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Autore: robyzn7d    23/08/2021    4 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo IX 
Il filo rosso del destino 
 
 
 
 
 
 
“Se qualcosa deve succedere, succederà.” 
Aveva risposto, dopo averci pensato poco. 
“Quindi se io ho incontrato Rin significa che doveva succedere proprio questo?” 
“È probabile.” 
 
Lui aveva sempre creduto nel caso, facendosi assolutamente trasportare da quell’onda che chiamava la sua fortuna, e si divertiva nel metterla costantemente alla prova. 
 
Quello sguardo tormentato che fremeva impaziente lo sapeva leggere meglio adesso, Zoro, perché riusciva a farle capire che anche quello che provava lei allora era regolare, non era sbagliato, non era fantasia. 
“Ora mi dici che diavolo ti prende.” 
Nami alzò gli occhi dal terriccio poiché un’ombra scura era apparsa sopra, invadendo il suo spazio vitale. Sussultò nel trovarlo davanti a lei con ancora una volta quell’espressione enigmatica sul volto. 
All’improvviso le sentì tutte le sensazioni di quella mattina, quelle stramaledette pulsioni, quei maledetti sentimenti. Questo coinvolgimento emotivo doveva cessare di esistere al più presto o si sarebbe solo che fatta del male. Sentiva che si sarebbe potuta gettare sopra di lui da un momento all’altro; prenderlo, imprigionarlo, non lasciarlo più andare. Cambiare egoisticamente quel futuro che si era ingiustamente presentato davanti ai loro occhi. 
E aveva dormito così dannatamente bene quella notte, che non poteva rinunciarci per colpa di un’altra donna che si sarebbe intromessa, che avrebbe rovinato tutto. 
Ma come poteva essere così stupida e sognante. Lei…con un uomo poi. Doveva aver perso la testa.
Ma si sentì avvolgere nuovamente da quel calore. Bastava semplicemente la sua vicinanza, bastava semplicemente quello sguardo posato su di lei, per scaldare tutto. Non c’era bisogno di altro, e tutto andava alle fiamme, compreso il suo autocontrollo. Sentiva il bisogno di picchiarlo perché era diventato troppo invasivo dentro lei, non riusciva ad accettarlo tutto questo. Quando gli aveva dato questo permesso? 
 
Ma un rumore di spade che si scontravano era capitato al momento giusto, distogliendo l’attenzione di lui che fu costretto a voltarsi, dandole la possibilità di andare via. 
Aveva chiamato la bambina, dopo averla adocchiata a sguainare la wado in lontananza, preoccupandolo. Ma quando si rivoltò veloce vide solo una chioma rossa che andava via in silenzio. 
Era sconcertato. 
Dopo averla guardata sparire dalla stradina a cocci, scese giù per i gradini che portavano a quel parco abbandonato dove capì che altri ragazzi ancora più grandi si erano intrufolati e volevano rubare la spada dalla custodia bianca. Ma bastarono lo sguardo e le tre spade al fianco per ricordare a quelli chi c’era di fronte a loro, dandosela a gambe. Prese la bambina sottobraccio e corse via di fretta.
“EHI” si lamentò quella a testa in giù. “Ma che fai!” 
Ma lui aveva lo sguardo concentrato, era così serio, come se avesse appena perso qualcosa di estremamente importante. 
“Stai bene?” Le chiese comunque. “Non ti hanno fatto del male quelli?” 
“Macché! Non avrebbero mai vinto!” 
Sorrise, continuando a correre. 
“Che sta succedendo?” 
“Sto cercando quella pazza!” 
“Allora gira a destra se vuoi la strada principale.” 
“Sai orientarti?” 
“Certo.” 
Era così sollevato. 
Su quella strada videro Robin con Rufy e Sanji, uscire proprio in quel momento dalla famosa locanda; il capitano si teneva la pancia enorme tra le mani, sintomo del fatto che si era appena ingozzato per bene. 
Probabilmente Nami non l’avevano vista passare. 
Arrivando di sorpresa, lasciò la bambina tra le braccia di Sanji. “Riportala sulla nave” aveva detto, incamminandosi velocemente senza voltarsi. 
“Ma dove diavolo va?” 
“Chi li capisce è bravo!” sorrise Rin, aggrappata amabilmente al collo del cuoco. 
 
 
 
 
 
Sapeva che era una guerra persa in partenza se era lui quello che doveva cercare Nami. Si sarebbe perso sicuramente appena uscito dalla strada principale, mentre lei sapeva persino tornare alla nave in un batter di ciglia, e avrebbe fatto più in fretta di lui, se solo avesse voluto. Ma non se ne curò più di tanto, lui aveva sempre quella dannata fortuna. Se fosse dovuto succedere, sarebbe accaduto. 
Continuava a correre a perdifiato senza nemmeno sapere il perché. Ma poi cosa avrebbe fatto quando l’avrebbe avuta davanti? Cosa le avrebbe detto? 
Quell’esplosione emotiva non la sapeva gestire, ma non poteva negare che riguardava anche lui, che c’era dentro fino al collo. 
Ecco, infatti, si era perso. 
Aveva superato quasi tutto il paese, trovandosi davanti il solito maledetto bivio - il bivio della vita - ma dove doveva svoltare ora? 
Perché queste cose sentimentalmente complesse gli stavano capitando tutte insieme? 
Scelse la strada che portava a sinistra, quella del cuore, imbucando la via con orgoglio. 
È vero, non sapeva orientarsi, ma c’era qualcosa di assai più forte che pendeva sulle loro teste: il loro destino. Doveva solo seguire l’istinto, come sempre, e tutto avrebbe funzionato.
Ci credeva davvero in sé stesso. 
E quando sentì il petto implodere per l’agitazione, la vide, davanti a sé, Nami, che camminava sul ciglio della stradina bianca, a passo lento, persa, convinta che non sarebbe stata trovata da nessuno. 
Sorrise pensando al paradosso della vita - lei perduta seguendo il cammino giusto, lui l’aveva ritrovata seguendo solo sé stesso. 
Credi alle coincidenze? 
Quella domanda gli risuonava nella testa come un colpo di cannone. 
“No” aveva detto dietro di lei, facendola spaventare e voltare insieme, trovandoselo li. “Io non credo affatto alle coincidenze!”
Lei aveva l’espressione così ferita, ma anche totalmente sbalordita di vederlo. Nami era tutta lì, nel suo viso, non sapeva nascondere più niente a lui. 
 
Era iniziato tutto quando lei si era risvegliata durante la notte, trovandolo al suo capezzale, quando invece avrebbe dovuto dormire. Era iniziato per sbaglio. Era successo perché doveva succedere, in una notte dovunque, di un momento qualunque. Almeno era quello che si raccontava, in realtà era successo molto prima, da sempre, dal primo giorno in cui lo aveva incontrato e l’aveva dannatamente sconvolta. 
Per l'ennesima volta da quando lo aveva visto raggiungerla, si lasciò sfuggire dalla bocca un importante respiro. Aveva i nervi a fior di pelle ed era nervosa, eccessivamente nervosa. Le capitava spesso di provare quella sensazione solo se, come il più delle volte le era capitato, gli altri stavano per commettere idiozie, ma stavolta era lei, lo stava facendo lei il danno. Dentro aveva un’emozione che la metteva in guardia, le diceva di lasciarlo perdere. 
Ma lui adesso era lì, davanti a lei che, con sfacciataggine, le metteva le mani addosso, di nuovo. Lei, quella che nessun uomo può toccarmi non riusciva a dirgli di no, non a lui. A nulla era servito il suo sguardo sorpreso, lui non si era fermato. L’aveva appena afferrata per le spalle, scuotendola leggermente come per risvegliarla. 
Un contatto che però le stava togliendo tutto, le stava portando via ogni certezza. Era orfana di sé stessa. Se le avessero chiesto il nome in quel momento, non avrebbe saputo rispondere a nessuno. 
“Si può sapere perché diavolo sei così strana, direi quasi ferita. Che ti avrei fatto?” 
Di nuovo guardava quel torace e sentiva di volercisi adagiare. Qualunque cosa facesse o dicesse, é lì che finiva sempre col pensiero. 
“Non ha senso” riuscì a dire, cercando di liberarsi - la lotta era solo contro sé stessa e la sua volontà - o contro la verità. 
Non sono io. Non sono io. Non sono io, lei. 
Nella sua mente continuava a vedere un’unica strada. Ovvero che non sarebbe stata lei la sua compagna della vita. Ora che lo aveva bene chiaro in mente quale fosse il suo problema, quale fosse il suo sentimento, sentì le gambe cedere, le lacrime fermarsi negli occhi. 
Stava male. E lui lo stava vedendo chiarissimo ma senza capirlo affatto. 
Perché aveva compreso solo adesso cosa voleva da Zoro? Perché solo adesso che sapeva che era una guerra persa? 
“Non ha senso.” Continuava a dire. “Non sono io.” Ancora quella stana sensazione che causava dolore. 
“Mi devi dire cosa c’è che non va.”
Ma lei lo colpì sul torace due volte. 
“Ma come fai a non capirlo?” 
“Mi devi dire cosa ti ho fatto.” 
Le aveva urlato quasi all’orecchio. 
Non riusciva a muoversi, non riusciva ad allontanarlo, era troppo confortante quella sua vicinanza - così rara, così unica. 
Le respirò sui capelli, lui - la stretta sulla pelle, l’alito addosso.
Naturalmente non disse nulla, Nami, affondando il viso in quel petto possente, in cui poteva rifugiarsi ma da cui doveva scappare, stringendo stretti i lembi del suo yukata verde in balia del caos. 
Aveva ancora addosso quella sensazione in cui tutto sembrava impossibile, surreale, illogico, insensato. 
Cosa doveva fare, quindi? Che anche se in futuro la sua compagna sarebbe stata un’altra, ora dovevano vivere il momento? 
No. Lei non ci stava. O tutto o niente avrebbe preteso da lui. Non avrebbe potuto sopportare altrimenti. 
Ma lei stava davvero provando dolore per una cosa così assurda? Per una cosa come questa? 
 
“Non puoi essere così egoista” gli aveva detto, stringendo sempre più quei lembi. 
“Sei una stupida. Stai perdendo fiducia nel tuo istinto.”   
Si liberò da lui.
“Che me ne faccio dell’istinto se so già la verità.”
Nami non riusciva a guardarlo, l’imbarazzo di quel contatto e di quella scoperta la portava ad abbassare il capo verso il basso, le labbra sigillate, le mani tremanti. Era in cerca di qualcosa da dire, rapita dalla rabbia traditrice che si impossessava sempre di lei prendendo il sopravvento sul resto. 
Lui ora era immobile, non stava più cercando un contatto fisico seppur lo volesse, con lo sguardo fisso ed impenetrabile come sempre. 
 
C’era qualcosa che andava ben oltre la semplice comprensione dell’altro in quella tortura; i movimenti del corpo, gli occhi brucianti, il caos, il risentimento, la paura; una tesa atmosfera di due corpi che non facevano altro che entrare in contatto per poi perderlo allo step successivo, rivelando un'intensa attrazione che non veniva mai soddisfatta. 
L’ansia, gli ammonimenti, i ricordi. 
La realtà era una bella mattonata nel viso. Un colpo di pistola diretto al cuore.
Lui la percepiva la tensione e il dolore in lei, e sentiva il suo battito accelerato seppur avesse smesso di correre da un pezzo.
 
Nami aveva paura. Paura di lasciarlo andare, di dire addio a quel groviglio di emozioni, pulsioni…sentimenti. Ma che altro poteva fare? Nemmeno riusciva a capire cosa significasse tutto quel caos in lei. 
 
E Zoro, seppur difficile da ammettere, aveva bisogno di contatto con lei, aveva bisogno di toccarla ancora, solo così poteva capire meglio, metterla alla prova, sapere se andava in ebollizione come succedeva anche a lui negli ultimi tempi. Ma lei non voleva più. Era testarda, era un muro. 
 
“Quando avrai capito che cosa vuoi davvero, fammelo sapere.” 
 
Lui non avrebbe mai insistito. Non sarebbe mai stato lì a chiederle continuamente spiegazioni. 
Si era già mostrato fin troppo vulnerabile ai suoi occhi. E lei non voleva proprio capirlo cosa questo gli costasse. 
 
Fu l’ultima cosa che sentì, la Nami inerme, prima di vederlo proseguire da solo, ferito e nervoso, su quel sentiero.
 
 
 
 
Aveva proseguito tutto il tratto di quella stradina che probabilmente lo avrebbe condotto dove avevano sbarcato. La vedeva in lontananza infatti, ormeggiata, la nave, ma per una volta non riusciva a provare niente a quella visione: né sollievo, né pace, né soddisfazione per esserci arrivato. 
Era così deluso da lei, dal fatto che non riuscisse a dare ascolto al suo istinto, a ciò che provava davvero. Ma perché era sempre così con Nami? 
Era sicura di sé solo quando compiaceva a lei. Per il restante delle volte non riusciva a lasciarsi andare, a gettarsi nel vuoto senza prima fare i suoi dannati calcoli. In decisioni come quelle - per lui - solo sul proprio istinto si doveva contare, e il suo gli diceva che era lei, l’unica, quella di cui parlava Rin. 
Ma no, Nami non ci credeva. 
Orgogliosa.
Perché non ascoltava quella fisicità? I loro corpi parlavano come parlavano le loro teste. Ma no, lei no. Lei aveva le sue dannate priorità. 
Perché non si rendeva conto di come bruciavano le sue mani quando la toccava? Veramente pensava che fosse uguale per tutti? Pensava che lui, Zoro, potesse provarlo con chiunque? 
Stolta
Lo faceva incavolare che non lo vedesse quel sentimento unico, raro, che percorre una sola strada, la accende, la ingrandisce, la rende impareggiabile. 
 
 Il cielo si stava facendo scuro, e lui non poteva che sentirsi proprio come quel colore. Quando arrivò alla spiaggia, notò che erano tutti lì, con anche Franky rientrato dalla sua importante spesa. Lo stavano guardando con aria sinistra. Forse perché era riuscito a tornare da solo.
I tre di guardia ancora affacciati al parapetto della nave, e gli altri, invece, si erano riuniti di sotto, ancora sulla spiaggia. 
“Ma sei solo?” 
Gli chiedeva Rin, contrariatissima, ancora tra le braccia di Sanji. 
“Ma dove eri andato a cacciarti?” 
Il cuoco era più che altro preoccupato di non trovarci Nami con lui, guardando dietro e ai lati della strada, sperando di scorgerla tornare, con la bimba che gli metteva le mani sugli occhi rendendogliela più difficile. 
Zoro non rispose a nessuno, incrociando le braccia al petto, nervoso. 
“Oh no” aveva esternato Rin, capendo che non era andata bene con la rossa. 
“Che ti prende?” 
Gli chiese Sanji, tenendola salda nella sua presa.  
“Il mio papà è un fannullone.” 
Ma non aveva spiccicato parola, il diretto interessato, troppo arrabbiato di non sapere cosa passasse per la testa alla compagna, anche se sapeva benissimo che lui non c'entrava niente. 
“Hai ragione piccola”
Sanji non poteva certo perdersi questa occasione di provocazione servita su un piatto d’argento. “É proprio un fannullone.” Beccandosi così un’occhiataccia non solo nera, ma incattivita di lui. Era proprio di pessimo umore, dettaglio che non passò inosservato a nessuno. 
 
“OH NO!” 
Rin, terrorizzata, impiegò pochi secondi per creare allarmismo. “Fammi scendere, fammi scendere.” Iniziò a colpirlo ripetutamente sul volto, sulle spalle. “PRESTO!” 
Il cuoco la mise a terra con dolcezza e sguardo preoccupato. 
“Che ti é preso adesso?” 
Le chiesero in coro. 
La bimba si guardava attorno, portandosi le mani come a coprirsi i capelli. “Presto!” Cercava, e cercava, ma niente poteva esserle utile. 
“Datemi qualcosa!” Si avvicinò a Zoro tirando il suo Haramaki “prestamelo!” 
“MA SEI MATTA?” 
Ma non avrebbe fatto in tempo ad aspettare. 
“Chopperino lanciami il tuo cappello, SBRIGATI!” 
“COSA?” 
Robin si avvicinò a lei, la fermò sulle braccia, inchinandosi e scuotendola. “Calmati, adesso. Che c’è?”
Il respiro accelerato, gli occhi confusi, le mani che tremavano. 
Una prima goccia d’acqua cadde dal cielo finendo sul suo viso. “É troppo tardi.” Disse.
“Mi dici che significa.” Robin la scuoteva ma otteneva in cambio solo paura dal suo volto, ansia dalla sua postura. “Ho appena fatto un danno irremovibile.” 
“Così mi spaventi!” Le urlò Usop dalla nave. 
“Ora lo scoprirete tutti.” 
“Ma che cosa, Rin!” 
Zoro aveva per un attimo messo da parte il suo orgoglio ferito, concentrandosi sulla bambina che nascondeva qualcosa di così grosso da ridurla in quello stato. Ringraziò Robin di essere lì, perché lui non avrebbe saputo cosa fare. 
“Una tempesta sta per infrangersi sulla costa…” disse, guardando il cielo dietro Robin, trasformando poi quell’espressione disperata in un piccolo mezzo sorriso. 
“Puoi capire questo?” Chiese Rufy, ingenuamente sconvolto. 
Rin aveva annuito con il capo, in risposta al capitano, ma il suo sguardo sognante, anche un po’ malinconico, andò a scontrarsi con quello dello spadaccino che da dietro Robin, in parallelo a Sanji e Rufy, braccia in conserte, aveva appena sfoggiato uno dei sorrisi più grandi della sua vita, mentre la fissava soddisfatto. 
“Che c’è?” Sanji iniziava a sentirsi isterico dopo quella strana rivelazione. 
Franky e Robin seguirono quella linea immaginaria, arrivando fino a Zoro e osservandolo in volto. Robin rise, sapendo benissimo di cosa si trattasse. Lei lo aveva sempre saputo. Ma gli altri erano a dir poco confusi, tranne Usop che, sempre sopra alla caravella, si era portato la mano alla bocca sconvolto. 
“Credo di saperlo anche io” aveva rivelato il piccolo medico, sorridente, scontrandosi con il volto smarrito di Brook, ma felice e sereno.
“Che razza di déjà-vu é questo!” Franky era così imbarazzato consapevole di non riuscire ad arrivarci mai da solo a quelle risposte. 
 
Un’altra goccia d’acqua cadde sul volto della bambina e, ormai arresa a quella circostanza, aveva alzato il capo al cielo, chiudendo gli occhi e lasciandosi bagnare dalla pioggia. Tre, quattro, cinque, trenta, cento goccioline d’acqua che stavano sciacquando via tutto quel nero pece dei suoi capelli, facendo man mano apparire la sua chioma rossa. 
 
Ora sorrideva al cielo, stanca di doverlo nascondere al mondo. Questo peso, se lo aveva tolto di dosso. Allungava le braccia sotto quella pioggia incessante che stava bagnando tutti. Robin era ancora inchinata accanto a lei, che condivideva quella voglia di sorridere, di leggerezza, di verità. 
“É uno scherzo, vero?” Furono le parole del povero biondino, che aveva appena perso la sua sigaretta sulla spiaggia, talmente teneva la bocca spalancata. 
Una bocca che Rufy cercava di richiudere, ma che ricadeva a terra. “Ora assomigli proprio a Nami.” Aveva poi detto a Rin, dimostrazione che ancora non aveva capito niente, beccandosi un calcio da Sanji. “NON FIATARE.” 
Ma la bambina prese a ridere indicando Sanji e guardando Zoro. “Non lo accetterà mai.” 
Zoro, che sembrava così felice in quel momento. Quante altre volte era capitato di vederlo così? Di vedergli addosso quell’estasi. Tutta quella rabbia di poco prima sembrava svanita, quell’aurea nera cancellata, il broncio sostituito da un sorriso sincero. Non era da lui sentirsi così, eppure non riusciva a farne a meno. Stava esternando quello che provava davanti a tutti. 
“Ma guardate come sorride! TU” il cuoco lo indicò. “TRADITORE BASTARDO.” 
Ma Rufy e Franky lo fermarono, poiché avevano visto una figura arrivare dal fondo alla strada. 
“Non ditele niente, ok?” 
Inconsapevole di ciò, Rin, voleva tentare l’ultima strada, ma l’espressione di Robin che la guardava con affetto, era abbastanza esplicita. Il suo cuore smise di battere. 
“Penso sia tardi ormai” le disse guardando quella figura che si avvicinava da dietro le sue spalle. Anche il sorriso di Zoro si spense, preso da un tempestivo tormento. 
Trovando il coraggio si voltò, Rin, trovandovi Nami, dietro, alla fine di quella strada. Fradicia, sottosopra, stravolta. Gli occhi gonfi, in segno che aveva versato qualche lacrima. Era disorientata. 
Cadde a terra in ginocchio, in preda ad una serrante commozione che non sapeva spiegarsi.
 
Si era persa. Nami si era persa. 
 
“Ciao, Mamma” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice_____________________________________________
Inizialmente avevo pensato che questi ultimi due capitoli sarebbero stati uno, ma essendo lungo ho tagliato in due ma ho pubblicato lo stesso tutto adesso. Spero apprezzerete! 
È stato particolarmente difficile scegliere come smascherare questa verità. 
Fatemi sapere. 
Roby 
 
 
   
 
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