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Autore: robyzn7d    01/09/2021    2 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XI 
Sentimento radicato
 

 
 




“Hei, posso entrare?” 
Davanti alla stanza delle ragazze, Zoro, aspettava che la compagna dai capelli corvini si alzasse, dal momento che le sue mani erano occupate da non arrivare nemmeno alla maniglia della porta lui stesso. Aveva chiamato la mora più di una volta ma non aveva ottenuto nessuna risposta, così, parecchio incerto sul da farsi stava pensando che, come possibilità, c’era pur sempre la stanza dell’acquario con un divano abbastanza spazioso dove poter dirigersi, o anche l’infermeria, seppur arrivarci in entrambi i posti in quel momento era davvero difficoltoso. 
Non sentiva schiamazzi dalla cucina, ma questo perché ogni suono veniva coperto dalla pioggia che ancora batteva copiosa sul ponte della Sunny. 
Zoro pensava a quanto sarebbe stato impegnativo fare il turno di guardia quella notte, per fortuna che i compagni lo avevano risparmiato, sostituendolo. Sentiva che aveva davvero bisogno di riposare, e non perché fosse stanco, ma doveva ammettere che tutto quel recente scombussolamento lo aveva comunque provato e non poteva ignorare le ripercussioni sul suo stato mentale. E poi, dopo il freddo che il suo corpo aveva assimilato, ora non avrebbe tollerato lo stare all’aperto per tutta la notte. 
“Robin?” 
Bussò con il gomito, provando a chiamarla un’ultima volta. Ma, arreso alla prossima fatica, fece per andarsene, se non che, prima di voltarsi completamente, vide, con la coda dell’occhio, la maniglia muoversi lentamente e la porta aprirsi incerta. Una bambina, che si stava stropicciando l’occhio destro, apparve da dietro il legno. 
“Ah, Rin.” 
La creatura lo guardava confusa, cercando di metterlo bene a fuoco.  “Credo d’essermi addormentata.” La sua voce era totalmente impiastrata dal sonno mentre cercava di tornare lucida e vigile. 
“Mi fai entrare?” le chiese Zoro, stanco di restare fuori, provato da quella infinita serata. 
Lei lo stava riconoscendo solo ora, capendo di aver davanti lo spadaccino, suo padre, con in braccio nientemeno che una Nami addormentata, sua madre, avvolta in un asciugamano bianco della doccia. Aprì di più la porta per lasciarlo passare, seguendolo come un cagnolino una volta all’interno. 
Il ragazzo aveva notato immediatamente Usop addormentato sulla poltrona, scuotendo la testa avvilito - e hanno mandato lui a fare il babysitter; per poi ignorarlo. 
Una volta arrivato al letto vi adagiò la compagna esausta, caduta in un sonno più che profondo sopra il suo torace, con il respiro piuttosto pesante. Probabilmente aveva preso l’influenza o la febbre, perché la sentiva calda sotto alle sue mani. In più, sapeva quanto il sapere di tutte quelle informazioni l’avesse martoriata dall’interno. 
Si premurò di sistemarle il cuscino sotto la nuca ma sopratutto le coperte, dal momento che non aveva indosso nemmeno dei vestiti e che aveva preso tutto quel freddo là fuori. 
Istintivamente, in quell’attimo in cui la stava guardando, sentì dentro di sé come un accenno di nostalgia invaderlo. Forse per via della sua stanchezza o per la preoccupazione per le giornate che sarebbero seguite piene di emozioni da chiarire e quantificare. In ogni caso, quello strano calore era aumentato dentro lui, fino al cervello, fino alle mani, fino dritto al cuore. Era strano, l’aveva avuta in braccio sino ad un secondo prima, ma era stato così concentrato sulle azioni, sul da farsi, sul potarla a dormire, che non aveva pensato che avrebbe potuto sentire la mancanza di quel calore sulle sue mani. Ora, che quel corpo aveva lasciato la sua presa, né sentiva addirittura il bisogno di riprenderlo. 
Perché a me? 
Si chiedeva Zoro, non capendo molto di quel tipo di contraddizioni. 
Osservandola dormire ci vedeva sempre quella calma che altrimenti era rara, nonostante quel respiro molto agitato. La fragilità di Nami, quella vera, quella che l’aveva fatta a pezzi, l’aveva vista solo una volta in tutta la sua vita, e non avrebbe più voluto si ripresentasse.Nonostante loro fossero già una famiglia consolidata - in quanto ciurma, in quanto amici che si appoggiano uno sull’altro - era diverso dal concetto di famiglia inteso in senso di sangue, che era più difficile per Nami da affrontare. Era sconvolto di sé stesso per essere stato in grado di capirlo. 
 
Prima di andare via dal suo capezzale, il volto della ragazza, da supino si lasciò cadere al fianco, più rilassato, portando con sé una ciocca di capelli che scivolò sul suo viso. Fu in quel momento che il suo occhio venne catturato dalla cicatrice della ferita alla spalla. Era strano, ma sinora non aveva più fatto caso a come si fosse rimpicciolita, anche se non era scomparsa del tutto. 
Quel maledetto foro di proiettile. 
Nami aveva salvato la vita alla loro futura figlia senza nemmeno sapere che lo fosse. Se avesse continuato ad ascoltare il suo istinto allo stesso modo di come aveva fatto quella volta, ora sarebbe più facile per lei risolvere le situazioni del destino senza farsi arrovellare dai dubbi. Senza accorgersi, ci aveva poggiato sopra un dito, sfiorandole la cicatrice con tocco calmo e gentile e provando una fastidiosa sensazione di impotenza. 
Si chiedeva perché quel dannato giorno Rin non era capitata nel suo raggio d’azione. L’avrebbe salvata sicuramente lui, evitando alla compagna una ferita così rischiosa. 
Ma gli venne un dubbio, se Rin fosse davvero capitata dove si trovava lui, quel giorno, l’avrebbe salvata allo stesso modo portandola sulla Sunny? 
Probabilmente no. 
Strinse i denti. Il destino lo sa, lo sa. Sa tutto. E lei doveva prendersi un dannato proiettile come sacrificio per poter trarre Rin in salvo sulla nave. 
Iniziava a odiarlo questo gioco. 
I suoi pensieri si scomposero quando la suddetta bambina riprese posto nel letto affianco a Nami, senza smettere di osservarlo curiosa, cosa che lo fece sentire immediatamente a disagio, obbligandolo a ricomporsi. 
 
“Di solito dormi con lei?” 
Le chiese, allontanandosi dal letto. Lei si imbarazzò un po’, grattandosi la testa.
Anche in questo erano molto simili. 
“Beh, si, capita, quando faccio brutti sogni…ma il più delle volte dormo con te sul ponte.” 
Lui sbiancò, preso da un imbarazzo fulmineo, da un qualcosa che non si sarebbe aspettato di sentire. 
“Ah, s-si?” Riuscì a biascicare, facendo l’indifferente. 
Lei lo guardò un po’ malinconica, con il visino tra l’abbandonando e l’assonnato. “E questo mi manca.” 
Fortemente imbarazzato da quella situazione, si sentì costretto a sedersi sul letto, dalla parte della bambina. Nami avrebbe agito senz’altro così. E iniziò ad imitare la compagna, cercando di trattenere il suo impulso di andarsene. 
Certo che ora che la guardava meglio, con quella ‘testa arancione’, era incredibile quella somiglianza. Finché il suo aspetto aveva solo una familiarità lontana, era più semplice reagire, ma adesso, ogni volta che la guardava, ad ogni sguardo, il fatto che sua figlia avrebbe avuto le fattezze di Nami, iniziava a metterlo a disagio. Stava diventando tutto molto più chiaro, più giusto, ma anche più difficile. 
“Rimango qua finché non ti addormenti.” 
Aveva smesso di guardarla, seduto alla fine del letto. Non sentendo risposta, pensò di averla offesa, o che si fosse già addormentata, ma in quello stesso momento sentì due piccole mani tirarlo per il braccio, quello che sfiorava il materasso. 
Rin si era adagiata con il capo dalla parte opposta del letto, avvinghiata a quel braccio per lei così familiare. 
Zoro non si poteva certo definire la persona più affettiva del mondo, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine: non si staccava da chi cercava di prendersi il suo calore. Forse era il suo modo indiretto per esserlo, almeno un po’, affettivo. 
Fu in quel momento che pensò a quanto potesse essere difficile per quella bambina trovarsi in un momento sbagliatissimo per lei, con persone che dovrebbero amarla incondizionatamente ma che invece ora non sapevano quasi niente della sua persona. Quella bambina era una perfetta estranea per lui, ok, forse non più così estranea, ma comunque l’aveva appena conosciuta, e lei aveva bisogno di qualcosa che sicuramente lui non poteva darle adesso, non in quel modo. Ma in quell’istante sembrava renderla felice anche solo un braccio, e allora poteva anche concederlo. 
Era stupito, avrebbe scommesso sul fatto che lei stesse di più tra le braccia di Nami, mai avrebbe pensato che sarebbe stato lui quello coi cui dormiva. 
Che persona sarebbe stato nel futuro? Più amorevole? 
Da come lo stringeva, sembrava suggerirgli qualcosa; Rin aveva bisogno del padre, un padre che amava a tutti gli effetti. 
Doveva anche ammettere che adesso, ora che le fattezze di Nami erano alla luce del sole, l’idea di poter amare quella bambina iniziava ad essere molto più comprensibile. 
Abbassò il capo per guardarla e vide che teneva ancora gli occhi aperti. Si ricordò però della complicità che già gli aveva visti uniti, e fu oltremodo sconvolgente per lui, provare quella fiducia per qualcuno conosciuto da poco. 
Forse poteva farle una domanda sul futuro, indagare un po’. Ma seppur l’avesse la curiosità su certi argomenti, non voleva comunque chiedere e sapere niente di più. A lui bastava il presente. 
“Rin” 
“Umh” si stropicciò l’occhio con la mano libera “che c’è?” 
“Mi dici perché vuoi essere una spadaccina?”
Aggrottò un po’ la fronte per la sorpresa di quella curiosità. Tra tutte le domande che poteva farle, aveva chiesto questo. Due occhi assonnati fissavano le sue iridi nere. Riconosceva adesso un po’ di se stesso in lei, in quella sicurezza che le aveva plasmato lo sguardo. 
“Non c’è niente di più forte del desiderio di proteggere. E io voglio farlo come si deve.”
Le sfuggì un piccolo sbadiglio involontario. 
Non fu né interrotta e né risposta dal giovane pirata rimasto a suo modo colpito da quella sincerità, che, anzi, l’ascoltò con estrema attenzione, con lo sguardo appena corrucciato che però non pareva in disaccordo, quanto colpito per la bambina che sarebbe stata poi sua figlia.
Le allungò la coperta con una mano per avvolgerla tutta. 
“Dormi ora.” 
Stava pensando e ripensando a quella frase, a quella ingenuità, ma sopratutto a quella determinazione. Quella ragazzina somigliava a lui, come diceva Nami - era vero - ma quel fuoco, quel fuoco che bruciava dentro, era tutto della madre. Lui non aveva praticato l’arte della spada per proteggere. Mentre lei, lei si era sacrificata per un intero villaggio, per proteggere gli altri. 
Era incredibile che loro due avrebbero messo al mondo quella bambina, in futuro, che racchiudeva tutti i loro aspetti più problematici, ma anche migliori, e che plasmava a suo modo. Era chiaro come il sole che vivesse secondo i loro insegnamenti - almeno i suoi - e ‘regole’, e quindi avesse appreso anche ciò che non può dare il semplice DNA. 
 
Rin aveva già il viso affondato contro quel braccio muscoloso, aveva smesso di parlare, di muoversi, era già in caduta libera per raggiungere Morfeo. 
Non si era mai sentito così sensibile, nemmeno quando era un bambino piagnucolone, poiché i sentimenti erano di altro tipo. E non si trattava del fatto di essersi fatto addolcire o abbindolare da quei faccini, non si trattava di intenerirsi per piccole azioni che potevano dire o fare “quelle due”, ma c’era qualcosa di diverso dentro di lui adesso. Era un sentimento che poteva fargli esplodere il cuore, e con la tenerezza non c'entrava nulla. 
 Aspettò di sentirla profondamente assopita prima di andare via, portandosi dietro un Usop addormentato sulla spalla. 
 
 
 
 
Erano bastate che poche notti con Nami per notare la differenza nel dormire al suo posto letto in camera dei ragazzi. Si era addormentato solo, e solo si era risvegliato; nessun profumo ad addolcire il mattino, nessun gesto adrenalinico a fargli drizzare i nervi, nessun tocco amorevole a fargli provare un brivido. O almeno, quasi solo: in quella stanza c’erano ben sei presenze maschili, contando la sua, dal momento che Brook era di vedetta; e tra il russare, il parlare nel sonno, e altri rumori alquanto spiacevoli, era filato via, rimpiangendo quel risveglio in infermeria della mattina precedente. 
Per lui era necessario fare allenamento mattutino, nonostante non avesse proprio riposato una notte piena, e nonostante si sentisse così debole. Ma ora più che mai era necessario ristabilire il suo equilibrio facendo meditazione, tendendo i muscoli, indurendo lo spirito, poiché, inconsciamente, sapeva che se non per lui doveva farlo per lei. Seppur volle scacciare via quel pensiero sciocco il più in fretta possibile. 
Stava ignorando però il suo corpo, quella spossatezza fisica cronica che lo aveva colpito dal risveglio. 
A metà allenamento riconobbe di non avere energia, dovendo farei i conti con la verità, seppur dannatamente infastidito da ciò. Smise di allenarsi, smise di entrare in contatto con il suo sé interiore poiché stramazzò a terra senza più forze. 
Con il respiro pesante e un cerchio alla testa, dopo un paio di minuti, riuscì a mettersi in piedi, scendendo quelle stupide scale con difficoltà e arrivando in cucina con non pochi sforzi. 
Forse aveva bisogno di mettere qualcosa nello stomaco, in effetti la sera prima non aveva mangiato niente. E fu lì che lo sentì brontolare, probabilmente lo aveva ignorato per la smania di volersi allenare a tutti i costi. Perché era la sua difesa ai problemi o dai sentimenti più complessi. Lui aveva passato l’infanzia ad allenarsi, ad essere il più forte, il più onorevole, il più determinato. Che altro aveva imparato oltre la disciplina e la volontà di accrescere la sua forza? Lui era così, era questo. Aveva un cuore, era perfettamente conscio di provare pietà per il nemico, e attaccamento per gli amici, e amore… ma tutto il resto, i contorni, non era capace di gestirli o comprenderli. 
 
 
“Oh, ciao Zoro.” 
Erano lì, quei due, Sanji e Rufy, in cucina, svegli. E lui non aveva nessuna forza per affrontarli proprio in quel momento. 
Salutò con l’alzata della mano e si sistemò sul divano, cercando di nascondere il suo stato fisico che invece al cuoco non passò inosservato.
“Che diavolo ti prende stamattina?” 
“Sto bene.” 
Con una risposta discutibile, stava cercando di trattenere il respiro, contenere il sudore, essere vigile. “Devo solo mangiare qualcosa.” 
Sanji, che era dietro ai fornelli, lanciò a Rufy, che stava seduto al tavolo, un piatto con la colazione. “Tò, daglielo.” 
Il capitano con un allungamento del braccio gli diede il cibo, sorridendogli curioso. 
Zoro constatò che aveva risolto da solo i suoi problemi, non sembrava offeso o adirato, evidentemente la reazione di quella sera era qualcosa che riguardava solo lui. Non sembrava essere in collera o detestarlo. Allora accettò il piatto più che volentieri. 
Al contrario, l’altro, sembrava più irritabile del solito dalla sua presenza. Ma Zoro se ne fregò altamente. Sapeva benissimo il motivo, ma comunque non riusciva a prenderlo seriamente, seppur consapevole che tra tutte le donne, per Nami aveva un attaccamento maggiore. Forse questo il motivo principale per cui litigava con lui, un astio iniziato dalla prima volta che lo aveva visto sbavare per lei. Ci rifletteva mentre divorava la colazione senza fermarsi un attimo per prendere respiro, attutendo il suo brontolare di stomaco ma non il mal di testa. 
“Certo che ne hai di coraggio.” 
Rufy riprese parola osservandolo sorridente mentre si riempiva la tazza di latte. Zoro alzò la testa dal piatto per guardarlo fisso negli occhi seduto dinnanzi a lui. “Per sposare Nami, intendo.”
Quel sorriso, che si elargì divertito mentre lo diceva, si rimpicciolì all’istante, quando si scontrò con lo guardo truce dello spadaccino.  
Il cuoco, proprio in quel momento, stava affettando la frutta con un coltellone da cucina la metà della spada di Zoro. Sentendo quelle parole affettò anche il tagliere e il coltello rimase impigliato nel mobile sotto. 
Rufy strinse i denti quando lo sentì estrarlo con forza dal legno e tradusse poi ogni tagliuzzata per un insulto. 
“Se hai qualcosa da dire, dilla adesso.” 
Zoro non aveva energia a sufficienza per combatterlo, ma tanto valeva togliersi al volo questo granello di sabbia fastidioso, anche se era consapevole che non sarebbe stato così semplice.  Era distratto, ma, nonostante lo stato di salute, per fortuna i suoi sensi ancora funzionavano bene, poiché dovette spostare agile la testa verso destra, dal momento che ‘quello stramaledetto di un cuoco’ gli aveva lanciato quel coltello da cucina dritto addosso, che ora si trovava conficcato sul muro. 
“SEI IMPAZZITO?” Lo spadaccino, messo in piedi di scatto, aveva l’occhio sgranato e fisso sul cuoco. “SE PRENDO LA SPADA TI AFFETTO IN DUE.” 
Chopper, Usop e Franky fecero il loro ingresso proprio in quel momento, notando immediatamente un coltellaccio conficcato nella parete proprio dietro Zoro. 
“Oh-no” Usop scosse la testa. 
Ma in quello stesso momento ne volò un altro, che finì ugualmente sulla parete. 
“ANCORA?”
Ma il verde fu costretto a lasciare quel combattimento visivo, ricadendo sul divano, stremato, portandosi automaticamente una mano sulla fronte ad asciugare il sudore e non riuscendo a trattenere un respiro affannoso. 
“Zoro, ma tu…stai male!?” 
Immediata fu la renna ad avvicinarsi a lui per controllare il suo stato di salute. 
“Tsk. Comoda come scusa per evitare di assumerti le tue responsabilità.” 
“Ma di che diavolo blateri?” Riuscì a dire a denti stretti, con un tono infastidito, alzando la testa per guardarlo, mentre Chopper gli toccava la fronte, il collo, e notava per la prima volta le sue ferite, dal momento che le bende si erano sciolte con la pioggia.  
“Tu” lo indicò il cuoco. “Maledetto Bastardo…hai messo incinta Nami! Non te lo perdonerò mai!” 
Quello quasi ebbe un attacco di cuore, allontanando Chopper da sé con una mano sul suo muso, tenendolo a distanza mentre lui continuava ad agitare le zampette per aria tentando di toccarlo per visitarlo. 
“Io non ho messo incinta nessuna, idiota di un maniaco.” 
“E Rin come la spieghi, testa di muschio?” 
“Ma non é mai accaduto in quest’epoca, maledetto sopracciglio.” 
“Ma accadrà, spadaccino molestatore.” 
“COSA?” 
Chopper era riuscito a sfuggire alla presa del verde rimettendosi in piedi. “Zoro, sei febbricitante.” 
“Sto bene!” 
“Non stai bene, hai la febbre!” lo ammonì. 
Usop stava prendendo posto al tavolo, e chissà come nessuno stava ascoltando il medico, l’altro argomento era veramente molto più interessante. 
“Sanji non puoi prendertela con Zoro per qualcosa che chissà quando avverrà.”
Il cuoco frugava agitato nei cassetti, stava cercando altri coltelli, facendo sudare freddo il cecchino.
“Quanto sei ingenuo.” Lo guardarono tutti con un punto di domanda sulla testa, mentre era ancora inchinato tra i mobili. “Non è possibile che qualcosa del genere accada dal niente, all’improvviso.” 
“Cosa vuoi dire?” 
“Che un sentimento come quello ha già messo radici.” 
Rufy si voltò verso Zoro curioso di vederne una reazione. 
Sanji ignorò tutto il resto, riprendendo a tagliuzzare, per poi alzare la testa verso lo spadaccino e guardarlo serio. “Puoi giurare con assoluta certezza che ora non provi niente per la nostra Nami?” 
Sghignazzò poi, non ricevendo risposta ma sapendo di aver colpito nel segno. “Non sei capace a giurare il falso.” 
“Sanji, non è il momento. Zoro non sta bene.” Intervenì ancora Chopper in difesa dello spadaccino malaticcio, prendendo il termometro e ficcandoglielo in bocca, nonostante le continue proteste.
Ma il cuoco sapeva il fatto suo, sapeva quel che diceva, e voleva che quella verità - per lui devastante - venisse affrontata senza nascondersi nella scusa del ‘deve ancora accadere.’ 
Lo spadaccino si tolse il termometro dalla bocca, infuriato, lo stesso che Chopper prese al volo sperando che quel tempo fosse stato sufficiente per segnare la temperatura. Lo agitò. 
 “Zoro! Hai la febbre a quaranta.” 
Ma quello ignorò la cosa guardando il cuoco in una nota di fastidio, poiché con quell’insinuazione voleva darlo in pasto a tutti. 
“L’abbiamo visto quel tuo maledetto sorriso, ieri.” 
Il verde capì di avere lo sguardo di ognuno addosso. E il cuoco aveva fatto il suo gioco, mettendolo appositamente al centro dell’attenzione. Voleva farlo uscire allo scoperto. Erano tutte lì, o quasi almeno, le facce dei suoi compagni che volevano sapere se fosse innamorato. Di come sarebbe passato dall’essere il Zoro di sempre, al diventare il Zoro di Nami. 
Se la controparte femminile fosse stata un’altra persona, se si fosse trattato di un’altra donna, nessuno di loro avrebbe osato tanto intromettersi - almeno tutti tranne Sanji. Ma era Nami, era lei. E non poteva passare inosservato se lui si era infatuato della loro compagna. 
Maledizione a quel damerino. 
E ovviamente era lui a doverci fare i conti, perché mai avrebbero osato fare quel muto interrogatorio a Nami. 
Ma sebbene quel sorriso fosse stata una reazione spontanea, nemmeno lui non era in grado di capire fino in fondo il suo sentimento. Era stato solo qualcosa che semplicemente non aveva potuto controllare. Forse aveva sorriso perché quella scoperta aveva solo confermato i suoi sospetti. O semplicemente - e lo sapeva - perché voleva che fosse Nami quella donna. Certo che lo voleva.
E poi la risposta gli uscì a perfidiato, stupendo tutti i presenti. 
“Quale sarebbe il problema” fissò il cuoco dritto negli occhi “se anche fosse così.” 
Stavolta fu Sanji a non rispondere, interdetto da quella forma di ammissione che non si sarebbe certamente aspettato sarebbe arrivata così presto. Era sicuro che lo avrebbe visto lottare e negare fino alla fine. 
Ma poi fu il capitano che spiazzò tutti sorridendo a trentadue denti. “Ora basta Sanji.”
Ma Zoro sapeva difendersi anche da solo, e infatti un ghigno sadico o apparve sul suo volto. 
“Nami… È a lei che dovete chiederlo. È lei che decide tutto.”
Annunciò, prima di stramazzare nuovamente sul divano privo di sensi. 
 
 
 
 
 
                                                
 
 
 
 
 
Nami, proprio in quel momento fece uno starnuto, accompagnato da un mal di testa ergonomico e il respiro che avrebbe fatto drizzare il più bestiale dei pirati. 
“Quei cretini stanno parlando di me.” 
Disse all’aria, ad occhi chiusi, ancora adagiata in un letto che non avrebbe più voluto lasciare. Un’affermazione che si era rivelata una certezza quando le fischiarono anche le orecchie. “Se vengo a sapere che hanno detto qualcosa di troppo, li faccio fuori uno per uno.” 
Sentì due risate risuonare nella stanza, e le riconobbe entrambe. 
“Tutto bene stamattina, Nami?” 
Avvertì subito immediata una mano sulla fronte, quella di Robin, magicamente comparsa dal niente. “Purtroppo, penso che tu abbia la febbre.” 
L’archeologa, che aveva raggiunto le due rosse durante la tarda notte, si stava alzando dal letto proprio in quel momento, andando subito a prendere dei vestiti puliti. 
“Vado a chiamare il medico.” 
“Ma che rottura.” 
La rossa era tremendamente contrariata al pensiero di dover stare a letto per chissà quanto tempo, ma in quel momento di sconforto, sentì un’altra mano, più piccola, toccarla sulle guance. Aprì gli occhi e si scontrò con lo sguardo di Rin.
“Si, sei calda!” 
La bambina confermò la diagnosi dell’archeologa. 
Nami fece poi un respiro profondo, passandosi anch’ella una mano sulla fronte, ma con gli occhi sempre puntati sulla bambina. Un conflitto il suo, che combatteva con tutte le forze rimaste per ignorare il calore e la debolezza del suo corpo. C’era sua figlia lì, e lei non era riuscita ancora a dirle una parola da quando lo aveva scoperto. 
Non alimentava di certo le fantasie di madre perfetta o di famiglia felice. 
“Non fa niente.” 
Sentì mormorare da quelle piccole labbra e da un tono delicato. “So che non é facile per te, ecco perché volevo non lo sapessi.” 
Nami sapeva di avere nuovamente il proprio respiro mozzato in quell’istante. Le era bastato sentire quella risposta per avere il cuore gelido. Chiuse gli occhi per vedere nitida nella mente l'immagine di Zoro che l’ammonisce per via delle sue insicurezze. “Sono una madre tremenda, vero?” Sul suo viso in ghigno, un mezzo sorriso, che però voleva urlare. “Da che mondo è mondo è concesso che quello scemo sia un padre contento d’esserlo e io…” ma non finì la frase per paura di offendere Rin, stava per dire qualcosa di terribilmente crudele.
Era già calda di suo, ma qualcosa di ancora più caldo le stava cadendo sul volto. Aprì gli occhi un’altra volta, spaventata di scoprirlo, e vide quel viso innocente che si tappava la bocca con due lacrimoni enormi all’estremo degli occhi. 
Con uno sforzo che le costò caro riuscì a mettersi seduta e avvicinare a sé quell’esserino, facendo presa su quella cute minuscola. “Non volevo, scusami.” 
La bambina ne approfittò per accucciarsi sotto il mento della rossa, per trovare riparo, confortarsi in quell’odore in cui era cresciuta. 
“Non sono arrabbiata” le disse in un singhiozzo che però stava cercando di frenare. Rin si stava sgridando da sola nella mente, poiché doveva smetterla di piangere per così poco.“Sono più forte di così…è solo che non sono mai stata tanto lontana da casa.” 
Nami sgranò gli occhi. E le mancava la sua mamma? Le mancava, lei? Quindi non era una madre terribile? 
“Non dev’essere facile, lo capisco. Ti trovi in una situazione paradossale, piccola.” Le accarezzò i capelli rossi decidendo di cambiare argomento per risollevarle il morale. “Lo sapevo che quelli neri non ti rendevano giustizia.”
Rin sciolse l’abbraccio e sorrise, scostandosi da Nami, e ricomponendosi velocemente. A volte non sembrava affatto una bambina, proprio come diceva lei. 
“Tu sei l’unica madre che voglio, chiaro?” le si sedette però accanto, stringendosi le gambe al viso. “È Zoro, l’unico per te, devi fidarti di più di lui e andrà tutto bene.” 
Rendendosi conto di quanto le facesse male tutta quella assurda rivelazione, lei si dimenticò di ogni cosa quando sentì un ulteriore schiaffo colpirle l’anima.
“Ma io mi fido di lui.” 
“È dei suoi sentimenti nei tuoi confronti che dubiti costantemente.” 
Nami si coprì il volto con le mani, desiderando di poter avere una prova maggiore, tangibile, di tutte quelle parole. La testa che scoppiava, la temperatura alle stelle. Era ragionevole affrontare simili discorsi in quello stato? 
L’immagine, ma più la sensazione di lui che le cercava la mano e la stringeva, stava ora annebbiando del tutto la sua mente. Avvertì il cuore in subbuglio e un groviglio di emozioni sul punto di esplodere. 
“Zoro mi ha salvato la vita così tante volte che non pensi sia sciocco provare qualcosa per una semplice presa di mano?” 
Le confidò, sconcertata di sé stessa ma accennando ad un sorriso. 
“No, se è qualcosa che non farebbe mai.” 
“Lo conosci proprio bene tuo padre.” 
Rin annuì orgogliosa. “È la nostra roccia.” 
In quel momento, la voce del capitano arrivò da dietro alla porta di legno andando ad interrompere un momento di importanti confidenze.
“Hei Nami, possiamo entrare?” 
“Che volete?” 
Chopper e Rufy sbucarono nella stanza, svelti come cavallette agitate.
“Che fate qua?” 
La renna accorse per prima al suo capezzale, col termometro alla mano e lo sguardo di chi non ammetteva obiezioni. E il capitano le consegnò il giornale della mattina. “Tó. L’ha comprato Robin.” 
Un sospiro fu l’unica ribellione che il medico ottenne da Nami, già abbattuta al suo nuovo stato, poiché capace di percepirlo anche da sola che non aveva energia nemmeno per tirar loro un pugno. Ma prima ringraziò con un mezzo sorriso per il cartaceo che tenne stretto nella mano. 
“Stavamo portando Zoro a riposare in infermeria.” 
Il capitano la informò, sedendosi sul letto accanto ai piedi di lei avvolti nel lenzuolo. 
Con uno slancio del torace si mise seduta stritolando il quotidiano “che diavolo ha combinato, perché?” Il battito accelerato, il respiro di nuovo mozzato, il termometro volato sul letto. Lo stesso che Chopper si affrettò a raccogliere. “Nami hai anche tu la febbre alta.” 
Non si poteva certo non notare il suo lato sorpreso. “Anche lui ha la febbre?” 
Rufy annuì. 
“Maledizione. Non si ammala mai per così poco.” 
Continuava a fissare il capitano in una sorta di trance, persa del tutto in sé stessa, con la mano del ragazzo di gomma che si muoveva in segno di saluto, come a volerla risvegliare da quello stato comatoso. 
“Nami?”
“Ci sono.” Si ricompose un poco. “Be, tanto dobbiamo stare approdati qua ancora per altri due giorni, Rufy.” Iniziò a sfogliare il giornale. “Vedi di non fare danni in nessun modo o ti farò rimpiangere il giorno in cui mi hai chiesto di unirmi alla tua ciurma.” 
“Va bene.” Le promise a denti stretti. 
“Di che avete parlato stamattina?” 
Chopper sudò freddo. 
“Lo so che stavate parlando di me.” 
Anche il capitano iniziò a grondare cercando una via di uscita dal discorso, dalla stanza, dalla nave, dall’isola. 
“Parlate! Non vorrete farmi stancare nelle mie condizioni!” Aveva accartocciato una pagina che ritraeva il suo manifesto di taglia. E Nonostante la febbre alta quel pugno nell’altra mano sembrava comunque abbastanza minaccioso. “Allora?” 
Il capitano tolse il cappello dalla testa facendo finta di spolverarlo, fischiettando leggero. “Ma niente.” Lo girò sulle dita come una trottola. Alla vista del pugno diventare quasi rosso dalla rabbia e dalla temperatura alta, spiattellò tutto come un canarino. 
 
“INCINTA? Ma che razza di discorsi fate alle mie spalle, pervertiti?!” 
“No, no aspetta. Zoro ha detto di no.”
“E VORREI BEN VEDERE!” 
“Calmati Nami, o peggiorerai le tue condizioni!” 
Il piccolo medico prese una salvietta impregnata d’acqua e la mise sulla fronte della ragazza. “Stai giù, sdraiati, per favore.” 
Quella alla fine obbedì, esausta, più stanca di come si sentiva al risveglio, cambiando appena tono di voce, più arreso che rilassato. 
“Ripeti un po’, cosa avrebbe detto quello scemo?” 
Era rivolta ancora al suo capitano. 
“Di chiedere a te. Ma non ho ben capito cosa, in realtà.” Si rimise il cappello sulla testa. “Ha detto che sei tu quella che decide tutto.” 
“La nostra roccia un corno!” 
Si voltò a fissare una Rin tremante. 
 
 
 
 
 
 
Rimaste sole, Nami si rese conto che la bambina al suo fianco aveva in mano quel foglietto che lei aveva accartocciato, aperto tra le sue mani, nonostante ormai in balia di tutte quelle pieghe. La osservò guardarlo con il luccichio agli occhi, come fosse la bambina più fiera del mondo della sua mamma. Ma in un batter di ciglia, le venne anche in mente quel discorso che le aveva viste coinvolte e si sentì mancare il fiato. 
‘perché io…non sarò mai bella e forte quanto lei. E quando ci penso…mi sento sopraffatta, a volte triste.’ 
Istintivamente avvicinò la mano a quel foglio, posandola sopra quella di Rin. “Perché l’hai preso?” 
‘Io sono come il mio papà, ho preso tutto da lui. Lo dice anche la mamma.” 
Fece spallucce. 
“Rin…” 
Mormorò quasi con la voce mozzata e gli occhi immobili. “Se ti ho trasmesso insicurezze dicendo che sei uguale a tuo padre, mi dispiace.” 
La bambina continuò a guardare quel manifesto, come ipnotizzata dalla foto.
"Ma devi capire che quello è per me il più bel complimento che si possa fare a qualcuno.” 
Automaticamente posò una mano sulla bocca, come se avesse detto qualcosa di severamente proibito. Era tesa e imbarazzata, si sentiva persino goffa a dover cercare di spiegare qualcosa che nemmeno lei capiva o addirittura poteva sapere, dal momento che non era ancora mai successo. Le mancava l’aria e non soltanto per aver rivelato qualcosa che solo adesso si spiegava, ma anche per la paura di commettere errori così grandi che potessero minare all’autostima della figlia. 
Ma la bambina le regalò un sorriso gigantesco. “Grazie di avermelo detto.” 
 
 
Rin e Nami avevano passato tanto tempo assieme quella giornata. Non era certamente uno dei momenti migliori, dal momento che la rossa senior crollava spesso nel sonno a causa della febbre, ma le alternative erano comunque inesistenti, dal momento che la navigatrice aveva previsto pioggia incessante e vento per almeno altri due giorni. 
Passarono parte della mattinata a leggere insieme a Robin il libro di Sanji, quello che indicava tutte le caratteristiche del frutto che la bambina aveva ingerito, ignorando più volte tutte le avance del cuoco che entrava in stanza continuamente per fare il filo alle due compagne, andando via poi forzatamente insieme alla stessa Robin che, ad un certo punto, se lo portò in cucina, forse per lasciare a madre e figlia un po’ di privacy. I tre, senza contare Rin, avevano comunque stabilito che la priorità su cui si trovavano d’accordo, fu quella di insegnare alla bambina ad usare il suo potere per poter tornare a casa bella sua epoca; la seconda era cercare di studiare il frutto, e di ridimensionare i danni fatti da quell’intrusione, ristabilendo al più presto un’equilibrio cosmico - la scusa per Sanji di proporre un’immediata variazione di quel futuro correggendo il passato. Beccandosi un pugno in testa da parte della mini-rossa furente, offesa da quell’idea assurda di voler cancellare la sua nascita. 
 
 
 
Nami era poi stramazzata del tutto sul letto senza più riuscire a trovare la forza per parlare, e, quando si risvegliò, constatò di essere in piena notte vedendo Rin e Robin dormire vicino a lei. Fu in quel momento che pensò al fatto che le due avessero due nomi così forti, uniti dalla stessa iniziale. Sarebbe stata contenta Nami, se Rin avesse preso la forza interiore della compagna, imparando oltremodo da lei ad esserlo. 
 
 
Si era rivoltata più volte nel letto quella sera: seduta, sdraiata, di fianco a destra di fianco a sinistra, a pancia in giù. Ci aveva provato in tutti i modi a trovare una posizione di sollievo, ma la febbre non dava scampo, non lo rendeva possibile. Fin quando riusciva ad addormentarsi era accettabile, ma stare sveglia era insostenibile. Ma non era solo la febbre, era anche la preoccupazione per il compagno che sentiva accesa sulla sua pancia, mentre cercava di ignorare la sensazione di calore che accresceva. Sapeva che aveva ricevuto visite anche lui, da Rufy, Brook, Franky e Chopper, ma poi non aveva più ricevuto altre notizie che lo riguardavano e questo era ineccepibile per lei. 
Nami avrebbe desiderato il poter soffocare i propri pensieri e le proprie preoccupazioni, avrebbe addirittura preferito essere succube della febbre se questa le avesse evitato di dover tornare a macinare sopra continuamente sulle stesse paure. 
Decise che avrebbe dovuto mettere a tacere quelle dannose preoccupazioni che l’avevano tormentata più del dovuto, andando ad indagare lei stessa. 
Nonostante il fidatissimo cerchio alla testa, aveva comunque avuto modo di entrare in contatto con diverse informazioni quel giorno, dopo le multiple ma brevi, a causa del suo addormentarsi, chiacchierate con Rin. E, in un certo qual modo, il protagonista di quei discorsi finiva sempre per essere lui. 
 
 
 
 
 
 
Lui, Zoro, dallo sguardo annebbiato a causa della febbre e dell’oscurità del luogo, fece un sorriso una volta sveglio, sentendosi impacciato, soprattutto perché non aveva idea di cosa dire o di cosa fare. Non che quella specifica compagnia gli fosse sgradita, anzi. Ma avrebbe voluto essere il solito sé stesso e fare il contrariato sulla situazione - quella gli aveva pur sempre invaso il territorio, di nuovo.  
Nami era lì che, andata nel cuore della notte, alzandosi dal letto silenziosa e affrontando quel tragitto che in quel momento era stato così difficoltoso, talvolta appoggiandosi alla parete per sostenersi. Non avendo energia per avvicinare nemmeno la sedia, si era presa direttamente il letto, facendosi posto. 
La ragazza aveva reclinato il capo, poggiandolo poi contro la spalliera del letto in cui erano sdraiati insieme. 
Il giovane, che aperto l’occhio se l’era trovata addosso - i sensi ancora gli funzionavano - non volle insistere sul perché fosse andata a trovarlo, nonostante le sue condizioni di salute altrettanto instabili. 
“In salute e in malattia.” 
Elargì, stranamente spiritoso, richiudendo l’occhio e non aggiungendo altro alla sua battuta ironica. 
Nami riuscì a sorridere, captando nella sua voce un tono semplice, da un Zoro che non era oscurato da quella sua voglia di respingere ogni cosa sentimentalmente incomprensibile.
Ciò nonostante, a dispetto di tutte le paure, lei riuscì a stargli accanto senza grossi ostacoli quella sera, persino riuscendo a scherzare, facendolo finanche ridere. 
“Sappi che in ricchezza e in povertà non verrà annunciato al nostro matrimonio.” 
Senza darle il tempo di capire, si diede una piccola spinta all’insù, portando il capo sotto al suo petto, abbracciandola in vita. Febbricitante e istintivo, le sue mosse non erano mai calcolate. 
Lei troppo rigida per opporsi, troppo sconvolta per crederci, e lo lasciò fare, con il cuore che batteva forte in petto e la mente che continuava a domandarsi per quale dannata ragione il destino continuasse a torturarla in quel modo. Anche se stavolta era andata lei a cercarselo il problema. 
Rabbrividì quando le dita di Zoro le sfiorarono la pelle e il suo respiro acuto e malaticcio le arrivava addosso come un fiume in piena. 
Nami non riusciva a muoversi, era pietrificata, ma ciò nonostante faceva di tutto per cercare di riscuotersi dalla rigidità dovuta a quella vicinanza. 
Loro in realtà erano sempre stati così fisici, lui la salvava mettendo il suo corpo in prima linea di difesa  - d’altronde è così che si erano conosciuti - e lei lo riempiva di botte quando la faceva esasperare. Il loro rapporto era sempre stato questione di fisicità, oltre che di totale fiducia nel sapere perfettamente le qualità, le ossessioni, e le lacune dell’altro. 
Ma quei contatti recenti che stavano vivendo erano diversi, da far scoppiare l’intera zona dello stomaco e un offuscare i sensi - ma quello era senz’altro per via della febbre. Senz’altro. 
 
Zoro pensava solo al fatto che ogni parte del corpo di Nami gli sembrava soffice, ancora di più con quella debolezza in corpo. Aveva appena scacciato la freddezza della solitudine che lo aveva colpito in pieno dopo aver provato quel tocco, quello scambio di attenzioni reciproco. Anche per lui si era rivelato difficile tornare indietro, dimenticare.  
“Allora ti sei decisa. L’hai accettato.” 
“No, mai.” 
“Allora perché sei qua?” 
“E tu perché fai tutto così facile, invece?” 
“Mi sono già rassegnato da tempo che saresti stata un problema nella mia vita, cosa cambia aggiungere un rito qualunque per celebrarlo.” 
Gli tirò l’orecchino. 
“AHIO” 
“Cosa cambia? Cambia che si tratta di prendere un impegno serio con una persona con cui condividere tutto. Onorarla e rispettarla, dandole i propri soldi.” 
“E non lo faccio già ogni giorno?” Sospirò rassegnato al suo destino. “EHI LA PARTE DEI SOLDI NON ESISTE.” 
“E tu sei invece uno squattrinato! Non puoi certo occuparti di me!” 
“Ti ripeto che questa parte non c’è!” 
 
Più facevano quei grossi respiri, più si ricordava che tutto quello era reale. Entrambi sudaticci, febbricitanti, appiccicosi, doloranti ai muscoli, deboli, pervasi dai brividi - difficile poi distinguere quali per la febbre e quali per il contatto dei corpi. Due corpi che si alzavano e riabbassavano ad ogni fiato o sospiro. Due affanni che si univano a ritmo, occupando l’ambiente e cercando di non svenire. 
La rossa gli accarezzò la nuca verde, passandogli una mano tra i capelli, appena più lunghi del solito - un gesto che fu ampliamento gradito. Le risposte del corpo erano sempre piuttosto chiare rispetto a quelle della mente. 
“Anche il temibile Roronoa ha bisogno di attenzioni.” 
Sussurrava, per non disturbare l’abbraccio, sentendolo prima contrariato e poi arreso alla verità che non poteva negare, affondando sempre più il volto in lei, come a nascondere quella sua piccola e innocente vergogna. La febbre non aiutava, proprio come era successo con la pillola della volta precedente; c’era sempre qualcosa che lo rendeva più audace o arrendevole. In entrambi i casi, cedeva alla voglia umana di calore dell’altra. 
Nami sapeva che lui era suscettibile a questo comportamento che sicuramente nei giorni successivi, da lucido, si sarebbe dannato da solo per aver agito in questo modo poco virile, e adorava stuzzicarlo ricordandoglielo lei stessa. Si divertiva quindi, ma allo stesso tempo, le sue stesse tenebre si stavano intensificando, lontane gli occhi, lontane dal cuore. In una parte più cupa, dove racchiudeva tutto il suo passato. 
Zoro era una luce diventata troppo abbagliante. Non era una questione di amore, né di profondità, poiché erano sentimenti che già li univano da sempre, come univano tutti loro; quindi, non c’era da stupirsi così tanto per questo. Ma si trattava di estensione. Lui poteva essere la sua? 
Una parte di lei procedeva a tentoni nell'oscurità, in cui cadeva costantemente, dove c’erano tutte le paure e i dubbi, e un'altra, nello stesso istante, procedeva rapida, senza indugio, come in quel momento in cui aveva seguito solo la sua volontà, raggiungendolo senza vergogna. 
Poteva sentirsi completa solamente quando le due parti si sarebbero ricongiunte e affrontate. E lei si sarebbe sentita in grado di ricongiungerle?  
 
“Perché hai detto loro che devo decidere io sul nostro futuro?” 
 
Nami stava incontrando numerosi specchi immaginari in quel momento, specchi rotti che la vedevano riflessa in pezzi e con cui doveva confrontarsi uno per uno. Sentiva dei sussurri, vedeva immagini distorte. Che razza di responsabilità le voleva appioppare? 
Era ovvio che nonostante il futuro che si era presentato alla porta e nonostante il destino le parlasse, sapeva che loro dovevano decidere insieme su cosa fare veramente. Aspettare o muoversi? Lasciare tutto immutabile? 
 
Ma poi lui era lì, nitido e reale.  
“Io ho già fatto la mia scelta.” 
Sembrava quasi una promessa, vera, autentica, motivata. 
La voce pastosa ma ferma. 
 
Ma che diavolo ha deciso? 
Nonostante fosse piuttosto ovvio. 
 
La sentì rabbrividire sotto le sue mani. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice_________________________________________
Salve ciurma, 
Stavolta ho aggiornato tardi. È vero sono stati gli impegni, ma ammetto che c’è stata anche una forte crisi di panico - ovvero, mancanza di fiducia nelle proprie capacità. Eh, lo so, non si deve cedere per così poco, ma è più forte di me, forse ci ho creduto troppo ma non sn capace. Ehehe. 
Ad un certo punto ho avuto la sensazione di essere uscita fuori strada, e di odiare tutti i capitoli precedenti. Vabbè, cose che capitano, ordinaria amministrazione, probabilmente.
Non so, ditemi voi. 
Spero la prossima volta meglio. 
Vi saluto,
Roby 
 

 
   
 
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