ECCOMI.
Avevo detto 3 o 4 capitoli massimo?
Mentivo, come Loki, più a me stessa che a voi.
Questi ultimi trenta giorni per me sono stati mortali, ma ne sono
uscita viva,
sfortunatamente mi aspettano brutte monete pompeiane da classificare
(ed un
sacco di Giano, Giano come il prezzemolo, aspettatevelo pure qua,
perché ne ho
fin sopra i capelli). Però eccoci.
Come avevo detto a qualcuno: capitolo di sole chiacchiere.
Quindi si, chiacchiere.
Oltre a Kymopoleia (che forse non fa una figura esattamente brillante,
in un momento, ma aveva le sue attenuanti. Quando mai i figli di
Poseidone hanno mai brillato per furbizia?), Jason fa conoscenza
ambigue, alcune, credeteci,
fondamentali.
Spero possiate apprezzare, vorrei ringraziare chi legge/segue/ricorda e
preferisce e chi ha recensito (grazie Farkas, grazie Edoardo811).
Inoltre, comunico che da questo capitolo comincio a introdurre
informazioni,
probabilmente assodate per chi ha letto la saga di Magnus Chase, ma
ignote a
chi non la ha ancora fatto (principalmente perché siamo
nella sezione “Percy
Jackson”, vi prego possiamo avere il Riordan-verse come
abbiamo il
Grisha-verse?) sfruttando la famosa presentazione di Odino del capitolo
due.
Qui abbiamo una piccola Freydis selvatica:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Freydis-Eirikdottir-894948333
A proposito di tale personaggio, come ho detto in una nota in
precedenza,
Freydis è elencata tra i guerrieri immortali ed
effettivamente ho scoperto che
la donna appare nella raccolta “9 From the Nine
Worlds” a questo punto non se …
ehm … fingere che non sia successo e continuare come un
treno con la mia
Freydis o dover aggiustare con una piccola operazione (nel senso, fare
un
evento che colleghi meglio il canone alla mia storia, che
può essere fatto
molto velocemente *coffcoff*mele-di-Idunn*coffcoff*.
Comunque, nel frattempo:
Buona Lettura.
baci
RLandH
P.S.
-
Probabilmente nei prossimi giorni sistemerò i capitoli
(azione molto più
fattibile qui che in altre mie storie).
Jason
Grace in Edizione Limitata
Thrud era
scomparsa nella maniera in cui sapevano fare così bene gli
dèi.
Così Jason era rimasto con le ginocchia nel fango
dell’ansa del fiume Charles. “Sei
stato fortunato sai, una decina di anni fa … probabilmente
saresti uscito da
quel fiume con più braccia del mio sgradevole
marito” aveva dichiarato con
immenso divertimento la divina.
“Poi lo spirito del fiume è andato a lamentarsi
con mio padre e quel vegliardo
ha tirato su il suo culo dal suo bel trono ed
è venuto a mettere a posto
le cose … circa” aveva raccontato Kymopoleia,
allungando una mano verso Jason,
per aiutarlo ad alzarsi, lui l’aveva seguita.
In piedi, era alto tanto quanto lei.
Kymopoleia era diversa da come l’aveva vista
l’altro anno – era l’altro anno? O
era morto da più tempo – era, come poteva dirsi,
molto meno divina. Quando
l’aveva veduta, era una gigantessa dalla pelle di madreperla
e capelli di alghe
fluttuosi, in quel momento era molto più umana, con una
pelle pallida, ma pur sempre
rosa carne, capelli scuri con riflessi verdi, gli occhi meno grandi, ma
sempre
dalla forma a nespola, ma terribilmente umani. Di un bel verde
acquamarina.
Somigliava a Percy, in qualche maniera.
Aveva ancora la sua espressione austera, che era decisamente smorzata
dalla
camicia leggera blu mare decorata con stelle marine e pesci stilizzati
colorati.
Kymopoleia lo aveva colpito, con gentilezza, con ambedue i palmi sulle
spalle e
Jason era stato immediatamente asciugato. “Uhm
…” aveva commentato solamente il
ragazzo, colpito da quell’azione.
“Lo so, la camicia è orribile” aveva
valutato la dea poi, rude, notando come l’occhio
di Jason doveva essere rimasto troppo sulla stoffa.
“Ma è un gesto di pace da parte di mio padre
… e non so … lui non fa mai nei
gesti di pace, quindi …” aveva cominciato a
farneticare la dea.
Jason non era sicuro di doverla interrompere, così
l’aveva lasciata lamentarsi
della sua famiglia con calma, inclusi padre, fratelli, marito ed una
certa
anche di Percy, che era il diretto responsabile del famoso gesto di
pace di
Poseidone.
Perché, a detta di Kymopoleia, Poseidone non si sarebbe mai
mosso in una
carineria se non fosse stato imbeccato dal suo figlio prediletto.
“In realtà era per l’aspetto in
generale. Anche per la situazione. Probabilmente
più per la situazione” aveva provato Jason, poi,
quando la terribile dea delle
tempeste aveva dato lui il tempo di parlare.
“Per gli abissi, Jason Grace, la nebbia fa miracoli ma i
mortali non sono
completamente ciechi, se fossi apparsa enorme sulla riva del Charles
avrebbero
pensato di trovarsi in un racconto di J. G. Ballard” aveva
dichiarato la dea,
stizzita.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Non hai letto The
Terminal Beach[1],
immagino” aveva considerato Kymopoleia.
“Riguarda le divinità norrene?” aveva
chiesto Jason, genuinamente.
La dea aveva stretto le labbra in una linea dritta, “No. Ma
immagino non mi
stupisca che tu voglia parlare di questo” aveva considerato,
“Accompagnami. Abbiamo
bisogno di qualcosa di forte” aveva dichiarato quella.
Il ragazzo aveva aggrottato le sopracciglia, “Le
divinità bevono?” aveva chiesto
poi.
“Che romano imbarazzante che sei …”
aveva dichiarato la dea acre, mentre gli
dava le spalle.
Jason aveva ricordato il viso divertito di Bacco che osservava lui e
Percy
combattere contro i gemelli.
Jason aveva
seguito Kymopoleia lontano dall’ansa, verso l’Aubudun
Square, nella
direzione di un plesso di edifici, su cui capeggiava
l’insegna: Università di
Boston.
“Questo è il regno di Atena – non ho
idea del perché di tutti i luoghi del
mondo, trovi così interessante questo, considerando che
dall’altro lato della
riva c’è il M.I.T.”
aveva dichiarato la dea, mentre tagliava la piazza
del campus in obliquo.
Kym spiccava tra la gente solo per il colore vivace della sua camicetta
e dal
fatto che fosse vestita come in una giornata primaverile, circondata da
gente
in cappotto. Anche Jason non sentiva il freddo. Probabilmente
doveva
essere un effetto collaterale della sua condizione di
non-così-morto.
“Quindi è l’unica caffetteria
in tutta Boston dove puoi trovare qualcosa
adatto al palato divino; credo sia opera di un accordo tra quella vecchia
ciabatta
e Kiv…Kva…Il tipo norreno
dell’Idromele” aveva dichiarato
Kymopoleia, indicando
a Jason, un chioschetto carino, nel centro della piazza.
Nessuno degli indaffarati studenti dell’università
di Boston sembrava notarlo.
I pochi avventori del bar, erano come Kymopoleia belli vistosi.
C’era un uomo con una lunga barba, troppo lunga per essere
mortale, visto che
scendeva fino ai suoi pedi, raccolta in una treccia austera, il viso
però era
tranquillo, rilassato, mentre agitava le mani raccontando qualcosa di
divertente ad una giovane donna, con orecchie lunghe da mucca e coda
abbinata.
“Oh, non si vedono greci così a nord di
solito” aveva dichiarato l’uomo dalla
lunga barba.
Kymopoleia si era sistemata su una sedia con mera
tranquillità, inclinando il
capo con un sorriso freddo e circostanziale, “Sono figlia del
mare, seguo la
corrente” aveva risposto.
Jason l’aveva imitata.
“Chi è?” aveva chiesto Jason, spiando
l’uomo, che era tornato a godersi la sua
cheescake in compagnia della ragazza dai dettagli bovini.
Kymopoleia aveva fatto un cenno di diniego, “La sua
accompagnatrice è un
huldra, credo, lui non so … non conosco tutti gli
dèi del nord. Sono stata a
cena a casa di Aegir, sarebbe la versione nordica di mio padre, circa,
è un
gigante ed ama tutte le sue figlie, le sue onde. E
lui adora avermi a
cena! Differentemente da quel simpaticone del mio vecchio”
aveva risposto con
acredine la dea.
Jason aveva cercato di fare mente locale, sulle divinità,
cercando l’informazione
nel lungo power point che Odino aveva presentato durante la sua prima
cena al Valhalla.
Aegir era il signore dei mari, sposato con la dea Ran, anche lei
divinità
marina ed avevano avuto nove figlie. Ran raccoglieva tutto
ciò che finiva nelle
acque e Aegir dava delle feste epiche.
Ecco le sue informazioni.
Un cameriere era venuto a prendere la loro ordinazione.
Jason a primo acchito avrebbe pensato ad una ninfa, maschio, se fossero
esistiti, ma non lo era, nonostante il forte odore di pino silvestre
bacche,
era alto, chiaro e luminoso – quasi un raggio di sole
– con orecchie appuntite
e occhi splendenti.
“Cosa posso portarvi?” aveva indagato subito
quello; nonostante il tono gentile,
gli occhi chiari avevano lanciato a Kymopoleia uno sguardo di terrore e
a Jason
uno di stizza.
“Quella Gotlandsdricka
così buona che fate qui” aveva dichiarato
Kymopoleia. L’Elfo – Jason supponeva
fosse quello – aveva chinato il capo verso di lui, con un
sorriso annoiato, di
chi doveva essere abbastanza seccato, con le palpebre calate, appena
assonnate,
“Una Doctor Pepper alla ciliegia?” aveva provato
Jason, incerto.
L’uomo aveva segnato ambedue le ordinazioni e si era
allontanata, aveva una
camminata leggera e priva di rumori.
Lui aveva guardato la dea, che se ne stava a braccia conserte, con il
viso granitico.
Jason era seduto ad una caffetteria carina, di fronte
un’università, a prendere
una bevanda con una terribile dea – che qualche tempo prima
aveva cercato di
ucciderlo. La sua vita aveva preso una piega decisamente surreale.
In quel momento non poteva che evocare nella sua mente, quel momento,
inesistente,
sfiorato appena, in cui aveva condiviso da bere con Apollo,
lì, dove si
riposava. Lì nella pace.
“Allora?” aveva rotto il silenzio la dea delle
tempeste.
“Allora?”
aveva risposto Jason.
“Non hai niente da chiedermi?” aveva chiesto
Kymopoleia, come se fosse ovvio,
come se non avesse fatto tutto lei e lasciato Jason in mezzo alla marea
–
letteralmente, era arrivato lì da una lavatrice magica con
annesso fiume
mitologico.
“Hai fatto
tutto tu!” aveva risposto, di rigetto,
“Mia signora” aveva aggiunto,
cercando di ricomporsi, di essere cortese, ricordando che stava ancora
parlando
con una dea.
Kymopoleia lo aveva guardato con espressione contrista, prima di
tranquillizzarsi, con la successiva aggiunta di Jason.
“Oh, sì, lo so che ho fatto tutto io. Ho
partecipato, d’altronde. Tu non hai
domande? Pensavo ne avessi. Di solito voi semidei ne avete sempre un
sacco”
aveva valutato Kymopoleia.
Lui aveva
cercato di trattenere il sospiro, che sarebbe probabilmente risultato
sfrontato
alla dea, “Oh sì, ne ho molte. Come?
Perché? In che maniera? Che sta succedendo?
Perché?” aveva ammesso Jason.
Kymopoleia aveva sorriso, mentre la cameriera tornava verso di loro,
per portare
loro le ordinazioni che avevano chieste.
“Il come è stata la parte più semplice:
Le Valchirie sono le uniche creature a
poter andare avanti e indietro dai regni dei morti senza problemi,
tranne le
divinità inerenti a quel capo, tipo zio Ade, e i loro figli.
Sì, parlo anche
del ragazzino emo che passa il tempo a cacciare lucertole”
aveva cominciato Kym.
“Chi?” aveva domandato Jason, genuinamente confuso.
“Nico. Nostro cugino, non so
perché, ultimamente Leto e Stige mi hanno
detto che si è dato alla caccia di rettili; probabilmente
è una forma per
combattere il lutto” aveva dichiarato Kymopoleia.
“Strano” aveva valutato
Jason, non riuscendo ad immaginare Nico, darsi ad un tale hobby, ma
d’altronde,
quanto lo conosceva nel profondo?
Lutto?
“I miei amici … qualcun
altro?” aveva chiesto Jason alla fine. Kymopoleia
aveva sbuffato, “Sono sopravvissuti tutti, fortunatamente per
loro. Il tuo
amico Frank Zhang ti ha reso onore, uccidendo Caligola. Io ho aiutato,
ho
divorato quasi tutte le sue navi” aveva dichiarato lei alla
fine, soddisfatta.
Jason aveva sentito il suo cuore scaldarsi a quelle parole.
Era rimasto in silenzio per un po’, mentre portava una mano
sul petto,
rincuorato. “Oh, che dolcezza” lo aveva preso in
giro Kymopoleia, “Stavo dicendo:
oltre le divinità ctonie e i loro figli, sono poche le altre
creature a cui è
concesso andare e tornare dal regno dei morti intonsi. Perfino Hermes
ha zone
specifiche dove può arrivare, come il palazzo di Ade. Tra le
poche, esistono le
valchirie” aveva spiegato la dea delle tempeste.
Lui aveva bevuto un po’ della sua bevanda, era dolciastra e
chimica, credeva di
preferire di gran lunga il sidro che aveva consumato nel valhalla, era
dolce,
ma molto meno stucchevole. “Sì, ma
perché una valchiria?” aveva chiesto Jason.
“Non mi sembravi stupido Jason Grace, te lo ho spiegato: loro
possono andare e
venire da questo mondo all’aldilà senza
ripercussioni e portare fuori le anime,
da qualche tempo abbiamo scoperto che non si limita solo alla loro
sfera” aveva
dichiarato Kymopoleia con ovvietà. “Sì,
ho capito … ma perché una creatura di
un altro pantheon? Non c’era nessun altro?” aveva
chiesto Jason.
“Evidentemente lo sei, allora” aveva dichiarato
Kymopoleia, “Immagini la figlia
di Poseidone che chiede a Zio Ade di liberare il figlio prediletto di
zio Zeus
dalla morte? O pensi che qualcuno avrebbe tentato l’impresa,
nel nostro
pantheon?” aveva domandato lei.
“Nessuno ne avrebbe avuto il coraggio,
sì” aveva risposto Jason, considerando quanto
più ipotesi, prima di proseguire: “E se fossi
andata tu, Plutone ti avrebbe
detto di no, mentre mio padre avrebbe potuto averla presa sul
personale, perché
tende a prendere le cose sul personale. Probabilmente anche Giunone
avrebbe
detto la sua” aveva valutato Jason, davanti quella
confessione.
Kymopoleia avrebbe annuito, “Zio Ade avrebbe anche potuto
cedere, sei una
persona importante per il piccolo rettilofono-in-erba
ma è una persona
terribilmente rigorosa. Uno strappo qui per te e poi chi sa che sarebbe
successo” aveva raccontato lei. “Quindi da un lato:
un domino divino che avrebbe
portato presso al collasso del confine tra vita-e-morte; e
dall’altro: un
possibile scontro tra i tre pezzi grossi, di nuovo”
l’aveva anticipata Jason. “Ecco
sì, intelligente, dicevo, non solo bello” aveva
stabilito Kym, mentre
ingurgitava un po’ della sua gotlandsdricka,
che sembrava una birra ma
dalla consistenza più densa.
Jason aveva fatto saltare la sua linguetta dalla sua lattina di Dr.
Pepper, per
nervosismo, “Così hai seguito il buon esempio di
Trivia ed hai scelto una terza
via” aveva dichiarato lui, riconquistando lucidità.
Kym aveva posato il boccale, dopo averne svuotato mezzo,
“Sì, be, ho conosciuto
Thrud qualche secolo fa, sa cosa si prova ad essere la figlia di
troppo. Suo
padre venera quei due … Modi e Magni, e uno dei due non
è ancora nato[2],
credo,
sua madre adora quell’altro figlio Ullr” aveva
cominciato a spiegare Kymopoleia.
Ullr? Il padre di Medina! Aveva considerato Jason.
Questo … questo voleva dire che Medina e Astrid,
giacché sua nonna era Sif,
erano cugine?
Ambedue nipoti di Thrud?
Il pensiero lo
frastornò per un secondo,
prima di ricordare che la cosa probabilmente doveva essere decisamente
normale
anche da quelle parti, i legami di parentela erano sempre strani e
diversi
quando riguardavano gli dei.
Se ci pensava bene, Percy, Hazel e Nico erano suoi cugini ed Annabeth e
Frank
suoi nipoti e … Leo suo nipote acquisito.
E Chirone era suo zio!
Ringraziava gli dèi a non avere avuto parentele con Piper.
Sarebbe stato strano, ripensandoci.
“Così io ho mamma che adora Tritone e quelle due
svenevoli delle mie sorelle
Roda e Bentesicima; mio padre ha Percy, Tyson e Polifemo, dei, Polifemo
sul
palmo della mano. Ripeto Polifemo, quello pensa che mangiare le persone
con il
formaggio sia accettabile” aveva dichiarato Kymopoleia.
“Senza formaggio, lo sarebbe?” aveva chiesto Jason.
Sua cugina lo aveva guardato con un’espressione confusa, poi
aveva ridacchiato,
“Oh, sei anche divertente” aveva considerato,
“Strano. Ti ho sempre visto come
un ragazzo piuttosto noioso” aveva valutato la dea.
Jason aveva sospirato, incassando l’offesa con
tranquillità, era una dea
infondo, meglio non turbarla.
“Sì, oltre questo, Thrud sa che vuol dire avere
spasimanti non richiesti. Certo
suo padre non la ha ceduta come premio ad un gigante con cento braccia
e una
spiccata allergia alle faccende domestiche” aveva considerato
Kym, “Però in
compenso ha un nano malvagio che cerca di insidiarla da millenni. Ci
siamo
conosciuti secoli fa, quando una volta hanno sconfinato nelle mie zone
e io la
ho aiutata, da lì è stato tutto in discesa. Una
volta lei ha decapitato Briareo”
aveva dichiarato Kymopoleia, divertita.
“Rispetto quanto si possa pensare, i pantheon si scontrano
spesso. Puoi
chiedere a tuo fratello, adora raccontare quella volta che stava
cercando di
trombarsi un dio nordico ma è stato ghiacciato da
una spada parlante”
aveva dichiarato Kym.
Immaginava fosse Apollo, doveva essere Apollo.
E le spade parlanti dovevano essere qualcosa di molto comune tra i
norreni,
evidentemente.
“O gli
incontri clandestini tra Chirone,
Mimir e Bastet” aveva aggiunto Kymopoleia.
Quanto segreti potevano essere se lei li sapeva?
“Sì, Astrid mi ha detto che può
capitare; nel Valhalla c’è un figlio di Perun,
che a quanto pare è una divinità di un altro
pantheon” aveva considerato Jason,
non sapeva quale.
“Un villano! Non mi sorprende che abbiano deciso di affogarlo
e bastonarlo”
aveva concesso Kym, prima di mandare giù un altro
po’ della sua bevanda, “Giusto;
questo mi ricorda che devo spiegarti perché la tua
situazioni è particolare”
aveva considerato Kym.
“Immagino riguardi il fatto che nonostante le contaminazioni
siano normali,
Thrud mi abbia minacciato di non dire niente a nessuno” aveva
considerato Jason.
Togliendo che Astrid lo aveva già scoperto e che a detta
stessa della valchiria
anche Odino lo sapeva.
Kymopoleia aveva ridacchiato, “Certo sì;
tecnicamente se tu fossi morto, su
quella spiaggia, contro Caligola – come è successo
– e una valchiria, tipo
Thrud, avesse raccolto la tua anima per caso. Non sarebbe successo
niente.
Okay, zio Zeus starebbe ancora brontolando, ma zio Ade avrebbe fatto,
cito, ‘spallucce’”
aveva raccontato immediatamente lei.
“Ma io sono finito nei Campi Elisi” aveva ricordato
Jason.
“Sì, Thrud ha derubato la tua anima dai Campi
Elisi e le ha portata dal
Valhalla, da dove idealmente non puoi andare via” –
Kym aveva finito la sua
bibita – “Ora, zio Ade non fa il censimento delle
anime nei Campi Elisi, ma si
occupa solo di chi è condannato agli eterni supplizi,
Tantalo, Sisifo se
capisci il genere. Quelli che tentano le fughe, di
solito. Quindi non
dovrebbe succedere nulla” aveva valutato subito Kym,
“Ma adesso immaginati se
per caso: Zio Ade, personcina sempre a modo e per nulla rancorosa,
scoprisse
che la figlia di uno dei suoi amati fratelli li ha rubato
un’anima e la ha data
a Wotan. Aggiungici che è
l’anima del figlioccio preferito di Era, che
non brilla in simpatia, sposata con quel carattere di miele di tuo
padre.
E onestamente non conosco bene Wotan, è uno abbastanza
strano, ma non ti
darà mai indietro. È un vichingo, gli
unici che concordano al cento per
cento con i romani sul ‘se vis pacem para
bellum’, e poi c’è Thor
– che è
un signor guerriero e padre di Thrud” aveva raccontato
Kymopoleia.
Jason era
rimasto in silenzio, “Sono … posso essere la causa
di una guerra tra …
Pantheon?” aveva proposto lui. “Oh, sì, Lyanna
Stark, quindi devi stare
in silenzio” lo aveva ammonito Kymopoleia, come se non fosse
stata lei ad aver
organizzato tutto. Jason trovò auspicabile, per se stesso,
non chiedere chi
fosse Lyanna Stark, specie per non confondersi ulteriormente; il
giovane
semidio preferì chiedere:“Okay; ma
perché?” alla fine.
Kym aveva sorriso, soddisfatta e compiaciuta, come una gatta sorniona,
“Oh,
ovviamente perché voglio la mia dannata Action
Figure” aveva replicato l’altra.
Jason era
rimasto
in silenzio. In un lungo silenzio.
“Cosa?” aveva esclamato alla fine. “Per i
ricci di mari, Jason Grace. Tu mi hai
promesso una action figure, un tempio ed anche uno stendardo, a me ed
ogni dio
minore mai considerato fino ad oggi” aveva dichiarato lei,
battendo l’indice
sulla superficie del tavolo, “Inoltre, mi avevi detto che se
non fossi stata
soddisfatta … avrei potuto ucciderti … ma come
posso farlo se sei già morto?”
aveva dichiarato Kymopoleia.
Logica ineccepibile – aveva pensato.
“Quindi hai chiesto a Thrud di portarmi in questo stato
sospeso tra la vita e
la morte per farti un action figure?”
aveva chiesto Jason, perplesso.
Prima che Kymopoleia potesse rispondere, qualcuno si era seduto al
tavolo con
loro. Era una donna, dal viso acuminato e severo, con occhi e capelli
nerissimi, come piume di corvo. “Scusate non ho potuto non
sentire: parlavate
di Thrud? Come sta la fanciulla?” aveva chiesto quella.
Aveva un sorriso zigrinato ed un’espressione piuttosto folle.
“Era una conversazione privata”
le aveva risposto di rimando Kymopoloia,
con la sua espressione letale, quella che Jason aveva ricevuto su di
sé, quando
si erano incontrati nell’egeo.
La sconosciuta aveva ridacchiato, “Ma io e Thrud siamo
praticamente una
famiglia. A breve le darò un bel fratellino, per ora io e la
sua simpatica
madre ci dividiamo l’affidamento del mio cavallo, Gulfax
splendida bestia”
aveva dichiarato la donna.
Jason era sconcertato.
“Quale parte di conversazione privata ai perso?”
aveva chiesto retorica Kymopoleia,
con una voce algida, di chi pareva pronta a rovesciare uno tsunami
sulla
sconosciuta.
La sconosciuta aveva riso con amarezza, “Io non sono sicura
che una bella deuccia
greca che si fa chiacchierine con un einherjar mentre discutono di far
portare
ad una valchiria qualcuno in uno stato così …
peculiare” aveva dichiarato quella,
“In questo posto vige la regola della Non Chiedere
Non Dire” aveva dichiarato
Kymopoleia, senza battere un ciglio.
“JARNSAXA!”
un’altra voce si era aggiunta alla mischia,
un’altra bella donna era
giunta. Per Jason fu stupido, ma il primo pensiero che ebbe fu quella
che la
sconosciuta dovesse essere Proserpina. Una bella ragazza, vestita con
un abito
floreale, il viso a cuore e ondulati capelli rossi spartan;
meno
aggrovigliati di quelli di Thrud o di Rachel Dare.
“O sei arrivata Gerd!” aveva
tubato subito la sconosciuta – il cui nome
doveva essere dunque Jarnasaxa – con espressione civettuola.
L’altra l’aveva guardata con una punta di amarezza,
“Ti prego non tormentarli;
ho lasciato il cinghiale al giardiniere ed ho solo mezza-giornata,
prima che …
non so … Alfheimer vada in fiamme. Ho bisogno di
caffè e di lamentarmi del mio
matrimonio, per favore” aveva dichiarato Gerd.
Jarnsaxa aveva inclinato il capo, “Almeno tu hai un marito e
non fai l’amante
del giovedì
sera” si era lamentata quell’altra, alzandosi, non
senza aver
lanciato uno sguardo di sfida a Kymopoleia.
“Dannate Jotunn” si era lamentata la dea della
tempesta marina. Jason aveva
sbattuto le palpebre, “Quelle erano due
gigantesse?” aveva chiesta.
Decisamente diverse da come le aveva figurate, faceva davvero fatica ad
associarle ai figli di Gea, del calibro di Polibote e Porfirione con i
loro
aspetti grotteschi e le fattezze animali.
Kym aveva ridacchiato, “Uhm … diciamo che giganti
è un po’ una traduzione
fallace. Alcuni di loro sono giganti e altri assolutamente
raccapriccianti, del
genere che Polybote potrebbe apparire quasi attraente, ma …
non affiancarli ai
nostri giganti. Sono Jotun” aveva
spiegato lei.
“Credo che nonostante l’eccessiva lunghezza della
presentazione fatta da Odino,
io abbia ancora un certo numero di mancanze” aveva stabilito
Jason.
Kym aveva riso, “Quel simpatico monocolo ti dirà
che tutti i giganti sono malvagi,
nonostante ne abbia una per madre e diverse amanti di quella stirpe.
Non che
ricordo molto, faccio fatica a stare dietro agli intrecci amorosi di
zio Zeus e
papà, figurati di … altri pantheon”
aveva spiegato la dea.
Jason aveva osservato le due gigantesse, avevano occupato il tavolo che
era
stato lasciato libero dall’uomo barbuto e dalla huldra, che
avevano preso a
conversare in una maniera fitta.
“Passeggiamo – dopo averti lasciato vorrei
partecipare ad un convegno che si
tiene qui e mi piacerebbe che Atena non ti vedesse, è una
vecchia ciabatta ma
non a caso ha uno sguardo da rapace” aveva scherzato
Kymopoleia lasciando sul
bancone un paio di dracme.
“Non
capisco, comunque” aveva dichiarato Jason, mentre
ballonzolavano per i corridoi
interni dell’edificio, sarebbero potuti apparire come due
studenti
universitari, probabilmente. Lui una matricola del primo anno e lei
probabilmente una studentessa dell’ultimo anno, se si
escludeva la camicia
variopinta della ragazza e la maglietta verde bottiglia con scritto
Hotel Valhalla
che sfoggiava Jason.
“La storia dell’Action Figure. Cioè in
realtà, ho lasciato tutto nella mia
camera al collegio. Melinoe[3]
mi aveva
detto che Apollo e Meg avevano raccolto e portato tutto a Nuova Roma e
ne ho
parlato molto con Annabeth, sono sicura che stia lavorando anche
lei” aveva
valutato Jason.
“La mia futura cara sorella, ha cominciato
l’università, adesso pensa solo a
come progettare edifici che sembrano fatti di plastica; i romani
d’altronde
stanno facendo il loro lavoro, molto lentamente e non hanno cominciato
mica da
me, ma da divinità più note. Poi, sai
c’è stata una nuova gestione e guarda un
po’ siamo tornati sotto Marte Ultore … i greci
invece non stanno facendo niente”
aveva replicato Kymopoleia, dando uno sguardo piuttosto infervorato ad
un
povero studente che aveva osato avvicinarsi troppo.
“Solo che non capisco … rischiare di scatenare una
guerra tra pantheon per … un
action figure” aveva dichiarato Jason.
Per me, voleva dire.
Kym aveva
fermato
bruscamente la sua avanzata, “Jason Grace” lo aveva
chiamato con lo stesso tono
accondiscendente che usavano di solito le madri – nel caso di
Jason, era lo
stesso di Lupa, quando lo richiamava da bambino perché aveva
mangiato qualcosa
che non doveva mangiare.
“Apollo mi ha detto della promessa che gli hai fatto
stringere ed è stata
onorevole da parte tue, chiedere tutta quella considerazione per i tuoi
simili …
però anche tu hai fatto una promessa a me” aveva
dichiarato lei.
“Ho bisogno di quei templi, abbiamo bisogno di quei templi
… Sai, no, esistiamo
in funzione di quanto i mortali credono in noi” aveva
dichiarato Kymopoleia;
eppure Jason trovava qualcosa di sbagliato, incerto. “La mia
pagina di Wikipedia
è più breve di quella Otone. Tu sai chi
è Otone?” aveva chiesto retorica.
“Sì, è stato un imperatore romano, si
certo è stato in carica solo tre mesi”
aveva provato Jason, prima di fermarsi, osservando
l’espressione indignata della
dea.
“Non è questo il punto”
aveva rettificato lei, “Tu mi hai fatto una
promessa; come hai costretto Apollo a farne una. Non puoi
dimenticare” aveva
replicato Kymopoleia.
“E come dovrei fare?” aveva chiesto Jason, confuso,
mentre le porte delle aule,
si aprivano facendo fluire un mucchio di studenti su di loro;
“Nel senso mi
sembra ovvio che non posso contattare nessuno dei miei vecchi
amici” aveva
ripreso a parlare, “Ne essere, be, me stesso” aveva
aggiunto.
Astrid lo aveva capito, ma se lo avesse detto ad alta-voce rischiava di
farsi
uccidere da Mel.
Kym aveva sorriso serafica, “Questo è un problema
tuo, ma adesso posso di nuovo
ucciderti e non è detto che questa volta tu finisca nelle
isole beate, è ancora
molto dubbio dove finiscano gli einherjar” aveva rimarcato
lei.
Jason aveva avuto una brutta sensazione, pensando al regno di Hel o il
Nulla
Cosmico.
Poi Kymopoleia
aveva fatto l’ennesima cosa che Jason non si era aspettata ed
aveva accarezzato
gentilmente la guancia di Jason, “Sii speranzoso, hai
l’eternità” aveva
dichiarato lei.
“Sempre se non mi uccidi brutalmente prima” aveva
dichiarato Jason con un certo
divertimento, lei aveva annuito.
“Phaínetaí moi
kènos ísos
theoisin[4]”
aveva sussurrato Kymopoleia, poi, come un congedo.
“Non so il greco” aveva provato Jason –
aveva provato ad impararlo, alla scuola
militare, ma non era mai riuscito – il suo cervello era
settato sul latino ed
il greco … era difficile.
Kymopoleia aveva sorriso, poi aveva allungato verso di lui un foglietto
riccamente ripiegato, “Vai al punto rosso, da lì
troverai un modo per tornare
al Valhalla. Nel resto della mappa ci sono alcune zone interessanti di
Boston,
le ha segnate Thrud quindi non so cosa siano” aveva
dichiarato lei.
“Siete molto amiche” aveva valutato Jason.
“Sì, è una persona fantastica da avere
a fianco, non andarci a bere, però, la chiamano
Thrud la Potente per una ragione” aveva scherzato,
“Ora devo andare, Thoth farà
un intervento sull’Importanza delle Vie Fluviali durante la
guerra di
Secessione” si era congedata lei. “Thoth?
Intendevi Thor?” aveva
chiesto Jason, confuso. Kymopoleia aveva riso, di lui, con un certo
divertimento.
“Intendevo quello che intendevo, fidati. Ricorda, comunque: tieni
nascosta
la tua storia e se per caso non sarò soddisfatta ti
ucciderò” aveva
aggiunto lei, sparendo tra la moltitudine di studenti.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, confuso da quello scambio.
Poi era
rimasto lì, imbambolato, mentre il corridoio si svuotava di
quel cambio dell’ora.
A risvegliarlo era stata la presenza dell’uomo con la barba,
intrecciata
elegantemente, che svettava in maniera piuttosto netta sul completo
composto da
maglioncino senza maniche, camicia a maniche lunghe e pantaloni cachi,
che lo
aveva chiamato: “Giovane Einherjar”.
Creando così l’ambigua immagine a
metà tra lo stereotipo di un professore di filosofia ed uno
stregone delle
leggende. “Scusa non volevo avvicinarmi troppo furtivamente,
i giovani
guerrieri hanno un atteggiamento ruspante ed anche se è
difficile uccidermi una
spada nel ventre fa ancora male” aveva dichiarato quello.
“Certo?” aveva provato titubante Jason.
“Io sono Bragi dalla Lunga Barba, signore della
poesia” aveva dichiarato
quello, “E professore di Esegesi della Poesia
Germanica” aveva aggiunto il dio,
“Tengo dei corsi anche ad Asgard; se lo chiederai a mio
padre, egli permetterà
anche a te giovane abitante del Valhalla di partecipare”
aveva proposto
quello, allungando verso di lui un bigliettino.
“Uhm … grazie” aveva provato il giovane
einherjar, raccogliendo il biglietto, “Io
sono Jason Grace” aveva ammesso solamente lui, osservando poi
il biglietto, c’era
scritto qualcosa in caratteri runici, che lui non comprendeva.
Bragi si era accarezzato
la lunga barba,
“Hai compagnie pittoresche Jason Grace, una terribile signora
delle tempeste. Appartenente
alla stirpe dei Romei per lo
più” aveva dichiarato quello.
Jason sapeva che quel termine era il modo in cui ci si riferiva ai
greci
durante l’impero bizantino, quando non c’era
distinzioni tra elleni e romani.
“Le relazioni tra diversi pantheon non finisco mai molto
bene” aveva dichiarato
Bragi il dio della poesia, con un sorriso lesto.
Jason era arrossito, “No! Lei è … una
dea che ha deciso di … tormentarmi”
aveva dichiarato Jason con disagio; non potendolo spiegare in altra
maniera.
“Spero che Idunn non mi senta, ma di sicuro sarai ben
invidiato per i tuoi
tormenti” lo aveva preso in giro il dio della poesia.
Era stato certo di esser diventato di fuoco, “Devo
andare” aveva dichiarato
alla fine, “Con permesso, divino Bragi” aveva
aggiunto. L’altro aveva annuito, “Torna
a casa giovane einherjar, sei fuori dal tuo mondo, ma torna presto a
trovarmi,
qui o di là; sto pensando di istituire un corso di scrittura
creativa. Pensi
che ai tuoi compagni piacerebbe?” aveva chiesto,
“Magari puoi sottoporre un
questionario?” aveva chiesto allora Bragi.
Jason aveva avuto un’immagine di Mel e Madina che passavano
le loro giornate a
giocare a Tennis-Mortale in un corso di scrittura
creativa.
O anche Jason – non era mai stato un uomo particolarmente
dedito alla poesia o
la creatività; forse avrebbe dovuto iscriversi lui al corso
di scrittura
creativa.
Bragi era sul punto di allontanarsi, quando Jason lo aveva richiamato.
“Mio signore
Bragi” aveva esordito, “Oh certo, dimmi giovane
guerriero Jason” aveva risposto
quello, “Esattamente … chi è
Jarnsaxa?” aveva chiesto; ricordando la jotunn che
aveva interrotto in precedenza il suo discorso con Kymopoleia e che
aveva
ascoltato parte della loro conversazione.
Con quel sorriso quasi seghettato.
“Oh la terribile Jarnsaxa! La personale spina nel fianco di
mio padre, l’incubo
che ha ogni volta che si corica a letto” aveva raccontato con
estremo
divertimento Bragi.
Jason aveva deglutito, immaginando Odino, vestito da ginnastica e
l’espressione
rilassata, mentre era torturato dagli incubi di una Jotunn spettrale.
“Il mio
caro fratellino, Thor, nonostante sia sposato con una donna bellissima,
ha
sempre avuto un certo gusto per le signore. Di norma predilige giovani
damigelle dai costumi delicati, ma stranamenti egli ha un cuore
palpitante per
Jarnsaxa, brutale guerriera e moglie di lancia” aveva
spiegato.
“Pericolosa?” aveva domandato Jason.
Bragi si era accarezzato la barba, con calma, “Con la lama e
lancia può essere
mortale; una jotunn che non conosce paura e raramente chi non conosce
terrore è
nemico affrontabile … ma ciò che teme mio padre
di più è il suo ventre” aveva
aggiunto il dio, “Il figlio di Thor e Jarnsaxa
avrà tre anni, quando avverrà il
Ragnarok, così mio padre Odino guarda al ventre della jotunn
con lo stesso
spavento con cui aspetta la liberazione del lupo” aveva
raccontato.
Fenris! La sua liberazione era uno dei passaggi
chiavi per l’inizio
della fine, lo ricordava dalla presentazione.
Jason aveva stretto le labbra, questo non aiutava i suoi propositi.
“Quindi,
ovviamente, mio padre, uomo saggio, fa tutto ciò che
è in suo potere per tenere
mio fratello e la donna jotunn lontano l’uno
dall’altra, cosa che, ammetto non
vada a genio a nessuno delle due parti” aveva soppesato Bragi.
Jason sia era morso un labbro, “Probabilmente non
è niente” aveva stabilito,
non credendoci anche lui. Se Jarnsaxa era l’amante di Thor
… non doveva avere
molta simpatia per Sif la moglie, madre di Thrud.
Thrud che aveva azzardato qualcosa di pericoloso e molto stupido per
aiutare un’amica ...
“Sicuramente” aveva concordato
Bragi, serafico, “Ma se Jarnsaxa ti ha
preso in antipatia, comunque, io comincerei a guardarmi le spalle. Il
suo nome
vuol dire, letteralmente, armata con spada di ferro”
lo aveva avvertito.
Jason si era sentito mortificato, “Comunque, ecco, tieni il
programma delle
lezioni di quest’anno sull’Esegesi” aveva
detto il dio, tirando fuori dalla
tasca un foglio ripiegato, “Ci sono anche segnate delle
ottime monografie” lo
aveva avvertito Bragi, strizzandoli un occhio.
Aveva iridi dello stesso colore del miele denso.
La mappa di
Kymopoleia
lo aveva guidato verso, il quartiere di St. Elizabeth, lungo la strada
nota
come Commonwealth Avenue. Ci aveva impiegato quasi un’ora
nonostante la sua
prestanza fisica, per attraversare quanto richiesto; almeno aveva
potuto godere
di un giro panoramico della città, non era mai stato a
Boston prima di quel
momento. Lupa aveva fatto tante raccomandazioni a Jason, che erano
andate ad
accrescersi a Nuova Roma: evita New York, evita Boston, evita
Memphis.
Immaginava che fosse per non turbare le sedi principali degli
altri
pantheon.
Jason seppe doveva dovesse
andare, ancora
prima ancora di raggiungere il corrispettivo del cerchio rosso sulla
mappa.
Era una maggiore di dimensioni notevoli, in mattoncini scuri,
evidenziate anche
dalla presenza di gargoyles sui doccioni agli angoli del tetto. Con
finestre a vasistas
colorate, con rifiniture in legno.
L’ingresso era composto da una larga scalinata in marmo,
composta di pochi
gradini.
Ma ciò che la rendeva più che riconoscibile,
prima ancora della sua imponenza,
era la moltitudine di giovani ragazzi che affollavano
l’ingresso.
E dal cartello lì, sul ciglio della strada, che a caratteri
cubitali recitava: Spazio
Chase.
Nel momento in cui aveva letto quelle parole, aveva ricordato le
lamentele a
denti stretti, della mattina stessa, che Astrid aveva fatto in
ascensore: Casa-Chase.
Chase.
Poteva essere una coincidenza?
[1]
The Terminal
Beach è una raccolta di racconti di Ballard, Kymopoleia fa
riferimento in particolare
alla novella The Drowen Giant.
[2]
In
Magnus Chase, Thor ha tatuato sulle nocche i nomi di Modi e Magni (che
avrà tre
anni quando avverrà il Ragnarok, perciò al
momento non è ancora nato).
[3]
È una
dea ctonia/ninfa figlia di Persefone con Ade e Zeus. Sì non
O Ade O Zeus ma
entrambi (NON VOGLIO SAPERE LALALA).
[4]
EHEHEH; non
ho intenzione di riportare la traduzione, o la corretta scrittura se
aveste
voglia di impegnarvi a tradurla (così
c’è anche il livello di trascrivere la
grafia giusta in base alla fonetica). Se conoscete il greco e/o il
passo,
sapete cosa dice. E vai di teorie!
Ringraziamo Saeko_san per la trascrizione fonetica. Che ormai non fa
neanche
più domande quando arrivano le mie strane richieste.