Wrong
time
Slice
of life
Felix?
Felix, ci sei?
Che
domande, si disse il ragazzo sorridendo: certo, dove altro sarebbe
potuto essere in quel momento, con una pandemia in corso e un lockdown in piena
regola che aveva coinvolto tutto lo stato? Seoul era completamente blindata quell’autunno,
così come tutte le attività non inerenti ai beni e servizi di prima necessità,
e Felix lo era ugualmente. La scelta di restare in dormitorio invece di raggiungere
la propria famiglia non fu affatto obbligata, lui stesso decise di fermarsi in
azienda e continuare le proprie attività lavorative, nonostante l’assenza della
maggior parte dello staff. Con lui, i due fidati colleghi e compagni di fatiche
e soddisfazioni nel mondo della musica: Seo Changbin
e Hwang Hyunjin, uno l’opposto dell’altro, introverso e lesinato nel contatto
fisico ed emotivo il primo, espansivo, furbo e cinico il secondo.
Entrambi ottimi elementi, interessanti nelle loro diversità, eccellenti nel far
perdere la pazienza a Felix quando si trattava di gestire la routine quotidiana:
un aspetto non da sottovalutare di fronte a un isolamento imposto.
Buongiorno!
Felix saltò sul letto di Hyunjin, spalmandosi letteralmente sulle morbide
coperte: i capelli biondi dondolavano ovunque mentre il ragazzo tentava di
svegliare il collega che se ne stava bellamente appallottolato al di sotto di
cuscini e lenzuola, mugugnando qualcosa di incomprensibile in una lingua
sconosciuta ai comuni mortali. Felix si divertiva a mostrare entusiasmo fin dal
mattino, tentando di coinvolgere il più possibile chi lo circondava, vista la
situazione complessa in cui vivevano; non si era però mai posto il problema di
chiedere se questo fosse un atteggiamento gradito agli altri, cosa a cui non
dava granché peso. L’unico peso che gravava ora era il suo sui fianchi stretti
di Hyunjin, che ancora cercava di connettere giorno, ora, anno, secolo di
appartenenza.
Cosa non facile, visto che adorava dormire.
Il ragazzo scaraventò due dei cuscini variopinti con cui s’era protetto dall’assalto,
accompagnato da una sottilissima imprecazione sussurrata.
Porca puttana, Felix!
Lo schiocco sonoro di labbra giocose sulla fronte di Hyunjin rimbombò all’interno
di quella camera colorata, brillante, ariosa, in cui l’artista solitamente
lasciava volare l’ispirazione – per la musica – e la fantasia.
Per Felix.
Sono irrecuperabili, cazzo.
Non tutte le mattine avevano l’oro in bocca.
Il motto di Changbin era un monito al risveglio, un consiglio nel pomeriggio,
una consapevolezza alla sera: perché aspettarsi grandi cose nel venire svegliati
da una scimmietta urlante e una prima donna isterica? Non che in precedenza ci
avesse fatto particolarmente caso, ma da quando erano chiusi all’interno dello
stabile senza la possibilità di uscire, con gli altri due come unica compagnia
costante e il solo utilizzo dei social per il resto del mondo, la cosa era più
evidente, a tratti patetica forse.
O forse gli dava fastidio non essere abbastanza spavaldo per poter entrare in
quel contesto di intimità che sembrava farsi più stretto tra Hyunjin e Felix da
cui si sentiva sempre e comunque escluso.
Felix corse ciabattando in giro, sgommando sulle prime due curve e raggiungendo
la cucina dove un irritato Changbin stava attendendo: due occhi scuri ridotti a
delle fessure – un “detesto tutto e tutti a quest’ora” tatuato sulle retine – lo
stavano squadrando. Un semplice cenno d’assenso alternato al caloroso
buongiorno di due iridi brillanti ed entusiaste rivelò qualcosa in Changbin
stesso.
Un pizzicore all’altezza del petto, sullo sterno, dentro e fuori.
Non ci fece poi caso, neppure quando accadde la seconda volta nell’osservare il
biondo attaccarsi alla macchinetta del caffè e mugugnare perché avrebbe dovuto
caricare l’acqua nel serbatoio e cercare tra i pensili della cucina le capsule
della sua bevanda preferita, aromatizzata al caramello. Changbin, stizzito, preparò
il tutto per lui sentendolo miagolare con assenso.
Ruffiano.
E si stupì di aver avvertito esplodere un calore violento come un mattone schiantatosi
sul suo volto senza troppe cerimonie. Non era da lui, no, la quarantena gli
stava dando alla testa.
Hyunjin raggiunse i due poco dopo, tirato a lustro, puntiglioso sul proprio
aspetto, laccato e sistemato come a una sfilata di moda.
Changbin si soffermò a osservare il volto pulito, niveo, affascinante di
chi sapeva di piacere ed era certo di esercitare un certo fascino. Su tutti
forse, su Felix di sicuro, ma su di lui… Ni, più no che sì effettivamente.
Eppure Hyunjin era in grado di calamitare il biondo e portarlo a sé senza dover
chiedere.
Questo a Changbin provocava un certo velato fastidio.
Stronzo.
Decisamente velato.
Stasera giochiamo?
Come avesse fatto Felix a
convincere Changbin a unirsi a lui e Hyunjin era un vero mistero: il ragazzo
non amava partecipare a certe attività ricreative – qualsiasi attività che non
fosse strettamente legata al lavoro, in realtà – ma i giorni scorrevano tutti uguali,
la situazione era arrivata a un triste stallo alla fine della seconda settimana
e le pareti delle sale dello stabile sembravano essersi inspiegabilmente ristrette.
Anche la quotidianità stava pesando con i suoi ritmi estesi, gli allenamenti
dilatati e alleggeriti, le interazioni ridotte: erano soltanto loro tre ormai,
gli altri a debita distanza. Mascherine chirurgiche, guanti usa e getta, odore
di disinfettante e asetticità erano entrati nelle narici e nel cervello, ricreando
una sorta di abitudine che sembrava non dover avere fine. Anche per questo il
gioco “obbligo o verità” sembrava in qualche modo una alternativa accettabile: acconsentì,
raggiunse i due in salotto per poi accomodarsi sul divano di pelle chiara a
debita distanza da Hyunjin, che se ne stava beatamente composto sulla poltrona
lì accanto, e da Felix, seduto sul morbido tappetone di pelo color porpora.
Comincio io. Felix pareva inspiegabilmente poco energico
nonostante fosse stata una sua idea. Il gioco cominciò, qualche scambio, un paio
di battute, leggere provocazioni e un imbarazzo giusto accennato.
Però Felix continuava a sembrare distratto, distante.
E quelle occhiaie? Quando erano apparse a rovinare le bellissime lentiggini che
decoravano il suo volto?
Bellissime?! Che stava blaterando? Changbin scosse il
capo, avrebbe dovuto distrarsi. La vicinanza obbligata lo stava destabilizzando.
Hyunjin si stava approcciando in modo differente al gioco invece, cercava di
scavare nei due colleghi impostando domande trabocchetto, partendo da lontano e
avvicinandosi a quelli che riteneva degli interessanti punti sensibili. Aveva qualcosa
in mente, e lo stato di agitazione di Changbin ne era la dimostrazione palese:
a cosa stava puntando? Lo sguardo furbo pareva essere sufficientemente
esplicativo.
Felix, obbligo o verità?
Verità.
Sei mai stato innamorato di qualcuno?
Più che una domanda, un pugno allo
stomaco: Hyunjin sapeva di aver superato la sottilissima soglia dall’essere un
amico fidato e un confidente indispensabile, a un bastardo. Lo sapeva sì, ma
voleva dare una svegliata a quei due.
Felix deglutì un paio di volte, il pomo d’Adamo ballava all’interno del
colletto alto del maglione color panna che stava indossando: si impegnò a non
voltarsi verso Changbin, ma gli venne naturale farlo.
Un grande errore.
Si sollevò nervosamente dal tappeto su cui si era seduto, allontanandosi da
loro e marciando per la stanza: non se ne stava fermo.
Allora?
Sì, solo che non mi ha mai ricambiato.
La sensazione che Changbin avvertì
addosso dopo quella risposta affermativa non seppe spiegarla nemmeno: si alzò,
i pugni stretti lungo i fianchi fasciati da quei pantaloni di tuta blu che
tanto amava, le palpebre a coprire in parte iridi contrariate. Offese, forse,
in qualche modo. Soltanto qualche secondo dopo si accorse della propria reazione.
Felix lo squadrò, le labbra schiuse in un’espressione interrogativa che subito
si direzionò nell’altro unico soggetto presente in quella stanza.
Hyunjin sorrise soddisfatto.
Il gioco era finito.
Sei uno stronzo, cazzo!
Felix era allibito.
Non aveva dato gran peso alle parole di Hyunjin il giorno prima: ma perché non dici a Changbin ciò che provi?
Non credi sia arrivato il momento?
No, non sarebbe stato certo quello il momento giusto, davanti a uno stupido
gioco, in pieno isolamento, con l’umore a terra e i nervi scoperti. Come
avrebbe trovato il coraggio di esprimersi, in un contesto simile? Felix sapeva
benissimo che Changbin non era certo famoso per essere conciliante, emotivo e
smielato… avrebbe dovuto andare da lui e dirgli cosa, poi? Aprire il petto e
mostrare ciò che lo riempiva da anni non sarebbe stata certo una passeggiata,
anzi: Felix era tanto spontaneo, difficilmente era in grado di nascondere
qualcosa, tranne quello che più era importante. Questo aveva sempre giocato a
suo sfavore.
Hyunjin sapeva, certo che sapeva: l’amico si era dichiarato con un filo di voce
e le lentiggini spolverate di un rossore adorabile.
Proprio a lui, naturalmente.
All’unica persona che ne era cotta in modo irrecuperabile.
I tre si divisero subito dopo, senza guardarsi direttamente negli occhi.
Era accaduto qualcosa di sbagliato e ognuno s’era rintanato nell’angolo prediletto,
il posto che aveva sapore di nostalgia, di conforto e protezione.
Changbin prese a cazzotti a più riprese l’anta del grande armadio di camera
sua, un contrasto perfettamente bilanciato di bianchi, neri e sfumature
ordinate e gradevoli. Si diede dello stupido, non comprendendo minimamente cosa
stesse accadendo dentro di lui: la rivelazione di Felix lo stordì, infiammò il
suo stomaco e i suoi nervi. Voleva saperne di più, doveva conoscere quel nome:
il nome di chi era riuscito a intrappolarlo e oscurare il suo umore e il tipico
calore che emanava. Si bloccò considerando un’unica, ovvia soluzione. Hyunjin.
Certo, la faccenda ora aveva un altro sapore, un senso compiuto: il loro
giocare, rincorrersi, cercarsi, ridere, toccarsi… mai fu più amaro nominare il collega
che tanto stimava. Ora lo invidiava, per qualche oscuro motivo avrebbe dato molto
di sé per poter essere al posto suo.
Felix corse sfiancando i polmoni e salendo due rampe di scale prima di raggiungere
l’uscita d’emergenza che dava verso l’esterno. La copertura esterna dell’edificio,
fresca di ristrutturazione, dava il meglio di sé anche nel pieno della notte d’autunno
che strappava al ragazzo i primi brividi; si accasciò contro il muro, le gambe
stese sulla pavimentazione cementata e lo sguardo volto al cielo notturno
parzialmente coperto. Il tempo incerto non lo stava aiutando a riequilibrare un
umore nero – aveva intuito qualcosa già dagli atteggiamenti precedenti di Hyunjin,
ma arrivare a questo… no – e le prime lacrime scesero bollenti e rabbiose sul
volto pallido di chi aveva dormito male e s’era sentito tradito dal migliore
amico. Come avrebbe potuto presentarsi davanti a Changbin l’indomani e mantenere
un controllo stabile, senza lasciar trapelare niente? Aveva notato il modo in
cui l’aveva guardato, c’era qualcosa di male nell’occhiata che l’altro gli aveva
dedicato, e anche se non era riuscito a interpretarlo correttamente nei primi istanti,
era sicuro di aver detto qualcosa di sbagliato. Lui stesso si sentiva
sbagliato.
Hyunjin sbatté la porta della propria stanza, ancora in disordine dal mattino,
un caleidoscopio di colori e variopinta allegria che stonava apertamente con
uno stato d’animo ingannevole e perplesso. Credeva d’aver fatto la cosa giusta
spingendo Felix e Changbin uno contro l’altro, avrebbe dovuto funzionare in
qualche modo, eppure un meccanismo così semplice come dare degli hint ovvi sembrava essersi inceppato. Aveva sempre dato
credito ai sentimenti che Felix custodiva dentro di sé, non avrebbe potuto fare
altro: l’aveva ascoltato, supportato, fatto sfogare. Era la spalla su cui
piangere, l’amico da cercare in un momento di debolezza, il diario segreto
vivente che avrebbe volentieri registrato ogni singola sensazione senza mai giudicare.
Allora perché quel ruolo gli calzava così stretto? Perché avrebbe volentieri
ceduto se stesso per vestire i panni di Changbin, l’unico
che era in grado di illuminare l’esistenza stessa di Felix.
Avrebbe sopportato di più una situazione simile se non fossero stati costantemente
bloccati lì dentro, assieme, senza poter scappare. Per la prima volta, l’isolamento
pesò tanto da schiacciargli il petto e spaccarlo in due.