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Autore: robyzn7d    23/08/2021    2 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo VIII
Sbalzi d’umore 

 
 
 
 
 
 
 
La protagonista di quella particolare notizia era stata assalita da un via vai di domande che partivano dal ‘come mai sei tornata indietro?’, fino al ‘raccontaci di Zoro in veste di genitore’; ma venne salvata giusto in tempo dal suddetto padre che, conscio delle ferite di lei alle mani causate dalla spada, aveva chiesto a Chopper di medicarle. Così, i tre, insieme a una Robin curiosa, trasferiti - o scappati - in cucina, si ritrovarono in un ambiente più quieto atto ad incanalare quella verità. 
 
“Non c’è bisogno.” 
Rin, seduta sulla sedia, si opponeva solo a parole alla medicazione, lasciando però le sue mani all’ispezione del medico se opporsi.
Zoro, braccia incrociate e seduto sul divanetto dietro, osservava la scena attento ma con sempre quella sua solita espressione enigmatica, senza aggiungervi nulla di nuovo. 
Era disarmato davanti a quella realtà, ma sembrava non darci troppo peso. D’altronde, lui stava vivendo il presente e solo su quello voleva e doveva concentrarsi. 
Il dottore aveva usato una crema speciale per alleviare il rossore e le aveva fasciate con le bende, per evitare il contatto tra le altre superfici e le bolle formatesi sulla sua pelle candida. Con una cura e attenzione maggiori per via della sua giovane età, stava attento a non farle male. “Queste ferite sono eccessive per una della tua età.” 
Era sempre così cauto e appassionato nello svolgere il suo lavoro, ma quella bambina lo rendeva uno ‘Zio’ a tutti gli effetti, almeno così voleva sentirsi; anche se lei continuava a chiamarlo solo ‘Chopperino’, ignara di non stare regalandogli questa gioia che lui invece avrebbe tanto apprezzato. Ma non importava, nel tono della piccola c’era tanto affetto e a lui questo bastava, la sentiva veramente parte della famiglia, da quel primo giorno in cui ne riconobbe l’odore. 
 
“Quella spada è troppo grande per te!” 
 
C’era voluto un po’, ma poi Zoro aveva proferito parola, non cambiando espressione ma con lo sguardo concentrato su di lei, forse per la prima volta la stava studiando. “Dovresti fare pratica con quelle più semplici.” 
Rin aveva sussultato nel sentirlo, era rimasta contenta della sua reazione, ma avrebbe tanto voluto sapere che cosa gli stava passando per la testa. Aveva voltato il capo guardandolo con un bel broncio piazzato sul volto, mentre ancora Chopper la medicava, “mi annoiano quelle.” 
Robin, seduta dall’altro lato del tavolo, scrutava ogni azione e stava attenta ad ogni parola che veniva pronunciata. Lei non voleva perdersi niente di loro, di quella inusuale circostanza. Era attratta da quel potere, ma ancora di più da quell’idillio familiare. “Eppure, hai detto che quella l’hai rubata a tuo padre, no? Dunque, lui non ti ha concesso di usarla.” Puntualizzò, cercando di capire a fondo certe dinamiche. 
Zoro tese l’orecchio, era sempre un po’ lento, ma quello lo voleva proprio sapere. 
La bambina aveva assunto una posizione immobile, come se volesse far finta di non essere lì, poiché colta con le mani nel sacco.  
“Rispondi!” Lo spadaccino allora la esortò, voleva saperne di più sul furto della sua spada, ma il suo tono non era così severo come ci si poteva immaginare. “Hai giurato che avresti spiattellato tutto” e per lui un giuramento è da prendere con serietà anche se a farlo è stata solo una bambina di dieci anni. 
Ma Zoro non poteva sapere che dentro di sé, Rin, avrebbe voluto sentirsi libera di mentire, di disonorare una promessa, cui non riusciva anche volendo. Fu così costretta ad accennare un ‘si’ con il capo, sospirando, vittima di sé stessa. 
“Mi è categoricamente vietato usare questa spada.” 
“E perché diavolo l’hai rubata?” Non riusciva proprio ad accettarlo lui un simil gesto. 
“Volevo dimostrare di essere capace di usarla. Tutto qua.”  
Chopper aveva finito con la medicazione, rimettendo l’occorrente nella cassetta e liberandole le mani dalle sue attenzioni. 
“Tutto qua un bel niente!” Aveva replicato il verde, innervosendosi. “Non si deve rubare!” 
Era abituata a quel tipo di precetti, lui le aveva insegnato il senso di un giuramento e l’importanza dell’onestà, due pesi che soggiornavano sulle sue spalle di bambina, due concetti ponderosi da interpretare a quell’età, che erano grandi come un macigno per lei, ma un macigno che però riusciva lo stesso a portare con orgoglio. Ma sul rubare, lì Roronoa aveva clamorosamente fallito, o forse era subentrato troppo tardi.  “Se aspettassi te non me la faresti mai usare. E poi, anche tu l’hai avuta da bambino! Maschilista.” Quella scese dalla sedia e si fiondò davanti a lui facendo la linguaccia.
“ABBASSA QUEL TONO” mise i denti aguzzi per svariati secondi, per la prima volta disturbato dal fatto che lei sapeva questi suoi dettagli personali; per poi calmarsi in fretta evitando di dare troppo nell’occhio. “Quando ho detto che è pesante per te intendevo per la tua statura. Sei troppo mingherlina e bassottina. Devi farti i muscoli prima.”
La stava per caso sfottendo?
“Maledetto maschilista!” 
“PIANTALA!” 
 
“Hei Robin, stai ancora leggendo quel libro?” 
Chiese Chopper prendendo posto su una delle sedie. 
“Si, sto aspettando Nami per consultarmi su una parte che é riportata qua, ma non so dove sia finita.” 
Zoro e Rin avevano fermato il loro battibecco, soffermandosi ad ascoltare quelle ultime parole. 
“A quella ogni tanto le girano male senza motivo.”
Lo aveva più grugnito che detto con parole vere. Zoro sembrava quasi scocciato di non sapere cosa le passasse per la testa. 
Chopper lo aveva fissato per una manciata di secondi, avendo ben chiara in mente l’immagine della mattina che gli aveva visti coinvolti. Non riusciva a capire che cosa stesse succedendo tra loro, e ora ancora di più il fatto che dicevano delle cose a parole ma poi ne facessero altre a fatti. Quel momento in cui li aveva visti insieme doveva pure significare qualcosa; il piccolo medico, per quanto non capisse certe connessioni tra gli esseri umani, sapeva che l’amore è universale e il bisogno di un’altra persona affianco era uguale per ognuno. Era stupito che tra tutti quanti, alla fine, era proprio Zoro quello che aveva più bisogno di Nami. Non sapeva spiegarselo, ma sentiva che era così, lo leggeva anche ora, sul suo volto. Per non parlare del suo odore che cambiava sfumature quando era nervoso. 
 
Rin prese posto vicino allo spadaccino, sul divano, come fosse per lei la normalità. Uno spadaccino che non faceva altro che voltarsi verso la porta della cucina ogni volta che sentiva un rumore. 
“Perché non provi a parlarle?” 
Chiese intimorita, guardandolo dritto negli occhi. 
“A chi?” 
Cadde dalle nuvole lui, guardandola a sua volta e notando quel modo agitato che aveva di esternare certi pensieri. 
“A Nami!” 
Era nervosa, facile all'emozione, ma faceva di tutto per non darlo a vedere.
 
Ma in quel momento la cucina fu occupata da due figure, una di queste era piuttosto irrequieta. Sanji e Franky, reduci da una concitata conversazione, si stavano spingevano uno sull’altro per arrivare per primi. Rumore che portò nuovamente lo sguardo del verde dritto sulla porta. 
“Senti tu” Sanji indicò la morettina con fare quasi spaventato “L’altro giorno mi hai detto che la tua mamma é una delle donne più belle al mondo!” quasi non respirava dalla foga di scoprire quella verità. 
“Si, l’ho detto.” 
Il biondo era a dir poco alterato, tanto che gli cadde la sigaretta spenta dalla bocca che finì spiaccicata sul pavimento. “E perché mi hai mentito su una cosa del genere?”
Rin si alzò in piedi con le mani fasciate chiuse in due pugni in posizione di difesa: ci voleva veramente poco per farle perdere la pazienza! “Ti ho detto che io non mento mai!”  
“BUGIARDA!” 
“Hei tu, sopracciglio strano, se ha detto che non mente, sarà vero.” Zoro aveva parlato in sua difesa, cercando di mantenere la sua solita tranquillità. 
Robin era sempre più incuriosita, osservando la scena sorridente, consapevole di essere l’unica tra loro a sapere di un’altra verità, forse quella più eclatante, che avrebbe davvero scombussolato gli equilibri. 
Sanji era piuttosto agitato e per nulla convinto. “Non è possibile che tu “indicò Zoro, “sia sposato con una donna di un tale calibro.” 
Lo spadaccino aveva messo su i famosi denti aguzzi “Io non sono sposato, idiota!” 
“Certo, non tu adesso, ma tu domani.” 
“Ma che ne posso sapere allora!” 
“Certo che lo sai!” 
Per un attimo riuscì a calmare i nervi, mentre nel frattempo la cucina venne invasa anche dagli altri tranne Nami, che era scomparsa dai radar. 
“É quel bocconcino della marina, non é vero?” 
“Chi?” 
Zoro non riusciva proprio a capire di che diavolo stesse blaterando, guardando ancora una volta la porta che si apriva, con il cuore in gola. 
Il cuoco fece poi memoria, ricordando la donna a Punk Hazard “Si, la dolce Thashigi!”
“CHE COSA?” 
Sbottarono Zoro e Rin contemporaneamente, frustrati. La bambina aveva gli occhi fuori dalle orbite, segno che la conosceva sicuramente. 
“Tu sei un dannato pervertito che non sa pensare ad altro.” Voleva chiudere quel discorso il più velocemente possibile, lo spadaccino.
“Da chi altri avrebbe preso questi capelli scuri? E sa anche tirar di spada. Non nascondere il tuo amore segreto per lei.” 
Zoro era furioso, si era alzato in piedi dalla foga con ancora i denti aguzzi e il fumo che usciva dalle orecchie. 
Ma Franky lo anticipò, salvandolo in extremis. “Ehi aspetta Sanji. Sarà anche carina, ma quella non è una SUPER.” 
Rin sospirò sollevata. Sembrava non volerci avere proprio nulla a che fare con Tashigi, calmando i suoi bollenti spiriti. 
“Ma non è possibile, non ci sono altre opzioni!” 
Sanji era piuttosto convinto mentre cercava di fare mente locale. “Che bellezza divina potrebbe mai prendersi uno come te?” Il cuoco aveva raccolto la sigaretta da terra gettandola poi nella spazzatura e prendendo posto accanto a Robin, ma sempre con quel ticchettio alle mani e ai piedi, segnale che era ancora nervosissimo. 
Ma proprio in quel momento notò che sia Rufy che Brook avevano una strana espressione sul volto e stavano guardando proprio nella sua direzione in cui si era seduto, con fare pericolosamente pensieroso. 
“E voi che volete adesso? Non ho ancora cucinato il pranzo!”decretò. 
Ma i due indicarono la compagna seduta accanto a lui. “Robin ha i capelli neri!” 
Sull‘archeologa spuntò dietro la testa una goccia d’acqua per il disagio, sforzandosi di sorridere. 
Ma non durò a lungo, dal momento che avevano davvero provocato il cuoco nel modo peggiore, facendolo diventare prima nero e poi rosso fuoco dalla rabbia. La temperatura nella stanza era appena salita di molti gradi tutti assieme. “AAAAAA NON OSATE IDIOTI!” 
I due poveretti vennero scaraventati all’indietro, e andarono a sbattere contro alla porta della cucina ricadendo di pancia sul pavimento. 
Rin aveva sospirato arresa, cercava di farsi notare richiamando l’attenzione, ma nessuno di ‘quei cretini’ voleva ascoltarla. Va bene non sapere, ma non accettava che le assegnassero una mamma che non era la sua. Così aveva preso posizione, raggiungendolo e mettendosi tra Sanji e i due malcapitati a terra.
 “Questa cosa non posso dirvela, chiaro?” 
“Mi prometti almeno che la tua mamma non si trova qua in questo momento?” Sanji aveva quasi le lacrime agli occhi se pensava a Robin come moglie di testa d’alga’. 
“Promesso!” 
 
 
Grazie a quel piccolo giuramento, in cucina tornò la quiete, e nonostante tutti volessero sapere la verità sulla misteriosa futura compagna di Zoro, dovettero per forza rassegnarsi, vista l’ostinazione di Rin sull’argomento. Anche se ogni tanto qualcuno ci riprovava con frasi come ‘forse non l’ha ancora conosciuta’, oppure, ‘ma siamo sicuri che sia veramente sposato?’. 
Quando Sanji era tornato ai fornelli per preparare il pranzo, Rin aveva detto solo un’ultima cosa a riguardo, stabilendo che non avrebbe più fiatato dopo
 “La mia mamma è sempre stata l’unica per il mio papà.” 
Una confessione che aveva fatto prima attorcigliare lo stomaco a Sanji, poi l’esternare di un sacco di esclamazioni stupite agli altri, e infine imbarazzato notevolmente Zoro. 
“Non dire queste sciocchezze!” L’aveva rimproverata, rosso in viso. 
“Ma è vero!” 
La sincerità della bambina poteva essere sia fastidiosa che estremamente dolce. Ma lui cercava lo stesso di tapparle la bocca, mentre quella si dimenava contrariata. 
“NON RIVELARE INFORMAZIONI SUPERFLUE.” 
Robin rideva, con una mano poggiata sotto al mento, ma nonostante non volesse interrompere quel siparietto interessante, decise di correre in aiuto dell’amico spadaccino, notevolmente in difficoltà. 
“Perché sei tornata indietro, Rin? Siamo per caso capitati in un bel guaio mortale?” 
“ROBIN SMETTILA SUBITO!” 
Usop iniziava a raggiornare solo adesso sulla questione, e tremò. “É COSI? SIAMO IN PERICOLO?” 
Alla bambina mancò il respiro, in effetti aveva dimenticato quale fosse la situazione nella sua vita reale. 
Si raggelò d’improvviso. 
Zoro la osservava preoccupato, riconoscendo quel modo di rispondere perentorio, quel vizio di paralizzarsi di fronte alle verità che non si volevano accettare - era chiaro che ne aveva combinato una grossa, o le era capitato qualcosa di spiacevole. 
“Questo puoi dircelo? Ormai abbiamo saputo informazioni molto più grosse” chiese Franky, sedendosi al tavolo e alludendo a Zoro, senza aspettare che il cecchino si calmasse dalla paura per il futuro. 
“Io non voglio sapere niente!” 
Il capitano si mise le mani nelle orecchie come un bambino capriccioso. 
 
Rin fece dei passi indietro, era di fronte al divano dove stava seduto Zoro; accanto a lui c’era la sua wado del futuro e vi estrasse la spada dal fodero. 
In quel frammento di secondo tutti ebbero un attimo di confusione, non capendo bene le intenzioni della bambina. Ma lei appoggiò con cura la spada sul divano, concentrandosi invece sulla custodia, rovesciandola e facendovi cadere due foglietti piegati ripetutamente su se stessi. 
“Questa è la mia vivrecard. I miei genitori hanno l’altra metà, quindi sanno che sto bene.” 
Fece l’occhiolino a Zoro, che ricambiò uno sguardo accigliato. “E questo” lo aprì, diventando da un quadratino un foglio intero di carta “É il mio avviso di taglia.” 
Lo mise sul tavolo in modo da farlo vedere bene a tutti. Il foglio lo poterono riconoscere subito, con al centro una foto di una bambina che somigliava a Rin ma molto più piccola, di età di circa sei anni, coperta in testa da un enorme cappello nero molto più grande di lei, con scritto sotto RORONOA RIN - 300 milioni di denari.
Franky s’ingelosì subito, quella era addirittura più alta della sua. “UNA TAGLIA COSÌ PER UNA MOCCIOSA?” Stava ricontando gli zeri, sconvolto. 
Chopper aveva preso il foglio tra le mani, scrutandolo, attirato fa un dettaglio. “Perché porti quel cappello? Quasi non ti si riconosce.” 
“Una poppante con una taglia del genere?” Anche Usop, da sempre soddisfatto della sua, iniziava a cedere all’invidia, rubando a sua volta il foglietto al medico. 
“State buoni tutti.” Allargò le braccia. “Ho quella taglia a causa dei miei genitori, come potete immaginare.” Indicò Zoro affianco a lei. Fece un respiro profondo, cercando ancora di quietare gli animi. 
“La marina mi sta addosso da quando sono nata. La mia mamma cerca sempre di camuffarmi un po’; e infatti, grazie a lei, questa è l’unica foto che sono riusciti ad avere.” 
Il manifesto stava passando di mano in mano, allo spadaccino suonò così strano leggere il suo cognome sotto quella foto, una volta avuto tre le mani. 
“Zia Robin” si voltò a guardarla, ma poi rammentò che non l’aveva ancora mai chiamata così e si imbarazzò vedendo lo guardo un po’ sognante ma sorpreso dell’archeologa. “Scusa” bofonchiò. 
“Non importa” le sorrise. “Continua pure.” 
“Oh zia Robin” Sanji aveva lasciato temporaneamente i fornelli, iniziando a volteggiare come una piroetta impazzita “che dolce suono dell’amore e della responsabilità.” In un batter di ciglio era nuovamente accanto alla compagna. “Possiamo pensare ai doveri familiari insieme?” 
Zoro aveva il voltastomaco. 
Rin rise divertita, ma una volta passato il momento di euforia la bambina riprese a parlare, cancellando quella leggerezza temporanea che le aveva preso in prestito il volto, per ritrovare quell’ombra che la perseguitava.  
“Robin, nonostante il tenermi lontana dalla scena sia stato un tuo suggerimento, mi hanno piazzato una taglia spropositata comunque. E da allora non hanno fatto altro che darmi la caccia…e sapendo di cercare un pesce piccolo, anche i cacciatori di taglie mi stanno alle calcagna.” 
 “La marina ha giocato bene questa carta. Che vigliacchi!” Franky era sinceramente nauseato.
Persino Rufy aveva smesso di tapparsi le orecchie con le mani, rapito dal discorso. 
Rin annuì.
 “Non mi lasciano mai in pace.” Rinfoderò la spada nella sua custodia, sempre con una cura spropositata. “Ma io voglio essere libera!” 
“Beh, sei una pirata no?” Rufy stava finalmente facendo il serio. “Di che ti lamenti.” 
“Ma non è stata una mia scelta.” 
Prese la spada tra le mani, ora al sicuro nel suo fodero, e si sedette ancora una volta accanto al ‘padre’. 
“Nessuno di voi, tranne Robin, aveva una taglia sulla testa da bambino.” 
Era un po’ adirata, ma sapeva che esagerare con loro non avrebbe avuto senso. “Io vorrei solo sbarcare su un’isola senza dovermi camuffare o essere protetta continuamente dalla balia di turno.”
“Ma hai dieci anni” puntualizzò Usop. “Dovresti avere la balia in ogni caso!” 
Si alzò di nuovo dal divano. “Non capisci!” Strinse le mani in due pugni. “Non posso nemmeno stare con altri della mia età, o persone al di fuori della ciurma, senza avere almeno due o tre di voi attorno.” Gli indicò tutti con il dito. “Senza nemmeno poter avere un momento tutto mio in un qualsiasi posto nel mondo.” 
Le sue emozioni erano lì, sotto lo sguardo di tutti, anche se contenute - ma non tutto era facile da nascondere o alleggerire. 
“È comunque una fortuna che qualcuno si prenda cura di te.” Nelle parole di Robin si nascondeva la sua sofferenza, ricordando che lei era rimasta completamente sola. 
“Lo so.” Abbassò il volto sentendosi dannatamente in colpa. Altro sentimento esplicato alla luce del sole dalla mimica facciale. “Ma allo stesso modo é una rottura anche per me.”  
“E com’è che hai deciso di fuggire?” Le domande di Usop arrivavano sempre al momento più giusto. 
“Beh…” tornò a quietarsi, trattenendo dentro tutto ciò che poteva. “ho sentito come il bisogno di dimostrare di sapere usare questa spada.” La indicò, “…e di poter vivere un’esperienza da sola. Così l’ho presa mentre tu -“indicò poi Zoro “dormivi.” 
L’ammonì severo con lo sguardo, ma lei lo ignorò, talmente abbattuta a riceverne. 
“Abbiamo approdato su un’isola solita” specificò “…dove solitamente ci nascondiamo per fare una pausa e rifornimenti. Volevo fare un giro per andare a trovare un mio amico, con cui combatto spesso e con cui volevo provare la spada.” Sospirò. “Sono riuscita ad arrivare da sola al paese, ma ho avuto solo un momento di normalità…finché poi sono stata accerchiata.” Mentre si metteva più comoda con la postura, si era avvicinata maggiormente a Zoro - era sicuramente abitudine rifugiarsi accanto a lui quando era agitata. 
“Qualcuno mi ha fotografata, così adesso ci sarà già sicuramente una nuova taglia…” tremò. “La mamma sarà furiosa al quadrato.” Scosse la testa a destra e sinistra, agitata, come a voler scacciare via quel pensiero che la rendeva irrequieta. “Ho combattuto con la wado finché ho potuto…poi sono scappata per la paura di dire ai miei della foto…” sbuffò sentendosi una codarda, una bambinetta impaurita, “ma poi ho visto…”
Tutti erano rapiti dal racconto, a tratti dimenticavamo che si trattasse di qualcosa che nella loro vita non era ancora accaduta. 
“Akainu.” 
Strinse le mani in due pugni, in una rabbia che celava un dolore profondo, più profondo di quello che stava raccontando. 
Il sangue di Rufy si gelò continuando a fissarla, seduto a gambe incrociate sul pavimento. 
“È stato lì che sono riusciti a ferirmi.” Si passò una mano sull’addome perdendosi nei suoi pensieri. 
“E poi che è successo?” Chopper era in prima fila, voleva sapere tutto. 
“Mi ricordo di aver avuto paura.” 
Era quasi imbarazzata nel doverlo ammettere, mettendo su un broncio ferito nell’orgoglio “E sono capitata qua, nel passato. Non so nemmeno come ho fatto…io non sono in grado di usare questo potere.” 
Era rassegnata ma contemporaneamente viveva un sentimento di accettazione. 
“NON SAI USARLO? E COME CI TORNI A CASA?” 
Sbottarono i componenti maschili. 
Ma Rin fece spallucce, destabilizzandoli ulteriormente. “Non ne ho idea.” 
“Ma che razza di menefreghismo è il tuo?” Franky era sconvolto da quella tranquillità. 
“Beh, tu non immagini cosa dovrò affrontare al mio ritorno…” Rin continuò a tremare pensando al suo re incontro con la madre e alla sua vigliaccheria nel doverla affrontare. O con il padre, dopo il furto della sua preziosissima spada.
“Saranno furiosi come mai lo sono stati prima.”  
Robin si fece una sincera risata. “Beh saranno preoccupati, no?” 
Rin annuì. 
“Estremamente. Non possono cercarmi, e se anche lo facessero non potrebbero trovarmi. Spero ci arrivino da soli. In ogni caso, loro sanno che sto bene.” 
Zoro era stranamente pensieroso. 
Più di una volta, durante il racconto, il suo sguardo era volto alla porta, una porta che non era stata più valicata da nessuno. Non riusciva a capire perché non facesse altro che aspettare che si aprisse. Era un grattacapo fisso, senza nemmeno accorgersi si ritrovava ad osservare quell’entrata, in silenzio. 
Poi per fortuna si distraeva, si concentrava sul discorso di Rin, pensava alla famiglia che avrebbe costruito in futuro e non sapeva perché ma si sentiva tranquillo, per quanto la cosa lo destabilizzasse un pochino, si fidava di sé stesso. 
 
“È come con l’arte della spada” si concentrò nuovamente su di lei “devi fare allenamento.” Suggerì alla bambina che adesso stava annuendo consapevolmente - probabilmente una frase che aveva già sentito dire dallo stesso. 
 
 
 
 
 
La porta della cucina si spalancò catapultando fuori Rufy, che dal colpo aveva aperto la porta ed era finito fuori rotolando. Dal momento che cercava di rubare il cibo del pranzo già pronto, mentre il cuoco che, ancora ai fornelli stava finendo le altre pietanze, aveva pensato bene di sbatterlo lontano dalla stanza. 
Il capitano, testa in giù e gambe all’aria, si era appena accorto di qualcuno seduto per terra con le gambe al petto e il volto pensieroso, appena fuori dalla porta della cucina. 
“Oh, ciao Nami.” 
L’aveva salutata sorpreso di trovarla li. “Perché stai qua fuori da sola?” 
La navigatrice, affatto preparata a quell’invasione dello spazio così perentoria, sussultò, ma riuscendo a monitorare lo stesso lo spavento.
“Controllo la rotta!” 
Alzò il braccio mostrando il suo LogPose con tre aghi. “Qualcuno dovrà pur farlo. Entro quest’oggi potremmo arrivare su un’isola.” Lo informò. 
“Davvero?” Si mise a sedere davanti a lei, sempre sul pavimento. Era elettrizzato ed entusiasta, sentimenti che però vennero meno quando si accorse di qualcosa. “Stai bene?” Le chiese preoccupato. 
Quella cadde dalle nuvole. “Io?” 
Rufy annuì col capo. “Sei strana.” 
In quel momento anche Rin uscì fuori dalla cucina, fuggendo dalle continue domande di Usop, sollevata di scamparle. Giusto il tempo di vedere Rufy poggiare la mano sulla fronte di Nami, assicurandosi che non avesse la febbre, e l’irritazione della rossa come risposta a quella gentilezza.
“Mi spieghi cosa stai facendo?” 
“Hai qualcosa che non va. Hai di nuovo la febbre?”
“Ma quale febbre!” Gli allontanò la mano con poca delicatezza. 
La porta si aprì, ma quella che uscì da lì fu Robin. E posando le mani sulle spalle di Rin, avvicinandola a sé, come gesto affettivo, si rivolse a Nami. “Come va?” 
“Entro quest’oggi potremmo arrivare su un’isola.” Ripetè come poco prima, accennando un sorriso. 
“Hai sentito tutto?” Aggiunse poi, riferendosi alla conversazione avvenuta in cucina. 
Nami annuì con la testa, concentrandosi poi nel guardare Rin. “Sei proprio uguale a lui.” 
Lei arrossì appena, ma lo sguardo era coperto da un velo di tristezza, lo specchio di quello di Nami in quel momento, che non riusciva a nascondere in nessun modo. 
Rin voleva abbracciarla, ma non poteva cadere sempre in questi sentimentalismi inspiegabili. Perciò si trattenne. 
Ma ecco che qualcosa aveva catturato l’attenzione della navigatrice che, guardando il Log Pose si alzò in piedi svelta. “Ci siamo” disse, scendendo gli scalini e andando a cercare il cannocchiale, seguita da Rin e Robin. “Rufy va lassù e dimmi cosa vedi.” 
Il capitano accorse sopra la sua amata polena, felicissimo di iniziare l’avventura più presto del previsto. Al suono di ‘isola in vista’ tutti erano corsi fuori, tranne Sanji, che non aveva abbandonato i suoi fornelli. 
 
 
 
 
 
 
Avevano attraccato, ma non nel porto normale di un qualsiasi villaggio, dal momento che non potevano rischiare di essere rintracciati, ma avevano fatto il giro della costa, trovando la giusta posizione dove nascondere la nave. 
“Finalmente!” 
Rin era sbarcata per seconda - dopo il capitano già partito alla ricerca di una locanda, dal momento che stava morendo di fame. Toccava la sabbia fresca con i piedini scalzi, sempre con la sua immancabile spada in mano.
“Qua non mi riconosce nessuno…” aveva sillabato illuminata da una nuova luce. Entusiasta e libera, saltellava e affondava per bene tutte le gambe nel bagnasciuga. 
“Non per questo puoi andartene in giro da sola.” L’ammonì subito, Nami, prendendola per la mano. “Andiamo a comprarti dei vestiti.” 
E s’incamminarono verso la via che conduceva al paese, senza pensarci troppo, seguite da Robin. 
Sanji, che aveva lasciato il cibo in caldo per la notte, aveva spento tutti i fornelli ed era sbarcato anche lui. Sulla nave erano rimasti così Brook, Usop e Chopper, quest’ultimo moriva dal caldo per riuscire a muoversi, mentre Franky, già andato via per conto suo, aveva delle compere urgenti da fare, anche se tutti lo sapevano che aveva bisogno di mutande nuove. 
“Vengo con voi.”
 Sanji seguì le compagne e la bambina con una sfilza di cuori al seguito. “Avrete bisogno di un bodyguard.” 
Zoro guardò la scena demoralizzato. Non sapeva se era il caso di seguirli oppure starsene a dormire. Anche se con tutto quello che gli passava per la testa non ci sarebbe mai riuscito quella volta a sonnecchiare come se niente fosse. 
“Dovresti andare.” 
Gli indicò la strada Usop, affacciato al cornicione della nave. 
“Comodo detto da te!” Rispose lo spadaccino con i denti aguzzi, poco incline ad essere giudicato. 
“Bè, ma quella è tua figlia dopotutto. Se ne prende più cura Nami di te.” 
Di solito non gli importava, ma Usop era riuscito a colpirlo nel punto giusto del suo orgoglio. Così, senza più replicare, s’incamminò anche lui dietro ai quattro, sbuffando.
 
 
 
Una volta in paese, Zoro seguiva il gruppo stando un po’ più in disparte. Sanji davanti a lui volteggiava, passando dalle due compagne alle donne che incrociava per strada, proponendo le sue solite moine. Nei momenti in cui spariva a fare una corte spietata alle sconosciute l’aveva davanti a sé l’immagine di Nami che prendeva Rin per mano, con una tale attenzione e affetto che lo avevano colpito; ci teneva davvero tanto a quella bambina. Che era “la sua bambina”. 
Era preso alla sprovvista da sé stesso, ultimamente non faceva altro che cedere alle pulsioni e al suo lato più emotivo, che forse si stava lasciando andare alla corrente che aveva preso una direzione piuttosto chiara. E lui non faceva altro che pesare allo sguardo ferito di Nami e alla sua freddezza, che però non aveva intenzione di sopportare. 
 
Passarono davanti a una locanda, e visto il casino che stava facendo, sentirono che Rufy era entrato proprio lì. 
“Se volete andare a tenerlo a bada, andate” Nami, ovviamente riferita ai compagni maschi, che avvisava senza voltarsi, metteva piede dentro al negozio di abbigliamento capitato per primo. 
“Noi compriamo un paio di vestiti qua e poi vi raggiungiamo.” Aveva allora provveduto Robin a rimediare a quella freddezza, seguendo Nami e Rin all’interno. 
Ma Sanji stava continuando a volteggiare tra le donne del posto - in effetti l‘ultima volta non aveva potuto sbizzarrirsi a causa dell’attacco improvviso in città - e nonostante la presenza delle sue due compagne, aveva veramente bisogno di calore femminile, così né stava cercando un po’, scomparendo tra la folla. Zoro lo aveva guardato come sempre, inorridito e rassegnato a quell’atteggiamento. 
Meno male doveva essere il fidato bodyguard. 
Aveva capito che quello di Nami era un regalo, sapeva che a loro non interessava entrare nel negozio di abbigliamento, e gli stava lasciando liberi, ma quella freddezza proprio non riusciva a comprenderla, e lo stava infastidendo non poco. Si guardò intorno, non sapeva se accettare il consiglio e raggiungere Rufy o aspettare fuori. Forse in un’altra occasione avrebbe raggiunto l’amico, ma stavolta sentiva di avere un peso maggiore sopra, così, per sicurezza, si sedette nelle scale di fuori al negozio, in attesa. 
 
 
Nami fu la prima ad uscire e, distrattamente, stava finendo per sbattersi alla schiena di Zoro, convinta di non trovarci nessuno.
“Sei rimasto qua!” 
Aveva solo detto, stupita ma gelida. Era sicura che sarebbe senz’altro andato - o meglio, fuggito, da Rufy. Ma lui non le aveva risposto, era troppo infastidito da quel tono che gli stava riservando. 
Robin fu la seconda ad uscire con in mano due buste, ugualmente sorpresa di trovarci ancora Zoro, seguita da Rin che era indifferente al nuovo capo d’abbigliamento che stava indossando. 
“Sei carina” le diceva l’archeologa. 
“Ma come l’avete conciata?” Sbottò Zoro alzandosi in piedi e guardandola stranito. 
“È solo un vestito.” 
Nami lo sistemò un poco. Era bianco con le bretelle sottili, con al centro una cintura argentata a cui agganciare la spada. Alla bambina avevano anche sciolto i capelli, fermati sul lato da un piccolo fermaglio dello stesso colore. 
“Sono abituata” disse, indifferente. “Almeno non è così scomodo come sembra. Ne ho indossati di peggiori.” 
“Abbiamo preso anche i jeans e pantaloni per allenamento.” Precisò Nami, abbattuta. “Ho capito che la moda non ti interessa.” Era demoralizzata, ma comunque felice che, nonostante la sua avversione, la bambina era stata partecipe anche solo per accontentarla senza mai lamentarsi e senza fingere.
“Ma sono contenta di questo”, Rin si riferiva al poter allacciare la spada al fianco, emozionata, anche se quella fu la causa del suo quasi capitombolo, evitato grazie a Zoro che l’acciuffò per tempo. 
“È troppo pesante, te l’ho detto.” 
Ma lei non ascoltò, scese le scale e si ritrovò sulla strada. 
Era libera. 
Poteva godersi il momento, cercare un attimo tutto suo da vivere. Non le sarebbe accaduto niente stavolta. Anche se aveva tre sguardi puntati sopra. Tremò. 
“Dai…” disse, mentre stava indietreggiando. “Ora posso fare un giro sola soletta?” 
“NO” sbottarono i due, mentre Robin accennava un’espressione di dissenso. 
Zoro stava guardando la situazione attorno, sembrava un semplice ed innocuo villaggio, ma doveva stare all’erta come sempre. 
“La signora del negozio ha detto che è un posto innocuo” anticipò Nami, capendo subito il sesto senso del compagno, ma sempre con quel tono distaccato. Era ovvio che avesse chiesto informazioni, sicuramente mentre litigava per lo sconto.
Ma poi lo guardò lo stesso, sentendosi il suo occhio addosso. Fu doloroso per lei. Così bruciante per lui. 
“Mi spiace interrompervi “ 
Robin col suo sarcasmo si riferiva a quel gioco di sguardi impossibile da non notare “ma Rin se né andata.” 
I due si voltarono scattanti, trovandosi davanti agli occhi una strada vuota. 
“Quella ragazzina!” Zoro si era alzato in piedi all’istante, pronto per mettersi a cercarla. Sentendosi immediatamente un blocco sul petto, una responsabilità che non aveva mai avuto prima. 
“Aspetta!” Anche Nami era scesa in strada abbandonando di corsa gli scalini. 
 
 
 
 
“Aspetta, ho detto” lo raggiunse tirandolo per il braccio. “Tu sei l’ultimo che può andare a cercare qualcuno!”
“Non seguirmi!” le rispose acido, guardando a destra e sinistra tra i vicoli scuri del paese, scrollandosi la presa di lei di dosso e superandola in velocità. 
Nami lo guardò di spalle, colpita nel sentirlo così innervosito. “Gira a destra” gli disse, ma lui era troppo tutto d’un pezzo per ascoltarla, imboccando il viale dalla parte opposta. “Ti ho detto a destra, stupido! Così torni alla nave!” 
Si maledisse per averla addosso a giudicarlo. Girò a destra poi, ascoltandola nelle indicazioni, ma ignorandola comunque il più possibile nel resto. 
“Mi dici che cosa ti prende?” 
La lasciò perdere, riprendendo il cammino e continuando a guardarsi intorno. 
“Spero che la bambina non abbia ereditato il tuo senso dell’orientamento.” Lei continuò però ad infierire, indisponendolo, spaventata da questo importante dettaglio. 
“Vuoi star zitta!” Era giusto un po’ furioso, offeso, ma anche continuamente colpito nei suoi punti deboli. “Mi ritrovo a dover vagare per la città a cercare quella peste, ci mancano solo i tuoi sbalzi d’umore.” 
“Quali sbalzi d’umore, scusa?” 
Lo aggredì alzando il tono della voce per fargli sentire quanto era contrariata. 
Si fermò ancora e la guardò, stava per dire qualcosa e poi lasciò perdere. “Non importa.” 
Nami strinse i pugni sui fianchi. Perché era tutto dannatamente difficile con lui? Lo seguì senza rispondere, guardandosi intorno. 
 
“Ma dove diavolo si è cacciata.” 
Nami era colpita dal fatto che se la fosse svignata in così poco tempo in un posto sconosciuto. “È brava però.” Si complimentò. 
“Quella voglia di libertà non la si può fermare.” 
Lui aveva risposto dopo svariati secondi, seguendo più che altro il suo istinto mentre camminava, forse diventato quasi più calmo.
 
Avevano sbirciato nelle locande, nei negozi di armi, nelle piazze, ma non si vedeva da nessuna parte. Ora stavano imboccando, silenziosi, una stradina nuova che lasciava il paese alle spalle ma che non sapevano dove portasse, finché non videro alla sua fine un vecchio parco malmesso, con dei bambini che probabilmente andavano lì, di nascosto dagli adulti. 
Zoro si fermò all’improvviso. 
“Che ti prende adesso?” 
Lei lo guardò titubante. Ma lui la fermò, allungando il braccio e impedendole di andare oltre quel muro. 
“È lì!” indicò quel parco davanti a loro, dietro le rovine di case crollate “Rin.” 
Nami si sporse per vedere meglio ma lui la fermò ancora una volta. “Non sembra in pericolo.” 
Anche la rossa ne convenne, sospirando, e sorprendendosi di quel gesto premuroso e altruista. Erano sempre questi dettagli di Zoro che sapevano colpirla dritta al cuore.
La bambina stava giocando con due ragazzetti, chiaramente più grandi di lei, ma che sapeva tenere a bada. 
Sorrise Nami, sbirciando da dietro il muretto dove si trovavano loro. Zoro invece adesso guardava lei. Lei che sorrideva nel vedere la ragazzina felice. 
“Che c’è?” Si voltò, dopo, cogliendolo in fallo. Ma lui non rispose spostando lo sguardo altrove. 
Ma Nami non era famosa per lasciare perdere le questioni, così, si avvicinò di più a lui, puntandogli il dito sulla fronte. “Allora? Perché mi guardi in quel modo strano.” 
Lui si accigliò. “Ti sbagli.” 
Quel contatto ravvicinato lo aveva riportato a quella mattina. Sentiva i muscoli in tensione.
Ma come si poteva passare da una situazione del genere alla normalità? Come poteva tornare alla vita di tutti i giorni, adesso? 
 
Nami, seppur poco convinta della risposta, tolse la mano da lui e andò a sedersi su un gradino cadente, portandosi le gambe al petto. Quella brutta sensazione che la tormentava era tornata preponderante nel suo petto. Ma cosa le stava succedendo? 
 
 
 
“Che effetto ti ha fatto sapere che avrai una figlia?” 
Chiese, rompendo quel silenzio diventato improvvisamente fastidioso. “Veramente, intendo.” 
Lui fece spallucce.
“Non trovo così strana l’idea di metter su famiglia.” 
“No?” Lei era spazientita. Non si sarebbe aspettata da lui una simil risposta. Ancora. Più pensava di conoscerlo e più lui riusciva a sorprenderla.
“Tu lo trovi strano?” 
“Si.” Sospirò. “Io non mi ci vedo a fare la madre.” 
Zoro la osservò. 
Ma Nami non aveva continuato, lasciando al tempo altro spazio per riflettere, instaurando in lui una strana malinconia per quella dichiarazione. 
 
 
 
“É davvero lei?” 
“Umh?” 
“La marine…”
Quel silenzio, ancora una volta disturbato, venne invaso da una domanda che in qualche modo voleva venir fuori. Non vedeva l’ora di essere pronunciata, di prendere forma, e di avere una risposta soddisfacente. 
Era uscita. Nami l’aveva fatta uscire. 
Per poco, al verde non venne un infarto dall’ imbarazzo, ma un imbarazzo legato per lo più a qualcosa di fastidioso che lui non avrebbe nemmeno mai potuto immaginare. 
“Anche tu con questa storia?” 
Non ci poteva credere a quelle insinuazioni. Ma che cosa c'entrava lui con quella? Non solo non provava interesse ma nemmeno aveva mai dato segni di divertimento, non aveva subito altro che noie da quella donna. 
“É una in gamba. Col suo onore e tutto il resto…”
Zoro non rispose subito. E mentre cercava la reazione più adatta, si chiedeva come mai adesso lei sembrasse…triste? 
“Io non provo niente per quella.” 
Era imbarazzato di dover giustificarsi così, di dover dire una cosa del genere. A lei poi. 
“Ma non pensi che potrebbe essere successo qualcosa nel futuro? Con lei?” 
Ancora. 
Zoro non poteva crederci. Doveva affrontare davvero quel tipo di conversazione? Ma poi lui che ne sapeva del futuro? E come poteva farle capire che ‘quella la’ non gli faceva venire i brividi al solo contatto di pelle contro pelle, come riusciva invece a fare lei? E poi perché doveva darle queste spiegazioni? 
“Io penso che tu la stimi molto, in realtà…e da questo può nascere qualcosa.” 
“Piantala con queste stupidaggini da ragazzina.” Zoro ringhiò, trasformando la sua espressione seria in una furiosa. 
“Non sono stupidaggini da ragazzina. Si tratta di amore. Di famiglia. Non c’è niente più importante della famiglia!”
Nami alzò la testa, con lo sguardo accigliato e nuovamente…ferito. 
Si guardarono in quel momento lungo un'eternità. 
Lui non capiva perché lei se la stesse prendendo tanto per qualcosa che lui stesso non avrebbe potuto spiegarle, non ne aveva conoscenza del futuro. E le insinuazioni lo mandavano in bestia, perché sembrava che lei non credesse a ciò che le stava dicendo dei suoi sentimenti al riguardo.
E lei, invece, sentiva solo questo dolore invaderla. La paura di qualcosa che non era in grado di afferrare. Il bisogno di insistere sull’argomento pur sapendo che una risposta non avrebbe potuta averla. Se non che, Zoro, ammettesse già del suo amore per Tashigi, per quella spadaccina dall’onore solido come il suo. Quella con cui lei non avrebbe potuto competere. 
Nami sospirò, non riuscendo a reggere quel ringhio infastidito del verde, pensando che il vederlo così aggressivo sull’argomento fosse la riposta che voleva; anzi, che non voleva.
“Lei é adatta a te, probabilmente.”
L’espressione di Zoro, che sarebbe voluta peggiorare in un fastidioso ringhio rabbioso, cambiò improvvisamente in una più divertita, decidendo di cambiare tono. 
“Forse sarà così allora.” 
Incrociò le braccia al petto non distogliendo lo sguardo da lei, e assistendo al cambiamento di quegli occhi grandi, che ormai tristi, erano diventati allucinati e furibondi. Non poteva non godersi quello spettacolo senza senso. Di una strana - che fosse gelosia? - paranoia da donna, che non si sarebbe certo aspettato di ricevere da Nami. 
“Ma hai detto che…hai detto che non provi niente!”
Si era agitata come una stupida. Non riusciva più a contenersi, tanto da iniziare a vergognarsi per tutto ciò che quella scoperta della mattina le stava suscitando nel corpo. Perché erano dovuti finire in quella situazione? Perché l’idea di Zoro con una figlia meravigliosa la stava tormentando a quel modo? 
Forse…forse perché non era lei…la madre? 
Si portò una mano a reggersi il petto. Che stupida. Si sentiva una stupida. Doveva smetterla di scoprirsi, o lui chissà che cosa ne avrebbe colto. 
“Allora se mi hai creduto alla prima risposta che ti ho dato, perché continui sulla questione?”
Aveva ribattuto, spostando ogni tanto lo sguardo su Rin al parco. 
“Beh, comunque qualcuna l’hai trovata.” 
Gli occhi rivolti al terriccio, un broncio che aveva già visto più volte e anche di recente sul viso di qualcun’altra. 
Perché voleva tornare sull’argomento?
La osservò attentamente lui, e vedendola in quelle condizioni, provò quasi uno slancio di tenerezza, ma si contenne. 
“Mi spieghi qual è il problema?” 
Ovviamente non arrivò nessuna risposta, e lui non volle insistere onde evitare che il tutto si girasse contro di lui. 
 
Frattanto non poco lontano da lì, si udivano le voci dei ragazzini che facevano da sfondo, e Rin non sembrava essere in pericolo. 
“Ti sbagli, comunque” riempì lui quel silenzio, stavolta “non è vero che non fa per te prenderti cura di qualcuno, chiunque sia. Non c’è bisogno di essere una madre di fatto…” era da tanto che non componeva una frase così importante. E così importante per Nami.
Non la stava guardando in volto, era conscio che le stesse facendo un complimento, ma era così dannatamente difficile esternare qualcosa del genere a voce. 
Soprattutto a lei. 
Nami alzò la testa da quel vuoto nero in cui era sprofondata. Era così sorpresa. Davvero lei era così come la descriveva lui? Perché lei sapeva invece di non riuscire a vedersi in quel modo.
Lui abbozzò un magro sorriso. 
“Hai salvato la vita di mia figlia senza nemmeno saperlo, dopotutto.” 
 
“Zoro?” 
Stavolta si voltò a guardarla, coraggioso, senza ripensamenti alcuni. 
“Tu credi alle coincidenze?” 
 
 
 
 
 
   
 
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