Anime & Manga > Lupin III
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Autore: Fiore del deserto    09/10/2021    2 recensioni
Lupin e la sua banda si imbattono in un villaggio sperduto della Svizzera chiamato Villaggio Silmes, luogo in cui è custodito il ‘Cuore d’Argento’, storica reliquia che Lupin ha in mente di rubare. Qui, il ladro gentiluomo conosce una ragazza che soffre una situazione di disagio causata dal maschilismo e dalla mentalità prettamente patriarcale dell’ambiente in cui vive. In seguito, Lupin verrà a conoscenza di altre circostanze legate alla reliquia e al villaggio, racchiuse sotto un profilo oscuro e sinistro.
Genere: Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Situato in un angolo sperduto nel cuore delle Alpi Grigionesi, il Villaggio Silmes è talmente sconosciuto da non essere riportato sulle cartine geografiche. Una delle prime date di cui si potrebbero avere informazioni potrebbe essere intorno al quindicesimo secolo, periodo in cui era stata costruita la chiesa del borgo e, non meno importante, durante l’inquisizione contro cinquecento persone accusate di stregoneria – la maggior parte, donne.
Il nome del villaggio è di origine sconosciuta, ma gli abitanti ritengono che potrebbe derivare dalla sacra reliquia chiamata originariamente ‘Silver Flame’, un cimelio d’argento a forma di cuore avvolto in una fiamma che - a detta dei padri fondatori del Villaggio Silmes - si è ritenuto di vitale importanza durante il triste e oscuro periodo della caccia alle streghe. Tuttavia, ciò potrebbe anche essere infondato, in quanto la sacra reliquia veniva chiamata fino ai tempi odierni con il semplice nome di ‘Cuore d’Argento’, per via della forma e del materiale che ne costituiva.
Secondo la storia tramandata da diverse generazioni, essa era considerata miracolosa, poiché in grado di identificare coloro che erano sospettati di stregoneria: bastava, infatti, che il cuore si illuminasse per garantire la colpevolezza della persona additata.
Per molti secoli, la reliquia è rimasta custodita all’interno dell’altare della chiesa del villaggio. La piccola chiesa a capanna non ha mai visto una sola traccia di cambiamento durante i suoi lunghissimi anni, presentandosi costantemente con i suoi mattoni grigi ai lati e la pietra lavica al centro, priva di ogni decorazione. Il portale è circondato da cinque cornici decrescenti che scavano la muratura fino all'apertura vera e propria e solo qui si può intravedere un lieve ornamento, segnato da una croce molto semplice, sormontato da un rosone circolare.
L’interno della chiesa, che non si differenzia dal grigiore della parte esterna, è in stile evangelico ed è ad aula coperta con soffitto a doppio spiovente, poggiante su una grande arcata a sesto acuto ed illuminato da piccole finestre quadrate che si aprono lungo le due pareti laterali. L’ambiente, il quale non denomina minimamente del calore confortevole del rifugio religioso, termina con un’abside appena accennata e che presenta una croce luminosa, insieme ad un ligneo pulpito.
In quella uggiosa mattina di ottobre, le campane della chiesa risuonano per richiamare i fedeli al suo interno. Decine e decine di persone, rigorosamente vestite di nero, si affrettano ad entrarvi e mostrando a chiunque un sorriso bonario, quasi a voler lasciare intendere la loro gioia di poter assistere alla nuova funzione. Ogni donna ‘sfila’ con un abito nero e provvisto di lunghe gonne che arrivano quasi a toccare terra, quasi come se dovessero presentarsi ad un funerale. Ognuno di loro, tra famiglie e non, si accomodano sulle candide panche di abete bianco distribuite parallelamente in due file. Qualcuno ha già una bibbia dalla copertina nera tra le mani, qualche madre invoca i bambini al silenzio.
Quando i fedeli sentono il suono di passi lenti e pesanti, nella chiesa si sofferma un silenzio totale. Gli sguardi dei presenti si posano sulla figura alta, rigida, arrogante, cupa e autoritaria del reverendo che si avvicina lentamente verso l’altare.
L’uomo, interamente vestito di nero, fatta eccezione per il colletto bianco della camicia, accerchiata da una cravatta altrettanto nera, è il reverendo Vogelheron, pastore del villaggio. Di mezza età, dalla carnagione pallida e gli occhi neri, scavati e segnati da lievi occhiaie, capelli scuri, lisci e lunghi fino a coprirgli la nuca, dal volto freddo ricoperto da una corta barba che sfuma verso il bianco, richiamando la verità dei suoi anni. Ad offrire al suo aspetto un altro tocco di inquietudine, è la vistosa cicatrice sull’occhio destro, la quale inizia sulla fronte e termina lungo lo zigomo. Questa, però, non ha compromesso il corretto funzionamento della sua vista.
I suoi occhiacci neri ricadono su due persone a lui sconosciute e li squadra come se volesse fulminarli da un momento all’altro. Conosce benissimo i membri della sua comunità e non è per nulla difficile sfuggire alla sua attenzione. Sono due uomini, seduti insieme su di una delle ultime panche e sembrano essere stranieri ed entrambi sono accomunati dai capelli corvini. Il primo ha i capelli lunghi e folti, una lunga barba sotto il mento e alquanto indisciplinata. Indossa un completo scuro, una camicia celeste, una cravatta e una fedora a larga tesa, appena rimossa per l’occasione formale. Il secondo straniero ha un’espressione furbesca e furtiva e il volto è delineato da un paio di lunghe basette. Per quanto riesca a vedere il reverendo, il vestiario del secondo uomo è composto da una giacca verde, una camicia nera e una cravatta gialla. Il lettore, naturalmente, avrà già inteso che si tratti rispettivamente di Jigen e Lupin.
Con austera autorità e l’arrogante sicurezza di chi sa che non verrà mai e poi mai contraddetto, senza scollare lo sguardo verso Lupin e i suoi amici, con voce ferma, penetrante e graffiante, rivela di fare molta attenzione ai falsi profeti, ai lupi travestiti da agnelli.
Come da prassi, tira fuori dall’altare il Cuore d’Argento e tutti i fedeli rivolgono lo sguardo verso il pavimento, giungendo le mani in segno di preghiera. Lupin e Jigen, fanno lo stesso per non destare sospetti e per studiare al meglio ogni mossa.
«Io sono il pastore che dirige le pecore nella giusta via.» sibila il reverendo «E so che qualcuno di voi ha perduto la via. Credete che il Cielo abbia pietà per chi non merita?» si ferma, posando lo sguardo sui presunti ‘colpevoli’ «Ricordate: i peccatori finiscono sempre nell’eterno rogo.» è importante che il reverendo utilizzi un tono minaccioso per piallare le anime dei suoi fedeli, in modo che tutti pendano dalle sue labbra e che non si lascino abbindolare dal peccato.
Lupin e Jigen sono appena arrivati e non sono a conoscenza del fatto che tutti gli abitanti del Villaggio Silmes seguano le rigidissime regole impartite dal reverendo e dai suoi predecessori per sfuggire dalle occasioni di vizi e di frivole concupiscenze. Prima di tutto, sanno bene che non devono avere nessun contatto con l’esterno: la regola base che ha fruttato lo stile di vita degli abitanti è il rifiuto categorico del progresso, della tecnologia eccessiva e della popolazione all’infuori del villaggio, poiché considerati corrotti dal peccato ed estremamente nociva per la vita pura e semplice insegnata dai padri fondatori. Di conseguenza, gli stranieri non sono ben visti.
Come il lettore starà immaginando – e aspettando di leggere – alle donne è proibito vestirsi secondo i dettami della moda e usare prodotti di bellezza. Gli abbigliamenti della comunità, infatti, sono molto duri: tutti gli uomini vestono solo camicie e pantaloni molto semplici, al massimo possono accompagnare il tutto con un gilet e, all’occorrenza, una giacca. I vestiti delle donne sono altamente modesti e senza ornamenti, le maniche devono essere sempre lunghe e le gonne mai sopra la caviglia. Inoltre, non devono indossare i pantaloni, pena il giudizio di essere giudicate come poco di buono.
Quando si va ad ascoltare la predica del reverendo, devono tutti quanti, uomini, donne e bambini, vestirsi solo ed esclusivamente di nero.
Oltretutto, tutti sanno che non si deve lavorare altrove: la vita degli abitanti deve essere dedicata alla preghiera e al lavoro per la comunità e tra le fonti di necessità vi sono l’agricoltura, l’artigianato, l’allevamento e l’insegnamento.
Inutile dire al lettore quanto siano impensabili tutte le circostanze ritenute inopportune per la chiesa, come i rapporti prematrimoniali e il concepimento prima di sposarsi, oltre all’uso dell’alcool – per lo più, nei confronti delle donne - e di altri elementi di vita dissoluta. In parole povere, nel Villaggio Silmes vige un regolamento e uno stile di vita tipicamente patriarcale e guai a chi osa ribellarsi.
Nel frattempo, mentre tutti quanti sono impegnati a dirigere lo sguardo verso il basso, Lupin ha notato che, oltre a lui, c’è un’altra persona che si è ‘distratta’ dall’omelia del reverendo.
C’è una ragazza seduta sulla panchina di fronte a lui, lo sta guardando con gentile curiosità e senza indiscrezione. Gli ha sorriso appena, come gesto di cortesia e come per dargli il ‘benvenuto’, nonostante sia al corrente del fatto che sia uno straniero. La ragazza ritorna ad ascoltare il sermone e orienta lo sguardo verso il pavimento.
L’ha vista per un solo istante, ma Lupin ha fatto in tempo a stampare nella sua mente i lineamenti della giovane. È alquanto graziosa, il volto quadrato è largamente addolcito dai tratti molto ingentiliti, in particolar modo dalle guance rosate. Gli occhi scuri, delineati da un paio di sopracciglia altrettanto scure, contrastano il candore dei capelli platinati lunghi fino a coprirle il collo.
«Ed ora...» finita l’omelia, il reverendo indica con il palmo della mano destra qualcuno tra i fedeli «Erika, alzati per favore.»
Tra i parrocchiani si alza una ragazza che, appunto, risponde al nome pronunciato dal reverendo. È molto magra, le sue braccia sono simili a due manici di scopa, i capelli sono ramati e gli occhi marroni   denominano la fierezza e l’esagerato orgoglio di essere stata interpellata dal reverendo.
«Sappiamo che hai ricevuto una nuova chiamata.» dice il reverendo «Puoi condividere con tutti noi come ti è arrivata?»
Erika prende un bel respiro – anche se Lupin e Jigen hanno notato che si tratti di un metodo altezzoso di richiamare l’attenzione tutta su sé stessa – e, schiaritasi silenziosamente la voce, inizia a testimoniare con voce commossa.
«Ieri pomeriggio,» annuncia «mentre pregavo, stavo preparando un piatto umile e onesto. All’improvviso, a preghiera conclusa, è apparsa sulla farina la forma di una figura angelica. Credo fermamente che la mia preghiera abbia commosso il Cielo e che abbia deciso di mandarmi un angelo per offrirsi in sacrificio.»
Se Lupin e Jigen stanno lottando con tutte le loro forze per non ridere di fronte ad una simile assurdità, il reverendo comincia a lodare Erika, invitando tutti i fedeli a credere come lei. La chiamata, aggiunge, prima o poi arriva per tutti quanti.
«Nel frattempo,» aggiunge Erika «mi duole dirlo, ma vorrei annunciare anche una forma di peccato che è appena giunto in queste sacre mura.»
Tutti i parrocchiani cominciano a bisbigliare, mentre Lupin e Jigen restano sull’attenti.
«Questa qui non mi piace affatto.» sussurra Jigen a Lupin.
«Mi sarei preoccupato se avessi pensato il contrario.» risponde il ladro gentiluomo.
 Basta che il reverendo alzi le mani al cielo, perché ritorni il silenzio.
«Ogni peccatore,» aggiunge «se non vuole come un impuro e un indegno, deve affrontare la punizione che merita. Solo così potrà essere purificato.» fa un cenno ad Erika di avvicinarsi a lui e, quando la ragazza lo raggiunge, il reverendo continua «Confessare un peccato o annunciare la cattiva condotta di un fratello, o sorella, è un passo avanti verso la salvezza. Quindi, Erika, puoi rivelarci il peccatore?»
Sebbene Lupin e Jigen siano tesi, Erika non si sta riferendo a loro due. Essendo, infatti, estraniati dal mondo, nessuno tra i fedeli è stato in grado di riconoscere l’identità dei due stranieri.
«Mentre il reverendo ci stava offrendo il suo sermone,» asserisce Erika «Bianca ha osato distrarsi e ha preferito rivolgere la sua attenzione verso quei due stranieri.»
Come il lettore avrà intuito, Bianca è il nome della ragazza che, appunto, aveva prima guardato Lupin.
Tutti i fedeli riprendono a mormorare tra loro, Lupin e Jigen ribadiscono il loro disappunto, ma il reverendo invita tutti alla calma.
«Bianca,» ordina sibilante «alzati.»
Bianca obbedisce e, timidamente, abbassa lo sguardo in segno di sottomissione.
«Il tuo non è un peccato grave,» dichiara il reverendo «quindi, dovrai osservare solo tre giorni di digiuno.»
Erika interviene, come scandalizzata.
«Questo è troppo indulgente.» afferma con turbamento «Merita una settimana di digiuno...»
«Erika,» la interrompe il reverendo «hai già compiuto il tuo dovere, ma ricorda che la superbia, anche nella sofferenza, è peccato.» ritorna a parlare con Bianca «Durante questi tre giorni di digiuno, ringrazierai tua sorella per essersi presa cura della tua anima.»
Erika nasconde uno sbuffo di disapprovazione, ma comincia a sorridere quando sente le ultime parole del reverendo.
Bianca si limita ad annuire e ritorna a sedersi.
«Ma questo non è giusto...» mormora Lupin, ma Jigen gli dà una gomitata per farlo zittire. Non è tempo né luogo per pensare cosa giusto o sbagliato.
Hanno ben altro a cui pensare. Se sono giunti in quello sputo di villaggio, come lo aveva definito Jigen appena varcato il confine, è stato solo ed esclusivamente per impossessarsi del Cuore d’Argento.
A giudicare dallo sguardo del suo amico, però, Jigen avverte che Lupin ha già in mente qualcosa in più di un semplice furto e questo lo preoccupa. Quando c’è di mezzo una fanciulla vittima di un’ingiustizia, il ladro gentiluomo non si tira mai indietro. In cuor suo, Jigen si augura di sbagliarsi.
  
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