Ephialtes
incubo
L’estate passa lentamente, giorno dopo giorno, sempre uguale.
Ogni pomeriggio lui e
Albus si sfiniscono nel delineare progetti di immortalità e
rivoluzione,
Gellert sogna campi di battaglia lordi di sangue e una pace infinita,
Albus una
pietra che gli cavi dal cuore quel fardello che lo fa sprofondare.
Ad ogni tramonto, lo
straniero guarda quella bambina spezzata massacrare i fiori e le parla,
fino a
farsi dolere la gola – e ogni notte, sempre di più, si consuma tra
le
braccia di quel fratello che non la ama affatto, ma la sua fame non si
placa
nemmeno un po’.
Sono le tre di una notte vibrante di incubi, quando Gellert si solleva
di
scatto dal groviglio di lenzuola in cui giacciono entrambi – nella
penombra
della stanza il corpo bianco di Albus è un sudario che gli ricorda i
suoi
peccati (sbagliato è il corpo sbagliato), ma lui chiude gli occhi, pur
di non
vedere (non posso rinunciare a te non posso perderti è sbagliato ma non
posso chissà
se è questo il senso dell’amore).
Si alza, infilandosi qualcosa addosso senza nemmeno badarci – è l’odore
di lui
quello che gli pizzica il naso, non può fare a meno di sorridere, un
sorriso
amaro come veleno, stringendo la stoffa della camicia del suo unico
amico tra
le dita.
“Dove vai?”
La voce di Albus è impastata, è assonnato, le sue ciglia ramate
sfarfallano.
Gellert si china su di lui e gli sigilla le palpebre con un bacio.
“Ho solo sete, meine liebe. Continua a dormire i tuoi sogni
incantati,
torno subito.”
Albus sorride, prima di ricadere sui guanciali, pacifico – il
dolore nel
guardarlo è quasi insopportabile (perché non posso strapparti l’anima e
portarla altrove), lo straniero lo sfiora un’ultima volta e si dilegua
nel
corridoio.
Nel bagno la luce è fioca. Beve l’acqua direttamente dal rubinetto,
evitando di incrociare il proprio sguardo nello specchio – ci
troverebbe solo
incubi, niente risate, solo urla, niente sogni.
Ha la gola riarsa, i suoi stessi pensieri, impazziti, lo
disturbano, sono
peggio di una tortura. I suoi occhi cadono sempre più spesso
sulla porta
della stanza di lei, a pochi passi di distanza.
È solo un maledetto
incubo, quello in cui è precipitato – Albus, Ariana, l’anima giusta
nel
corpo sbagliato, lei che è perduta, soltanto perduta.
Gellert sa di doversi fermare (ma non lo fa), spegne la
luce e
scivola nel corridoio denso di ombre, silenzioso come un gatto. I
cardini
nemmeno cigolano, in quella casa vecchia in cui tutto produce schiocchi
e
fruscii, quando schiude l’uscio e si infila nella camera della
ragazzina.
Lei dorme, riversa nel letto in una camiciola d’un azzurro spento. Sta
sognando, il suo viso pallido è contratto in un’espressione tesa,
sofferente –
le sue labbra articolano, fioche, quei gemiti metà singhiozzi metà
sussurri.
Non dorme
bene, ma lo
straniero non se ne stupisce. Lei non parla più e non sogna più –
solo
gemiti, solo incubi.
Sa che sta sbagliando (Albus è di là che ti aspetta torna da
lui fermati
fermati fermati), ma le si avvicina ugualmente. Si siede sulla
sponda del
letto ed esita appena, ma alla fine cala una mano su di lei e le sfiora
una
spalla, scuotendola delicatamente.
Ariana si sveglia, rabbrividendo appena. I suoi occhi azzurri sono,
come sempre,
altrove; vagano per la stanza per qualche secondo, prima di orientarsi
su di
lui.
Lui le accarezza appena il viso, lei si lascia toccare come se neanche
se ne
accorgesse – ma lui sa che non è così.
“Stavi facendo un incubo, vero, mio fiore divelto?”
Lei sbatte appena le palpebre, muovendo la testa sul cuscino per
inseguire
quelle dita che la sfiorano pianissimo, sul mento, lungo il profilo
della gola –
lo straniero sa che potrebbe fare qualsiasi cosa (lei non parla mai lei
non
griderà non dirà una parola non si lascerà sfuggire nemmeno un urlo),
ma la
repulsione e il dolore gli frustrano le mani (sei rotta bambina mia
un’anima spaccata
in un corpo bellissimo).
Le sue dita accarezzano appena la camicia da notte di seta, avverte
il
rilievo delle costole sotto la stoffa. Il respiro di lei si affanna,
lui ha le
labbra così secche che gli fanno male anche solo nello schiuderle per
sospirare.
Lo straniero la sfiora con gesti misurati d’equilibri infranti – la
pelle
delle sue gambe è freddissima, la tensione di quel momento morboso lo
sta
facendo impazzire (chissà di che colore porti le mutandine mio fiore in
rovina), non lo farà, sa che non lo farà (per te Albus per te e la tua
anima
giusta nel corpo sbagliato), ma vederla contorcersi sul letto gli fa
desiderare
di non aver mai lasciato la Germania (lei non c’è lei è rotta e basta e
sarebbe
un gesto mostruoso sarebbe mostruoso ma bellissimo).
Gellert solleva di scatto le mani dalle sue cosce bianche e si ritrae.
È
cosparso di brividi e palpiti indesiderati, il respiro di lei così
affannato lo
convince quasi a tornare indietro, non riesce nemmeno a guardarla.
Si copre il volto, non lo stupisce affatto sentire i polsi tremare. È
tutto sbagliato.
Lei si lascia sfuggire uno di quei gemiti da incubo che lo
straniero
ricorderà finché vive, e così si volta a guardarla. Lo sta osservando,
e forse
sono le ombre, forse è la sua immaginazione, ma c’è una consapevolezza
sconosciuta in quegli occhi vacui.
Gellert sa di sbagliare (ma non si ferma) quando precipita con
le labbra
contro quella bocca schiusa, quando le strappa quel bacio goffo,
surreale, impossibile
– e lei geme contro i suoi denti e vibra d’una melodia che non ha
niente a che
fare con i narcisi che danzavano nel cielo e le risa stridenti e le
grida di
quel giorno in cui tutto s’è interrotto, Gellert le posa un bacio sul
collo e i
fiori sbocciano, strangolati nel buio.
Lo straniero si solleva da quel letto prima di smarrire qualsiasi
controllo
e si allontana da lei, quasi collassa contro lo stipite della porta.
Si volta a guardarla solo un’ultima volta.
“Tuo fratello manca di fede. Gli dimostrerò che tutto è possibile. Che tu
sei possibile, mio fiore spezzato.”
Note dell’Autrice
Ed
eccoci a quello che è forse il mio
capitolo preferito di tutta la storia! Spero piaccia anche a voi.
Mi è uscito morbosetto, potevo esagerare di più, ma sarei andata contro
la mia
idea del personaggio. A questo proposito, volevo specificare che quando
scrivo
che a Gellert “la repulsione e il dolore frustano le mani”, intendo che
non
prova repulsione per lei, ma per la sua situazione e perché andare
oltre sarebbe,
a tutti gli effetti, un approfittarsene, un abuso.
“Meine liebe” dovrebbe significare “Amore mio”, secondo la mia
scarsissima
conoscenza del tedesco.
Fatemi sapere se vi è piaciuto!
Mary