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Autore: robyzn7d    25/09/2021    5 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XVI 
Accorgimenti  

 
 
 
 
 
Ripensare a quel bacio gli provocò un formicolio intenso verso l’inguine. Eppure, lui si stava proibendo di avere determinati pensieri o di rispondere a certe pulsioni. 
Scacciare pensieri mondani d’altronde era il suo forte. Saper rimanere lucido anche nei momenti più disparati era una sua qualità. Ma, evidentemente, ciò non era abbastanza per scacciare via certe immagini “impure” che gli obnubilavano il cervello.
Zoro non aveva avuto chissà quali fantasie, non arrivava mai troppo lontano con la mente, poiché era solo su Nami che si fermava tutta la sua immaginazione, e quindi non mi ne aveva proprio bisogno di allontanarsi. Quella testarda testa rossa era capace di provocargli emozioni senza sforzarsi troppo. Ma era proprio questo il problema adesso: nel momento di tregua, in cui lei era lì, a due centimetri dal suo corpo, nella sua mente era appena apparsa un’immagine fresca di quella piccola mano leggera che gli ispezionava il torace fino ad arrivare all’attaccatura dei suoi pantaloni, nel ricordo di quella splendida e pericolosa mattina che gli aveva visti dormire insieme. 
Perché proprio adesso?
Nessuno allora sapeva ancora la verità su Rin. Eppure, lei lo aveva messo alla prova già in quel momento. Lo aveva stuzzicato per poi lasciarlo solo ad annaspare. 
Annusava il suo profumo senza farsi scoprire, ma, nel frattempo, si stava impegnando davvero tanto per indirizzare la concentrazione verso qualcos’altro, qualcosa di più lontano, nella speranza di potersi distrarre. 
Sentiva di essere appena diventato una bomba ad orologeria, e sostenere tutte le provocazioni di lei iniziava a costargli qualche fatica. 
 
Nami, d’altro canto, nonostante fosse ancora sconvolta di sé stessa, continuava a fissare le loro dita incrociate, sembrandole tutto a dir poco surreale. Anche se ormai doveva averci fatto l’abitudine a loro due che si scontravano: quante volte si era guadagnata la confidenza di toccarlo, e lui la libertà di abbracciarla? Ciononostante, continuava a fare un certo effetto quell’avvicinamento di corpi e carezze, così insolito, quasi esoterico. 
Anche se quest’ultimo bacio tutto poteva essere stato tranne che una carezza. Le loro effusioni erano da considerarsi tra le più diversificate.
Nemmeno nelle sue ultime fantasie lui aveva reagito così, anche se a lei bastava solo quello sguardo impazzito per sentire il corpo fremere. 
Ora però erano quelle dita unite che l’attiravano, seppur consapevole del fatto che lui stava ribollendo, poiché lo sentiva troppo teso e molto meno fermo di prima. E non poteva negare quanto la divertisse metterlo in quelle situazioni. 
Continuava ad accarezzarlo sulle dita delicatamente, fissando quella strana unione e consapevole di farlo rilassare ma anche irrigidire nello stesso momento. 
Non c’era stata gentilezza, non c’era stato romanticismo tra loro, eppure doveva ammettere che le era piaciuto lo stesso. Non lo aveva mai immaginato così, ma forse non lo aveva mai immaginato e basta. Ormai per lei era chiaro questo bisogno fisiologico che riguardava entrambi, e si stupiva di lui, soprattutto. Lui che fremeva, e che fremeva per lei. 
Avevano dovuto affrontare discorsi impegnativi tra figli, matrimonio e amore, lasciando in un angolo la passione, quella che normalmente invece, viene prima. 
Stavano vivendo tutto al contrario. 
E un po’ le dispiaceva per Zoro, non doveva essere facile per lui. Ma non si lamentava mai, almeno non più del dovuto. Ed era pur sempre un uomo, e le aveva le sue pulsioni, come lei era una donna, e aveva le sue. Eppure, erano così bravi a sopprimere le intenzioni, avevano imparato così bene a sotterrarle, che lo avevano fatto anche con gli impulsi. Anche se ogni tanto qualcosa veniva fuori lo stesso…
La dolcezza tra loro era dura, la soavità trasformata in ruvidezza, ma non le importava. Lei lo aveva assalito, e lui, per la prima volta aveva ricambiato con lo stesso affondo. Era andato giù pesante insieme a lei. 
 
Le facevano male le labbra, erano gonfie. Lui l’aveva morsa, ma lo aveva fatto per prima lei, facendogli sicuramente male afferrandolo forte per il labbro inferiore senza dargli un attimo di tregua. Dovette lottare lui per riconquistarlo. E non si era nemmeno lamentato. 
Lei voleva essere più dolce, ma come poteva esserlo se era stata invasa prima dalla rabbia e poi dal tormento di volerlo assaggiare ancora una volta? 
Però la voleva, la dolcezza, la meritava, la meritavano entrambi, e sapeva che, ripensando a tutte quelle carezze gentili, sporadiche e casuali capitate, sarebbero riusciti a tirarla fuori, prima o poi, in qualche modo. 
 
Ma quel flusso di pensieri era destinato a finire in fretta. Quel silenzio che lei aveva chiesto non sarebbe poi potuto durare in eterno. 
 
“Nami”
lo sentì sospirare forte, “rientriamo.” 
Lei aveva rubato un altro minuto per vivere ancora quella stretta, come spaventata dal pericolo che non ci sarebbe più stato alcun altro contatto simile. Ma era ridicolo pensarlo, loro sarebbero stati genitori, sarebbero stati sempre insieme.
Come poteva pensare che quello sarebbe stato l’ultimo tra quegli scambi che viveva con lui? Quegli spiragli d’amore non si sarebbero esauriti - o almeno così sperava. 
Dovevano mettere al mondo una bambina, dopotutto. 
Non poteva accertarsene, ma era sicura di avere il viso bollente, ma forse anche le mani si erano accaldate, vista la reazione di lui, che aveva mosso le dita proprio in quel momento. Così le abbandonò per non farsi scoprire, ma era come se avesse appena abbandonato un cospicuo sacchetto d’oro per sempre. Riuscì a voltarsi senza guardarlo in volto, troppo imbarazzata, cercando di non trovarsi faccia a faccia con lui.
Ora era lei a sentirsi profondamente a disagio, e aveva fatto tutto da sola.
“V-va bene.” 
Rispose sbrigativa, in un tono di voce impacciato e quasi rauco, come se si stesse tappando il naso o stesse trattenendo il respiro. 
 
Lo spadaccino alzò un sopracciglio, guardandola, prima incerto ma poi divertito, mentre la vedeva salire le scale all’esterno dirigendosi nella stanza delle ragazze. 
Illuminati dalla luna e dalle luci interne che arrivavano dagli oblò, vide i capelli scivolarle dalla spalla e ricaderle dietro alla schiena, mentre con quella mano che prima stava stringendo lui ora era aggrappata con forza alla ringhiera, come se si stesse reggendo stretta per non cadere. 
La osservava salire un gradino alla volta, con fare silenzioso e furbesco. Appena vide il piede superare l’ultimo scalino, si mobilitò per raggiungerla.
“Aspetta” 
La navigatrice non sapeva spiegarsi come mai si sentiva così immobile, era completamente spaesata, da sé stessa, ma anche da lui e quel suo sguardo sempre intenso che ora non voleva sostenere. Non voleva avere un confronto adesso, non dopo quello che aveva fatto prima, baciandolo in quel modo vergognoso. Perché la stava fermando? Non era lui quello che voleva rientrare? 
Scosse la testa, scacciando via i pensieri e riprendendo un po’ di coraggio “mi dici che ti pre…” ma non terminò più la frase quando vide la serietà nello sguardo di Zoro, che divenne indirettamente gentile, ma anche sensuale.
“Mi dispiace” aveva mormorato, non smettendo di fissarla, abbassando l’occhio sulle sue labbra.
La rossa aveva portato il suo pollice a tastarsi le labbra gonfie e “ferite” in modo inconscio. Capendo subito a cosa lui si stesse riferendo. Aveva così sbarrato gli occhi per la sorpresa
ma era diventato scemo tutt’insieme? 
Ma era stata lei ad agire in quel modo violento. 
Ora erano nuovamente uno di fronte all’altra, lei rovente, lui preoccupato. 
“Ma è stata la mia rabbia a…tu non”
Si sentiva una stupida, perché stava andando in iperventilazione?
Per cercare di calmarsi allora aveva iniziato a vagare con la mente, soffermandosi sul pensiero di quanto fossero d’oro i suoi compagni, che erano anche i suoi amici e la sua famiglia, quando sapevano dimostrare amore con determinate azioni insolite, soprattutto nella difesa in combattimento, nelle piccolezze, come preparare ad ognuno le pietanze preferite con cura e attenzione, o quando si era ritrovata più volte la mano di Rufy sulla fronte per misurarle la febbre, seppur non sapesse nemmeno intuirlo. E lei lo aveva sempre quasi sgridato. Se ne pentiva di essere stata spesso così irascibile rispondendo male a quelle tenerezze sporadiche, non godendosele mai. Il problema è che gli amici avevano anche un pessimo tempismo.
E adesso, Zoro. 
Le sue tenerezze le racchiudeva nei suoi accorgimenti e niente di più, e ora era lì, ad osservarle le labbra, con quello sguardo ruvido. Anche lui ebbe la reazione di portarsi il dito sulla sua di bocca e toccarla, sentendo una piccola insenatura incrostata sul labbro inferiore. Lei lo aveva morso, ma preso dalla foga di quel bacio non ci aveva dato peso. Non che gli facesse male. 
In quell’istante vide gli occhi di Nami aprirsi di più. Era stata lei a provocargli quella ferita. 
“È per questo quindi che sei agitata?” 
 
Certo per la tua ferita, “mica per quel bacio esplosivo”, cretino. 
 
Il viso di Nami prese un evidente colorito purpureo. 
“Ti dà fastidio?”chiese con un broncio da bambina imbarazzata sul volto, riferendosi alla cicatrice creata dalla sua enfasi. 
In realtà in quel momento si vergognava così tanto di quel suo modo di fare perentorio, e le loro labbra le ricordavano proprio il suo atteggiamento. La sua era una irascibilità che si trasformava e cambiava forma a seconda delle situazioni.  
Divertito, smise di ispezionarsi, guardandola tra il serio e l’ironico.
“É una ferita di guerra.” 
“Scemo.” 
Rise divertita anche lei, seguendolo in quel momento di rilassamento e intesa.
 
E ancora una volta le loro memorie vennero invase a tradimento da immagini dei ricordi del bacio che avevano appena vissuto, da quel labbro tirato, dall’enfasi dell’attimo, dalla tensione crollata, dal caldo di quelle morbidezze. 
Fece solo in tempo a vederlo abbassarsi su di lei e chiudersi ancora in un altro, ma più semplice, contatto delle labbra, lasciando perdere qualsiasi attorcigliamento con la lingua. Voleva solo darle sollievo. 
Quello prima era stato intenso, ma questo richiedeva maggior cura e gentilezza. E Zoro lo aveva capito. Sentiva che ne doveva superare tante di prove con Nami, per starle dietro, e come dimostrava il tremolio delle gambe di lei, l’aveva sconvolta un’altra volta. 
Non si aspettava che sapesse essere così morbido? 
Nami restò ammaliata da quel bacio piccolo e caldo; tanto che non oppose alcuna resistenza, lasciandolo agire. 
La delicatezza con cui le posò le labbra sulle proprie le fece dimenticare di ogni vergogna, tuttavia, non riuscì a rispondere, si faceva solo baciare, troppo impaurita di sé stessa, di rompere quella magia che non voleva spezzare. Non voleva rispondere e magari rischiare di diventare nuovamente aggressiva. Era lui quello che aveva più controllo tra i due, era lui quello che riusciva a fermarsi e a fermarla. Quindi lo lasciò fare, facendosi accarezzare le labbra provate e alleviando così la sensazione di bruciore. Si lasciò leccare sulle impercettibili ferite che lui le aveva provocato poco prima, lasciandosi andare e appoggiando una mano su quel collo caldo. 
Il suo era come un sussurro del vento, le labbra ancora unite, i respiri che si muovevano in sincrono. 
“È meglio?” 
 
Non è per niente facile farsi attraversare da un’energia potente come quella dell’amore, pensava Nami con gli occhi grandi ancora un po’ sorpresi. È dunque questo, quell’amore? 
 
Sembrava tutto perfetto tra loro, in quel momento, almeno, finché non lo sentì irrigidirsi all’improvviso. “Dannazione” aveva sussurrato ancora sopra le sue labbra, lasciandola confusa. 
 
“È questo che dobbiamo aspettarci d’ora in avanti?”
 
S’irrigidì anche lei. 
Non avevano sentito la porta aprirsi - due stupidi. 
Vide Zoro inghiottire; sentiva sotto la sua mano le venature del collo farsi più grosse. Il respiro di entrambi mozzato. Si voltarono lentamente, colti in fragrante. 
Usop e Brook erano davanti alla porta dall’esterno, fissi su di loro. Brook sghignazzava farfugliando parole romantiche, e Usop aveva incrociato le braccia al petto, soddisfatto. Finalmente si sono intesi, aveva pensato. 
“Dobbiamo inventare un segnale ogni volta che apriamo una porta?” continuò, con gli occhi stupiti ma luminosi, allegro nel suo modo civettuolo. 
Ma quando vide gli sguardi degli amici diventare pieni d’ombre si apprestò ad agitare le mani davanti a loro. “Scherzo, scherzo, è uno scherzo…”  
“Ma come sei dolce Zoro-San.” 
“DACCI UN TAGLIO.” 
Il diretto interessato aveva aggredito verbalmente lo scheletro, e il suo sguardo era molto lontano dall’essere, per il poverino, rassicurante. Nami continuava a guardarlo reagire, iniziando a sorridere a quella vista che era tutt’al più diventate. Era decisamente meglio quando erano gli altri ad imbarazzarsi, e non lei. 
Lei, che ancora non aveva discostato la mano dal collo di lui, lo sentì tutto rigido, fino alla punta dei capelli. 
L’essersi fatta beccare dagli amici non la sconvolgeva così tanto adesso, non come qualche secondo prima, ma probabilmente ciò che aveva fatto scattare Zoro era che era stato beccato nel suo momento più dolce -vulnerabile, come avrebbe detto lui. 
 
Nami mollò la presa sul suo collo, lasciandolo libero, voltandosi del tutto verso i due curiosoni, che continuavano a guardarli guardinghi e su di giri. 
“Guardate cosa mi ha fatto!” 
Indicò le sue labbra con il dito, dando agli amici una dimostrazione della “virilità” del compagno. 
“SEI IMPAZZITA?” 
Era tremendamente a disagio, Zoro, dimenticando tutto quell’essere morbido in un posto lontano e sostituendolo con i denti da squalo e il fumo fuori dalle orecchie mentre la guardava esterrefatto.
Solo lei poteva agitarlo in quel modo.
“Me le ha consumate!” 
Continuò ad infierire, Nami. 
Lo vide subito contrariato, mentre le lanciava l’ennesimo sguardo furibondo. Ancora una volta scoperto in quel modo che non si addiceva a uno come lui, davanti ai compagni. 
Ma la reazione cambiò poco dopo, quando le intenzioni di Nami divennero a lui più chiare. Nonostante la crisi di nervi, il suo sguardo lasciava anche trasparire una bramosia crescente e quasi incontrollata di rigettarsi ancora sopra di lei, che entrambi gli amici avevano ben colto. 
“Zoro - San fa sul serio, yohohoh, è proprio un duro.” 
“Per un attimo ci avevo creduto! Sei sempre il solito animale!” Grugnì Usop, ma mantenendo lo stesso gli occhi luccicanti, mentre veniva trascinato via da Brook, lasciandoli soli a continuare, con una punta di gelosia nelle ossa per quello che stava facendo a Nami, o anzi, che lei si stava lasciando fare.
“Che uomo! Yohoho”
“Rin dorme…noi buttiamo l’ancora…e la cena è pronta!” Urlava di fretta Usop, mentre impauriti dalla possibile rabbia dello spadaccino, scendevano le scale quattro gradini alla volta, scappando.
“Zoro, però vedi di darti un contegno…sii più gentiluomoooooooo!” 
Concluse il cecchino sbattendo la testa sui gradini mentre veniva trasportato in malo modo da uno scheletro elettrizzato. 
 
Una volta andati via, si sbollì appena, digerendo quel senso di disagio improvviso. 
Sentì Nami ridacchiare lì accanto a lui, costringendolo a guardarla, ancora infastidito della situazione creatasi, ma anche impacciato e nervoso. 
A lei non incuteva nessun timore e, anzi, lo prese persino in giro, guardandolo con quegli occhi profondi ma così ingenui, che ricordavano che voleva sembrare sempre più grande di ciò che era in realtà, una ragazza cresciuta troppo in fretta. Esattamente come era lui, un ragazzo che voleva passare per un uomo maturo e integro. 
“Ora puoi tornare ad essere dolce.” 
“FALLA FINITA.” 
La superò, dirigendosi verso la porta. 
Ma col cuore più leggero, ringraziandola silenzioso. 
 
 
 
 
Dentro la stanza delle ragazze, Rin dormiva beata, proprio come avevano detto quei due, che gentili erano sicuramente rimasti con lei a vegliarla per qualche ora. Ma non era sola, a farle ancora compagnia era rimasto Rufy, che vedendoli entrare insieme gli accolse con un grande sorriso. 
“Zoro! Nami”
prese il cappello che aveva poggiato sul letto, rimettendolo sulla testa. “Tutto bene?” 
“Rufy” la rossa era colpita da quel calore, ricordandosi i pensieri avuti prima sulle piccole attenzioni. “Hai pensato anche tu a Rin?” 
Il capitano annuì. “Usop mi ha detto di non svegliarla e non l’ho fatto.” 
La rossa lo aveva raggiunto e gli aveva stretto la mandibola nella mano, scuotendola. “Bravissimo.” 
Quello guardò Zoro col viso spaventato, e invocando aiuto, ma lo spadaccino fece spallucce impotente. Finché la navigatrice non sentì quel suono conosciuto dello stomaco del suo capitano, che costantemente brontolava. 
“Sù, fila a mangiare. Qua ci penso io.” 
Al ragazzo di gomma si illuminarono gli occhi, era evidente che quei due compagni avessero usato una scusa per incastrarlo e filare via loro prima di lui, sapendo che se fosse accaduto il contrario Rufy avrebbe spazzolato via tutta la cena. 
“Davvero? Posso andare?” 
“Certo, te lo sei meritato.” 
Non se lo fece certo ripetere due volte, lasciando la sedia e correndo alla porta. 
“Zoro, tu che fai?”
Prima di uscire guardò l’amico. 
Lo spadaccino, ancora in piedi, prima di rispondere soffermò lo sguardo su Rin, sapendo che quella bambina era anche una sua responsabilità, e poi su Nami, che sembrava così stanca. Non poteva non adempiere ai suoi doveri. Sarebbe rimasto lì, con loro. 
Stava per avanzare con la gamba quando la ragazza lo fissò dritto nell’occhio. “Vai anche tu. Qua basto io.” 
Rimase un attimo immobile, sentendo addosso tutta l’impazienza del capitano. 
Ricambiò quello sguardo tra il contrariato e l’infastidito.
Perché diavolo doveva sempre dare ordini a tutti, ma anche a lui, e dopo quella serata, poi. 
Ma osservando meglio, non era sicuro al cento per cento che quello fosse un ordine, cioè lo era,
ma forse era anche un regalo.
Stava pensando a lui, dicendo così?
Magari era tornata ad essere brusca visto che c’era anche Rufy. Oppure no, lei era semplicemente così. 
Sentì il capitano tirarlo per un braccio, “dai Zoro, ho fame.” 
Riuscendo a distogliere lo sguardo da Nami, lo seguì fuori. 
“Fatemi portare qualcosa più tardi.” 
La sentirono, prima di chiudere la porta alle loro spalle. 
 
 
 
 
 
 
 
“Se vuoi rimanere, vado a dormire altrove.” 
Zoro e Robin stavano dirigendosi insieme nella stanza delle ragazze, uno di fianco all’altra, silenziosi e un po’ a disagio. Non tanto per la compagnia, quanto per la situazione. 
L’archeologa poi, che non aveva problemi ad esternare i suoi dubbi, guardava uno Zoro che, davanti a lei, teneva ben saldo un vassoio in mano, ricco di cibo ben preparato da Sanji - quest’ultimo aveva insistito per andare da Nami con loro di persona, ma poi convinto dall’archeologa a rinunciare per via della stanchezza della rossa. Un vassoio che aveva improvvisamente tremato, facendo sì che un po’ di spremuta di mandarino si rovesciasse appena sul piattino bianco che stava sotto. 
“Ma che stai dicendo!?” 
Le rispose nervoso, non capendo cosa volesse insinuare, ma ritrovando in fretta la concentrazione, continuando ad avanzare rapido. 
“Magari ti andava di restare…per Rin. O avere un po’ di intimità in famiglia.” 
Quella strega mora giocava con i suoi nervi, in quel momento ancora più di Nami, perché lei lo faceva in modo calmo e pulito, senza trattenere ciò che pensava davvero. Giocava pulito, ma diventava sporco quando la sua vita e relativi sentimenti venivano messi su un tavolo operatorio. 
“Guarda che non siamo davvero una famiglia. Non siamo sposati, non viviamo quelle cose…” 
Robin si lasciò sfuggire una risatina, curiosa di sapere quali azioni Zoro ci avesse incluso tra quelle cose, mentre faceva gli scalini che portavano alla sua stanza, superandolo con eleganza e tranquillità. 
“Non ancora.” 
Ci tenne a precisare quella, notando come lo aveva reso subito agitato. Gli aprì però la porta per farlo entrare - voleva aiutarlo dopotutto. 
“Forse tu non sai cosa ha rivelato Rin, l’altra mattina.” 
Lui la guardava con la coda dell’occhio, un po’ irrequieto per via di quella risatina - non voleva proprio finire su quel tavolo operatorio dove tutti loro stavano a guardare ridendo. 
“Non voglio saperlo.” 
Superò la porta ed entrò nella stanza. 
“Come vuoi” 
Robin continuò a sghignazzare, seguendolo all’interno.
 
La prima cosa che fu evidente per entrambi fu trovare Nami assopita, seduta sulla sedia con le braccia curvate sul letto sopra alla bambina. 
Aveva detto fatemi portare qualcosa, e non portami qualcosa, perché non voleva crollare davanti a lui.
 Che stupida. 
“Ti conviene svegliarla e farle mangiare qualcosa. È tutto il giorno che non tocca cibo. E deve prendere anche il medicinale di Chopper o si sveglierà dal dolore.” 
Zoro aveva appoggiato il vassoio sul letto libero e voltandosi, “perché tu non puoi far…” vide solo la porta richiudersi veloce. 
Ma guarda un po’. 
Con l’occhio scorse anche un cassetto aperto. Quella aveva davvero preso il cambio ed era filata via. Che razza di amici si ritrovava. Volevano a tutti i costi lasciarlo solo con Nami, e non certo per badare a Rin, che dormiva al sicuro, ignara di tutto. 
Ma che si aspettavano? 
Ora avrebbero usato questi giochetti per farli rimanere soli la sera per…non volle nemmeno pensarci. 
Sospirò arreso. 
Ora doveva solo svegliarla, ed era già una gran cosa se riusciva a uscire vivo da quell’imprevisto. 
 
 
“Nami?” 
Si avvicinò alzandola per le spalle. “Svegliati!” 
La sentì mugugnare qualcosa, segno che non era sprofondata del tutto nel sonno. “Dai, forza”, la tirò per le spalle, andandole davanti e portandosela addosso, sul petto, “devi mangiare.” 
“Nnn on posso”” biascicò, accoccolandosi su di lui non appena si rese conto che era più comodo della sedia. “So-sono st sta” sbadigliò “ncaaa.” 
La prese del tutto in braccio stando attendo al punto ferito in fondo alla sua schiena, e la condusse sul letto libero, accanto a quello di Rin. Si era seduto prima lui, cercando di tenerla dritta sopra di sé e avvicinando il vassoio con l’altra mano. Prese la forchetta con conficcato un pezzo di una verdura a caso e lo avvicinò al suo naso, cercando di risvegliarla con l’odore. “Forza.” 
La vide muovere i muscoli del viso e aprire la bocca e, nonostante tenesse gli occhi chiusi e fosse aggrappata a lui, prese il boccone dalla forchetta. 
“Ma guarda che cosa mi tocca fare!”
La vide masticare lentissima, mentre lo accarezzava con le mani sul petto, trovando una nuova comodità per riprendere a dormire. “No- no! Scordatelo! Svegliati!” 
La spinse dalle spalle, un po’, per metterla dritta, incastrando la forchetta nella sua mano. 
“Z-Zoro ma che vuoi?”  
“Devi mangiare.” 
Maledetta Robin che mi ha lasciato solo. 
Riuscì ad aprire un’occhio. Assonata e con la vista totalmente offuscata. 
“Sono troppo stanca…” ripeteva, con una vocina flebile che cercava compassione. E si sbatteva una mano sulla faccia lui, maledicendosi per finire in queste situazioni più disparate. 
Riprese la forchetta nella sua mano e le diede un altro boccone che lei mandò giù. Ancora un altro, ripetendo le stesse identiche azioni in una maniacale concentrazione. Fece la stessa cosa con la spremuta, assicurandosi che ne bevesse almeno un po’. C’era anche l’antidolorifico di Chopper, che si era ben assicurato di farlo arrivare doppio, dal momento che Nami aveva lasciato i suoi in infermeria dalla fretta di uscire.
“Ora butta giù questo.” 
Sul vassoio era già pronto anche il bicchiere con l’acqua, per aiutarla a far scendere la pastiglia. Medicinale che lei aveva già scordato di dover prendere. 
 
E anche per quel giorno aveva fatto l’infermiere, balia e babysitter. E lui era uno spadaccino, un guerriero. Come poteva finire in queste situazioni? 
 
“Va bene, va bene…” tossì la rossa per aver bevuto male. “Sono sveglia.” Prese lei il bicchiere, rubandolo dalla mano di lui, per un atro sorso d’acqua urgente. 
Dal momento che stava riacquistando le sue facoltà mentali, lui si discostò da lei, sedendosi al suo fianco, appoggiando la testa alla spalliera, sollevato dell’essersi liberato dell’impegno. Chiudendo gli occhi, aveva un solo desiderio, solo uno, ed era solamente sprofondare nel sonno.
Sentiva Nami che lentamente finiva la sua porzione senza parlare e si sentì sempre più quieto e pronto ad abbracciare Morfeo. 
Chissà come sarebbe stata la vita matrimoniale - si chiedeva mentre il letto iniziava a prendere la sua forma - se si trattava solo di questo, avrebbe potuto pure sopravvivere. Poteva anche farci l’abitudine, basta che ogni cosa sarebbe poi venuta sempre dopo i suoi allenamenti, ovviamente. 
Ora iniziava a vedere bene anche il consiglio di Robin di rimanere a dormire lì. Ma senza alcuna malizia, anche solo avere il profumo di Nami vicino era sufficiente. Una semplice e innocua dormita, coccolato dai profumi della stanza e della compagna, non sarebbe poi stato così male. Poi però si rese conto di una cosa, che lo fece quasi soffocare. 
Affiancò Nami e le prese il bicchiere formato gigante dalla mano con l’acqua che non aveva finito e la buttò giù tutta d’un colpo. 
“Che diavolo ti prende?” lo guardò preoccupata. 
Continuava a strozzarsi, finché lei non gli porse anche ciò che era rimasto della spremuta. “Ma insomma?” 
“So-sono” aveva ripreso a respirare, portandosi una mano al petto “troppo giovane per sposarmi.” 
“ED IO NON HO MICA l’ETÀ DELLA PENSIONE!” 
Lo guardò malissimo, con una vena pulsante in fronte. Un modo per risvegliarla l’aveva trovato alla fine. 
“Stupido, ma allora non pensi davvero alle cose che dici?” Scosse la testa contrariata. “Puoi riprendere colore, di certo non ci saremmo sposati ora! E poi ti ho detto che non ho intenzione di sposarti!” 
Lui mise un broncio che non poteva trattenere. “Sei cocciuta!” 
“Ma non dovresti esserne sollevato?” 
“È comunque questione di orgoglio.” 
Smise di mangiare, allontanando il vassoio da lei e mettendolo alla fine del letto in cui dormiva Rin, lei era così corta che non ci sarebbe mai arrivata a sfiorarlo con i piedi. 
“Allora è così?” si voltò verso di lui, sghignazzando. “Non ti piacciono i rifiuti?” 
“Uhm” chiuse gli occhi, lasciandosi nuovamente trascinare dalla spalliera del letto e riprendendo a respirare, appoggiandovisi e togliendosi gli stivali con gli stessi piedi, che caddero dal letto. 
“Sei un tonto.” 
Nami soffiò sulle candele vicine, diminuendo drasticamente l’illuminazione, dando prima un’ultima occhiata a Rin, che dormiva ricordando lui, ma con un russare più leggero adesso, quasi inesistente. 
La navigatrice si lasciò cadere supina con la testa sul cuscino, era troppo stanca per combattere in quella conversazione, anche se sotto sotto stava ridendo felice. Per fortuna l’antidolorifico aveva fatto in tempo ad agire, così poteva sdraiarsi in pace. 
 
 
 
 
“Ti senti ancora il colpa per quello che è successo oggi?” 
“…” 
Con espressione tra il preoccupato e il curioso, si voltò a guardarlo. “Non vuoi rispondere?” 
Aprì l’occhio e abbassò lo sguardo su di lei. 
Sbuffò. 
“Perché devi rovinare la mia pace proprio ora?” 
Nami si voltò del tutto sul corpo, ignorando quel suo tono lamentoso; voleva guardarlo bene in viso seppur le luci della candela ne facessero scorgere solo i contorni. 
“Voglio che condividi con me le tue emozioni e paure.” 
“Quali paure?” 
Zoro lo prese come un insulto e lei incurvò automaticamente le labbra. 
“Sbruffone.” 
“Quali paure, Nami?” 
Arresa, si rivoltò nel letto dandogli le spalle, accovacciandosi leggermente con un occhio che nemmeno si apriva più, talmente era assonata. “È impossibile parlare con te se dici queste sciocchezze da superuomo.” 
“Sono serio.” 
 Dopo averci pensato per una manciata di secondi, gli stessi che erano già bastati a Zoro per sognare il silenzio e il riposo, Nami si convinse a parlare ancora. 
“Non sono mai capace di notare cosa ti affligge. E questo non mi piace.” 
Sbadigliò per l’ennesima volta, con espressione impossibile da vedere. “È da quando ti conosco che per tirarti fuori le cose devo sempre portarti allo stremo; parlarmene direttamente tu, ti prego.” 
“Ma quale portarmi allo stremo. Tu mi hai sempre bacchettato e preso a botte. Non mi pare tu mi abbia mai chiesto qualcosa.” 
Non si erano resi conto davvero di quello che stava succedendo, con naturalezza si stavano preparando a dormire insieme, nello stesso letto, senza che sembrasse strano. 
“Sono un uomo semplice io.” 
Zoro stiracchiò le braccia diventate peste dietro alla sua nuca. “Posso risolvere i problemi solo per quello che sono, lo sai anche tu. Tutto il resto sono chiacchiere inutili.” 
 “Si si…”
 
 
Si muoveva nel letto continuamente, Nami, quasi agitata, nonostante cercasse di prendere sonno, un sonno che certo non mancava. Sentiva lui così vicino, che mugugnava qualcosa ogni volta che lei girava il cuscino sotto alla testa. Eppure, non era lui a renderla così, nemmeno ci stava facendo troppo caso a quella presenza nel letto, ma solo perché era stanca, e perché iniziava a sembrarle abituale quella presenza costante. Nonostante quella specie di conversazione non l’avesse affatto soddisfatta. E forse era proprio questo il suo problema. 
“Zoro?” 
“Umh?” Biascicò di nuovo, mezzo assonnato. 
“Noi avremo una figlia...proprio noi…,noi due…”  
“…” 
“Non ti sembra ancora così surreale?” 
“Può darsi.” 
“Una figlia che metteremo nei guai.” 
“Se la caverà.” 
“Perché sempre questa sicurezza? Hai sentito le sue storie, no?”
“Guarda che è già più forte di me di quando avevo la sua età.” 
“…”
“Sa orientarsi. Prevede le tempeste.” 
“…” 
“È uguale a una persona che conosco, quindi se la caverà senz’altro.” 
“Ma se è tale e quale a te.”
“Guarda meglio.” 
 
 
 
“Zoro?” 
“Che c’è…” 
“Quindi noi…”
“…” 
“siamo come amanti?”
Si strozzò per la seconda volta in una giornata. “Ma che vai blaterando?!” 
“Siamo innamorati?” 
“…”
“Rin c’entra in questo?” 
“…” 
“…”
“…”
“Rin non c’entra, vero?” 
“Non c’entra.” 
 
 
 
 
“Zoro?” 
“Perché non cerchi di dormire?” 
 Ma più nessuna parola arrivò alle sue orecchie in quella stanza diventata ormai buia.
Nami si era finalmente abbandonata al sonno. 
Zoro, sollevato, tirò su le coperte, avvolgendo entrambi e crollando stremato al suo fianco. 
 
 
   
 
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