quando gli aveva detto che gli importava di lui, non chiedeva altro.
Ora però, la fine stava avanzando ineluttabile verso di loro. Bilbo alzò lo sguardo per controllare dove fosse Azog, constatò che ormai non gli sarebbero bastati che pochi passi. Parandosi tra lui e Thorin, Bilbo levò la spada davanti a sé, la lama tremolava miseramente, non poteva farci nulla. 
Ma l'orco non fece in tempo a coprire nemmeno la metà della distanza che li separava, che una violenta raffica di vento lo investì, distogliendolo dai suoi intenti. 
Petali di cenere, fumo e faville invasero l'aria, che cominciò a turbinare irruente tutto intorno a lo hobbit, stordendolo, confondendogli la visuale.
Lupi ed orchi cominciarono a sparire, inghiottiti da qualcosa nascosto nel fumo.
Più allarmato che sollevato, Bilbo si aggrappò a Thorin, terrorizzato. 
Nel caos gli parve di distinguere degli uccelli enormi - aquile, sembravano proprio aquile -, poi avvertì un fruscio alle sue spalle.
“No!” urlò, recependo cosa volesse dire.
Uno di quegli uccelli stava per catturare Thorin!
Bilbo cercò a tastoni la sua spada, l'aveva stupidamente lasciata cadere a terra, riuscì ad afferrarla troppo tardi. L' aquila strinse Thorin tra i suoi artigli e si librò in alto, lontano dalla sua portata.
Le braccia di Bilbo ricaddero impotenti lungo i fianchi. Lo aveva perso. Non era stato in grado di proteggerlo, aveva davvero pensato di essere in grado farlo, aveva fatto tutto ciò che era in suo potere e non era stato abbastanza, aveva fallito. 
Avvertì l'aquila calare anche su di lui e non gli importò. L'uccello lo artigliò e lo scagliò nel vuoto.

 

 
  1. In realtà questo è Tolkien, è una citazione de “Il Silmarillion” (il capitolo dedicato a Beren e Lúthien). Chiaramente Carcharoth nella nostra storia non c’è, ho usato la sua presentazione per parlarvi dei mannari. Il Professore li descrive come spiriti corrotti da Morgoth, imprigionati nel loro corpo di bestia, tormentati e consumati dalla loro condizione. (su)
  2. Da qui il titolo. (su)
   
 
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