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Autore: GReina    20/09/2021    2 recensioni
[Miya, separati alla nascita au] [accenni sakuatsu, osasuna]
Atsumu non aveva bisogno di una famiglia. Questo era ciò che aveva continuato a ripetersi durante tutta la sua vita. Era forte, indipendente. Figlio unico da sempre e felice (forse) di esserlo.
Tutte le sue certezze crollano, tuttavia, quando improvvisamente vede il proprio volto indossato da un altro.
Genere: Commedia, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa, Osamu Miya, Rintarō Suna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Inizio

Osamu non era mai stato particolarmente cattivo. Pur di essere lasciato in pace troppo spesso aveva fatto buon viso a cattivo gioco, e men che meno – poi – si era permesso di essere scortese verso la donna che con così tanto impegno l’aveva cresciuto da sola. Nonostante questo, comunque, il ragazzo non si sentì minimamente in colpa a non averle specificato chi avrebbe dovuto farle incontrare con quel pranzo quando, entrati nel ristorante, vide il suo volto sbiancare. Aveva provato per giorni a capire perché sua madre Izumi gli avesse nascosto la verità, solo per arrivare alla conclusione che – qualsiasi fosse stato il motivo – non avrebbe mai potuto perdonarla.
Si concesse un momento, lo schiacciatore, per osservare Atsumu all’ingresso del ristorante, prima di proseguire e raggiungere la donna. Non appena furono a portata di voce nessuno parlò per diversi attimi. Atsumu era agitato e – Osamu avrebbe potuto scommetterci la vita – in lotta con se stesso per decidere se far prevalere l’ansia o la tristezza. Di nuovo, come era stato durante i loro primi giorni di ritiro, il biondo sembrava tanto essere un animale braccato: in dubbio se restare fermo immobile o voltarsi e scappare via. Sembrò prevalere la seconda quando – seppur cauta – Izumi fece un passo verso di lui nel chiaro tentativo di abbracciarlo. Osamu non seppe mai se quello di suo fratello fosse stato un gesto istintivo o premeditato, solo che, a quel movimento, il palleggiatore si fece indietro. La donna si bloccò, ma come poteva permettersi, lei, di insistere oltre se il bambino in fasce da lei lasciato a Hyogo non voleva toccarla?
Izumi deglutì ed abbassò le braccia. Infine, forse semplicemente per dire qualcosa, si rivolse allo schiacciatore:
“Osamu… i tuoi capelli…” Miya si aspettava una cosa simile, così rise amaro.
“Vuoi davvero parlare di questo?” non ci fu risposta. Si sedettero e, semplicemente, attesero in silenzio.
Miya Chojiro arrivò pochi minuti più tardi. Atsumu glielo aveva descritto come la versione più vecchia di loro, ed in effetti aveva ragione. Non era difficile, infatti, capire da chi i due avessero preso guardando i capelli neri della madre e quelli castani del padre. Anche gli occhi erano gli stessi mentre le folte sopracciglia – con forte disappunto di lei – erano tutte della mamma. Come la donna, era pallido anche lui, e anche se Osamu non l’aveva mai visto prima, non era difficile capire non essere dovuto alla sua naturale carnagione. Vederlo fu strano. Fu come realizzare una volta per tutte che lui non era un orfano, bensì un bambino abbandonato. Come Atsumu, adesso anche lui si ritrovava paralizzato: in dubbio se correre o restare.
“Izumi…” ruppe il silenzio l’uomo rivolgendosi alla donna che – come tutti – si era alzata per accoglierlo. “Ti trovo bene.” disse con voce tesa. Poi si voltò verso i gemelli. Osservò Osamu, gli si avvicinò e, titubante, gli mise una mano sulla spalla stringendola appena. Infine si rivolse ad Atsumu.
“Ti sei tinto i capelli.” costatò, ed il biondo fu molto meno pacato di lui nel rispondere:
“Sai, è stato uno shock piuttosto grande vedere la mia faccia addosso ad un altro! Vuoi biasimarmi per aver voluto cambiare qualcosa!?” come la sua ex compagna prima di lui, l’uomo decise saggiamente di non rispondere. Bofonchiò un “mi dispiace”, infine tutti tornarono a sedersi.
La scena fu imbarazzante, tesa e in stallo, all’inizio. Ognuno di loro – era certo – aveva lo stomaco troppo chiuso per poter mettere qualcosa sotto i denti, ma ordinarono ugualmente e fu dopo che le pietanze arrivarono – solo per lì sul tavolo rimanere intatte – che iniziarono davvero a parlare.
I gemelli volevano risposte.
Osamu sospirò forte non appena gli adulti ebbero finito di parlare, poi – per amor di precisione – volle ricapitolare:
“Insomma, quando tu hai ricevuto la promozione per un posto a Tokyo non ci avete pensato due volte e ci avete separati!”
“Non è stata una decisione presa alla leggera, Osamu.” provò a giustificarsi la donna, ma il ragazzo la fece a stento finire:
“A me sembra tanto di sì! C’erano mille soluzioni migliori rispetto a questa! Non avete pensato – che so – di tenerci a settimane alterne??”
“Avevate due anni, figliolo…” si inserì l’uomo. Lo schiacciatore digrignò i denti per quel nomignolo assolutamente non richiesto, ma lo lasciò continuare. “Vi avremmo scombussolato troppo l’infanzia trascinandovi da una parte all’altra del Paese così spesso.” dopodiché intervenne Atsumu che con rabbia sibilò:
“Perché in questo modo non l’avete fatto, non è vero?”
“Contavamo di dirvelo una volta che foste cresciuti abbastanza.” fu l’ennesima scusa.
“Abbastanza per cosa?” riprese il biondo “Per viaggiare in autonomia? Per avere un cellulare con cui poter contattare l’altro? Abbiamo superato da tempo quel punto. Trovate un’altra scusa.”
Izumi sospirò stanca, poi poggiò un gomito sul tavolo e la fronte alla mano.
“Non credere che non abbia mai pensato a te, Atsumu.” sollevò poi lo sguardo verso il ragazzo di Hyogo. Osamu osservò il fratello. Lo conosceva da meno di un mese, ma non gli ci era voluto molto per capire quanto quell’argomento fosse delicato per lui. Più di quanto – comunque – non lo fosse la mancanza di un padre creduto morto per l’altro.
“Ad ogni vostro compleanno, ad ogni Natale, ad ogni festa della mamma… sono stata così tanto spesso tentata di contattarti… e lo stesso tuo padre con te, Osamu.” si rivolse a lui. Poi tirò fuori il cellulare sbloccando davanti a tutti l’Area Personale: all’interno, solo foto di Atsumu. Nel cellulare di loro padre – scoprirono – vi era la stessa situazione con Osamu.
“Questo è ancora peggio!” urlò arrabbiato il ragazzo dai capelli tinti di grigio “Vuol dire che vi siete tenuti a contatto mentre noi…” le parole gli morirono in gola, ma Atsumu prese il suo posto chiedendo:
“Quindi perché.” aveva lo sguardo basso ed i pugni serrati “Perché separarci! Perché nasconderci la verità.” gli adulti si studiarono per un attimo, infine ammisero:
“Era la soluzione più semplice, Atsumu.” il biondo guardò ferito e deluso verso l’uomo che aveva parlato. “Eravamo entrambi sposati con il lavoro prima che tra di noi e…” indugiò “eravamo entrambi innamorati del lavoro prima che vostri genitori.”
Erano parole crude. Parole orribili. Ma proprio per questo, in un certo modo, apprezzate particolarmente da Osamu. I ragazzi avevano chiesto la verità, dopotutto, e questa certo non poteva che far male.
Sebbene fossero preparati a tutto quello, comunque, occorse a entrambi un minuto per metabolizzare la cosa. Tornando a guardare Chojiro, questi poi continuò:
“Abbiamo discusso a lungo su cosa fare. Continuare una relazione a distanza, dividerci la custodia a mesi alterni… ma lasciare uno il lavoro per l’altra… no, non era da noi. Nessuno dei due sarebbe mai riuscito a crescere due gemelli piccoli con tutte quelle ore lavorative, neanche se a fasi alternate con l’altro. Quindi Atsumu è rimasto con me, e tu, Osamu,” fece guardandolo “sei partito con tua madre.”
“Siete le persone più egoiste che io abbia mai conosciuto.” il ringhio di Atsumu fu basso, eppure perfettamente udibile da tutto il tavolo. Alcune persone sono più portate per il lavoro che per la vita familiare, questo è certo, eppure no, nessuno dei due – in quel caso – avrebbe mai potuto dirsi nel giusto.
“Avete almeno una minima idea di quello che ci avete rubato?” chiese arrabbiato il palleggiatore, al che la donna prese fiato. Forse per rispondere, forse per scusarsi. Non lo seppero mai, perché Atsumu – attirando non poca attenzione – senza più controllo urlò:
“Sta zitta! Non voglio nemmeno ascoltarti!” Chojiro si alzò in piedi, non inferocito ma alquanto alterato.
“Atsumu, non permetterti-”
“No, tu non permetterti!” si alzò a sua volta il biondo scansando la mano che aveva provato a raggiungere la sua spalla. Dopodiché andò via. L’uomo fece per seguirlo, ma bastò lo sguardo tagliente di Osamu per bloccarlo. Fu lui, poi, a seguire Atsumu.
 
Quella di rifugiarsi nei bagni doveva essere una tecnica che andava di moda a Hyogo. Non che, comunque, ci fossero altri posti dove andare all’interno di quel ristorante di lusso.
Osamu trovò Atsumu chinato su uno dei lavandini: l’acqua aperta e qualche goccia che già gli colava dal viso appena rinfrescato. Chiuse il flusso del rubinetto non appena si accorse di lui grazie allo specchio; si voltò e poggiò il peso sul piano di marmo.
“Come stai?” gli chiese lo schiacciatore. Atsumu non rispose. D’altronde – si disse Osamu – era una domanda ridicola da fare.
“Ci hanno abbandonati. Ci hanno separati. E per cosa!?” chiese senza guardarlo, le lacrime pronte a versarsi da un momento all’altro. Anche Osamu stava male. Aveva un groppo in gola e gli sembrava di non riuscir a deglutire bene sin da quando la folle spiegazione dei loro genitori era iniziata.
“Quella non è mia madre.” continuò poi il biondo “È solo la donna che ha preferito abbandonarmi per poter lavorare di più.” sospirò tremulo. Il ragazzo di Tokyo spostò il peso da un piede all’altro, infine avanzò e strinse Atsumu in un abbraccio. Il biondo si irrigidì, e ci mise un attimo di troppo per ricambiare. Lo fece con cautela, quasi con paura. Osamu arrivò a pensare che non fosse gradito, poi notò il riflesso di suo fratello nello specchio.
“Cazzo, Tsumu. Non arrossire così! Rendi sempre tutto molto più imbarazzante!” lo beffeggiò mentre anche le sue guance, tuttavia, si imporporavano.
“Sta zitto.” mormorò l’altro, e continuò strascicando le parole: “Questo è il primo abbraccio che ricevo in vita mia.” Osamu non riuscì a controllare la propria sorpresa a quella realizzazione e sussultò appena, ma non mollò la presa.
“Non credo. Ero un bambino carinissimo da piccolo. Scommetto che ti ho già abbracciato almeno una volta, solo che tu non lo ricordi perché sei un idiota!” Atsumu rise facendo incurvare verso l’alto anche le sue labbra. Poi strinse di più la presa.
“Torniamo di là solo quando te la senti.” gli sussurrò. Il biondo arrossì ancora.
“Mi fai sentire come il debole della coppia.” Osamu rise.
“Tu sei il debole della coppia.” lo insultò. A quel punto Atsumu sciolse la stretta per dargli un debole pugno sul braccio.
“Ridimmelo quando verrò selezionato per All-Japan Youth Training Camp prima di te. O quando riuscirò a conquistare Omi prima che tu possa farlo con Sunarin!” Osamu ghignò vittorioso.
“Omi?” chiese con tono incredulo e divertito insieme, consapevole di aver appena ottenuto del materiale di ricatto. La risposta di Atsumu arrivò attraverso un’altra raffica di colpi sul braccio.
 
 
 
 
Fu stranamente eccessivamente rilassato che Atsumu, infine, lasciò quel bagno in compagnia di Osamu. Scoprire il folle e del tutto ingiustificabile motivo per cui i loro genitori li avevano privati di un’infanzia piena di giochi in compagnia e rapporti sociali più sani lo aveva destabilizzato, ma ricordarsi – con l’abbraccio appena ricevuto – che non era troppo tardi per recuperare il tempo perso con il fratello lo aveva aiutato.
In un certo senso l’assurda spiegazione dei due lo aveva portato a fare pace con se stesso: non aveva mai avuto un rapporto stretto con suo padre e mai lo avrebbe avuto con sua madre. Che entrambi si tenessero i loro amati lavori, se proprio volevano. Sarebbe stato su Osamu su cui Atsumu si sarebbe concentrato, libero – dopo quindici anni – dall’irrealizzabile utopia che un giorno sua madre avrebbe potuto varcare la soglia di casa urlando il proprio rimpianto per l’abbandono.
Con gli occhi asciutti e la voce ben più salda di prima, dunque, i gemelli fecero ritorno al loro tavolo.
“Ecco come faremo.” annunciò il biondo non appena si sedette. “A partire da lunedì entrambi, una volta a settimana, verserete su un conto in comune intestato a me e a Samu diecimila yen1 a testa.”
“E noi potremo usare quei soldi quando vogliamo per finanziare i viaggi che faremo per vederci.” continuò Osamu.
“Compreremo entrambi dei nuovi letti da mettere nelle nostre camere, così a weekend alterni potremo dormire insieme.” riprese il biondo.
“I voli per Tokyo costano parecchio, quindi immagino che dovrete finanziare a parte il viaggio che farò la prossima settimana dato che il conto non potrà ancora coprirlo.” dichiarò infine lo schiacciatore.
“E questo è quanto.” volle precisare Atsumu dal momento che nessuno dei due adulti si decideva a dar segno di vita “Parlatene pure tra di voi, ma l’accordo non è trattabile.”
“Con i vostri bei lavori non sarà un problema rinunciare a quarantamila al mese, giusto?” gli rinfacciò Osamu. Il palleggiatore sorrise. Era pericolosamente soddisfacente torturare un po’ quei due insieme al fratello. Da ora in avanti – almeno questo era ciò che Atsumu si augurava – i genitori si sarebbero impegnati per conoscere il figlio che avevano rispettivamente abbandonato, ma almeno per il momento era liberatorio per Miya potersi prendere la sua piccola dose di vendetta con l’aiuto infimo di quella volpe di suo fratello.
A Chojiro ed Izumi non rimase altro da fare che accettare di buon grado e – magari – prendere come esempio quel metodo di compromesso.
 
Furono riaccompagnati entrambi al ritiro estivo in periferia poco dopo. Di comune accordo fu deciso che Osamu avrebbe potuto passare lì il resto delle notti. Infine, si accordarono affinché potessero cenare tutti e quattro insieme prima che Atsumu tornasse a Hyogo. Poco importava che loro padre avrebbe dovuto prendere nuovamente l’aereo. Quello, certo, era un buon inizio per la famiglia. Forse non sarebbero mai stati uniti come in passato il biondo avrebbe voluto che fossero, ma adesso tutto era cambiato. Sua madre l’aveva abbandonato così come il padre con Osamu, ma se da piccoli ne avevano sentito il bisogno, era anche vero che i genitori avevano aspettato troppo ed adesso erano altre le priorità dei due adolescenti.
Che si tenessero le loro vite, quindi. Atsumu ed Osamu avrebbero vissuto le loro, e l’avrebbero fatto insieme.
E fu proprio quel pensiero a ritornare in mente al giocatore professionista, dieci anni più tardi. Abitava ad Osaka, aveva un contratto solido con i Black Jackals ed una relazione stabile con Kiyoomi. Gli sarebbe bastato prendere la macchina, percorrere la via principale per appena dieci minuti e lì avrebbe trovato Onigiri Miya.
I loro genitori erano andati avanti con le loro vite, dopotutto, mentre Atsumu ed Osamu avevano vissuto le loro, e l’avevano fatto insieme.
 

1circa 80 euro.
   
 
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