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Autore: robyzn7d    14/08/2021    4 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VI 
Vulnerabile  
 
 
 
 
 
 
 
 
Nami aveva portato tra le braccia una Rin insonnolita all’interno della sua camera. La bambina aveva ceduto dentro quell’abbraccio con ancora gli occhi lucidi. 
Una spadaccina combattiva lo era stata di sicuro, ma rimaneva pur sempre una bambina di dieci anni, e come tale aveva i suoi limiti dovuti all‘età. É vero, saper combattere a quel modo già da bambini si poteva considerarla una grande fortuna in un mondo come quello, e Nami lo sapeva molto bene che le sarebbe stato senz’altro utile per non farsi mettere i piedi in testa da nessuno, però, sentiva che doveva anche respirare, perché questa dedizione costante avrebbe potuto influenzarla in modo definitivo finendo per sottostare a una condizione oppressa in cui non avrebbe potuto vivere liberamente le emozioni. 
Nami lo aveva capito che dentro Rin c’erano due anime che si scontravano continuamente, da un lato voleva essere forte a tutti i costi, e lo era stata, una guerriera che dimenticava di essere una bambina; dall’altro lato c’era un bisogno costante di vivere la sua fragilità ed essere/diventare sé stessa. 
Una volta messa a letto le sciolse i capelli corvini e la ricoprì fino alle spalle con il lenzuolo. 
“Se la sposti un po’ più al centro ci stai anche tu, Nami!” 
Robin, che stava rientrando dal bagno, dopo aver fatto una doccia riabilitativa, si stava per riappropriare del letto, stanca e un po’ provata per lo scontro, sdraiandosi accanto a Rin. 
“Non importa. Posso dormire in infermeria anche stanotte.” 
Lasciò una carezza sulla testa della piccola che respirava affannosamente, sicuramente scombussolata dagli eventi, e da qualcosa che adesso loro non potevano capire, completamente rimasta priva di energie. 
“È così stanca che è meglio lasciarle il suo spazio.”  
Robin annuì, guardandola anche lei, mentre poggiava bene la testa sul cuscino morbido. 
“È davvero una bambina particolare.” 
“Robin, ma tu stai bene? Non è che ti serve aiuto?” 
Lo sguardo della navigatrice si concentrò nel suo cassetto della biancheria, prendendo le prime cose che trovava da indossare per la notte, e nella sua premura si stava riferendo alla ferita alla mano medicata accuratamente da Chopper. 
Robin fece ‘no’ con il capo.
“Grazie. Ma devo solo dormire un po’!” 
 
 
 
 
                            
 
 
 
 
Quella notte, di vedetta ci sarebbe rimasto Franky, ma non da solo, a causa dell’arrembaggio di quella sera anche Chopper si era offerto di rimanere di guardia, una volta gettata l’ancora. 
Nami, uscita anche lei dal bagno, come la compagna prima, stava dirigendosi in infermeria per riposare, e, una volta arrivata alla porta, la aprì senza farsi troppi problemi, dal momento che sapeva per certo che il medico si trovava all’esterno.
Fu sorpresa di scoprire che l’amico aveva lasciato una luce accesa, l’aveva intravista dal buco della serratura, infatti a primo impatto si inquietò, temendo di trovarci qualcuno. Ma poi si convinse che fosse solo una dimenticanza del dottore. 
Richiuse al volo la porta, non voleva incontrare nessuno e andare dritta a letto. Era così distratta col pensiero fisso del riposo, che non aveva nemmeno dato un'occhiata all’interno, togliendosi la felpa che la ricopriva, come gesto automatico, rivelando un abbigliamento un po’ troppo osé: una canottiera nera che le arrivava alle cosce - e fin qui come al solito - ma con una profonda scollatura. In effetti non era un abbigliamento così comodo, e la navigatrice stava pensando che era stata proprio stupida a non aver indossato qualcos’altro, ma Robin era così esausta che non voleva disturbarla eccessivamente, perdendo altro tempo nel suo frugare - aveva tirato fuori dal cassetto il primo indumento capitato. 
“Adesso te ne vai in giro di notte per la nave?!” 
Sussultò così tanto che la felpa bianca le cadde dalle mani scivolando sul pavimento. Si voltò di scatto, quasi allucinata per lo spavento, trovandosi davanti immediatamente la figura dell’abitante della stanza. 
“Che diavolo ci fai qua, tu?” 
Raccolse la felpa da terra e facendo dei successivi passi avanti ebbe Zoro davanti a sé, seduto sul letto, a petto nudo e scalzo, con indosso solo dei pantaloni. Ma la particolarità più strana era ciò che aveva tra le mani, due oggetti che solitamente non era avvezzo tenere: uno specchio e del cotone. 
“Sono entrato prima io” rispose facendo il vago - come sapeva farlo bene lui, nessuno. Il tono di voce era contaminato da una nota di fastidio e una d’imbarazzo che si gemellavano poco perfettamente insieme.
“Sono venuta qua per dormire, Zoro, ma non mi aspettavo certamente di trovarci te.” 
Si avvicinò a lui, cercando di capire che cosa stesse combinando, guardandolo male e in modo molto confuso. 
Lui accennò un sorriso enigmatico, appoggiando distrattamente sul barile che aveva accanto uno specchio che teneva nella mano sinistra, e anche del cotone, tentando di nascondere tutto. Incrociò le braccia al petto poi, guardando oltre lei, soffermandosi su un punto a caso della parete. 
Ignorandolo spudoratamente e rinfilando la felpa addosso, ma dimenticando di tirare del tutto su la zip, Nami stava iniziando a rendersi conto del motivo che lo aveva spinto ad andare in infermeria quella sera: quel cretino si stava medicando da solo! 
“Mi prendi in giro? Ti prego dimmi che mi stai prendendo in giro?”
“In che modo?” Zoro sentiva di subire una certa dose di invadenza. 
Ma a Nami non interessava, sentendosi lei quella che era stata disturbata per prima. E, totalmente davanti a lui adesso, con le mani sopra i fianchi, scalza, la felpa aperta e i capelli che le ricadevano ai lati del viso, lo guardava imperscrutabile. La luce della lampada che illuminava la stanza accentuava le parti più intime della sua figura rimaste nude. “Vuoi davvero dirmi che non hai chiesto a Chopper di medicarti?” Stava cercando di concentrarsi sempre su di lui, mentre lo vedeva restate concentrato verso un punto fermo della parete dietro di lei, ignorandola. “Sei davvero così idiota?” Il suo tono era arrabbiato, e anche tanto, ma la sua voce tradiva una certa preoccupazione. 
Fu in quel momento che Zoro allora posò lo sguardo su di lei, captando che il suo rimprovero racchiudeva più di una sfumatura, più di un senso. L’aveva vista indossare di nuovo la felpa, e le fu mentalmente grato. 
“Allora?” Nami schioccò le dita davanti a lui. “Capisci che Chopper è un dottore? Do-tto-re.” Prese la sedia dalla scrivania del medico e la avvicinò al letto. “Sai che fanno i dottori, Zoro? Curano gli altri!” Prese posto su quella stessa sedia poi, trovandosi faccia a faccia con lo spadaccino. 
La luce della lampada, posizionata in basso, ora illuminava perfettamente il suo seno. Lo poteva vedere benissimo, lui, uscire dalla felpa, con quello strato inutile di stoffa che lo copriva. Avrebbe dovuto tirare su anche la zip, dannazione a lei. Cercò di concentrarsi ancora, guardando nuovamente la parete dietro di lei, senza abbassare più lo sguardo. 
“Te l’ho già detto, sono entrato prima io.”
Le stava forse suggerendo di andarsene? 
Stupido. Arrogante. Fastidioso. 
Nami lo fissò sul viso, anche se sembrava fingere che lei non fosse lì. Lo aveva intuito che lui non fosse capace di disinfettarsi una ferita. Si vedeva che ci stava provando in più tentativi ma che non aveva praticamente risolto un granché. E, ovviamente, nemmeno lo avrebbe mai ammesso, lo stupido
 
Si portò i capelli all’indietro, cercando di tenerli fermi sulla testa con una specie di chignon improvvisato che tentò di fissare con una forcina che aveva recuperato in tasca della felpa. Ma non era affatto stabile, dal momento che già i primi due ciuffi le erano ricaduti accanto al viso. 
“Sei un caso irrecuperabile!” disse, mentre si adoperò per separare il cotone usato da quello ancora nuovo. Prese la parte inutilizzata e iniziò ad immergerlo di disinfettante, avvicinando la sedia al letto, che si incastonava perfettamente tra le gambe aperte di lui. 
In quel momento di pericolosa vicinanza lo spadaccino si rese conto delle sue intenzioni e ringhiò inferocito. 
“Non ti ho chiesto nessun aiuto!”  
Lei lo ignorò, naturalmente, continuando ad immergere dei pezzi grandi di cotone nel disinfettante. 
“Mi hai sentito?” si era impuntato a fare il cane rabbioso, orgoglioso, spaventato dalle emozioni. 
Nami tenne ancora il cotone nella mano e alzò la testa su quel viso squadrato, prendendolo per la mascella con la mano libera. Fece uno sguardo così rabbioso lei, che lui forse non l’aveva nemmeno mai visto con quelle sfumature che non era sicuro di capire.
“Adesso tu la pianti subito di fare il bambino capriccioso.”
Strinse la mascella ancora con più forza. “Ho sonno, sono venuta a riposare e invece devo medicare te perché sei un idiota che non usa il cervello!” 
“Non te l’ho mica ch-“ 
“Sta’ zitto!” strinse ancora più forte la presa impedendogli di parlare. “Ora mi fai disinfettare questa ferita malridotta e smetti di fiatare all’instante!”
Lasciò la presa sul suo viso e lo vide chiaro e tondo quanto era contrariato, ma allo stesso modo capì che non avrebbe più obiettato.
Era abbastanza vicina adesso, dal momento che la sedia era più alta del letto, le bastava solo allungare un po’ il collo in avanti e poteva lavorare. Con la stessa mano che prima teneva stretta la mascella, inclinò il viso di Zoro più in basso e poi verso destra, in modo da avere una vista migliore sui tagli. 
Lui l’aveva finalmente lasciata fare. 
 
“Maledizione Zoro!” con le mani aveva iniziato a disinfettarlo con minuziosa attenzione “Non capisci che devi prendere sul serio ogni ferita…”. 
Merda. 
Da quella posizione era ormai impossibile per lui evitare di guardare nella sua scollatura. Chiuse direttamente gli occhi, non senza prima fare uno strano rumore con la gola. 
“Ti brucia?” 
Lei aveva notato degli strani gesti, e si stupì che lui potesse soffrire per così poco.
“No” le rispose seccato.
Delicatamente continuò a disinfettare, controllando però che non fosse esageratamente profonda, in quel caso lei non avrebbe saputo cosa fare. 
“Guarda che siamo ancora in tempo per chiamare Chopper…” scrutava seria la ferita continuando a pulirla. 
“Non c’è bisogno. Deve pensare a stare di vedetta.” 
Come sempre, ostinatamente sicuro.
 
Zoro, categorico nel tenere l’occhio chiuso, sentiva le mani di lei ispezionarlo sulla pelle: era un tocco delicato che lo solleticava e gli faceva dimenticare il motivo per cui era lì, ma anche tante altre cose. Non stava pensando più a niente. Si stava lasciando andare solo ai sensi, perché se avesse aperto gli occhi e l’avesse anche guardata in tutta la sua forma, chissà che il suo corpo non si sarebbe ammaccato, o peggio…
Nonostante la stanchezza, lei, ci stava mettendo davvero tanto impegno, stando attenta a non fargli male. 
Non sembrava una ferita profonda, ma nemmeno così superficiale, e il collo era un punto tanto delicato che era impossibile non soffrisse almeno un po’…
“Io faccio quel che posso, ma Chopper sarebbe stato meglio per te.” 
Stava sospirando, arresa. Anche se un istante dopo la sentiva ringhiare arrabbiata, per poi sospirare un’ennesima volta. “Sicuro che non ti sto facendo male?”
Ecco la parte di lei che si preoccupa.
Mugugnò qualcosa in risposta, e Nami capì che andava bene così. “Contento tu”, decretò arrabbiata, facendo più forza con il cotone. 
Ed ecco la parte irascibile. 
 
Si era staccata da lui, giusto il tempo di gettare nella spazzatura il cotone usato e prenderne del nuovo, inzuppandolo di disinfettante con un gesto calmo, quasi avesse paura di sbagliare qualcosa, nonostante fosse in realtà un gesto così semplice e automatico. 
 
Dai, continua. 
 
Zoro, che era attento nel captare ogni movimento di lei, non vedeva l’ora di risentire quel tocco sulla sua pelle. Le sue mani fredde sul suo collo. Con quel misto di dolcezza e odore di disinfettante che gli trasmettevano un brivido contorto. Stava fremendo. Voleva ancora sentirsi accarezzare da…lei. 
Tra l’altro non aspettava certamente che sarebbe stata così altruista da essere così scrupolosa. Lo sapeva, si, che Nami si dava da fare quando poteva farlo, in fondo, aveva sempre sostituito le figure mancanti, come cuoca o dottoressa improvvisata, ai tempi. E sapeva anche che era stata davvero preoccupata per lui, ma ora anziché fare in fretta e levarselo da torno, o chiamare Chopper contro la sua volontà, stava dedicandosi a lui e basta. Forse l’aveva fatta davvero preoccupare quella sera. 
 
La sentì finalmente tornare a toccarlo. Le mani ancora sulla pelle in piccoli gesti attenti e prevedibili, quasi meccanici. Ma ogni tanto una mano sfuggiva e si appoggiava nella parte non ferita, appena sotto il suo orecchio, sfiorandone il lobo - gesto che stava scombussolando i suoi nervi, mettendoli dannatamente alla prova. 
 
Perdonami Chopper, ma questo è molto meglio. 
 
Fuori era spesso impassibile, ma adesso, interiormente, stava gioendo. Sentiva il suo interno festeggiare, aveva i fuochi d’artificio nello stomaco che esplodevano ad ogni sfioramento. Per non parlare delle gambe, che ogni volta che lei si muoveva si scontravano con le sue - e aveva perso il conto di quante volte senza accorgersene lei gli aveva poggiato il ginocchio nella sua parte più bassa. Era una sensazione così difficile da capire. Era infatti combattuto, voleva che continuasse a toccarlo, ma anche che smettesse subito. 
Ma poi la sentì avvicinarsi di più alla ferita, oltre le mani aveva avvicinato il viso, per controllare meglio, per cercare di capire se l’aveva ripulita tutta, mentre applicava le prime bende. 
In pratica ora aveva incastonato il collo in quello di Zoro, e lui ormai era finito per spiaccicare il volto nell’incavo di quello di Nami. Altri ciuffi continuavano a caderle, quella piega che non era affatto stabile, e così anche le sue narici poterono festeggiare. 
Ci stava fiondando davvero il viso, in quella pelle candida?
Sentiva il profumo salire all’interno del suo naso, era un’aroma che creava dipendenza. Era grato del fatto che quella posizione l’aveva creata lei, e lui così non doveva giustificarsi di niente. E si stava prendendo tutto, ogni cosa che poteva - tranne la vista.
 
Ma alla fine Nami lo fece, finita la medicazione, compresa di cerotto grande come un mattone sopra le bende, si era rimessa eretta sulla sedia.
“Ho fatto quello che ho potuto. Dovrai accontentarti.” 
Lo stava ancora guardando scrupolosamente però, quel bendaggio “Dai, non è così male!” era fiera di sé, dopotutto. 
Lui aprì gli occhi una volta che ebbe risollevato il collo, ma la vide alzarsi e dirigesi all’armadietto di Chopper, rendendolo confuso di quell’azione. “Ti do qualcosa per il dolore?” Chiedeva mentre cercava. 
“Non mi fa male” rispose, guardandosi la medicazione allo specchio. “Sembra a posto.” 
Era un complimento? 
Nami tornò da lui, rimettendosi a sedere.
“E invece devi prendere qualcosa lo stesso; Chopper dice che questa pastiglia serve anche per evitare il propagarsi di un’infezione.” 
Lui osservò la mano di Nami con al centro una pillola. La riconobbe, era una di quelle dell’altra sera. Incrociò le braccia al petto “Mi farà quell’effetto strano?” 
Nami sorrise pensando a lui succube di quell’effetto che aveva colpito anche lei. 
“Beh si, ti farà stare un po’ su di giri ma niente di più.” 
Lui ripensò al modo in cui lei la sera prima lo aveva cercato, chiamato, annusato. Lui che cavolo avrebbe fatto se avesse perso anche solo un po’ di autocontrollo? 
“No” Rispose deciso. “Non la voglio.” 
Non poteva rischiare così tanto di mettersi in una strana situazione compromettente. 
“Andiamo!” Nami alzò gli occhi al cielo. 
Perché deve fare sempre il difficile? 
“Guarda che non puoi rifiutarti!” Riempì il bicchiere d’acqua, intanto, segno che se ne stava fregando altamente di ciò che voleva lui, “ma che diavolo ti cambia assumerla o no!” 
“Ho detto no” stava per tirarsi fuori da quella trappola e svignarsela, quando lei lo acciuffò per il viso - due volte quella sera - aspettò che lui si lamentasse aprendo così la bocca, e solo allora facendogli ingurgitare a forza la pillola, buttandoci dentro anche l’acqua. 
“Sei proprio come un bambino!” 
Lui quasi soffocò, certamente non se lo sarebbe aspettato. “MA INSOMMA NAMI” continuò a tossire “MALEDETTA!”
Lei era soddisfatta di sé stessa, incrociando le gambe e le braccia. 
“Su su.” Lo prese in giro. “Nemmeno Rin farebbe tante storie.” 
Ma lui era così furioso che, appena ebbe finito con quella tosse spropositata, si voltò di scatto tornando a guardarla in volto con gli occhi stralunati “DANNATA!” 
Ma lei si sentiva così soddisfatta del suo operato che per un attimo aveva scordato la stanchezza e anche tutte le emozioni di quella sera. “Non m’importa se te la prendi con me. L’importante è che quella ferita non s’infetti.”
Lui ancora ansimava e ringhiava contemporaneamente, sempre contrariato e ostile. 
Fu in quel momento che però Nami rammentò tutto, ogni cosa che aveva provato quell’oggi, e si rabbuiò all’istante. 
Lui, seppur ancora arrabbiato e con la voglia di scappare da lì onde evitare situazioni compromettenti, si voltò lo stesso a guardarla, non sentendola più blaterare.
 “Che diavolo ti prende adesso?” 
Lei si alzò dalla sedia, ricacciandola sotto alla scrivania di Chopper con un gesto per nulla delicato.
“Per un attimo ho scordato di essere arrabbiata con te.” 
“Sei sempre arrabbiata con me!” a lui non sembrava ci fosse niente di strano in fin dei conti, pensando però che quello furioso sarebbe dovuto essere lui per quel tranello. 
La vedeva riordinare il macello che avevano fatto, gettando tutto nella spazzatura. Era circondata da una strana aurea che non rivelava niente di buono.
Lui si alzò in piedi seguendola nei movimenti esasperato da quei continui cambi d’umore. “Dai faccio io, tu vai a dormire.” 
Ma in quello stesso momento uno schiaffo si depositò sulla sua guancia, facendogli girare la testa di qualche millimetro. 
Rimase in silenzio. 
“Questo é per avermi spaventata a morte, oggi.” 
Non la stava guardando. Era lì confuso, con il segno delle cinque dita sulla guancia.
“Hai fatto una bella cosa con Rin, ma mi hai anche spaventata. Mi hai fatta dubitare di te. Non farlo mai più.” 
Voleva andare a dormire adesso, e avrebbe trovato volentieri un altro posto. 
“Tu avresti dubitato di me?” 
Finalmente mosse il volto, ritornando normale. 
“Si!” Le tremava un po’ la voce. 
Si strinse nella felpa e senza nemmeno salutarlo e allungò la mano verso la maniglia della porta. 
“Dove credi di andare?” L’anticipò, fermandola prima che arrivasse all’uscita, trascinandola sul letto e spinta a sedere. 
Era confusa da tutti quei movimenti premeditati.
“Ma cosa ti salta in mente?”
Lui aveva invertito i ruoli, riprendendo la sedia dalla scrivania e sedendosi di fronte a lei. In un gesto avventato le aveva poggiato le mani sulle cosce scoperte tenendola bloccata. “Troppo facile fuggire quando piace a te.” 
La stava braccando? 
Lo vedeva bene il compagno piegato in avanti verso di lei. Sentiva le sue mani calde sconvolgerle la pelle.
“Stupida” le diceva, guardandola fisso negli occhi, con la luce della candela che accentuava la sua iride nera. 
“Zoro, voglio andare.” 
Non ci vide più. Per lei era normale lanciare certe accuse e poi andarsene “a dormire” come se niente fosse? 
“Ti ho appena lasciato fare ciò che volevi sul mio collo”, il suo respiro era pesante ma non affaticato, “in un momento di grande vulnerabilità per me…” sentiva la sua presa sulle gambe stringersi, segno che era arrabbiato. “E tu? non ti fidi di me?” 
Stava respirando faticosamente, sconvolta da quella reazione che certamente non si aspettava. Soprattutto sorpresa da quello che le aveva appena confessato. 
 
Vulnerabilità? Da quando è vulnerabile? 
 
“Solo ieri ti ho vegliato una notte intera, e tu…” era davvero arrabbiato che non riusciva a terminare le frasi. “Per non parlare di…” stava ricordando dello spavento quando aveva saputo che le avevano sparato, stava ricordando che nel giro di pochi giorni si era fatto ferire ben due volte come un allocco per via della preoccupazione che nutriva per lei. Quella stessa ferita sul collo era accaduta a causa sua, in un certo senso. Come poteva lei non rendersi conto dei dettagli di una tale portata? 
Ma Nami, per quanto volesse fare la dura, e ignorarlo per mantenere alte le sue ragioni, non vi riuscì, stavolta. Era sempre arrabbiata ma anche tremendamente dispiaciuta per ciò che gli aveva fatto credere. Lui era in difficoltà, sembrava in procinto di dire tante cose ma si sforzava per tenersele tutte dentro. 
Con un gesto spontaneo posò la sua mano sulla bocca di Zoro, tappandola.
“Zitto…stai zitto. Non dire niente” stava respirando più veloce del normale. Sentiva anche tutta una strana ‘turbolenza’ arrivare direttamente da lui, da quel corpo rigido con lo sguardo adirato, ferito. Forse aveva troppa paura di cos’altro avrebbe potuto dire lui. Forse aveva paura di tante verità, ma per ora ne aveva in mente solo una, che più di una verità era un presagio. 
“Mi fido ciecamente di te”
Un respiro profondo, seguito da un altro respiro più quieto “Lo sai anche tu.” Gli tolse la mano dalla bocca. “Forse più di tutti qua dentro…” aveva appoggiato le mani sulle sue, che a sua volta erano ancora ferme sulle sue gambe. La stretta su quelle mani era diventata forte, coraggiosa, intrepida.
“Oggi c’è stato un momento in cui ho creduto che quella spada sarebbe stata più importante per te, di tutto il resto, pure della ragione.” 
Labbra leggermente aperte, occhi decisi che sorreggevano il suo sguardo ancora serio. Il respiro di lei che saliva e scendeva. “Sappi, che se io, o anche chiunque altro su questa nave, venisse dopo la tua maledetta spada, non te lo perdonerò mai.” 
Fu un attimo, un attimo incontrollabile per lui. Le sue mani salirono dalle cosce alla vita e con un solo gesto deciso, e la spinsero all’indietro sul letto. Aveva appena azzardato così tanto, continuando a guardarla severo e respirando male. Era salito sopra di lei, allontanando la sedia all’indietro con un calcio. Il viso sopra il suo, i loro sguardi che viaggiavano dagli occhi alle labbra, dalle labbra agli occhi. La saliva bloccata in gola, il respiro agitato.
Che stava succedendo? 
 
“Il modo in cui hai detto ‘se io o chiunque altro’ su questa nave”, quei corpi si stavano muovendo, le sfiorava le gambe con le sue, i fianchi con la vita…
…e come la stava guardando, era intenso e saturo di sentimenti, tanti sentimenti. 
“…ti mette in una posizione diversa dagli altri.” 
Lo guardò stralunata in risposta, tutte quelle emozioni non stavano aiutando nessuno dei due a risolvere il caso. 
“Eh allora?”
Stava osservando le labbra di lui incurvarsi in un ghigno. Non era affatto spaventata da quella trappola o da lui. Quasi che iniziava a sembrarle tutto normale adesso. 
“Ti sei separata dagli altri…stai alludendo che tu sei più speciale per me?” 
Lei strizzò l’occhio turbata. “Non farmi questi strani indovinelli che non capisco.” 
Ancora quel ghigno che s’insediava in lui, spavaldo e quasi diabolico. 
“E invece stai capendo benissimo” la mano sul suo fianco rotondo, in un tocco che da delicato si tramutava in una morsa stretta “non fare l’ingenua con me.” 
“Mi stai addosso.” 
Ma lei sapeva sempre come tentare di evitare un argomento, o come frenarlo.
“Eh allora?” decise di essere più furbo, per una volta. 
E lei strinse i denti in un sorriso malandrino. “Devi dirmelo tu se sono speciale per te.” 
Continuava a guardare le sue labbra, erano così invitanti. Lei lo sapeva molto bene, così le dischiudeva appositamente, facendo sentire chiaro il suo respiro sotto di lui, tentandolo per metterlo alla prova. Ma la sua resistenza e il suo autocontrollo erano veramente efficienti. Ci sarebbe riuscito anche quella volta, a resisterle. Era piuttosto avventato quella sera, in cui non si stava del tutto trattenendo, anche se era per un motivo ben preciso. 
 
“Zoro…” interruppe i suoi pensieri portando le sue mani su quelle di lui che continuavano a toccarla e sfiorarla sulla pelle. “Smettila adesso…” le allontanò dal suo corpo in un gesto gentile, capendo in prima persona che quei gesti amplificati non dipendevano da lui “Non capisci?” gli puntò prima un dito sulla fronte “sei su di giri.” 
Per quanto avesse voluto usare quella circostanza contro lui, sapeva che non era in sé, e voleva preservare anche il suo orgoglio. O forse era troppo spaventata da cosa sarebbe potuto succedere se non avesse messo un freno.
Mise le mani sul suo torace, allontanandolo del tutto.
“Umh?”
“Il farmaco che hai assunto, idiota.” 
Era riuscita ad uscire da quella trappola, spingendolo e facendolo cadere di schiena sul letto. 
Lui aveva il viso che guardava il soffitto, provato da una serie infinita di sensazioni, combattuto da sé stesso. 
Non si mosse più, non fiatò più.
Erano entrambi stralunati da tutto quello che era appena successo. 
O forse non era successo niente.
 
“É meglio dormire.” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice__________________________________________
Regalo di buon Ferragosto per tutti voi che seguite la storia. Fatemi sapere se è stato gradito, seppur finito senza i fuochi d’artificio. 
Roby 
 
 
   
 
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