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Autore: Greenleaf    20/08/2021    3 recensioni
Sotto l’ombra degli alberi di Amon Hen giace il corpo di una ragazza di nome Eldihen. Quando riapre gli occhi ed incrocia lo sguardo di Legolas, entrambi avvertono una sensazione intensa, qualcosa di inspiegabile e ancestrale.
La storia di Eldihen però, prenderà forma attraverso delle scoperte che le indicheranno il percorso giusto da seguire e, tra intrighi e falsi nemici da combattere, si ritroverà a vivere momenti mai pensati. Stregata da parole, sguardi e mostri che in realtà non sono poi così crudeli come lei temeva.
Vivrà l’incanto di un amore minacciato dalla guerra. Sarà vittima di un nemico tanto incantevole quanto misterioso. La sua storia inizia ad occhi chiusi, e per giungere alla fine Eldihen dovrà imparare a camminare nel buio.
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eowyn, Gandalf, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 23
 
 
La città era sull’orlo della rovina. Le case erano state distrutte e le macerie giacevano sulle vie, ostruendo il passaggio alle donne che correvano in direzione opposta ad Eldihen, con i figli stretti tra le braccia, minacciate dall’esercito nemico e dalle urla che altro non facevano che alimentare l’agitazione che permeava e si spandeva in tutta la città. Gondor era in ginocchio.
 
“Non andate al livello inferiore. Nel fianco della montagna c’è un rifugio che vi accoglierà tutte, fidatevi di me!” continuava ad urlare Eldihen, con la spada argentata in mano, gli occhi pieni di decisione e la mano  che gli bruciava. Era ridotta male, si sentiva impotente dinanzi alla minaccia che si stava scagliando contro Minas Tirith, ma nel suo piccolo avrebbe aiutato, insieme all’impavido Pipino che affianco a lei indicava la via sicura alle donne sgomentate.
 
“Vicino al pozzo” Draghetto spiegò ad un’anziana signora il punto esatto in cui si trovava il rifugio. Con molta difficoltà erano riusciti a strapparlo dalle braccia di Faramir, accentando di portarselo dietro, con la promessa che sarebbe tornato con le donne per rimanere al sicuro. Nel frattempo il bimbo aveva preso con sé tutti i gattini della città tirandoli dalla coda. Aveva tre cuccioli dentro la camicetta e stringeva altri due nelle manine.
 
“Pipino andate con Draghetto al rifugio vicino alla montagna. E’ un punto lontano e fortificato. I colpi degli orchi non dovrebbero raggiungervi. Fa come ti dico!” la ragazza afferrò lo hobbit dalle spalle, lanciandogli un’occhiata fiduciosa, piena di determinazione e… paura. La lama della sua spada si illuminò, ma solo Eldihen se ne rese conto, avvertendone le vibrazioni, come se la luce si spostasse sullo stesso metallo“Andate”
 
“E va bene, ma raggiungici” la pregò Pipino prima di prendere in braccio Draghetto e salire sulle scalinate in pietra, in mezzo alle rovine ed ai cespugli selvatici. Si scambiarono uno sguardo penetrante poi si separarono. Pipino aiutò i bambini e le donne, mentre Eldihen, con la spada in mano correva in direzione opposta alla folla, con i capelli grondanti di sudore, la faccia sporca e piena di polvere, i pantaloni larghi ed il corpetto slacciato. Avanzò insieme ad Epon che volava sulla sua testa, fino a raggiungere l’esterno della balaustra, nel punto in cui i soldati si erano allineati per respingere le armate di Mordor. Rimase con la bocca aperta quando vide le corazze luccicare e, gli orchi  scagliare con le loro immense catapulte dei massi giganteschi che, si scontrarono contro alcuni edifici disabitati, frantumandoli. Tremò, aveva timore, ma si portava avanti con la speranza di rivedere il suo amato, perché giunti a quel punto solo l’amore la stava salvando dalla brutalità della guerra, sotto la coltre di nubi scure e di pensieri che si rabbuiavano come il cielo.
 
La spada brillò ancora una volta ed Eldihen si appoggiò al muro in pietra, con Epon sulle spalle. Sgattaiolò sulle scale, timorosa di giungere a capolino “Gandalf” lo richiamò, scorgendo il bianco destriero del fidatissimo compagno che si girò sgomentato, trafiggendola con i suoi occhi azzurri.
 
“Sei una sciocca. Corri al riparo” armeggiò con il bastone fino a poggiarlo a terra. Anche Madeos che era insieme agli altri guerrieri la rimproverò, roteando gli occhi al cielo. Le bandiere bianche appese sui muri fluttuavano, accendendo una flebile speranza nel cuore dei soldati che stavano assistendo ad uno spettacolo difficile da dimenticare.
 
“Ascoltami, le catapulte. Prendetele e scagliate contro gli orchi le macerie dei palazzi. Ho visto che dei soldati poco fa trascinare una in questa direzione” gridò e la sua voce riecheggiò su tutta la fortezza, facendo voltare i guerrieri che perplessi si scambiavano sguardi contrariati, come a ripudiare la sua idea. Una donna non avrebbe dovuto dir loro cosa avrebbero dovuto fare. Un uomo con un elmo appuntito si allontanò dal ponte, giusto quel poco che bastava per incrociare lo sguardo dell’elfa ferma sulle scale.
 
“I nostri uomini stanno sistemando le catapulte. Ti consiglio vivamente di scappare ragazza” disse preoccupato con la lancia in mano, altalenando il suo sguardo da Eldihen alla pattuglia di orchi che viaggiava in loro direzione.
 
“Vai via!” gridò Madeos sperando nell’aiuto di Gandalf. La ignorarono, troppo attenti agli spostamenti degli orchi, al rullo incessante di tamburi e alle frecce che stavano parando senza molto successo vista la loro posizione.
 
Eldihen armandosi di tutto il coraggio che aveva in corpo, contro le aspettative di tutti, corse via, veloce come il vento. I capelli come fruste si scontrarono contro le sue guance pallide. Superò le alte mura, senza ascoltare i consigli degli uomini. Epon emetteva versi strani mentre volava ad una velocità pari alla sua, ed Eldihen già esausta si piegò, scivolando nel piccolo piazzale nel quale si trovavano i soldati che erano impegnati a riparare le catapulte nascoste in un passaggio in pietra.
 
“Andate a combattere. Riparerò io i danni alle catapulte” non considerò gli sguardi dei quattro uomini che si rialzarono da terra con tanto di martello e tenaglia in ferro tra le mani. Si scambiarono degli sguardi confusi e, quando fecero per rispondere videro la donna inginocchiarsi dinanzi l’arma in legno, trascinandola all’esterno dalla catena in ferro, con molta difficoltà.
 
Eldihen strinse i denti, ricacciando i capelli dinanzi agli occhi “Andatevene via ed aiutate gli uomini a combattere. Sono la figlia di un carpentiere so quel che faccio. In questo momento posso aiutarvi, ma voi non servite qui. Dovete combattere” urlò con tutto il fiato che aveva in corpo pur sentendo la mano bruciarle come mai prima d’ora.
 
“Vattene è molto pericoloso” un vecchietto si avvicinò a lei, incerto dell’ attendibilità delle sue parole. La vide allentare un bullone arrugginito vicino ad un gancio di ferro. Il legno frontale dell’arma ricadde in avanti ed Eldihen sorridendo soddisfatta saltò sulla piattaforma, allentando con la tenaglia ogni singolo bullone. Il ferro arrugginito del gancio cigolò e lei portandosi in avanti richiese una bottiglia di olio, per inumidire le giunture. Sarebbe stata pronta se una parte di metallo non si fosse distaccata ricadendo a terra.
 
“No!” urlò stendendo il braccio per riprenderla. Afferrò la lamina, ma non riuscì ad attaccarla come credeva e, quando si girò verso la spada, vedendola brillare come una fiamma d’argento, sorrise, un’idea le era venuta in mente, così estrasse la spada dal fodero, sotto lo sguardo allibito dei soldati “Una spada può avere altri utilizzi” incastrò la lama dentro un foro, attaccando in tal modo la parte mancante alla catapulta.  Era pronta per l’uso “Mi credete adesso?” si voltò completamente verso gli uomini che erano stupiti dinanzi le abilità che aveva  esibito Eldihen.
 
“Prendete le macerie” ordinò il vecchio ai suoi uomini senza distogliere lo sguardo dalla donna vestita di nero “Uccidete quelle bestie” urlò agguerrito. I soldati incoraggiandosi l’un l’altro corsero sulla pedina ??? pedina? Cosa intendevi ?, facendo scivolare a terra un grosso masso.
 
“Lanciate!” gridò intimando ad Eldihen di allontanarsi. La pietra prese il volo, ricadendo sulle teste dei nemici oltre le mura di Minas Tirith.
 
“Epon, vola e fammi sapere se gli orchi nascondono altre armi” prese il falco dalle zampe e pregò i Valar di comprendere i suoi versi, per poi afferrare la spada e correre sola in mezzo alle rovine, verso un’altra catapulta, mentre Epon, eseguendo si allontano.
 
 Sistemò l’arma, come la precedente, fino a vedere i massi scagliarsi contro le armate di Mordor, con il cuore pieno di paura, le lacrime agli occhi e nella mente e nel petto un solo nome: Legolas. Sentì il suo animo urlare il suo nome, invocare il suo volto, più di quanto  gridassero gli orchi e le donne. Correva da stradina a stradina, superando gli ostacoli e passando per sentieri stretti. Aggiustò tutte le catapulte, senza badare ai commenti degli uomini che scettici la respingevano.
 
Quando giunse spossata al piano superiore, vide un gruppo di soldati infervorati. Si fermò sotto l’ombra di un arco, immobile, con la testa che gli scoppiava e le gambe indolenzite. Guardò la sua mano prima di appoggiare la schiena contro il muro. Era nera ed anche le dita stavano assumendo lo stesso colore della macchia “Lasciatemi sistemare le catapulte, voi cercate dei massi da scagliare contro l’esercito” fece per avvicinarsi, ma un soldato la strattonò, facendole sgranare gli occhi dalla sorpresa.
 
“Corri al riparo ragazzina. Non è un gioco” urlò  collerico sbarrandole il percorso. Eldihen non demorse, stringendo i denti avanzò sullo spiazzo e, pronta a difendersi ricercò a terra gli strumenti che le avrebbero permesso di sistemare le catapulte arrugginite da tempo, ma qualcuno le venne in soccorso, facilitandole il lavoro.


“Procurate materiale e lasciate questa ragazza lavorare” era una voce decisa. Eldihen si voltò incrociando gli occhi del vecchio che aveva incontrato poco prima. Sorrise flebilmente, nonostante la paura che avvertiva ad ogni urlo disperato. In quel momento una grossa pietra si schiantò rumorosamente contro un edificio adiacente. Eldihen si coprì le orecchie buttandosi a terra. L’arco in pietra era crollato, senza però causare danni alle persone che si trovavano lì. Si rialzò frettolosamente da terra prendendo gli utensili adatti ad aggiustare le catapulte.
 
Superò tutte le mura, sistemando ogni singola arma, fortificando ogni singola cancellata, fino a sentire le dita bruciare ed il respiro corto. Non si curò delle sue condizioni nemmeno quando la mano le bruciò a tal  punto da costringerla a fermarsi per strappare un altro pezzo di stoffa dalla camicia che fuoriusciva dal corpetto scuro, per stringerla alla parte dolorante. Era disorientata, impaurita, sola, in quella città distrutta, con tutta quella gente che correva disperata e supplicava Eru piangendo sconsolatamente. Un lamento che entrò in testa ad Eldihen, facendole percorrere scombussolata il tragitto al contrario, mentre sopra di sé, massi enormi venivano scagliati da ambo i lati delle mura. Correva e tremava, incrociando i volti di gente sconosciuta, con la spada tra le mani e il cuore che pulsava violentemente, tanto da avvertire i battiti sulla pelle.
 
Si bloccò su un vecchio edificio vicino all’ingresso principale, quando dall’alto del cielo ombroso spuntarono i nazgul, cavalcati dagli oscuri re del passato, gli spettri né vivi né morti che fluttuavano sulla città, scaraventandosi contro i pinnacoli sporgenti e i soldati sulle strade. Al sentire il suono stridulo emesso da quelle bestie, Eldihen si accasciò a terra, coprendosi le orecchie con forza. Corrugò la fronte urlando per contrastare in qualche modo il rumore che le stava lacerando i timpani, insopportabile, come una lama conficcata in pieno petto. Riprese coraggio e dopo essersi aggrappata ad una finestra lì vicino incrociò in lontananza l’amico Pipino che stava correndo in direzione del ponte principale, quello che si affacciava sul campo.
 
“Pipino!” urlò strattonata da un mucchio di gente “Pipino!” la sua voce non raggiunse lo hobbit. Le urla si confondevano tra loro ed era difficile distinguerne i suoni, specie dopo l’attacco dei nazgul “Pipino!” continuò disperatamente con le lacrime agli occhi, riuscendo a raggiungere l’esterno, dopo aver superato la folla che si accalcava sulle strade.
 
“Peregrino Tuc torna alla cittadella” Gandalf che era vicino al ragazzo lo riprese con sguardo di rimprovero.
 
Gli orchi che avevano raggiunto Minas Tirith grazie alle torri, trovarono un appiglio nel muro di difesa che aveva permesso loro di aggrapparsi al parapetto e di scavalcarlo. Nonostante il fuoco serrato dei difensori, riuscirono a penetrare all’interno della fortificazione. Gli uomini si voltarono per combattere sul ponte che era ghermito dagli orchi.
 
“Ci hanno chiamato per combattere” Pipino era sconvolto quanto Eldihen che, saltando dalla stradella dissestata lo affiancò, incrociando lo sguardo preoccupato dello stregone che impugnava la sua spada “Eldihen, tornate alla cittadella insieme. Avete fatto abbastanza”
 
Mentre parlava un orco si scagliò contro Pipino ma Gandalf  lo uccise muovendosi agilmente, con il suo bastone come arma. Eldihen istintivamente ricaccio la sua spada pronta a difendersi, anche se quelle scene le evocarono un sacco di momenti traumatici, momenti che credeva di aver superato, ed invece no.
 
“Questo non è il posto per voi due”
 
Pipino vedendo un altro nemico dinanzi a sé corse svelto ed affondò la sua lama contro il suo petto uccidendolo, senza accorgersi che un orco dietro le sue spalle lo stava per uccidere, ma Eldihen svelta si scagliò, scaraventando un colpo contro la sua testa, proprio come le aveva insegnato Eowyn tempo addietro, ed anche se non era stato un colpo preciso la ragazza riuscì a salvare Pipino, sotto gli occhi attenti di Gandalf che compiaciuto, sorrideva.
 
“Due vere guardie della cittadella! Ora tornate sulla collina, Presto, presto!” non perse tempo e riprese lo scontro contro i nemici che erano giunti dalle mura. Pipino fece come gli era stato detto, mentre Eldihen, aguzzò la vista e l’udito, riuscendo a scorgere sotto le mura bianche, un orco dall’aspetto orripilante che parlava insieme ad un suo soldato. Attirata dal discorso si spinse fino alla balconata, dove il numero di orchi era minore e sporgendosi alla balaustra osservò meglio la scena.
 
“Il cancello non cede è troppo robusto” i troll spinsero contro la porta con un grosso tronco, senza però scalfire il portone che Eldihen abilmente aveva fortificato.
 
“Tornate lì e buttatelo giù”
 
“Niente può farlo cedere”
 
“Grond lo farà cedere. Prendete la testa di lupo”
 
Rimase inerme, evitando di scontrarsi contro gli orchi, aiutata da Madeos che avendola vista era corso per difenderla. L’elfo con la spada mozzò la testa a due orchi, scivolando con la schiena sul pavimento e tagliando con la lama le gambe dei suoi avversari, per poi rialzarsi.
 
“Vattene” gli urlò prendendola dal braccio.
 
“Madeos!” Eldihen lo guardò preoccupata “Non riescono a far cedere il cancello, ho sentito parlare due orchi e…” in quell’esatto momento Epon tornò dal suo volo di perlustrazione, con le zampe contratte, le ali spianate ed il becco aperto, come se avesse qualcosa di importante da riferire. Madeos afferrò l’animale facendolo appoggiare sulla cotta di ferro che indossava al braccio, ascoltando quei versi strani che Eldihen non riuscì affatto a comprendere, ma non demorse, con la spada stretta, pronta a scagliarsi contro qualsivoglia nemico, per concedere all’elfo il tempo necessario per comunicare con il Falco.
 
“Eldihen” Madeos l’afferrò facendola voltare di scatto. Guardò il suo viso pallido e le macchie nere sul suo volto “Il cancello non reggerà. Stanno per scaraventare un arma molto potente”
 
“No” La lama brillò e l’accecò, tanto che dovette chiudere gli occhi, anche se non fu lo stesso per Madeos che non si spiegava la sua reazione “Io non permetterò mai che prendano la città. Farò  qualcosa” era disperata ed il suo viso parlò al posto suo.
 
 
 
Draghetto da bravo bambino quale era, aveva condotto le donne, gli anziani e tutti coloro che non potevano combattere nel rifugio che aveva costruito Eldihen, però, una volta che Pipino lo aveva lasciato, ne aveva approfittato per raggiungere il palazzo del re, con nel cuore la speranza di vedere Faramir. Rimase tutta la giornata a guardare lo scontro che si stava consumando nel livello inferiore, rifugiandosi sotto un balcone. Ma Draghetto era coraggioso e temerario e per tutto il tempo con la spada di legno tra le mani aveva fissato il portone del palazzo. Sapendo di non poterci entrare, attese il momento opportuno per rivedere il giovane amico.
 
Calò la notte, ma le grida non diminuirono e dei fuochi si accesero su ogni punto di Minas Tirith che era stata colpita dagli orchi. Le bellissime ville e le statue non esistevano più, per le vie della città correvano i soldati con le loro torce, impauriti, impreparati, ma pronti a difendersi. Il livello inferiore era in fiamme ma, nonostante la voglia di correre per vedere cosa stesse accadendo, il bambino rimase immobile, sfregandosi le mani per creare un po’ di calore.
 
L’aria era gelida in quel magnifico giardino e, nel buio della sera, l’albero bianco sembrò ancora più appassito, come se la battaglia lo avesse danneggiato ulteriormente. Quasi tremò dinanzi ai rami che si intrecciavano. Mosse qualche passo verso la fontanella al centro, quando le porte che aveva tanto atteso di rivedere aperte, improvvisamente si spalancarono e da lì uscì Denethor  con una schiera di servitori che sorreggevano una barella in cui era sdraiato Faramir.
 
Pipino, che si trovava vicino a Draghetto corse  nella sua direzione, vedendolo agguerrito nei confronti del sovrintendente, infatti se non fosse stato per lo hobbit, il bambino gli avrebbe tirato in faccia il suo giocattolo di legno. “Fermo. Fermo” lo afferrò dalle manine e con difficoltà lo trascinò vicino al balcone, tappandogli la boccuccia con una mano, facendo attenzione a non fargli male “Fai il bravo. So che vuoi molto bene a Faramir, ma se getti la spada in testa a Denethor lui ti punirà. Adesso vieni con me, andiamo a vedere che succede” era pericoloso trascinarlo appresso, ma con la città in fiamme e gli orchi alle calcagna Draghetto sarebbe stato in pericolo ugualmente. Pipino lo prese in braccio e quando il piccolino si aggrappò alla sua uniforme corse dietro ai soldati, stando attento a mantenere una certa distanza per non essere visti, coperti dal buio della notte e dai rumori della battaglia.
 
Giunsero dinanzi ad un imponente palazzo in pietra, dalla struttura massiccia e compatta, pareti dritte ed alte, delimitate da una strada liscia e da due pesanti pietre che sovrastavano  l’entrata.
 
“Nessuna tomba per Denethor e Faramir. Nessun lungo, lento sonno di morte imbalsamato. Bruceremo come i re barbari del passato. Portate legna e olio” il sovrintendente superò le catacombe fino a giungere dinanzi un pulpito a forma di croce, con voce atona, la luce della fiaccola che illuminava il suo volto serio e privo d’espressione. Era al limite dell’esasperazione. Dopo la morte della moglie Findulias l’oscurità aveva avvinghiato il suo cuore, ed adesso che anche l’ultimo germoglio del suo albero era caduto, Denethor era in ginocchio.
 
“Lasciami andare da Faramir” Draghetto che per tutto il tempo aveva assecondato l’idea di Pipino, nascondendosi dietro un grosso masso, sgattaiolò dalle sue mani senza che nemmeno lui se ne accorgesse, con il pancino bianco in bella vista, i capelli ricciolini completamente  sudati e quei suoi occhioni verdi impauriti.
 
 
 
 
Eldihen fissava il portone oscillare,  a causa dei colpi violenti lanciati dagli orchi fuori che  stavano tentando di farsi strada nella città. Era in disparte, con la sua fidatissima arma che era diventata quasi come un’amica in quelle ore di puro terrore, appoggiata ad una colonna, con gli occhi chiusi, la mano dolorante e nelle orecchie il suono delle catene che cigolavano. Disgustata dal puzzo di sangue che si mescolava al fumo, si tappò la bocca per evitare di vomitare, incapace di muoversi. Riaprì le palpebre ritrovandosi dinanzi alla schiera di soldati capitanata da Gandalf. Tutti loro erano impauriti quanto lei, ma non cedevano, tentando di contrastare i nemici oltre le mura.
 
“Eldihen” era stato Madeos a parlare, affiancandola. Provato dallo scontro, la guardava con gli occhi bassi, il suo solito sguardo fiero e deciso che scintillò anche in quell’occasione, nell’oscurità totale “Hai fatto ciò che era in tuo potere, adesso aiuta le donne e i bambini come mi hai detto a palazzo. Svelta” tremò leggermente, e senza esitazione l’afferrò dal braccio per spostarla dal pilastro. Notò che lei si era incupita ma ciò che la stava torturando non era la guerra, sembrava impensierita ed in quel momento di panico non comprese, fino a che Eldihen con gli occhi lucidi svelò le sue paure, mettendosi a nudo.
 
“Lo rivedrò?” chiese stremata osservando le sagome degli uomini dinanzi a sé “Io sono rimasta qui per Legolas. Lo rivedrò?” chiese impaurita con un tono disperato che fece spalancare gli occhi a Madeos.
 
“Spero di sì” rispose angosciosamente, con esitazione, facendo trapelare tutta la preoccupazione che avvertiva.
 
“Io ho fatto tutto per lui. Perché non mi andava di lasciarlo in questa guerra da solo. Ho sconfitto la mia paura per lui e adesso…” ascoltò le urla degli orchi che incitavano i loro compagni a distruggere le porte e sentì il suo cuore pulsare con violenza, facendole perdere il filo del discorso.
 
“So che non saresti riuscita a stargli lontana in un momento difficile ed è…” si fermò prima di concludere la frase, guardando il loro riflesso nelle pozzanghere sparse qua e là nella strada “ammirabile in un certo senso, ma dovresti andare. Aiuta gli altri, corri a riparo. Ascoltami. Non farlo perché te lo chiedo io, fallo per Legolas!” sperò di incoraggiarla e trascinarla lontano dal massacro che si sarebbe consumato da lì a poco. Già sapeva cosa lo stava attendendo, ed era meglio che Eldihen si allontanasse. Non avrebbe retto l’irruenza dello scontro, la violenza degli orchi.
 
“Per Legolas” ripeté scossa, abbassando il capo con aria stralunata ”Per Legolas” annuì con maggiore convinzione, cercando di riprendere il controllo di sé stessa e contrastare il terrore che cresceva ad ogni grido o colpo “Mae marth (Buona fortuna)” lanciò un’occhiata dubbiosa a Madeos. Sperò di rivederlo, incolpandosi per averlo trascinato in quel posto, senza nemmeno pensare alle conseguenze, infondo lei non sapeva nulla della guerra, non poteva immaginare quanto fosse crudele. Si spostò dalla piazzola, voltandosi più volte per constatare la situazione. I colpi al cancello erano talmente violenti che la fortificazione che aveva costruito inevitabilmente si frantumò e Gandalf, armandosi di coraggio riprese i soldati, sotto gli occhi attenti di Eldihen che correva senza però allontanare lo sguardo dal piazzale e dalla testa di lupo infuocata che era spuntata all’improvviso, aprendo l’accesso agli orchi.
 
“Seguitemi” gridò correndo verso il rifugio. Guardò distrattamente le donne e gli anziani che non sapendo dove andare si erano nascosti in una loggia. Lì non era sicuro. Saltò agilmente, quando una grossa palla infuocata rotolò con velocità verso di lei “ C’è un rifugio vicino alla montagna, in una vecchia casa disabitata” corse incontro alla gente e afferrò dal gomito una donna anziana trascinandola con sé per la strada, mentre dietro le sue spalle, precisamente nel primo livello, gli orchi con irruenza avevano iniziato ad uccidere i soldati, scagliando frecce infuocate contro Minas Tirith. Il rumore delle lame la fece barcollare ed allarmata si spinse fino all’ultimo livello, correndo per paura che quelle bestie la raggiungessero. Si fermò davanti allo spiazzo, dicendo alle donne di entrare e di non preoccuparsi. Vide la gente strattonarsi per raggiungere l’entrata, tanto che persino Eldihen rimase incollata alla parete, a causa della folla che si era ammassata. Le grida disperate per poco non la fecero piangere dallo sconforto e, quando il buio nel cielo sfumò, ed i primi pallidi raggi del sole iniziarono ad illuminare quella giornata, l’elfa costatò con i suoi occhi che la distesa fuori dai cancelli era piena zeppa di orchi. Non ce l’avrebbero fatta.
 
Si girò sospirando verso l’entrata, ricercando Draghetto con preoccupazione. Gridò il suo nome, sentendo la sua voce rimbombare fra le pareti e mescolarsi con le altre voci fino a disperdersi, e le occhiate delle persone su di sé. Era senza fiato, con un dolore lancinante alla mano, la gola secca che le bruciava come se avesse inghiottito lava incandescente “Dove sei?” urlò disperatamente girandosi intorno. Non c’era traccia del bambino. Si spinse nuovamente fuori dall’edificio.
 
Quando vide gli orchi attraversare il ponte sottostante, percepì una profonda paura che la pietrificò sul posto, come se fosse stata trafitta da un fulmine. D’istinto si girò e trovò su un muretto il secchiello con cui aveva  sistemato il rifugio. Era ancora pieno di calcestruzzo. Lo prese e lo scagliò contro i nemici, facendoli scivolare sul liquido grigiastro. Fortunatamente aveva ricoperto l’entrata di chiodi, se qualcuno si fosse avvicinato avrebbe incontrato delle difficoltà, anche se era consapevole che non sarebbe stato quello a fermare gli Uruk-hai  e gli uomini di Sauron.
 
“Draghetto!” corse controcorrente, vedendo le mura della città sfuggire sotto il suo sguardo, insieme agli alberelli verdi e alla gente che correva nella direzione del punto di salvezza da lei costruito. La macchia sulla mano era nera come la pece, la guardò furtivamente, stringendosi il dorso con un’espressione addolorata. Urtò contro un gruppo di persone, ricadendo a terra a gambe all’aria.
 
Si massaggiò la testa ed indolenzita si rialzò senza arrendersi. Recuperò la spada che brillava come sempre e quasi provò paura a stringerla in mano, pensando che sarebbe esplosa come un fulmine dal modo in cui luccicava. Rimase abbaiata ma ugualmente la impugnò, tornando alla ricerca del bambino
 
“Dove sei Draghetto?” gridò esasperata venendo investita da un altro gruppo di persone. Una roccia si schiantò precisamente sulla casa che stava raggiungendo. Eldihen per parare il colpo si coprì con le braccia, per poi saltare sui massi evitando così di cadere. Del bambino non c’era traccia. Stava inutilmente rischiando di essere trovata dagli orchi. Si guardò intorno, ricercandolo in mezzo alla folla e, mentre osservava agitata l’esercito muoversi contro la città, percepì distintamente la spada vibrare sotto il tocco delle sue mani. Si costrinse ad abbassare lo sguardo dalle nubi che ostruivano il sole e portalo alla lama luminescente.
 
“Vai  vicino alla torre. Muoviti!” udì una voce doppia e tagliente provenire dall’arma, la stessa che aveva udito tempo fa in sogno. Lì per lì non riuscì a comprendere se era reale o se ciò che aveva sentito fosse frutto della sua immaginazione ma, senza nemmeno rifletterci approfonditamente eseguì l’ordine, sentendo la magia della spada scorrerle sotto pelle, mentre si trascinava verso la torre, nella parte orientale di Minas Tirith, correndo contro il tempo.
 
 Si fermò solo per aiutare un gruppo di persone dirette al rifugio, poi continuò a correre, con il cuore in gola, i capelli pieni zeppi di polvere, l’ansia che stava salendo sempre di più mentre i suoi piedi si muovevano freneticamente e le urla della gente si facevano sempre più forti. Quando giunse dinanzi alla torre si fermò sull’alto balcone rimanendo allibita dinanzi lo spettacolo che si presentò: vide in tutta la sua mostruosità un nazgul , con le ali spianate come vele nere, la testa abbassata, le fauci spalancate. In sella all’orripilante creatura vi era una figura nera, dall’elmo appuntito che ricopriva tutta la sua testa e le mani celate sotto dei guanti di metallo. Si voltò e  notò che Gandalf e Pipino si trovavano di fronte, con gli occhi spalancati e la paura nei tratti del viso. Persino Ombromanto era pietrificato.
 
“Gandalf” mormorò Eldihen tremando ad ogni movimento dell’animale.
 
“Non sai riconoscere la morte quando la vedi, vecchio? Questa è la mia ora!” sfoderò la sua spada che  svettò alta nel bagliore del cielo, sotto la luce delle nuvole grigie, infuocata e minacciosa.
 
Lo stregone per difendersi avanzò con il suo bastone ma la potenza del cavaliere era tale da farlo ricadere a terra e, dopo un forte boato che fracassò le mura e parte della torre, Gandalf, Pipino e persino Eldihen ricaddero violentemente a terra.
 
“Ecco di cosa volevi avvertirmi” boccheggiò immobile, contro il freddo pavimento, con gli occhi sulla spada che splendeva di una luce bianca. Si rialzò e mise da parte la paura nel vedere il suo amico sdraiato al suolo, indifeso, con il bastone spezzato e gli occhi pieni di terrore. Un vento gelido si scontrò contro le guancie pallide dell’elfa, un vento freddo come la morte. Eldihen si rimise in piedi ed aggrappandosi alla ringhiera, radunò la forza necessaria per slanciarsi e saltare al piano inferiore, proprio sul punto in cui era fermo Gandalf, davanti la bocca di quel verme con le ali, con la spada abbassata ed i capelli che si agitavano. Traballò non riuscendo a mantenere l’equilibrio, sotto gli occhi stupiti del vecchio vestito di bianco.
 
“Che fai sciocca?” la riproverò rialzandosi da terra. Eldihen tremò dinanzi l’imponenza del re stregone, sentendo tutta la sua malvagità, come se fosse un’aura nera che si espandeva a macchia d’olio.
 
“Tieni Gandalf” aveva cercato un volto dietro l’elmo di metallo, ma trovò solo il buio e l’oscurità che contraddistingueva i guerrieri di Mordor. Le mancò la voce e le mani le tremarono mentre porgeva allo stregone l’elsa blu “Ho sentito la spada parlare e sono corsa da te” si abbassò e con premura prese Gandalf da un braccio, caricandoselo dietro al collo. Lo rialzò da terra e venne ripagata da uno sguardo gentile.
 
“Ci ho visto lungo. Senti la magia e sai come muoverti” prese lui la spada lasciando la ragazza dietro con Pipino. Il suo era stato un gesto coraggioso, era corsa in suo aiuto anche se sapeva di rischiare la vita, non esitando a lanciarsi dal balcone quando aveva visto Gandalf disarmato. Il coraggio brillava in Eldihen molto più di quanto lei pensasse, come se l’arma l’avesse aiutata a smuoversi, ad uscire dalle tenebre di Nihil.
 
“Hai fallito, il mondo degli uomini cadrà” la voce del cavaliere era intrisa di malvagità.
 
 Il suono di un corno proveniente dalla collina, sembrò smentire prontamente l’affermazione del re stregone che, lanciando un altro sguardo ai tre, li lasciò, per controllare ciò che stava accadendo fuori della città e indirizzare l’esercito verso il battaglione che era giunto in soccorso di Gondor.
 
“Gandalf” l’elfa lo abbracciò vedendolo in piedi, mentre Pipino le si avvicinava, incapace di comprenderla. Era spaventata e turbata, non tanto per la brutalità della bestia che li aveva minacciati, ma per il terrore di perdere il suo unico punto di riferimento.
 
“Tieni la tua spada, servirà a te. Siamo stati fortunati” guardarono il nazgul roteare velocemente tra le nuvole, non sapendo che presto una giovane dama avrebbe sconfitto quel nemico che a detta di tutti nessun uomo sarebbe stato in grado di uccidere, una donna che era cara ad Eldihen e che, proprio in quel momento si trovava tra le fila dell’esercito che era spuntato dall’altopiano, in compagnia di Merry, un hobbit coraggioso quanto Pipino.
 
“Dov’è Draghetto?” chiese con preoccupazione la ragazza stringendo l’elsa della spada. Il volto di Pipino si incupì ed anche lo sguardo di Gandalf si fece preoccupato.
 
“Montate a cavallo” si avvicinò ad Ombromanto. Eldihen mosse qualche passo verso lui chiedendosi cosa stesse accadendo. Lanciò un lungo sguardo agli eserciti poi seguì i suoi amici.
 
 
 
“Date fuoco alla nostra carne!” Denethor osservò il volto del figlio e versò sulla sua testa un boccale pieno di olio, mentre i suoi servi ricoprivano il piedistallo di rami.
 
“Lascia stare Faramir ah!” Draghetto era rimasto dentro quella catacomba e, dopo aver morso il sedere di tre dei soldati del sovrintendente era stato legato ad una colonna, costretto a guardare la scena senza poter far nulla, mentre si contorceva, sentendo i lacci stretti attorno alle sue mani.
 
“Che cessi questa follia” era entrato Gandalf in groppa al suo cavallo, irradiato dalla luce fuori dal portone, una luce tenue ma presente. Eldihen appena visto il bambino si rasserenò e saltò giù dal destriero, mentre Gandalf prese la rincorsa e dopo essersi scambiato alcune frasi con il sovrintendente ordinò a Pipino di saltare sul rogo che avevano creato, per salvare Faramir, mentre Eldihen si era precipitata a terra, per slegare la corda che teneva inchiodato Draghetto alla colonna.
 
“Vieni qua” lo strinse contro il seno, con le gambe al suolo.
 
“No! Non mi porterai via mio figlio! ah” si girò e vide Denethor sul rogo in fiamme, con gli occhi spalancati dallo stupore. Sembrava stranamente felice “Faramir”
 
L’uomo a terra riaprì gli occhi e Draghetto pur ricambiando l’abbraccio di Eldihen si separò da lei e si precipitò verso l’amico, accucciandosi contro il suo petto, come un piccolo pulcino.
 
I vestiti di Denethor a causa dell’olio presero immediatamente fuoco e, trafitto dal dolore si alzò e corse fuori gridando.
 
“Così trapassa Denethor, figlio di Ecthelion” commentò Gandalf.
 
“Si, perché si è dato fuoco come un’imbecille” Draghetto fece sorridere Pipino mentre Eldihen seguendo le sue sensazioni e il bagliore della spada che si  illuminava ad intermittenza, seguì il sovrintendente nella sua folle corsa, come se fosse stata richiamata fuori da qualcosa. Magari era stata la spada stessa o lei si sbagliava, ma sentì qualcosa di strano, una sensazione inspiegabile che la fece correre fino a superare il ponte ed il largo giardino. Quando Denethor si lanciò dalla roccia, Eldihen si aggrappò dopo mezzo minuto alla balaustra, scorgendo perfettamente, grazie alla sua vista elfica, la sagoma degli olifanti che stavano marciando verso gli eserciti, in direzione di Minas Tirith. Erano in svantaggio, la banda degli Haradrim suonò in quel momento il loro corno, una musica che risaliva alle guerre antiche  e che annunciava la morte senza pietà.  Rimase pietrificata quando da quell’altezza sorse in lontananza un volto a lei familiare, diverso da coloro che galoppavano gli olifanti, un volto a lei noto.
 
“Nihil” urlò sdegnata corrugando la fronte e battendo i pugni sul balcone in pietra, ripetendo il gesto più volte, fino a sbucciarsi le nocche. Cosa significava? Perché l’elfo si trovava con i nemici? Perché stava galoppando verso Minas Tirith?
 
 
 
Approfittando del momento confusionale che si era creato dopo la morte di Saruman, Nihil aveva scritto alcuni messaggi agli emissari del popolo del sud, spacciandosi ancora per un suddito dell’oscuro signore. Era in tal modo riuscito a bloccare legioni di Haradrim, anche se non tutti avevano ascoltato le sue parole e, sotto mentite spoglie l’elfo aveva superato L’Ithilien per raggiungere le truppe degli Haradrim. Si era unito a loro per un solo ed unico scopo: distruggerli dall’interno.
 
Nihil era in sella ad un olifante, serio in volto come non era stato mai, pronto alla guerra, al sangue che avrebbe rivisto e, agli orrori che avrebbero nuovamente dilaniato la sua anima, le grida disperate e le suppliche urgenti che ancora rimbombavano nella sua testa, conscio che a breve si sarebbero aggiunti altri ricordi di quel genere. Avrebbe mostrato tutta la sua abilità, le sue capacità che lo avevano reso noto. I cavalieri di Rohan lanciarono tantissime frecce sulle gambe degli animali, senza scalfirli affatto. Sembravano formiche agli occhi dell’elfo che si spostava senza scompigliarsi, tenendo le redini di un olifante. Era riuscito ad entrare in un gruppo di mercenari con discorsi pomposi e ricchi di promesse. Era stato sempre abile in questo.
 
Senza preavviso afferrò le corde che stringevano l’olifante alle zanne, stringendosi bene al sedile rosso in camoscio in cui era seduto, con la sua armatura argentata di indissolubile metallo che esaltava la bellezza del suo volto serafico. All’improvviso, stupendo gli uomini dietro di sé dentro la recinzione in legno, Nihil con un colpo deciso tirò l’animale in direzione dell’altro affianco, facendoli scontrare violentemente in un colpo che causò la perdita di molti soldati e la caduta rumorosa di ben quattro olifanti lì vicino, cosa che sbalordì sia l’armata nemica, che i Rohirrim che retrocedettero velocemente per non essere schiacciati dagli animali.
 
Nihil saltò sulla lunga proboscide dell’olifante, e muovendosi con maestria uccise gli uomini in sella agli altri animali, schivando le loro frecce nere, lanciandone a sua volta, senza mancare il suo bersaglio fino a che trucidò tutti gli uomini e il terreno venne macchiato con il loro sangue. Nella confusione totale, riuscì a inquadrare l’esercito degli orchi, spingendosi verso di loro, armato di spada, con i denti stretti e un’espressione di sdegno a deturpare la sua pelle perfetta. Si scontrò contro gli Uruk-hai, volteggiando con la sua spada già sporca di sangue nero. La polvere si alzò dal terreno annebbiando le sagome di uomini e di cavalli. Sentì delle urla, minacce che correvano da una parte all’altra del campo di battaglia, il rumore incessante delle spade che trafiggevano carne, senza alcuna pietà, con ferocia selvaggia. Nihil scivolò sul terreno e uccise un numero indefinito di orchi, scagliando la lama metallica  in aria, fino a fendere anche lo strato di nebbia giallognola che si era creato.
 
Aveva eseguito alla lettera gli ordini di Aragorn e Legolas, senza disubbidire. Il ramingo aveva visto giusto e, inviando Nihil in guerra il vantaggio di Gondor era aumentato poiché, gli olifanti, i nemici più temibili di dimensioni titaniche, giacevano morti a terra, insieme ai numenoreani neri, gli Haradrim e gli esterling i cui volti erano coperti da maschere in tessuto. Le sue abilità nell’uccidere era impressionante, tanto che i Rohirrim rimasero terrorizzati ogni qual volta Nihil si muoveva con la sua spada, come un signore della guerra, mentre le sue vittime lo fissavano con timore, supplicandolo senza successo. Spezzò il corpo di un orco ed il sangue viscido e nero schizzò sul suo viso, gocciolando dalla sua spada. Approfittando del momento di totale svantaggio, i Rohirrim fecero voltare i cavalli verso il centro del campo per frantumare le fila. Corsero ed urlarono con le lance puntate, pronti ad uccidere. Infilzarono gli orchi e a loro volta morirono. Fecero una strage ed anche se la marcia su Minas Tirith si era arrestata, le difese  ormai cedevano da ogni lato. In quella guerra partecipò sia Merry che Eowyn, senza però essere notati da nessuno, assistendo alla brutalità del massacro, proprio come Nihil che, ad un tratto si fermò, per guardare la fortezza bianca, ingrigita di colpo dal fumo dei fuochi. Si chiese dove fosse Eldihen, se stesse bene, se Epon avesse obbedito ai suoi ordini standole affianco. Non sapendo che la ragazza avendolo visto in groppa ad un olifante aveva frainteso ogni cosa, credendolo un traditore.
 
 
 
Eldihen si era spinta oltre i cancelli in cui si erano chiuse le donne e, dopo aver lasciato Draghetto in custodia a tre Massaie, sbarrando l’accesso al rifugio con tre travi di legno e due ti metallo, scappò, veloce come il vento, scontrandosi contro gli orchi, pur non possedendo le abilità che la guerra richiedeva. Ugualmente raggiunse il piazzale in cui si trovavano Pipino e Gandalf, accecata dalla collera, il cuore che le batteva in gola dallo spavento e le lacrime pronte a solcare il suo viso pieno di sangue e sporcizia di ogni genere. Scivolò sulla pendenza piena di cadaveri, con la spada scintillante stretta in mano. Doveva assolutamente raggiungere l’esterno per parlare con Nihil, anche a costo di scontrarsi contro tutto l’esercito di Mordor. Perché era con i nemici? Aveva promesso di aiutare Rohan, e gli aveva dato pure Epon come pegno. No, non poteva essere, no.  Tirò un calcio al portone che la separava da Gandalf, sfogando tutta la rabbia repressa. Pianse pensando a tutti i sacrifici che aveva fatto per i suoi amici, credendo che Nihil fosse realmente cambiato.
 
“Eldihen torna immediatamente al rifugio” Gandalf che era seduto a terra, nascosto dietro ad una balconata con Pipino, in mezzo a casse di ortaggi si rialzò, attirando l’attenzione dei soldati alle prese con il portone che li separava dai troll.
 
“Gandalf. Lasciami stare. Anche Pipino è con te, perché non mi permetti di fare qualcosa per voi?” disse piangendo trascinandosi indolenzita alla ringhiera in pietra. Era vero, sarebbe stata molto più utile lontana da loro, ma non riusciva a mettersi al sicuro sapendo che i suoi amici stavano rischiando la vita e, travolta dallo sconforto e dall’irritazione le rivennero in mente i baci di Legolas, il profumo della sua tunica e la gentilezza delle sue carezze “Alla fine di ogni cosa, voglio anch’io partecipare per l’amore che sento nel cuore” si accasciò a terra, appoggiando la testa sulle colonnine che sostenevano il balcone.
 
“Hai rafforzato i cancelli. Aggiustato le catapulte, costruito un rifugio per le donne e ti sei spinta fino a Gondor per aiutare tutti coloro che ami. Puoi ritenerti soddisfatta Eldihen e basta con le lacrime, perché anche tu hai dimostrato grande coraggio” passò la sua mano sulla pelle di Eldihen in una carezza confortevole che la ragazza apprezzò e, pur costringendosi a cessare il suo pianto, sentì una lacrima uscire dai suoi occhi e scendere sulle dita dello stregone.
 
“Vi voglio tanto bene” ammise quando la vista si appannò e nella sua testa comparvero i volti di color che amava: Legolas che era un pezzo del suo cuore, Gimli, Aragorn e della sua adorata  Eowyn. Avrebbe dato oro per riabbracciarli e saperli al sicuro.
 
Pipino sembrò comprenderla e in quello scenario di morte, le urla degli orchi quasi scomparvero, come se la forza dell’amore che ognuno provava per i propri cari, avesse attutito ogni altra sgradevole sensazione o presenza, in quella che era una fine vicina ed avversa.
 
“Non credevo sarebbe finita così” ammise sconsolato guardando la ragazza aggrappata alla sua arma. Vagando con il pensiero, ricordò Frodo e Sam, Merry, la contea ed i fiumiciattoli che la delimitavano. Quanta nostalgia.
 
“Finita? No il viaggio non finisce qui. La morte è soltanto un’altra via. Dovremo prenderla tutti” guardò Pipino ed in seguito si concentrò su Eldihen, senza distogliere lo sguardo da lei, fino a che la vide sollevare le palpebre ed i loro occhi si scambiarono un lungo e pesante sguardo tra lacrime fresche e nuove “La grande cortina di questo mondo si apre…” si fermò rivolgendosi più ad Eldihen che a Pipino. Adesso aveva abbassato i suoi occhi sulla spada che le aveva donato, quella spada che aveva aiutato Eldihen e che lei aveva apprezzato e compreso. Era stata abile ad usarla, nessuno avrebbe colto la magia che vi si celava, ma un cuore bianco come il suo era stato in grado di sfruttare quell’arma per fare sempre del bene “ E tutto si trasforma in vetro argentato”
 
L’elfa tremò e la spada vibrò allo stesso momento, ancora una volta, come se lo stregone avesse anticipato qualcosa che presto sarebbe accaduto. Ma che voleva dire Gandalf?
 
 
 
I cadaveri giacevano a terra, calpestati dai pochi olifanti che circolavano nel campo. Intorno a Nihil c’era soltanto la morte e la disperazione. Alzò la spada per difendersi dagli attacchi dei nemici e, quando vide i Rohirrim in posizione di vantaggio si lasciò andare, nella più totale ed inconsolabile afflizione. Era stanco di vivere quelle scene e di conseguenza smaltire tutto il dolore, dimenticare le urla della gente, la vista del sangue di rimanere solo con l’odio che gli aveva lasciato lo scontro. Ancora una volta. Valeva proprio la pena continuare a lottare? Nella sua vita altro non aveva fatto e al termine di quell’avventura si sentì schiacciato dal passato, da tutte le battaglie che gli avevano portato via le persone che più amava, trasformandolo. La sua anima era divenuta nera, come un pozzo senza fondo, lui era appassito ed era esausto, al limite.
 
 
“L’odio uccide, forse è vero come dicono
Ma so che da un veleno nasce un antidoto
Vieni con me, la strada giusta la troviamo
Solo quando ci perdiamo  e restiamo da soli
Perché è dagli incubi che nascono i sogni migliori”
 
Epon sembrò fiutare le paure del suo padrone e spiegando le ali lo raggiunse dal cielo, in mezzo alle nuvole grigie, a tutti gli orchi che si spostavano da una parte all’altra, come a volerlo consolare, come aveva fatto sempre in tutti quegli anni, standogli accanto e condividendo l’ombra della sua solitudine. Nihil si voltò per accogliere l’animale con un lieve sorriso sulle labbra, trovandosi senza saperlo, a pochi passi dalla donna che aveva patito più di ogni altro per mano sua e che tutt’ora stava soffrendo: Eldihen.
 
Rimase sorpreso  nel vederla correre sotto Epon, con la spada nera e buia, i capelli pieni di calce, il viso spossato e le labbra schiuse, era affaticata. L’elfa appena gli orchi avevano aperto una breccia nel cancello aveva approfittato della loro distrazione per giungere fuori dalle mura di Minas Tirith. Aveva trovato Nihil grazie alle indicazioni della spada e al falco che l’aveva guidata fuori.
 
Si fermò vicino a lui guardandosi alle spalle per paura di essere attaccata.
 
“Tu…” Nihil a sua volta le corse incontro azzerando le distanze.
 
“Ti avevo detto di andare in aiuto a Rohan ed invece…”
 
“L’ho fatto” spiegò Nihil impugnando nuovamente la sua spada per sconfiggere un nemico che stava correndo  nella loro direzione. Si abbassò ed allungò una mano per trascinare Eldihen dietro di sé “Aragorn mi ha chiesto di colpire il nemico dall’interno e come vedi i cavalieri di Rohan adesso sono avvantaggiati”
 
Eldihen disorientata osservò lo scontro violento che si stava consumando lontano da loro. Fissò le spade e le lance che si innalzavano, la città infuocata, piena  di orchi dentro e fuori, i cavalli che si spostavano freneticamente e la morte degli uomini di Sauron. Non era facile credere a Nihil, ma ciò che aveva detto sembrava avere delle fondamenta. Gli olifanti erano stati quasi tutti annientati, tranne alcuni che si stavano lentamente avvicinando  in lontananza dal monte Fato.
 
 
“Adesso si spiega” dunque lui apposta era in groppa all’olifante “ hai visto Legolas?” chiese stralunata attenta a non essere vista dagli orchi, ma per fortuna i guerrieri di Thèoden li stavano tenendo lontani. La pelle  le bruciava e la mano era divenuta scura, era inutile coprire o fasciare quella macchia.
 
“L’ho visto” spalla contro spalla colpirono alcuni avversari, aiutandosi a vicenda. Si lanciarono uno sguardo lungo prima di voltarsi completamente, l’uno di fronte all’altra. Eldihen era in difficoltà, ma Nihil l’aiutò a resistere “Era molto preoccupato per te. Il tuo è stato un gesto folle. Non pensavo che ti saresti spinta a tanto per lui. Stai rischiando la vita e…” la spinse con forza a terra, facendola cadere tra l’erba secca ed i rovi. Uccise un orco armato di pugnale, per evitare che quest’ultimo accoltellasse Eldihen alle spalle “non sei molto brava a combattere” le porse la mano, con i capelli grondanti di sudore ed il fiato corto.
 
“Non l’ho fatto solo per Legolas, ma per tutti i miei amici. Per me. Non sarei mai riuscita a scappare, anche se non sono brava a combattere” si bloccò passandosi tra le mani l’elsa. Era troppo pesante “E l’ho fatto anche per te Nihil… ricorda che io conosco il tuo dolore. Ma il futuro sarà bello… arriverà l’amore in questo mondo” ed era con questa prospettiva che si era spinta in quella battaglia, come lo avevano fatto i piccoli hobbit, nonostante le loro incapacità. Si era messa in gioco, aiutando gli altri come meglio poteva, nel suo piccolo.
 
“Saltiamo insieme, vieni con me
Anche se ci hanno spezzato le ali
Cammineremo sopra queste nuvole
Passeranno questi temporali
Anche se sarà difficile
Sarà un giorno migliore domani”
 
Nihil si irrigidì, come se lei avesse passato la mano dentro una ferita fresca e viva. In risposta a ciò che aveva affermato Eldihen, corse incontro ad un gruppetto di orchi, ricacciandoli con un solo e preciso fendente, con i denti digrignati e il cuore che batteva troppo forte, come se volesse esplodere dentro le costole, uscirgli dal petto “Non sai nulla di me Eldihen” si voltò respirando pesantemente, con Epon che ogni tanto si innalzava per controllare il territorio “so solo io ciò che ho passato…” non sembrava aggressivo, ma rassegnato.
 
 
“Odio queste cicatrici perché mi fanno sentire diverso
Posso nasconderle da tutti, ma non da me stesso
È un armatura cresciuta col tempo
Ogni ferita è un passaggio che porta al lato migliore di noi
Perché attraverso loro puoi guardarmi dentro
Sentire cosa provo, capire cosa sento”
 
L’elfa sgranò gli occhi e si spinse verso di lui strascicando la spada sul terreno, lasciando una scia dietro il suo percorso. Lo afferrò dal braccio per guardare i suoi occhi azzurri, spenti, sotto quel cielo grigio in cui anche il sole pareva non esistere più “Io ti capisco Nihil. Secondo me ci sarà un’altra possibilità anche per te. Non ti devi abbattere” sembrò una forma di consolazione ma non comprese nemmeno lei perché lo stesse facendo, sapeva solo che avvertita tutta la sua afflizione e da un semplice sguardo aveva compreso il suo stato d’animo.
 
Nihil abbassò le palpebre ed alzò gli angoli della bocca, guardando la  mano di Eldihen macchiata di scuro a causa della lacrima che si stava espandendo lungo la sua pelle e, quella spada buia, nera come l’ossidiana. A differenza di Eldihen, lui la lama la vedeva nera, come se vi fosse nascosto all’interno una tempesta “Ho sempre temuto quella spada” confessò ad un certo punto lanciando sempre uno sguardo agli orchi che fortunatamente si erano allontanati da loro “La lama è nera e vibrante, sembra quasi che io ci veda tutte le mie paure, le mie sofferenze… è spaventoso!” ammise leggermente turbato e ciò sorprese Eldihen.
 
 Ma cosa andava dicendo Nihil? L’elfa abbassò lo sguardo ed alzò di poco la spada vedendola perfettamente bianca e luccicante come sempre. Solo una volta l’aveva vista nera e, da come la stava fissando Nihil le sembrò che anche lui stesse provando le sofferenze che lei aveva vissuto in passato. Rimasero in silenzio e Nihil pregò che lei parlasse, che continuasse a guardarlo, per non rimanere solo con il suo dolore.
 
“Non conta la destinazione, ma il tragitto
Il peggiore dei finali non cancella mai un inizio.
Fa più rumore il tuo silenzio che le urla della gente
Un albero che cade, che una foresta intera che cresce
Tengo i miei sogni nascosti dietro alle palpebre
Siamo fiori cresciuti dalle lacrime”
 
“Ma Nihil. La lama è bianca e scintillante” disse impensierita prima  che Nihil strattonasse un uomo con un fendente che tagliò il petto dell’avversario come se fosse fatto di carta pesta.
 
“Perché il tuo cuore è bianco e riesci a vedere la luce, ma io no… per me non c’è nulla, solo buio”
 
“Nihil…”
 
“Siamo uguali se vai vedendo stellina. Ci completiamo a vicenda: tu vedi le mie ombre ed io vedo la tua luce. Che buffa cosa” sorrise tristemente, con gli occhi limpidi e gli scudi completamente abbassati. Era rimasto per troppo tempo in allerta a progettare la sua vita con estrema razionalità non accorgendosi di tutto il rancore che lentamente lo aveva ucciso. Era rimasto con i pugni chiusi, senza nulla, nascondendo le sue debolezze, le sue sofferenze, senza ottenere nulla.
 
“Lascia perdere adesso. Guarda, io sono sicura che Legolas ti perdonerà e che ogni cosa si risolverà. Fidati, non nascondere più le tue paure” Eldihen gli strinse la mano e lui sembrò ricambiare, anche se i suoi occhi erano troppo assenti, troppo distanti da quella battaglia.
 
“Se questa notte piove dietro le tue palpebre
Sarò al tuo fianco quando è l'ora di combattere
Portami con te
Ti porterò con me
Tu mi hai insegnato che se cado è per rinascere
Che un uomo è forte quando impara ad esser fragile
Portami con te
Ti porterò con me”
 
“Se riuscirai a perdonami un giorno fallo Eldihen” i suoi occhi si spensero completamente. Non lasciò il tempo alla ragazza di rispondere, il suo mantello rosso oscillò sospeso in aria, mentre Nihil lanciò i suoi colpi contro un orco che proveniva dal centro della battaglia, scaraventando la sua carcassa al suolo. Fortunatamente si trovavano in uno spiazzo in lontananza.
 
“Io ti ho già perdonato” Eldihen gli corse incontro e guardando le truppe nemiche fuggire nella nebbia del mattino si rassicurò un attimo. La cavalleria di Rohan li annientò a colpi di spade e lance, spingendoli verso il fiume. Erano in molti e tutti correvano scontrandosi, ma la forza degli uomini non stava vacillando e approfittandone Eldihen parlò nuovamente a Nihil “Sta per finire tutto…”
 
L’elfo si girò sconcertato, con uno sguardo indecifrabile, l’armatura che brillava e gli occhi abbassati sulla mano nera di Eldihen “No Eldihen, c’è ancora una cosa da fare” prese l’arma dalle mani della ragazza senza preavviso e, guardando il suo volto pieno di stupore, la conficcò nel suo ventre, in un colpo  violento che lo fece sanguinare. Si inginocchiò a terra e la spada dentro al suo torace ferito sembrò sgretolarsi in tantissimi pezzettini di vetro argentato.
 
“No… Nihil!” urlò addolorata e, la lacrima nera ricoprì il suo occhio sinistro ricadendo a terra e bruciandosi a contatto con il suolo, con Nihil accasciato in mezzo a tutti quei pezzetti di vetro. Lo raggiunse, e lo accarezzò “ Che hai fatto?” urlò vedendo le sue labbra imbrattate di sangue “Che hai fatto? Perché? Io credevo di poterti salvare” urlò tirandosi i capelli dalla disperazione “No! No! No!” scagliò i pugni contro il suolo e si accasciò a terra piangendo sconsolatamente. Aveva conosciuto il passato di Nihil, grazie alla spada e aveva sperato che il futuro per lui potesse riservargli qualcosa di bello.
 
“Ti avevo promesso che avrei rotto l’incantesimo…” disse con un filo di voce guardandola. Aveva la pelle pallidissima e con estremo dolore era riuscito a spostare la sua mano in direzione di Eldihen, per accarezzarle i capelli “Ma ti chiedo una cosa in cambio”
 
Eldihen rialzò il volto e strinse la sua mano, mentre singhiozzando lo guardava in attesa che lui concludesse.
 
“Prega i Valar da oggi in poi, in modo che io possa ritornare…” spostò la testa verso il cielo scuro e vide chiaramente il suo amatissimo falco volare nella sua direzione con gli occhi spalancati, emettendo dei versi sconsolati. Epon si accucciò sul petto di Nihil,  tremando, ed Eldihen pianse ancora di più “…perché possa vivere in pace” chiuse gli occhi, ed anche Epon lo imitò, rimanendo immobile sotto il corpo del suo padrone.
 
“No!” gridò con tutta la forza che aveva in corpo, strattonando Epon e Nihil nella speranza che potessero risvegliarsi, ma loro erano morti, l’avevano lasciata, senza godere dei loro meriti, nemmeno un giorno di tranquillità, nemmeno un giorno di luce. Se ne erano andati insieme, abbracciati,  e lei mentre piangeva li richiamava, facendo pressione sulla ferita di Nihil, mentre il sangue scorreva dal suo ventre e le mani di Eldihen si tingevano di rosso. Alla fine si rassegnò e in un gesto di pietà li abbracciò.
 
Pregherò e sarà un giorno migliore domani… anche per te


Testo della canzone: Fiori di Chernobyl di Mr. Rain
 
 
Note autrice:
Che capitolo ricco di cose, vi è piaciuto,? spero di si… sinceramente per Nihil mi è dispiaciuto e rileggendo mi sono anche commossa, ma io sono di parte ovviamente xD, mentre voi che mi dite? Spero vi sia piaciuto e non vedo l’ora di leggere i vostri commenti. Vi ringrazio tantissimo.
Riguardo gli aggiornamenti: venerdì
Un abbraccio
   
 
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