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Autore: Greenleaf    13/08/2021    3 recensioni
Sotto l’ombra degli alberi di Amon Hen giace il corpo di una ragazza di nome Eldihen. Quando riapre gli occhi ed incrocia lo sguardo di Legolas, entrambi avvertono una sensazione intensa, qualcosa di inspiegabile e ancestrale.
La storia di Eldihen però, prenderà forma attraverso delle scoperte che le indicheranno il percorso giusto da seguire e, tra intrighi e falsi nemici da combattere, si ritroverà a vivere momenti mai pensati. Stregata da parole, sguardi e mostri che in realtà non sono poi così crudeli come lei temeva.
Vivrà l’incanto di un amore minacciato dalla guerra. Sarà vittima di un nemico tanto incantevole quanto misterioso. La sua storia inizia ad occhi chiusi, e per giungere alla fine Eldihen dovrà imparare a camminare nel buio.
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eowyn, Gandalf, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 22
 
 
“Giuro di essere fedele e prestare i miei servigi a Gondor, in pace e in guerra”
 
Faramir mentre Pipino giurava fedeltà a suo padre, dovette abbassare il capo e trattenere il suo sorriso poiché, sotto il tavolo imbandito di ogni bene, vi era nascosto il bambino dai boccoli castani che con la sua manina ricercava dei pezzi di pane, masticando una mela che aveva preso in precedenza, inginocchiato a terra, con il visino sporco e la camicetta sbottonata. L’uomo si avvicinò e prese per Draghetto una coscia di pollo, porgendogliela con gentilezza. Il piccolo sorrise prima di addentare il cibo, infondendo coraggio nel cuore del giovane che, presto venne ripreso dal padre.
 
Denethor si alzò dal trono che non gli apparteneva, lanciando un’occhiata piena di astio al figlio, sotto gli occhi attoniti di Pipino che, non comprese quel comportamento assurdo. Il piccolo della contea gettò uno sguardo al nobile cavaliere, accorgendosi solo in quel momento, delle manine di Draghetto sul tavolo che si spostavano freneticamente fino ad afferrare con le dita paffute un pezzetto di focaccia.
 
“… Non dovremmo con tanta leggerezza abbandonare le difese esterne, difese che tuo fratello a lungo ha tenuto intatte” Denethor senza degnare di uno sguardo il povero Faramir prese da un vassoio in argento della frutta, parlando pacatamente.
 
“Cosa vuoi che faccia?” chiese il ragazzo sentendosi in difetto. Nel cuore di Draghetto si accese una forte paura. Il bambino si strinse al piede del tavolo, con le gambe divaricate e gli occhioni fissi su Faramir.
 
“Io non cederei il fiume del Pelennor senza combattere. Osgiliath va riconquistata”
 
Draghetto ricercò l’attenzione di Faramir, strisciando con le ginocchia verso di lui. Si fermò, senza uscire dal tavolo, attento a seguire la conversazione con il sovrintendente. Nel ricercare nuovamente gli occhi azzurri del giovane di Gondor, Draghetto incrociò per sbaglio quelli di Pipino che gli sorrise, notando il turbamento nel suo sguardo.
 
Faramir discusse con il padre e, profondamente ferito nell’orgoglio, con le lacrime agli occhi strinse l’elsa della sua spada, ammirando per diversi istanti il trono di Gondor, rivestito di marmo nero e bianco. Provava molto amore per la sua città, per quel palazzo che era casa sua ed anche per quel padre che poco lo considerava “Sei stato derubato di Boromir. Farò quello che posso in vece sua” si inchinò per nascondere il dolore che trapelava da ogni angolo del suo viso, girando le spalle.
 
“Ehi No…” il piccolo Draghetto afferrò la fedelissima spada di legno e senza nemmeno sistemare la tunica che gli lasciava scoperto il pancino, sgattaiolò da sotto il tavolo, con le labbra sporche di olio ed i capelli sudati “Non andare via Faramir. Non puoi andare via” corse sotto lo sguardo di Denethor che indignato strinse il calice in argento tra le mani.
 
“Cosa ci fa questo orfano nel mio palazzo?” chiese con arroganza il sovrintendente rivolgendosi alle guardie vicino al portone.
 
Faramir si voltò con sguardo sorpreso, aprendo le braccia per bloccare il piccolo dagli occhi verdi “Non dovresti farti vedere. Ne abbiamo parlato tante volte”
 
“Non mi interessa. Dove vuoi andare? Osgiliath è pericolosa, l’altra volta non mi ci hai voluto portare apposta. Devi rimanere qui con me” la supplicò con la vocina rotta dalla preoccupazione.
 
“Tornerò presto, adesso vai con Pipino e non far arrabbiare il sovrintendente” lo abbracciò con una tristezza tale da sentire una lacrima sulla guancia. Sapeva che non sarebbe tornato e che avrebbe stretto il bambino per l’ultima volta. Faramir addolorato approfittò di quel momento.
 
“Non voglio” si ribellò alzando il tono di voce, con gli occhioni sgranati e le labbra chiuse.
 
“Prendete quel bambino e portatelo via. Per troppo tempo ha distratto Faramir”
 
Prima che le guardie si avvicinassero al piccolo, Pipino si slanciò in avanti, completamente sbigottito “Lascia che me ne occupi io mio signore!” disse con voce preoccupata, scambiandosi uno sguardo d’intesa con Faramir che lo ringraziò mentalmente.
 
Draghetto anche se piccino era molto perspicace, si girò per contemplare l’ampia sala che luccicava come una collana di perle, sotto i raggi del sole che filtravano dalle finestre. Storse le labbra e strinse i pugni, non voltandosi nemmeno quando Faramir gli baciò i capelli. Era nervoso e presto avrebbe combinato una delle sue birbanterie.
 
Pipino si abbassò e lo afferrò dalle ascelle, ma il bambino incrociò le braccia ribellandosi “Vai via” sussurrò indispettito.
 
“Se dovessi tornare, considerami di più, padre” dicendo ciò Faramir lasciò a malincuore la sala, con gli occhi inumiditi ed il cuore che batteva velocemente.
 
“Faramir” il bambino, deluso si voltò vedendo il suo amico scomparire nel giardino, dietro l’albero bianco e il monte nero che si innalzava sulle nuvole in cielo.
 
“Questo dipenderà dal modo in cui tornerai”
 
Le guanciotte paffute di Draghetto divennero tante rosse da far preoccupare Pipino che, lanciando uno sguardo a Denethor lo trascinò dal polso “Vieni, andiamo da Eldihen. In fretta” disse guardando gli occhietti spuntare da dietro i ricciolini sulla fronte.
 
“Sei solo un cattivone” urlò ricevendo uno sguardo di sbieco da parte di Denethor che, seduto sulla sua sedia avvicinò il calice alle labbra.
 
“Andiamocene Draghetto” prima che il piccolo continuasse a parlare Pipino lo prese in braccio, ed anche se più o meno erano alti uguali, riuscì a bloccare i suoi movimenti, stringendogli le mani, ma non poté far nulla per farlo tacere “La tua faccia assomiglia al sederino di un gatto. Sei brutto ed invidioso, ecco perché sgridi sempre Faramir. Hai gli occhi storti e puzzi di cacca. Sai, nemmeno Boromir ti sopportava, e tutti ti evitano perché sei un deficiente!” il piccolo con la sua audacia fece sgranare gli occhi alla servitù e allo hobbit che, riuscì a tappargli la bocca prima ancora che Denethor lo punisse per le sue maldicenze. Svignarono fuori dal portone spalancato, sentendosi trafitti dalle iridi di Denethor che guardava Draghetto con astio.
 
“E hai il sedere grosso apposta metti sempre il mantello” gridò giunto fuori dal palazzo con Pipino che lo pregava di tacere.
 
 ♥ 
 
Epon volò sul cielo azzurro, roteando in aria liberamente, con le ali spalancate e gli occhi aguzzi. Superò la pianura, dirigendosi ad Osgiliath, proprio come gli aveva chiesto Eldihen e, dopo aver visto il battaglione proveniente dal grande fiume, l’animale si slanciò in aria e svelto tornò dalla ragazza.
 
Gandalf e Madeos osservavano le spalle dell’elfa che si era appoggiata ad un balcone di bianco marmo. Era intenta a scrutare Osgiliath, il fumo che saliva dalle case e la pianura che si estendeva per leghe. Si trovavano nel bastione affianco alla torre vedetta, vicino allo sperone roccioso a forma di chiglia di nave che si innalzava dal piazzale più basso di Minas Tirith, elevandosi fino al maestoso palazzo del re.
 
“Gli orchi hanno preso la città, ormai ci siamo” tremò e provò paura nell’osservare le legione di orchi. Anche se la città dei re era bellissima, con le sue costruzioni antiche ricoperte da materiali pregiati e  statue da togliere il fiato, Eldihen avvertì dentro di sé un terrore nascosto ed il sapore di vecchi traumi che riemersero alla vista degli orchi, facendola impallidire. Ricordò dell’attacco alla carovana, la sua corsa disperata e le bruttissime sensazioni che aveva assaporato e che tutt’ora stava sopportando. Tastò l’elsa blu e dorata, sperando che la spada potesse incoraggiarla, ma niente riuscì a placare l’ansia che saliva.
 
“La guerra è alle porte. Non temete ed armatevi di coraggio!” la voce decisa e impavida di Gandalf fece storcere il naso a Madeos che, pensando alla minaccia che si avvicinava trovò difficile rimanere sereno.
 
Eldihen quando vide Epon ritornare da loro, si voltò per incrociare lo sguardo dell’elfo che impassibile ricambiò. I capelli lunghissimi di lui venero mossi dal vento ed il suo volto dalla bellezza elfica si contorse in una smorfia di preoccupazione “Eldihen sei stata tu a voler venire a Gondor!” comprese benissimo l’agitazione celata dai suoi occhi azzurri e il pallore della sua pelle che sembrava esser evidenziato dai vestiti neri.
 
“Si lo so” abbassò il viso sentendo il vento fischiare come un grido disperato d’aiuto. Dunque era giunta la fine “Adesso vado da Legolas, voi badate ad Epon” si allontanò dalla staccionata sotto lo sguardo attonito di Gandalf che appoggiato al muro la guardò con stupore, fino a che la vide bloccarsi sui suoi passi, con la bocca schiusa e le mani tremanti “Quasi dimenticavo” disse Eldihen sentendosi pervasa dallo sgradevole odore di fumo proveniente da Osgiliath “Legolas non c’è” la tristezza della sua voce fece preoccupare Gandalf che vedendola divenire cupa l’affiancò.
 
“Legolas è lontano da te, ma c’è. Non devi farti pervadere dalla nostalgia” non riuscì a confortarla ulteriormente, la nube che si estendeva ad est era troppo grande e pericolosa, persino Gandalf si sentì minacciato, ma non demorse, voltandosi per accogliere Epon.
 
Lui sapeva interpretare benissimo i versi degli animali e quando il falco gli strinse il polso aprendo il suo becco, lo stregone si stupì, girandosi in direzione di Madeos che stava stringendo una spalla ad Eldihen.
 
“Rifugiatevi in fretta nella cittadella” disse serioso afferrando il suo bastone bianco.
 
“Che ti ha detto Epon?” chiese Eldihen spaventata dalla sua reazione. Lasciò l’elfo per prendere nelle mani il falco dalle zampe appuntite, lo accarezzò, guardando sotto il balcone i soldati avanzare lungo la stradina rialzata. Per una frazione di secondo i suoi occhi si posarono sulla macchia scura che si estendeva sulla mano. Eldihen angosciata sospirò, ricordando della lacrima all’interno del suo corpo, pareva fosse uno scherzo del destino. Lei a Gondor in balia di una guerra, minacciata ancora una volta da un incantesimo. Bizzarro.
 
Gandalf fece per avvicinarsi ma venne interrotto da un Pipino completamente agitato. Il piccolo hobbit aveva scostato Madeos sbattendolo letteralmente contro la roccia. Era tutto un fremito, con Draghetto che si stringeva alla sua uniforme con gli occhi arrossati. Il bambino piangeva disperatamente, singhiozzando, rosso in viso, con le gengive in bella vista e le manine sugli occhi gonfi.
 
“Peregrino Tuc”
 
“Gandalf” Pipino tremava dall’agitazione, senza dar peso allo sguardo curioso di Eldihen che aveva posato i suoi occhi sui nuovi arrivati “Faramir sta andando ad Osgiliath” quella semplice frase procurò uno stupore generale, facendo pietrificare Gandalf, Eldihen e Madeos che era appoggiato alla fredda roccia. Rimasero in silenzio a scambiarsi sguardi accigliati.
 
“Per tutti i diavoli!” esclamò Gandalf girandosi in direzione della città in fiamme.
 
“Non può essere. Draghetto non devi piangere” Eldihen come Gandalf lanciò uno sguardo alle rovine dinanzi a Minas Tirith rabbrividendo dinanzi ai fuochi accesi e ai rumori assordanti.
 
“Fai qualcosa nonnino” lo supplicò Draghetto, scivolando dalle braccia di Pipino. Strinse le gambe di Gandalf, aggrappandosi con le manine alla tunica bianca sporca sull’orlo.
 
“Prendete il bambino… io mi occuperò di questa faccenda… Eldihen” lanciò uno sguardo alla ragazza raccomandandole di prendere Draghetto e di tranquillizzarlo “Andate con Pipino a palazzo. Tu Madeos dirigiti al Gran cancello. Devo fermare Faramir” e detto ciò lo stregone si affrettò a lasciarli, scomparendo dietro l’architrave in pietra grigia.
 
 
 
 
 
Eldihen aveva un dolore insopportabile alla mano quando arrivò ai livelli inferiori di Minas Tirith, per rifugiarsi  con Draghetto vicino al fianco della montagna, in un posto isolato, composto da poche case immerse nella vegetazione. Era la lacrima a causarle quel maledetto bruciore, ma nonostante ciò si rimboccò le maniche, armandosi di secchiello e pala. Mescolò ghiaia, metallo, sabbia ed altre polveri insieme a dell’acqua fino ad ottenere una pasta grigia. Si arrampicò ad una casetta di pietra e intonacò completamente il muro, rimanendo aggrappata a delle scale in legno. Ogni crepa o fessura venne sistemata dalle sue abili mani e saltando dalla scaletta, senza badare al bambino, si chinò per prendere a terra delle pesanti travi in legno, adagiandole sulla superficie asciutta della parete.
 
Era affaticata, dovette rimanere un’ora in quel posto isolato, fino a creare dinanzi l’entrata dell’edificio che aveva trovato, una spessa recinzione, intrecciata da pesanti catene arrugginite. Guardò la sua opera sperando che il calcestruzzo asciugasse in fretta, visto che il sole non colpiva quel punto.
 
“Ma perché fai così?” Draghetto che stava tirando dalla coda i gatti le si avvicinò, incuriosito dalla costruzione che aveva creato Eldihen.
 
“Draghetto, faresti una cosa per me?” si chinò sul pavimento dal quale spuntavano dei ciuffetti di erba verde, posò la mano sulla spalla di Draghetto sorridendogli.
 
“Si!” rispose con entusiasmo con quel sorriso adorabile.
 
“Devi andare a chiamare tutte le donne ed i bambini piccoli. Falli venire qua che giochiamo ad un gioco bellissimo” disse carezzandogli le guanciotte.
 
 
“Si che bello. Ma Eldihen, questo posto è lontanissimo dalla città. Perché non andiamo a giocare vicino alla piazza?”
 
“Perché qua è meglio” sperò di convincerlo anche se lui non sembrò felice all’idea di rimanere distante dalla piazzaforte.
 
“E va bene… e mi dai un bacino?” chiese indicando la fronte.
 
“Vieni qua” lo abbracciò, lasciandogli dei grossi bacioni sulle guance lisce e calde.
 
“Così mi mangi però” iniziò a ridere. Sorrise e tirando un gatto dalla coda, superò i tre scalini per raggiungere lo spiazzo superiore e correre a richiamare tutte le donne e i bambini di Minas Tirith, sotto lo sguardo di Eldihen che divenne cupo all’improvviso.
 
Non si diede per vinta e, gettando la spada e la cintura a terra, cosparse la piazzola di cemento, fino a stenderlo completamente sulle travi in legno, creando in meno di un’ora un piccolo rifugio. Esaminò l’interno di quella casa abbandonata. Era abbastanza grande, faceva proprio al caso suo. Perse diverso tempo per fortificare il tetto e murare completamente le finestre, uscendo fuori con un secchiello pieno di chiodi appuntiti. Li cosparse sul cemento a terra come se fossero semi, lasciando scoperto un piccolo percorso. Stremata asciugò il sudore dalla sua fronte, ripulendosi le mani sui pantaloni. Solo allora, quando le ombre coprirono completamente l’aria, si accorse che la spada brillava come un gioiello antico. Si avvicinò a passi felpati ma prima di abbassarsi sotto l’alta siepe, la sua attenzione venne richiamata.
 
“Che stai facendo figliola?” era stato Gandalf a parlare. Eldihen si girò di scatto, i capelli imbrattati di calcestruzzo le ricaddero sul petto.
 
“Al Fosso di Helm le donne hanno trovato riparo dentro a delle grotte. Re Thèoden ha protetto il suo popolo, ma Denethor è diverso, ha mandato il suo stesso figlio alla morte” prese una pausa intuendo dagli occhi spenti di Gandalf che non era riuscito a fermarlo “Ho fortificato al meglio questa costruzione per accogliere tutte le donne di Minas Tirith. Il posto è perfetto, isolato dalla città. Troveranno riparo all’interno. Non credo che i nemici arriveranno qui, ma per prevenzione ho cosparso il pavimento di chiodi, lasciando un piccolo percorso per far passare la gente” disse prendendo dal secchio i chiodi per gettarli a terra, in modo da ferire eventuali nemici.
“Ed hai costruito tutto questo in così poco tempo?” Gandalf rimase fermo sull’ultimo gradino per esaminare il muro ricoperto di calcestruzzo e quella  specie di portone costruito con delle spesse tavole. A dir poco sbalorditivo.
 
“Ricordi che sono la figlia di un carpentiere?” Eldihen sorrise, nonostante il profondo vuoto che provava. Si sentì incompleta, svuotata. Legolas gli mancava come l’aria, ogni qual volta lo pensava sentiva lo stomaco contorcersi e la preoccupazione colpirla, fino a paralizzarla. Temeva per lui, ed anche se aveva paura della guerra, sarebbe rimasta lì a donare il suo aiuto, con la speranza di rivedere il suo grande amore, di poterlo abbracciare, di sentirlo stretto al suo petto.
 
“Io mi complimento con te ragazza. Sei determinata ed anche se Madeos è  contrario a ciò che stai facendo, sappi che io sono felice di averti qua, come aiuto” sorrise con un volto talmente raggiante da far commuovere Eldihen “Oh” notò a terra delle pesanti catene di metallo “E queste?” chiese stranito.
 
“Ho pensato di fortificare anche i cancelli. Sai, gli uomini sono molto indaffarati ed io potrei fare qualcosa a posto loro” spiegò avvicinandosi, attenta a non calpestare il composto appiccicoso a terra. Era pallida, con gli occhi gonfi e il viso scarnato. Gandalf la studiò, ma prima  di chiederle del suo stato, Eldihen lo anticipò “Faramir?”
 
“E’ andato a riprendersi Osgiliath” disse con rammarico. Non aveva potuto far nulla per  impedirlo. Eldihen si addolorò, pensando alla reazione del bambino.
 
“ Inizia la grande guerra”con capo chino meditò sulle conseguenze delle sue azioni, augurandosi di farcela.
 
 
 
 
 
“Sire Elrond” Legolas con cortesia chinò il capo dinanzi al signore di Imladris, gestendo le  innumerevoli preoccupazioni che lo tormentavano. Si era recato nel posto che gli aveva indicato Aragorn, immobile, con la luce forte delle candele negli occhi. A differenza della sua tenda, quella in cui si trovava era spaziosa, quasi come se fosse una  vera e propria camera, con tanto di letto e seggio.
 
“Legolas Thranduilion” Elrond sospirò e dopo un lungo silenzio prese la parola, avanzando lentamente sotto gli occhi dell’altro elfo “Mi hai chiesto di occuparmi di una ragazza” si bloccò corrugando la fronte. Comprese lo sguardo di Legolas e senza che lui si pronunciasse, continuò a spiegarsi “Immagino tu sappia che né lei, né il mio soldato sono giunti a Gran Burrone” ciò lo dedusse dal volto impassibile di Legolas che, sentendo quelle parole abbassò le palpebre pensieroso.
 
“Chiedo scusa, non pensavo accadesse questo” rispose brevemente perdendosi negli occhi grigi di Elrond.
 
“Ho chiesto a Madeos di vigilare su Eldihen, qualunque cosa accada, non temere, non l’abbandonerà” lo rincuorò. Le sue labbra erano dritte ed i suoi occhi profondi, risplendeva di una bellezza atemporale. Non pareva né vecchio, né giovane, il suo volto era limpido e segnato da esperienza, come un grande signore del passato.
 
“Spero lei stia bene” lasciò il nervosismo da parte, pensando ad Eldihen con massima preoccupazione. Aveva sbagliato a dirigersi a Gondor, più pensava, più temeva, celando le sue preoccupazioni nel cuore, dove nessuno avrebbe potuto vedere, anche se Elrond sembrò leggergli nel profondo.
 
“Ho guardato nel vostro futuro e vedo alcune cose pericolose. Lei rischia molto Legolas, e non mi riferisco alla guerra. Dentro  di lei vi è una presenza che minaccia la sua vita. Si sta spegnendo” usò un tono calmo, vedendo Legolas rabbuiarsi.
 
“Mi ha confessato di un sogno molto particolare in cui lei perdeva un nostro figlio. Da allora abbiamo scoperto della presenza di un incantesimo nel suo corpo. Una lacrima nera” disse a bassa voce, aggrottando le sopracciglia più scure rispetto ai capelli chiarissimi. L’agitazione trapelò dai suoi occhi azzurri, raggiungendo il signore di Imladris.
 
“Questa lacrima di cui parli  le sta risucchiando le forze. E’ un sacrificio da pagare e se non risolverà presto la vicenda, penso che non perderà nessun bambino, ma perderà la vita. Deve piangere la lacrima dagli occhi, questa è l’unica soluzione per annullare l’incantesimo” spiegò accigliato, scrutando il terreno e poi Legolas che attento seguiva il suo discorso “Ma è strano che se ne sia accorta, come ha fatto?” chiese stupendosi. Per Elrond era stato facile comprendere ogni cosa, avendo il dono della preveggenza. Sapeva molto più di Legolas, ma preferì non approfondire l’argomento, era meglio tenere l’elfo tranquillo, già la guerra sarebbe stata pesante da affrontare, non avrebbe di certo aggravato la situazione.
 
“Possiede una spada. Lei crede che sia per via di questo oggetto, ha sempre sostenuto di vedere alcune cose assai particolari”
 
“Di oggetti magici ce ne sono molti nella Terra di Mezzo, ma è difficile comprenderli e dal quel che sento, lei ha interpretato bene le visioni avute”
 
Legolas rimase in silenzio. Aveva lottato per vederla in salvo, ma a quanto pare il destino remava contro loro, minacciandoli. Non immaginò la morte di Eldihen, era talmente teso che la sua mente si rifiutò di accettare quel pensiero e, con uno sforzo immane, riuscì a rimanere composto dinanzi a re Elrond, anche se in realtà stava soffrendo. Ogni sua azione era stata vana e Legolas prendendone atto si sentì mortificato.
 
“Non temere perché c’è ancora speranza” lo incoraggiò Elrond, camminando lentamente lungo il perimetro della tenda, con il mantello nero che trascinava ad ogni spostamento “Una cosa si deve verificare. Il futuro è incerto” meditò tra sé e sé, rivolgendo un’occhiata a Legolas che pensieroso aveva stretto le spalle ed abbassato gli occhi su un punto a terra “Legolas c’è altro…” tornò ad avvicinarsi quando finalmente gli occhi dell’elfo lo guardarono “Re Thranduil è venuto a conoscenza di questa ragazza e ha chiesto molte informazioni su di lei. Io conosco i genitori e, ti garantisco che proviene da una famiglia rispettabile” era molto attento al suo popolo, ed anche se Eldihen era stata poco tempo a Gran  Burrone, il re la considerava sua cittadina e come tale l’avrebbe difesa “Tuo padre non sembra felice all’idea di accogliere la figlia di un carpentiere. Desidererebbe una principessa per te, ma arrivati a questo punto non credo ci sia molto da fare” era intuibile l’amore che Legolas nutriva per la ragazza, nemmeno il sovrano di Bosco Atro avrebbe potuto cambiare i suoi sentimenti “Non si aspettava nemmeno che ti unissi alla compagnia. Ha chiesto molto di te, ed io da padre quale sono, l’ho compreso, informandolo di ogni cosa”
 
“Sire Elrond io capisco perfettamente, ma è anche vero che mio padre non può gestire la mia vita. Non lo permetterei, e per quanto io lo ami e lo rispetti, dovrebbe capire che il mio cuore non può esaudire la sua volontà e nemmeno la mia.  I sentimenti non si possono gestire con razionalità” concluse mostrandosi per una frazione di secondo senza barriere, con gli occhi profondi. Non il guerriero letale, ma l’elfo saggio e profondamente innamorato. E i suoi occhi in quel momento sembrarono parlare, esprimersi liberamente senza freni dinanzi a Elrond.
 
Il re rimase in silenzio, stupendosi dinanzi alla sua determinazione. La sua confessione non lo aveva affatto destabilizzato. Legolas sapeva cosa voleva e non si sarebbe fermato al primo ostacolo, anche se Elrond comprese che la volontà di Thranduil non rappresentava una minaccia per lui. Lo ritenne saggio e responsabile “Ciò che hai detto è vero. Tutti sanno dell’amore che nutre mia figlia per Aragorn. Loro due non sono stati i primi ad innamorarsi pur appartenendo a due razze diverse. Confesso che avrei voluto che Arwen partisse per le Terre Immortali ma…” si fermò trattenendo il respiro sotto gli occhi increduli dell’elfo “Desidero felicità per lei e, l’unica cosa che posso augurarmi è che Sauron venga distrutto e che i vostri sogni si concretizzano. Poco importa del rango o della razza dei vostri compagni, l’importante è che vi amiate, in pace, come i vostri cuori desiderano” l’augurio di sire Elrond fu bellissimo ed incoraggiante, tanto da far cambiare espressione a Legolas che annuendo curvò leggermente gli angoli della bocca in un debole sorriso.
 
Dal tono che aveva usato, Legolas dedusse che Elrond avesse finito il suo discorso, ma si sbagliò. Il sovrano arricciò le labbra, apparendo serio, al punto da far corrugare le sopracciglia all’elfo che si chiese cos’altro volesse dirgli, fino a che ascoltò la sua voce profonda.
 
“Eldihen è sola. I suoi genitori non ci sono e a parte te non ha nessun altro in queste terre”
 
“Eldihen ha me” disse senza titubanze, drizzando la schiena, con la mano appoggiata all’arco e il mantello che lo copriva dal freddo della notte.
 
“E me” puntualizzò piegando il viso “Non abbandonerei mai un’abitante del mio regno, tengo molto al mio popolo e conoscendo Ingin, non riuscirei mai ignorare i bisogni di sua figlia”
 
“Con me Eldihen godrà di ogni bene, ed anche se è avventata come hai potuto notare mio signore e molte volte mi fa innervosire, io tengo molto a lei. Mi è cara”
 
“Lo so” Elrond sembrò comprenderlo a pieno e nel guardarlo si tranquillizzò “Aa’ menle nauva calen ar’ ta hwesta e’ ale’quenle Possano le tue strade essere verdi e possa il vento accompagnarti”
 
Si salutarono entrambi, con la mano sul petto e il capo chino, sperando di rivedersi, non in un accampamento, ma alla fine della guerra.
 
Fuori nel campo aperto, sotto il cielo stellato ed il perpetuo canto dei grilli canterini, gli uomini erano riuniti vicino ai fuochi accesi. Molti si spostavano indaffarati, per sistemare le armi e le tende con chiodi al terreno, intonando alcune canzoni antiche, che narravano storie di guerre sanguinarie, di nemici oscuri e di giorni felici. Legolas che era rimasto seduto dentro la sua tenda, ascoltava i movimenti dei cavalieri e l’incedere dei cavalli, immerso nel buio della notte, con un Gimli stanco fuori dalla soglia, seduto su un ceppo, con l’ascia vicino ai piedi.
 
Tra le risate udite, l’elfo rievocò quella di Eldihen e, guardando il sentiero illuminato dalla luce dei falò, pensò a quanto sarebbe stato  bello poterla vedere spuntare da lì, con il suo sorrisetto furbo e gli occhi allegri, ma i suoi sogni svanirono alla vista di un uomo che si avvicinava trainando un carretto. Si sentiva nervoso sapendo Eldihen a Gondor, ed anche arrabbiato, ma quelle sensazioni passarono in secondo piano  dinanzi al forte sentimento che bruciava in cuor suo “Si sente la tua mancanza” allungò le dita per afferrare la lettera che aveva adagiato su una sedia lì vicino, con gli occhi sul foglio bianco. Annusò in silenzio il profumo fruttato che emanava la busta, girandosela tra le mani. Si fermò e prima di aprirla chiuse gli occhi, per rilassarsi profondamente. Eldihen. Quella lettera sapeva di lei.
 
“Mi fai sempre arrabbiare…” aprì la lettera, pronto a leggerla senza più sentire la collera che inizialmente gli aveva  annebbiato la mente. Aprì il foglio  ed i suoi occhi si persero in quelle righe nere, scorrendo velocemente con lo sguardo avanti e indietro. Con le dita che tastavano la carta ruvida, seduto con le gambe divaricate e la tunica slacciata al collo.


“Lo so amore. Posso immaginare quanto tu sia nervoso. Mi hai sempre protetta, da ogni cosa, come se io fossi un piccolo pulcino incapace di volare. Mi hai guidata, amata, consolata con tutto il tuo amore, dal primo giorno in cui ci siamo visti. Ho sempre pensato che nella sventura sono stata fortunata ad incontrarti, perché sei semplicemente perfetto. Leale come pochi, affettuoso e sensibile. I tuoi occhi mi fanno sempre venire i brividi e guardandoti ed ammirandoti mi sono sentita sempre piccola a tuo confronto, e ho sempre pensato che io non ti meritassi, perché finivo sempre per farti soffrire, anche contro la mia volontà. Ci ho sofferto anch’io, ed anche se sono stata custodita sotto la tua ala protettrice, in cuor mio ripetevo di continuo che anch’io un domani per te avrei fatto lo stesso, anch’io ti avrei dimostrato il mio amore, per sostenerti, per farti comprendere la profondità del mio sentimento, che coinvolgente e profondo è riuscito a cambiare la mia vita in meglio. Per cui amore mio, adesso lasciami stare a tuo fianco in questa guerra. Non sarei mai potuta scappare, perché è giunto il momento di spiegare le ali e camminare da sola, iniziare a fare qualcosa per te e per tutte le persone che mi vogliono bene. Lasciami volare. Non mi vedere più come un pulcino, accetta il mio cambiamento ed abbi la forza di perdonarmi per la preoccupazione che stai sentendo. Comprendimi. L’amore vero è senza limiti, ma sa limitarsi, per andare incontro all’altro, per rispettare la libertà dell’altro¹. Accetta questo mio gesto, perché io per te darei la vita… senza di te nulla avrebbe alcun senso. Non ci sarebbe stata nessuna consolazione per me ad Imladris. Casa mia è dove sei tu. Quindi se questa guerra dovrà dividerci, io un domani potrò dire di esserci stata, per te, perché ti amo e non rimpiangerò nulla.
Per sempre tua. Eldihen”

 

Rimase fermo sullo sgabello, con gli occhi inchiodati alla lettera, le mani sul foglio, il respiro corto, le labbra incurvate in una leggera smorfia. Si sentì pervaso da una tristezza infinita, una nostalgia che prendeva vita ogni qual volta il suo sguardo ricadeva su quelle righe e, nel buio della notte  anche il suo cuore sembrò inquietarsi. Le emozioni si mischiarono fino a fargli alzare gli occhi, sconcertandolo. Si chiese cos’avrebbe dovuto fare vista la situazione. Era preoccupato e allo stesso tempo ansioso di rivedere Eldihen. La voleva rimproverare ed abbracciare. Vederla arrossire quando lui si avvicinava un po’ di più e sentirla vicina. I ciondoli di stoffa che scendevano dalla tenda, schermavano la luce dei fuochi, creando un’atmosfera intima, nella quale Legolas si rifugiò. Il profilo oscurato dal buio e la luce dei suoi occhi ad illuminargli il volto.
 
“L’hai letta infine” Gimli che era rimasto fuori per tutto il tempo, scostò con la sua ascia la tenda, fissando l’elfo con una curiosità che gli brillava negli occhi nocciola.
 
“Si” rispose evasivo senza sbilanciarsi più di tanto.
 
“Sei teso” lo dedusse dal modo in cui era seduto: le braccia stese sui braccioli della sedia e la mano a sostenergli il viso. La tunica verde era leggermente aperta e la cintura di cuoio allentata. L’arco lontano dalla sua portata, gettato sul tappeto intrecciato. Gimli osservò il taglio sfilato degli occhi e le trecce bionde che si univano dietro la nuca.
 
“Io non so più che fare con lei” confessò con voce sincera stringendo i denti “Praticamente si trova nella tana del lupo. Gondor” Fissò la stoffa della tenda, che rifletteva le ombre dei cavalieri fuori, immaginando i pericoli che la ragazza avrebbe potuto correre, le ombre che strisciavano verso lei “Che devo fare per sistemare questo disastro?” si chiese allentando la presa sul foglio. Sospirò, fissando gli stivali sporchi di fango.
 
“Calmarti ed ascoltami giovanotto”
 
Legolas si voltò, chiedendosi cosa intendesse il suo amico, fino ad esaminare la sua barba increspata, l’armatura un po’ stretta e gli occhi luccicanti sotto l’elmo intagliato.
 
“Lei ti ha sempre detto di non volersi allontanare da te. Avete spesso litigato e tu ti sei mostrato categorico. Non si poteva ragionare”
 
“Io ho agito per il suo bene. Se la situazione non fosse così grave l’avrei fatta rimanere, ma siccome la guerra è imminente ed Eldihen non è in grado di affrontarla le ho detto di andare a Imladris”
 
“Più che dirglielo glielo hai imposto!” precisò Gimli afferrando tra le mani le corde che ostruivano il passaggio “Non l’hai mai ascoltata. Ciò che sto dicendo non è per giustificarla, non fraintendermi. Credo però che se aveste parlato accentando i vostri punti di vista differenti, entrambi avreste sicuramente trovato un punto di incontro e lei a quest’ora sarebbe qua con te o a Rohan, non a Gondor. Non so che le sia saltato in mente onestamente” concluse muovendo qualche passo in sua direzione.
 
Legolas ammutolito alzò gli occhi per guardare Gimli, poi li abbassò sulla lettera. Era vero che loro due non avevano chiarito tranquillamente la vicenda trovando un compromesso, ma lui non poteva avere dei rimorsi, no “Gimli è andata a Gondor…” forse l’amico non aveva ben chiara la situazione.
 
“So quel che vuoi dire tu, e non posso di certo dirti di non preoccuparti. Pensa che c’è Gandalf con lei” disse per riprenderlo dallo sconforto.
 
“C’è anche Mordor”
 
“Ma presto noi saremo a Minas Tirith ed ogni dubbio svanirà, quindi esci da lì e vieni con me perché c’è un altro zuccone che mi sta facendo preoccupare stasera” sospirò lasciando oscillare i ciondoli avanti e indietro, fino ad ottenere la completa attenzione dell’elfo che, spiazzato da quell’ultima frase, riagganciò la foglia di Lorien al mantello, alzandosi in piedi, con i capelli sparsi sulla veste e l’espressione sbigottita.
 
“A cosa ti riferisci?”
 
“Aragorn, se ne sta andando. Abbiamo del tempo, lascia da parte questa faccenda, anche se so che resterai inchiodato con la mente lì, ma bisogna sbrigarsi” si fece serio, poggiando l’ascia alla sua spalla, con i baffi dritti e gli occhi vigili.
 
 
 
 
 
“Perché fai questo la guerra è a est. Non puoi andare via la vigilia di una battaglia. Non puoi abbandonare i tuoi uomini” Eowyn girò intorno ad un albero di ulivo, calpestando il fango a terra, incurante degli uomini che la guardavano con curiosità, dell’indifferenza di Aragorn che sistemava il suo cavallo, con il capo chino, senza considerarla, quasi si vergognasse ad incrociare il suo sguardo.
 
“Eowyn “ mormorò evitandola. I capelli gli ricaddero sul viso, come una tenda che celava alla donna la sua espressione dispiaciuta. Sistemo Brego, fino a stringere le briglie, pronto a recarsi dentro alla montagna che tanto temeva.
 
“Ci occorri qui” trattenne a stento le lacrime. In realtà occorreva a lei lì, non accettò la separazione imminente e, pur intuendo che Aragorn non ricambiasse i suoi sentimenti, perseverò, sperando fino all’ultimo di essere amata come lei desiderava. Ma quegli occhi verdi stavolta la guardarono con pietà. Stavolta le parlarono sinceramente. La speranza morì. Tremò, mentre i brividi percorrevano la sua pelle candida ed Eowyn dentro di sé ascoltò la voce della sua coscienza rimproverarla. Era arrivata all’estremo, per un uomo che non l’amava.
 
“Perché sei venuta Eowyn?”
 
“Non lo sai” sentì la bocca asciutta e lei parlò senza nemmeno riflettere, con il cuore in mano, sperando come una sciocca, anche quando non vi era più nulla da sperare.
 
“E’ solo di un’ombra e di un pensiero che sei innamorata. Non posso darti quello che cerchi”
 
Si sentì cadere a terra, come se l’avessero spinta contro una parete con cento chiodi a trafiggerle la schiena. Indietreggiò, quasi impaurita dall’uomo che aveva amato con tanto ardore, quell’uomo che aveva infranto i suoi sogni e che con quelle parole l’aveva affondata. I sogni si infransero, ed ad Eowyn rivennero in mente le parole di Eldihen, i suoi avvertimenti, i suoi consigli. Aveva ragione la sua amica, era stata lei una sciocca ad illudersi, divenendo sorda e cieca. Ed adesso era ferma, in balia dei suoi sentimenti e del vento gelido che le sfiorò le guancie come una dolce carezza.
 
“Eldihen mi aveva detto di non pensarti. Eldihen lo sapeva ed ha cercato di proteggermi, ed io non volevo ascoltarla. Ho ignorato i suoi consigli. Ed ecco il prezzo da pagare, mi tocca assaporarne l’amarezza e l’infelicità. Avrei dovuto ascoltarla, per evitare di soffrire” mormorò abbassando lo sguardo tra i cespugli a terra che tanto gli ricordavano il verde degli occhi di Aragorn.
 
“Ti ho augurato gioia sin da quando ti ho vista” con una carezza gentile la salutò, immaginando quanto potesse soffrire a causa sua. Aragorn si sentì infelice, ma prima o poi sarebbe arrivato quel giorno. Voltò le spalle, prendendo il cavallo dalle redini, scomparendo dalla vista di Eowyn che si strinse le braccia, quasi a simulare l’abbraccio mancato dell’amica.
 
Mentre avanzava verso la sua meta, con il capo abbassato e gli occhi che fissavano una volta gli uomini, una volta le fiaccole, Aragorn si bloccò, incontrando nel crocevia Nihil, che come lui avanzava dubbioso, con un’espressione cupa. L’elfo lo guardò con imbarazzo. Teneva le mani dietro le spalle, il viso abbassato, aspettando che fosse il ramingo a parlare, lui non sarebbe riuscito a dire una parola dopo ciò che era accaduto.
 
“Non pensavo di vederti!” ammise sorpreso l’uomo.
 
“Non lo pensavo nemmeno io. Aragorn perdonami ti ho deluso” serrò le palpebre per evitare di guardare gli occhi verdi del suo unico amico, di colui che l’aveva soccorso in quegli anni bui, nonostante i dissapori con Legolas.
 
“Non è a me che devi chiedere scusa. Anche se il tuo comportamento mi ha parecchio sorpreso. Mi fidavo Nihil” sottolineò velando un rimprovero sotto il tono pacato.
 
“Lo so. Sono venuto qui portando alcune armi. Eldihen mi ha chiesto di aiutare e…” si fermò, scorgendo gli occhi incuriositi di Aragorn che sentendo nominare la ragazza si irrigidì, quasi come se avesse scoperto dell’esistenza di chissà quale creatura sovrannaturale.
 
“Eldihen”
 
“Già. Ma Legolas ti spiegherà meglio, ti posso dire solo che lei si trova a Gondor e che non vi ha voluto lasciare” confessò con il mantello che gli faceva da scudo contro le occhiate dei cavalieri che si sporgevano dalle tende per curiosare.
 
“Cosa?” rimase impressionato e, sotto l’ombra della montagna meditò. Brego si voltò con la testa, come se avesse percepito la sua preoccupazione, in realtà Aragorn era teso, sia per ciò che avrebbe dovuto fare, sia per Eldihen. Non ci voleva.
 
“Aragorn” Nihil strinse il suo braccio, allacciando un altro sguardo con Aragorn, intenso, pieno di determinazione, quanto la stretta delle sue dita fredde che scivolarono fino al polso del ramingo. I suoi occhi azzurri pallidi si accesero, catturando l’interesse del suo interlocutore “Io voglio combattere. Io voglio riacquistare il mio valore. Concedimi di seguirti in battaglia” la voce dura e decisa fece stendere le labbra all’uomo.
 
“Non è in mio potere. Il tuo principe cosa dice?”
 
“Ed in che modo vorresti riacquistare il tuo valore?” Legolas camminando sul sentiero stretto si fermò, con la corda dell’arco tra le dita. Una nuvoletta bianca uscì dalla sua bocca. Le spalle aperte, sotto l’armatura in cuoio che gli copriva le clavicole, il petto in avanti, i capelli biondo-chiaro ad incorniciargli il volto fiero, impreziosito da due iridi azzurre, più profonde del mare e della volta celeste.
 
Nihil curvò il volto sostenendo lo sguardo attento del suo principe, senza smuoversi dal punto in cui era, immerso nel prato insieme ad Aragorn. Fu quasi intimorito alla vista del suo signore. Non voleva discutere, ma confrontarsi, chiarirsi. Abbandonare l’ascia di guerra e mettere pace tra loro “Combattendo. Come in passato. A costo della mia vita” voltò le spalle ed il suo mantello nero ondeggiò, lasciando scoperta la tunica blu “Non ti ho forse servito in passato?”
 
“Non lo nego” la sua voce era priva di astio. Decisa ed autorevole. Trapelò una nota più dolce rispetto al solito e Nihil se ne accorse, rallegrandosi intimamente.
 
“Te la senti di concedergli un’ultima possibilità?” Aragorn alzò l’indice, muovendo un passo in direzione dell’amico, con gli occhi accesi da una luce alquanto particolare, che Legolas colse inaspettatamente.
 
Corrugò le sopracciglia come a chiedergli che intendesse. Rispose l’arma dietro la schiena, insieme alla faretra, incrociando meccanicamente le braccia “Che hai in mente?” sospettava qualcosa e si fidava di Aragorn, specie quando i suoi occhi risplendevano come in quel momento. In cuor suo temeva che Nihil potesse combinare qualche malefatta, ma era anche vero che non aveva molte alternative visto la presa di posizione durante la battaglia con gli Ent. Sauron era sicuramente venuto a conoscenza del suo gesto.
 
“Stasera ho appreso una notizia” guardò Legolas e quando l’amico lo incitò  a continuare con un cenno lui proseguì “Nihil potrebbe fare proprio a caso nostro” Aragorn gli poggiò la mano sulla spalla, dopo avergli lanciato uno sguardo carico di determinazione “Ascoltami tu dovrai….”
 
 
 
 
 
Sotto il cielo cinereo e le urla della gente impaurita Eldihen si issò sull’alto cancello e con la cintura stretta alla vita si arrampicò su una scala in legno, con Pipino che la sorreggeva, mentre lei munita di chiodi e martello attaccava al portone di metallo delle spesse catene, inchiodandoli su una sbarra formata per metà di metallo, per metà di legno di ilice. Aveva utilizzato i materiali più resistenti per irrobustire i cancelli, i ponti e costruire quel piccolo rifugio vicino al monte, con la speranza che Draghetto avesse richiamato le donne ed i bambini. Teneva stretto nel dente un chiodo arrugginito e, sentendo tremare il terreno sotto i piedi si bloccò, con la mazza a mezz’aria.
 
“Pipino che succede?” chiese con voce preoccupata reggendosi da una piccola fessura.
 
“La gente sta fuggendo. Gli orchi sono vicini Eldihen. Una grande milizia sta giungendo a Minas Tirith” dal timbro di voce del piccolo Hobbit la ragazza intuì che anche lui era agitato quanto lei e, con l’unico pensiero di fortificare al meglio il portone, passò dalle sbarre di ferro delle catene spesse, facendole arrivare sul pavimento in pietra. Si strascinò contro il telaio per fissare al meglio la piastra di rinforzo e, nell’inchiodare l’angolo, si ferì alla mano in cui era caduta la lacrima, notando che la macchia nera si era estesa fino al polso. Gemette sostenendosi dalla scala, per evitare di cadere a terra.
 
“Eldihen scendi. Hai rinforzato il cancello,  scappiamo a palazzo. Gli orchi sono già qua!” Pipino urlò voltandosi sulla piazzola affollata, verso la gente che correva lungo la salita in pietra, oltre l’arco che si affacciava alla grande fontana.  Il panico regnava sovrano per quelle vie. Le nuvole grigie non presagivano nulla di buono.
 
“Adesso scendo. Devo passare l’ultima catena. Solo questa” afferrò con un tintinnio assordante la catena di ferro, attaccandola al gancio sulla porta, in seguito, appoggiando i piedi sui gradini scricchiolanti della scala raggiunse Pipino.
 
“Sei ferita”notò la macchia nera ma prima di commentare, Eldihen si coprì con l’altra mano, stringendo bene i lacci del bustino.
 
“Non è nulla, non sono riuscita a reggermi bene e mi sono fatta un po’ male, nulla di che” non riuscì a guardare gli occhi dello hobbit, poiché gli spostamenti della gente la distrassero. Correvano come se intorno a loro avanzassero fiamme, in balia del terrore, tra i pianti e le urla disperate.
 
“Aprite il cancello” si levò una voce dal ponte superiore. Era un soldato con una spessa armatura argentata “Presto! Presto! In fretta”
 
Eldihen si spostò, intimando allo hobbit di fare lo stesso e, quando le porte si schiusero, lasciandole intravedere l’esercito che marciava contro loro la ragazza rimase pietrificata, come se un fulmine l’avesse trafitta, ma la scena che le provocò maggiore scalpore fu quella successiva, quando Faramir, trafitto da due frecce, con gli occhi chiusi e il viso completamente insanguinato entrò dentro la magnifica piazzola, trainato da un piede dal suo cavallo scuro.
 
“Faramir” Pipino si gettò a terra, ignorando gli ordini dei cavalieri che l’avevano allontanato per chiudere le porte.
 
L’elfa guardò il viso deformato di un orco pallido provando ribrezzo e rabbia, fino a che i cancelli si chiusero di nuovo e lei dovette rimanere immobile, osservando l’uomo in fin di vita a terra “La pagheranno. Per tutto!” ripensò a ciò che le era successo, a tutte le persone che avevano sofferto per via di quelle bestie, lisciando con una mano il volto di Faramir che respirava flebilmente. La pelle era bianchiccia e le labbra di un color violaceo tendenti al blu. Trattenne le lacrime, affiancando l’amico a terra. I suoi occhi si inumidirono. Strinse i pugni, ascoltando i passi dei soldati, i pianti incensanti dei bambini e di Pipino. Il suo pensiero si era come congelato e, in cuor suo, nonostante la profonda paura si accese una luce. Una luce nell’ombra e lei quando riaprì gli occhi, vide di nuovo la lama della sua spada illuminarsi, come a dargli coraggio. Rimase allibita. Era come se ci fosse una connessione tra i suoi pensieri e la spada. La toccò, stringendo la mano dell’uomo a terra.
 
“Portatelo a palazzo” ordinò un uomo dai capelli lunghi e biondi, lanciando uno sguardo di commiserazione a lei e allo Hobbit.
 
 
Camminavano tutti in fila dietro Faramir che era steso inerme su una barella. Lo sguardo di Eldihen cadde sull’albero bianco risecchito, con i rami spioventi da un tono tendente al grigio, quasi come il cielo che ricopriva le loro teste. Pipino non era con lei. Da guardia della cittadella aveva raggiunto sire Denethor ancor prima che Faramir entrasse nel giardino. Eldihen era sola, con i capelli malamente legati all’indietro, la mano nera ed il fiatone. Quei gradini erano veramente ripidi, per non parlare della terribile salita e di tutte le persone che l’avevano strattonata come un sacco di patate. Strappò velocemente un  drappo della sua camicia e fasciò la mano con altrettanta velocità.
 
“Faramir” Le porte del palazzo si aprirono e da lì uscì Denethor agitato come non si era mai visto, seguito da una schiera di soldati e di uomini. Eldihen individuò senza molta difficoltà Pipino e il piccolo Draghetto che si agitava tra le braccia di Madeos.
 
“Fratellone” gridò il bimbo disperatamente con la voce rotta dal pianto.
 
“Non ditemi che è morto” i capelli brizzolati ondeggiarono, le mani tremarono dinanzi il figlio. Denethor si sentì morire e disperato si inginocchio, per toccare il volto di Faramir con una smorfia di tristezza che impressionò Pipino.
 
“Erano inferiori di numero, nessun sopravvissuto”
 
“Lasciami… lasciami o ti tiro i capelli” Draghetto non voleva saperne di starsene buono. Diede un calcio all’elfo, allungando le manine sulla chioma corvina.
 
“Rimani tranquillo” Madeos lo appoggiò a terra e il bambino corse incontro a Faramir, trascinandosi con le ginocchia sulla barella, con gli occhi pieni di lacrime e il naso gocciolante.
 
“Sveglia. Sveglia. Sveglia. Non puoi dormire” adagiò le manine sulla fredda armatura, poi sulle guancie pallide, lisciando la barba biondiccia.
 
“I miei figli si sono spenti. La mia stirpe è finita” il sovrintendente indietreggiò con gli occhi inchiodati al figlio morente ed alle mani di quel piccolo bambino che inginocchiato a terra lo accarezzava, come se avesse perso un padre.
 
Pipino affiancò Draghetto, sotto l’ombra dell’albero bianco e gli occhi curiosi dei presenti. Toccò la fronte di Faramir e speranzoso ricercò il suo battito nel collo, con il cuore pieno di ansia e la mente rabbuiata. Delle flebili pulsazioni lo rincuorarono, facendogli mutare espressione “E’ vivo”
 
Draghetto singhiozzò e, felice della lieta notizia imitò Pipino, spostandogli le mani  “Anch’io voglio sentire” appoggiò le orecchie sull’armatura per percepire il battito del suo cuore “Non si sente però” alzò la testa piangendo, con il viso contorto da una smorfia.
 
“Non ti preoccupare. Va curato signore!”
 
Eldihen era immobile dinanzi alla balaustra, con gli occhi spalancati ed il cuore in subbuglio. Era una scena raccapricciante e orribile: l’esercito avanzava e si spiegava su tutta l’ampia pianura. Erano moltissimi, tutti suddivisi in grandi unità, in groppa a dei mannari. I troll spingevano delle torri corazzate e gli orchi lanciavano frecce contro gli uomini sui pontili, senza alcuna pietà. Sentì quell’odore di sangue, la paura e le urla dentro la sua testa.
 
Denethor accusò Thèoden per ciò che stava accadendo, suggerendo ai soldati di abbandonare le loro posizioni, ma Gandalf intervenne lanciandogli un colpo in testa con il suo bastone. Era giunto il momento di combattere ed Eldihen terrorizzata comprese solo in quell’istante la ragione per cui Legolas l’aveva spedita  ad Imladris.
 
“Eldihen” Madeos si avvicinò con Epon sulle spalle. Ormai il falco si era abituato a loro e seguiva i comandi alla lettera. La girò da un braccio, guardando il suo viso  pallido “Hai paura” il suo risultò un rimprovero più che una costatazione “Vedi? Saresti dovuta partire. Lo capisci adesso?”  preso dalla collera le afferrò il polso, contorcendo le labbra e quel neo che tanto gli donava.
 
“Perché tu non hai paura?” chiese distogliendo lo sguardo dall’esercito sotto le mura. Pipino era corso contro di loro, assistendo in silenzio alla scena.
 
“Io sono un guerriero e so come comportarmi. Dimmi tu cosa faresti adesso? Che utilità hai qui?” chiese con un tono di rimprovero, velato da un arroganza che Eldihen colse subito. Si guardarono negli occhi, entrambi innervositi per motivi differenti. Lei indignata da quelle parole e lui certo delle sue idee.
 
 Pipino abbassò il volto sentendosi in parte toccato da quella domanda. In verità Madeos non aveva tutti i torti. Lui ed Eldihen che utilità avrebbero avuto in quella guerra? Anche se di due razze diverse condividevano lo stesso destino e le stesse virtù. Due persone semplici che stonavano in un contesto come quello.
 
“Io non sono una guerriera. Non sono brava a combattere ed in questo momento ho paura, molta paura. Ma se io sono qui è perché voglio dare il mio contributo, perché questo esercito si sta per scagliare contro la città, contro le persone che amo ed io non posso starmene ferma ad assistere, non posso starmene in un angolo al sicuro, quando gli altri invece rischiano la vita per me. Non so che utilità avrò Madeos, ma sta certo che io aiuterò queste persone come posso. Tutti possiamo dare una mano. Anche la persona più semplice ha la sua utilità, ricordatelo sempre. Ed io farò di tutto, anche se non sono in grado di combattere, ma ci sarò, a spostare le pietre della strada se questo potrà avvantaggiare queste persone, anche ad aiutare i bambini e gli ammalati. Sono disposta a dare anima e corpo perché ho imparato molte cose sia dai miei amici…” fino a quel momento aveva retto lo sguardo di Madeos che attonito l’ascoltava, ma quando gli rivenne in mente il volto di Legolas, Gimli, Eowyn ed Aragorn la sua voce tremò “Mi sono sentita protetta da colui che io amo. E giunto il momento che faccia qualcosa in cambio. Come sarei potuta andare ad Imladris quando le persone della mia vita sono minacciate da queste bestie?” indicò l’armata nemica con un cenno di capo “Sai cosa farei Madeos? Ogni cosa per loro” la sua voce era sincera e piena di emozione, tanto da rianimare il piccolo hobbit che trovò coraggio ed annuì ad ogni parola.
 
“Eldihen ha ragione” confermò Pipino.
 





L’amore vero è senza limiti, ma sa limitarsi, per andare incontro all’altro, per rispettare la libertà dell’altro¹(Citazione Papa Francesco)


Note autrice:
Ce l’ho fatta, menomale…. È tardissimo, ma nonostante la stanchezza ho deciso di aggiornare, per evitare ritardi. Vi è piaciuto? Che ne dite? Mi scuso per gli eventuali errori ho rivisto velocemente il capitolo. Confesso che sono un po’ di fretta.
Riguardo gli aggiornamenti: confermo il venerdì
Ps: lo sapete che mi fa un sacco piacere ricevere i vostri commenti… grazie di cuore <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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