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Autore: FairyCleo    04/10/2021    1 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'inganno

 
Trunks aveva fatto di tutto per impossessarsi nuovamente del quaderno, ma non aveva avuto modo di eludere la stretta sorveglianza che Goten continuava a praticare per evitare qualsiasi tipo di contatto tra lui e l’oggetto che tanto odio aveva scatenato nel suo cuore. Aveva provato a e riprovato a farsi raccontare per filo e per segno come ne era entrato in possesso e che tipo di conversazione avessero avuto, ma non c’era stato verso di farlo quantomeno collaborare: Goten si era chiuso a riccio, convinto delle sue idee a tal punto da non sembrare neanche più lui.
Trunks era esasperato: si sentiva terribilmente in colpa per non essersi sbarazzato immediatamente di quel coso, per non aver capito sin da subito quanto fosse pericoloso, e si sentiva ancora peggio per non essere stato capace di proteggere Goten dai suoi influssi malefici. Qualsiasi cosa fosse in realtà quell’oggetto, esso era il male, e si stava divertendo a possedere le loro menti e le loro coscienze e piegarli alla sua volontà.
Suo malgrado, comprendeva perfettamente la reazione di Goten, perché era stata identica alla sua. Solo nell’istante in cui aveva iniziato a vivere la situazione dall’esterno era stato in grado di capire la preoccupazione più volte palesata da parte del suo migliore amico, e proprio per questo aveva deciso di intervenire, anche a costo di perderlo per sempre.
Ciò che inquietava maggiormente il piccolo mezzosangue era ciò che quell’affare era stato in grado di fare con lo scorrere del tempo. Ci aveva impiegato un po’ di tempo per capire la situazione – o meglio, per accettarla – ma dopo essersi trovato più alto di qualche centimetro e aver constatato che il clima fosse completamente diverso a quello palesatosi sino a poco prima, aveva logicamente dedotto che ci fosse stato un salto temporale che, in buona sostanza, si trovassero nel futuro.
Aveva trascorso ore e ore a spremersi le meningi e cercare di capire il perché di quella cosa così bizzarra, ma era evidente che qualsiasi spiegazione provasse a darsi non era neanche lontanamente prossima alla verità. Quale diamine poteva essere il suo obiettivo? Quale era il suo fine? Che cosa voleva da loro?
Non lo avrebbe mai scoperto, probabilmente, ma di una cosa era certo: doveva disfarsi di quell’affare prima che Goten cadesse definitivamente sotto il suo controllo.
 
Così, dopo mille peripezie (a dire il vero, neppure lui sapeva come avesse fatto) era finalmente riuscito a evitare Goten, prendere quella mostruosità e tornare nel posto in cui aveva quasi rischiato la vita: il capanno dietro casa.
Aveva il cuore in gola, il piccolo Trunks, le gambe tremolanti e le mani sudate. Odiava fare le cose di sottecchi, odiava far preoccupare suo padre e prendere in giro Goten, ma non aveva alternative.
Trunks era logorato dalla paura. I ricordi tristi lo avevano assalito, così come la smania di sbarazzarsi per sempre di quel coso maledetto. Per questa ragione, aveva deciso di agire nell’immediato, liberandosi di quel coso grazie al fuoco.
Con mani tremanti, si era inginocchiato in quel luogo malandato e pericolante per poi accendere uno degli ultimi fiammiferi rimasti in casa sfregandolo su una pietra: la fiammella ardente sembrava impotente contro quella mostruosità, ma lui non era mai stato così deciso, irremovibile, in quanto era certo che, se lo avesse distrutto, avrebbe riportato le cose com’erano prima.
Le fiamme ardevano nei suoi occhi azzurri, ardevano come il suo animo e la sua sete di giustizia.
 
“Adesso brucia, bastardo. Brucia”.
 
Contrariamente a ogni pronostico, aveva preso fuoco in un attimo, neanche fosse stato il più inutile e inanimato degli oggetti. Trunks lo aveva visto bruciare con i suoi stessi occhi, traendone una soddisfazione immensa. Non si era reso conto del fatto che la luce produce ombre, e che le ombre, di notte, possono confondersi e confondere chi vi è immerso senza precauzione alcuna.
Così, il mezzo-saiyan dai capelli lillà era tornato a casa vittorioso, convinto di aver posto fine a quell’oscenità, convinto che, dopo una bella dormita, tutto si sarebbe sistemato. Non aveva idea che Goten lo avesse seguito, nascondendosi nel buio, perché il quaderno aveva scelto un nuovo e più promettente proprietario.
 
*
 
Aveva spento le fiamme appena in tempo. Non che potessero realmente arrecare danno al suo tesoro, ma non voleva che si rovinasse, né che qualcuno lo utilizzasse a sua insaputa. Trunks non avrebbe dovuto sottrarglielo con l’inganno. Era stato un gesto ignobile e non faceva altro se non dare adito a ciò che gli aveva confidato il suo nuovo amico: di Trunks non ci si poteva fidare.
Goten aveva capito di essere stato uno sciocco, un credulone, di aver riposto totale fiducia nella persona sbagliata. Il suo migliore amico lo aveva tradito, lo aveva raggirato e ingannato. Il suo nuovo confidente non era stato esplicito, ma gli aveva lasciato intendere quanto Trunks fosse egoista e pericoloso, quanto fosse invidioso di lui e di come volesse impedirgli di avere qualsiasi tipo di contatto anche solo con la sua copertina. Quel tentativo di distruggerlo era stato l’esempio più palese di quello che gli era stato raccontato. In quel momento, ogni dubbio era stato fugato: non poteva più contare su Trunks. Anzi, forse non ci aveva mai potuto contare. Per fortuna, però, non era più solo. Adesso, finalmente, aveva aperto gli occhi, e sapeva cosa fare. Adesso, sapeva cosa avrebbe dovuto fare di tutto per tenersi Vegeta vicino.
 
*
 
Vegeta non aveva dormito bene. Continuavano a fargli male la testa e le ossa, e aveva una strana sensazione di oppressione all’altezza del petto. Nei giorni precedenti non aveva fatto altro se non cercare di richiamare alla memoria gli avvenimenti più recenti, ma proprio non c’era riuscito. Era tutto così buio e confuso, e proprio non riusciva a spiegarsi cosa fosse accaduto, così come non era riuscito a comprendere la natura di alcune cicatrici che non aveva mai notato prima. O, almeno, credeva di non averle mai notate prima.
Anche a lavoro c’era qualcosa di strano, e questo qualcosa, o meglio, questo qualcuno, era Leon. Il capomastro era diventato più crudele e bisbetico del solito Avere a che fare con quel bastardo non era mai stato facile, ma il sadismo mostrato negli ultimi giorni era stato eccessivo anche per uno come lui. Era come se fosse furioso per qualcosa. Cosa fosse questo qualcosa, però, rimaneva un mistero. Per essere più chiari, non che a Vegeta importasse dello stato d’animo di quel verme (anzi, non gliene fregava un fico secco), ma purtroppo i suoi malumori si ripercuotevano su di lui, e questo lo riportava indietro nel tempo, a quando era lo schiavo di quel viscido lucertolone di Freezer, a quando non aveva possibilità di scelta, a quando doveva obbedire ciecamente a ogni ordine per avere salva la vita. Sicuramente, Leon non poteva attentare alla sua incolumità fisica, ma avrebbe potuto sbatterlo fuori, e a lui quel lavoro serviva per dare da mangiare ai ragazzi e per mischiarsi tra gli altri e fare domande senza essere notato. Non era un asso nelle missioni stealth – lui preferiva le entrate a effetto, possibilmente anticipate da esplosioni e gente urlante – ma confondersi con i terrestri e fare domande era l’unico modo per passare inosservato. Del resto, ancora non era venuto a capo di quel mistero. Anzi, a dirla tutta, non sapeva neppure a che punto fosse arrivato, e più ci pensava meno riusciva a rimettere a posto i pezzi di quell’intricatissimo puzzle.
 
“Che cosa ti sei perso per strada? Cos’è che non riesci a ricordare? Cos’è che ti sfugge, dannazione!”.
 
In un’altra situazione, avrebbe dato un pungo a muro. In quella, invece, si era limitato a poggiare la testa sul tavolo, sfinito ancor prima di iniziare una nuova giornata, nuova eppure del tutto identica a quelle vissute in precedenza.
 
*
 
Capire cosa fosse accaduto al suo uomo le risultava impossibile.
Era sempre stato irascibile, poco incline alla pace, ma il comportamento che aveva assunto nell’ultimo periodo aveva dell’inspiegabile. Se, in un primo momento, sembrava essere diventato estremamente sicuro di sé, forte e ambizioso, e aveva dato l’impressione di emanare come una strana aura di potere, adesso sembrava essere tornato la creatura mediocre di prima, quella che aveva bisogno dello schiocco della frusta per intimidire i suoi sottoposti e chiunque gli ronzasse intorno.
Aveva paura. Molta più paura di quella che dava a vedere, per questo non era mai stata così servizievole e pronta come in quei giorni.
Quella sera, poi, il suo uomo era di cattivo umore persino più del solito, e sapere perché era un lusso che non le sarebbe stato concesso.
Era andato storto qualcosa sul posto di lavoro? Uno dei braccianti aveva osato contraddirlo? O una donna non aveva assecondato i suoi capricci? Lei non era una sciocca, per quanto volesse apparire come tale a ogni costo: sapeva esattamente con chi aveva a che fare, e proprio perché lo sapeva si era adeguata: lo aveva fatto per sopravvivere.
Con estrema cura, aveva affettato il pane in fette spesse circa un centimetro e le aveva disposte in un cesto ordinatamente, aveva apparecchiato la tavola in modo impeccabile e aveva portato la brace alla temperatura giusta, facendo sì che la griglia fosse pronta per ricevere la generosa bistecca che gli avrebbe servito per cena. Il vino era a temperatura di cantina e l’insalata era stata lavata, spezzettata e condita con abbondante olio, poco sale e aceto, proprio come voleva lui. Tutto era perfetto. O almeno, così sperava. Non avrebbe sopportato un’altra delle sue sfuriate. Non dopo quello che le aveva fatto l’ultima volta. La schiena le doleva ancora per colpa delle violente sferzate che continuavano a sanguinare. Aggiungerne di nuove era fuori discussione. Per questo non poteva commettere errori.
 
“Che giornata di merda! Che casa di merda! DONNA! Dove sei?”.
 
Presa alla sprovvista, aveva fatto cadere la bottiglia dell’olio sul tavolo, e il contenuto si stava miseramente rovesciando sul pavimento appena pulito.
 
“Mi ammazzerà!”.
 
Rapida come poche altre volte, aveva rimesso la bottiglia al suo posto, aveva preso una tovaglia e l’aveva gettata sulla macchia d’olio, affrettandosi a recarsi in salotto con un bicchiere di vino in mano nel tentativo di lusingarlo e distrarlo allo stesso tempo.
Se lo avesse visto, se avesse visto quello che aveva combinato, non l’avrebbe passata liscia. Ma lei doveva stare calma… Sì, doveva solo stare calma e sarebbe andato tutto bene.
 
“Del vino… Forse, la prima cosa veramente decente di questa giornata infernale”.
 
Lo aveva bevuto tutto d’un fiato, facendone cadere gran parte lungo il mento ormai sudicio.
Era disgustoso. Negli ultimi tempi lo era decisamente più del solito.
Era tutto così strano, ma perché? Non riusciva proprio a rendersi conto di quello che fosse capitato, ma qualcosa era capitato per forza. Si sentiva più stanca, si vedeva cambiata, ma non riusciva a capire in che modo. Era come se sentisse su di sé il peso di un intero anno, come se si fosse svegliata una mattina e si fosse resa conto di essere invecchiata. Era un’autentica idiozia, per questo non aveva fatto parola con nessuno di questa sua sensazione, ammesso che qualcuno fosse stato disposto ad ascoltare le ciance di una come lei.
 
“Sei qui con me, donna? Hai di nuovo la testa altrove! Mi chiedo quali preoccupazioni possa avere una come te che campa sulle mie spalle!”.
“Scusami… Ti vedo stanco e mi stavo solo chiedendo perché”.
“Perché? Mi chiedi perché? Perché ho a che fare tutti i giorni con idioti! Ho anche fare per tutto il giorno con imbecilli scansafatiche che si permettono di ribellarsi! Perché non ho più il potere di prima! Ecco perché! E ora servimi il pranzo se non vuoi che ti dia una lezione! E non fare più domande! Non sei altro se non una stupida femmina a cui ho risparmiato la vita!”.
 
Aveva ubbidito senza discutere, cercando di non peggiorare il suo umore. L’ultima cosa che voleva era farlo arrabbiare ulteriormente e patirne ulteriormente le conseguenze. Ma c’era una cosa che voleva anche di più, se questo era possibile: voleva vederlo strozzarsi con una di quelle bellissime fette di pane perfette che aveva tagliato apposta per lui.
 
 
*
 
L’alcol lo aveva annebbiato, ma non fino al punto che desiderava. Continuava a sentire il peso dell’abbandono, il vuoto del potere che gli era stato negato. Sapeva di essere solo un messaggero, un tramite, ma non credeva di poter essere messo da parte con tanta facilità, di poter essere scaricato senza ricevere nulla in cambio.
Era stato raggirato, e una cosa che faceva ribollire il sangue a Leon era la consapevolezza di essere stato usato e gettato via come una marionetta rotta e ormai inutilizzabile. Lui, però, non era rotto: era pieno di vita e desideroso di compiacere, ma del suo presunto benefattore non vi era alcuna traccia. Erano queste le cose che più di tutte lo facevano soffrire, che lo facevano sentire umiliato. Al di sopra di tutte, c’era la consapevolezza che se colui che lo aveva usato e abbandonato gli avesse chiesto un altro favore, lui avrebbe accettato a occhi chiusi, senza neanche sapere di cosa si trattasse.
 
“Sei proprio uno stupido fallito. Un fallito come quei falliti che frusti ogni giorno!”.
 
La gola ardeva a ogni sorso di vino che mandava giù. Aveva afferrato la bottiglia che era sul tavolo e ne aveva bevuto una sorsata che avrebbe mandato al tappeto un comune mortale, ma lui non sentiva di essere tale. Lui non poteva essere come tutti gli altri se era stato scelto da un essere così puro e perfetto, no? Allora, perché era stato abbandonato? Perché gli aveva fatto sentire l’ebbrezza del potere se poi lo aveva fatto tornare al punto di partenza? Non riusciva proprio a immaginare come potesse sentirsi?
Certo che sì… Lo sapeva di sicuro e non gli importava. Non gli importava perché sapeva di averlo in pugno, e perché sapeva che avrebbe acconsentito a qualsiasi altra sua richiesta.
 
“Solo che… Che…”.
 
Non sapeva neanche lui cosa. Sapeva di certo di voler continuare a bere fino a stordirsi, sapeva di voler vomitare e sfogare la sua frustrazione su quella sciocca della sua donna e su quel bastardello che aveva sotto le sue grinfie. Oh dei, ricordava con piacere perverso tutto quello che gli aveva fatto subire, e fremeva all’idea di prendere la frusta e sferzarla di nuovo su quella schiena. Lo avrebbe spezzato, piegato, umiliato, distrutto, se solo glielo avesse chiesto. Questo perché lo odiava. Lo aveva detestato sin dal primo momento in cui lo aveva visto, con quella sua aria da arrogante saputello, e l’odio e il disprezzo nei suoi confronti erano aumentati dopo quello che gli aveva fatto per difendere quella lurida cagna passata a miglior vita. Quanto aveva goduto nel vendicarsi, nel vederlo soffrire fisicamente e mentalmente. Gli aveva tolto quell’espressione da duro che aveva sempre stampata sulla faccia, finalmente. Che soddisfazione!
 
E quando aveva raggirato quello sciocco ragazzino? Non c’era voluto niente, era stato veramente facile come rubare le caramelle a un bambino. Ma quello sbalzo temporale non lo aveva previsto. Non che conoscesse i piani del suo mentore, ma mai avrebbe creduto di ritrovarsi più vecchio quasi di un anno, unico essere umano consapevole che tutto fosse cambiato senza cambiare veramente. Aveva visto scorrere davanti ai suoi occhi, uno a uno, prima i giorni, poi i mesi, aveva visto la pioggia cadere, il sole splendere, gli alberi rinascere e morire, i frutti maturare e marcire, il suo vigore venire a sparire in un attimo. Lo aveva visto e non era riuscito a farsene una ragione, e ora l’orgoglio bruciava, proprio come l’alcol che scendeva in gola.
Ma lui avrebbe atteso, paziente, di tornare in campo. In qualche misura, sentiva che il suo maestro avesse ancora bisogno di lui che, senza esitazione alcuna, avrebbe risposto alla sua chiamata. E lui, da bravo allievo, sarebbe stato più che mai pronto.
 
*
 
Goten doveva stare attento. Non doveva più separarsi dal quaderno, non doveva più lasciare che Trunks lo trovasse e tentasse di distruggerlo. Non ora che aveva finalmente trovato un confidente, un amico. Non ci si poteva fidare del piccolo Brief, l’essere nel quaderno aveva ragione. Gli amici sono rari, rarissimi, e Trunks non era uno di loro. Trunks era solo uno sciocco bambino capriccioso che aveva avuto tutto dalla vita e che era incapace di condividere le gioie con gli altri. Era un capriccioso e un disonesto, un bambino crudele e manipolatore, e lui non voleva più essere manipolato, mai più. Lui voleva una famiglia, un papà, e questo era quello che il suo nuovo amico gli aveva promesso, quindi non aveva più bisogno di sperare nell’affetto o nella sincerità di Trunks, né ora, né mai.
Per questo, aveva deciso di non separarsi mai dal suo tesoro: lo portava con sé a scuola, lo portava con sé a letto, in bagno, ovunque. Non se ne sarebbe separato mai più.
Trunks era tranquillo, perché era certo di essersene sbarazzato grazie al fuoco, e lui era stato attento a non dare segnali che potessero in qualche modo insospettirlo. Tutto doveva rimanere così com’era, soprattutto il suo rapporto con Vegeta, il suo unico e solo papà. Goku non era niente per lui, così aveva pensato sin dall’inizio e così gli aveva confermato il suo nuovo amico. Trunks era solo geloso, invidioso, e voleva il padre tutto per sé. Goten era convinto che Vegeta conoscesse quella verità, che la vedesse con i suoi stessi occhi, solo che non voleva ancora ammetterlo.
 
Eppure, era un’altra la cosa a cui Goten pensava costantemente. Vegeta non stava bene. Se c’era una cosa di cui si era accorto senza bisogno dei suggerimenti di qualcuno, era proprio questa. Da quando avevano fatto quel balzo in avanti, quel balzo necessario a liberare Vegeta dalla prigionia, a curare le sue ferite e fargli dimenticare le sofferenze subite, il principe dei saiyan non era stato più lo stesso. Goten si era accorto del suo dimagrimento improvviso, del suo sguardo assente, della fatica con cui svolgeva le più semplici faccende. La pelle aveva assunto uno strano colorito e le occhiaie lo facevano sembrare più vecchio e malato di quanto non fosse.
Era estremamente preoccupato per lui, non poteva negarlo, e confidava in ogni momento libero le sue preoccupazioni alle pagine ingiallite di quel quaderno magico che esaudiva i desideri. Certo, aveva notato che non fossero proprio come avrebbe voluto, ma importava poco: il suo nuovo amico gli aveva promesso che se avesse fatto tutto quello che gli chiedeva, ogni cosa sarebbe tornata al suo posto e che si sarebbero potuti persino conoscere, alla fine, perché se le cose si fossero sistemate, lui avrebbe potuto esaudire il suo stesso desiderio: quello di essere di nuovo libero.
Goten era un tipo sveglio, ma non aveva capito bene la storia che gli aveva narrato il suo amico. Alcuni passaggi non erano del tutto chiari, ma importava poco: si fidava di lui e la sua parola era oro. Avrebbe fatto di tutto per far tornare indietro la sua mamma, per riavere Gohan, Ouji, Bulma e gli altri, e per tenere Vegeta accanto a sé, avrebbe anche rinunciato a Trunks.
 
Erano quelle le cose a cui stava pensando quando qualcuno era rientrato in casa sbattendo con violenza la porta. Chi poteva essere a quell’ora? Trunks? Impossibile. Che fosse…
 
“Vegeta?”.
 
Il principe dei saiyan era comparso all’improvviso, bianco in viso come un lenzuolo e ansimante come un animale braccato dai lupi. Aveva corso di sicuro. Era agitato, sembrava spaventato, ma da chi?
 
“Stai bene?”.
“Dov’è Trunks?” – aveva chiesto, dopo aver bevuto tutto d’un fiato un bicchiere d’acqua – “Rispondi”.
“Non lo so” – aveva detto, lapidario.
“Dannazione, Goten! Non puoi non saperlo!”.
 
Lo aveva visto dare un colpo sul tavolo e chinare la testa tra le spalle.
Perché era tanto agitato? Cosa stava succedendo?
 
“Goten, non muoverti da qui, ok? Vado a cercarlo”.
“COSA? NO! Non mi lasciare! Dimmi cosa è successo, ti prego!”.
“Devi ubbidire!”.
“Ma…”.
“Senti, ragazzino, fa come ti dico e FORSE non ci saranno guai. Non posso badare a entrambi, adesso. Chiuditi in casa e non aprire a nessuno per nessuna ragione al mondo. Se ci trovano ci mandano al rogo, lo capisci o no? RESTA-IN-CASA”.
 
Ed era uscito sbattendo la porta con violenza, lasciando solo per partire alla ricerca di Trunks.
 
Veloce come non mai, Goten aveva preso una penna e aveva tirato fuori il suo amico, raccontandogli ogni cosa.
 
HA PAURA CHE VI TROVINO.
 
“Ma chi? Non capisco di chi parliate!”.
 
DELLE STESSE PERSONE
CHE HANNO UCCISO
MARILYN.
 
“Ma come sarebbe?”.
 
CI SONO DISORDINI IN CITTÁ.
VEGETA È UN SOSPETTATO.
 
“Ma sospettato di cosa? Non dirmi che ancora pensano alle streghe?”.
 
TEMO DI SÍ
“Ma… Avevi detto che…”.

 
“CHE CI FAI ANCORA CON QUEL COSO? COSA? ORA BASTAAAAAA”.
 
Trunks era entrato in casa così silenziosamente da averlo colto sul fatto e, come una furia, si era gettato su Goten, strappandogli dalle mani il quaderno.
 
“DAMMELO! È MIO!”.
“NO! NON È VERO!”.
“MA LO CAPISCI CHE TI STA MANIPOLANDO O NO?”.
“NO! TU LO FAI!”.
“NO CHE NON LO FACCIO, RAZZA DI CRETINO! LO SO CHE È COSÍ PERCHÉ LO HA FATTO ANCHE CON ME! CI STA USANDO! LO CAPISCI CHE TUTTO QUESTO CASINO È OPERA SUA???”.
“NON È VERO!”.
“ORA BASTA!”.
 
Trunks non sapeva come avesse fatto, ma lo aveva fatto e basta: aveva strappato di mano il quaderno a Goten e lo aveva spinto indietro, facendogli sbattere la testa al muro. Gli occhi di Trunks si erano dipinti di terrore nell’esatto istante in cui si era reso conto che il suo fratellino avesse perso conoscenza e che una striscia di sangue fosse colata lungo il muro.
Nello stesso istante, suo padre aveva aperto la porta, sconvolto da quanto gli stavano mostrando i suoi occhi.
 
“Che cosa… Cosa hai fatto?”.
 
Trunks non era stato capace di proferire parola mentre le pagine che reggeva ancora fra le mani si stavano sparpagliando sul pavimento alla rinfusa. Questo mentre suo padre, pallido e stanco, ne seguiva suo malgrado la scia.
Aveva fallito, e lo aveva fatto nell’attimo in cui credeva di aver vinto.
Il quaderno era stato strappato a metà, era ormai distrutto, ma la stessa sorte l’aveva appena subìta il suo cuore.


Continua…
 
Ragazze/i,
Vi chiedo perdono!
Il mio povero pc è stato per diversi giorni dal tecnico, e solo oggi ho potuto recuperarlo e aggiornare questo papiro con un nuovo capitolo.
Ma torniamo a noi!
Ebbene sì: Goten è ferito, Vegeta è svenuto, il quaderno è stato strappato a metà e Trunks è sull’orlo di un esaurimento nervoso, proprio come la sottoscritta.
XD
Scherzi a parte, MANNAGGIAALLAMISERIAGOTENÉFERITOEVEGETAÉSVENUTO. DI nuovo. Oltre che a farsi dare un’occhiata alla spalla, ho come l’impressione che il principe debba farsi dare una controllata alla pressione! (Ok, giuro che la smetto di fare la scema).
Il mostro nel quaderno sta portando a compimento il suo operato o no? Si paleserà e si farà affrontare ad armi pari, o i nostri amici dovranno ancora subire le conseguenze delle sue azioni becere?
Lo scopriremo (prima o poi)!
 
A presto!
Un bacino,
Cleo

 
   
 
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