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Autore: Mary Black    22/10/2021    1 recensioni
Lo straniero dagli occhi verdi ricorda perfettamente la prima volta in cui l’ha vista – abbandonata sul prato, il vestito bianco schiuso come una corolla attorno alle gambe snelle, il grembo inondato di fiori, le dita graffiate.
Il suo nuovo amico, il vicino dalla mente acuta e i capelli ramati, si torce le mani al suo fianco. Quel fratello solitario che si ritrova ha un’espressione ostile incisa nei lineamenti duri e macina disprezzo ad ogni sbuffo. [...]
Lei sospira. Un respiro svagato, un po’ tremulo. Le sue ciglia dorate sbattono piano, il sole le fa scintillare.
Le sue dita sottili si adoperano, ostinate, attorno ai fiori. Scivolano, impacciate, sgraziate, su una corona di petali sgualciti. Perdono il filo e ricominciano, instancabili – lui si chiede se lei non stia semplicemente cercando di ricordare, ricordare come si fa a intrecciare i fiori, ricordare come si fa a ritrovare la strada in una realtà fatta di riverberi infiniti e fruscii di narcisi bianchi.
[Gellert/Ariana, Gellert/Albus]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Ariana Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Ephialtes
incubo


L’estate passa lentamente, giorno dopo giorno, sempre uguale.
Ogni pomeriggio lui e Albus si sfiniscono nel delineare progetti di immortalità e rivoluzione, Gellert sogna campi di battaglia lordi di sangue e una pace infinita, Albus una pietra che gli cavi dal cuore quel fardello che lo fa sprofondare.
Ad ogni tramonto, lo straniero guarda quella bambina spezzata massacrare i fiori e le parla, fino a farsi dolere la gola – e ogni notte, sempre di più, si consuma tra le braccia di quel fratello che non la ama affatto, ma la sua fame non si placa nemmeno un po’.
Sono le tre di una notte vibrante di incubi, quando Gellert si solleva di scatto dal groviglio di lenzuola in cui giacciono entrambi – nella penombra della stanza il corpo bianco di Albus è un sudario che gli ricorda i suoi peccati (sbagliato è il corpo sbagliato), ma lui chiude gli occhi, pur di non vedere (non posso rinunciare a te non posso perderti è sbagliato ma non posso chissà se è questo il senso dell’amore).
Si alza, infilandosi qualcosa addosso senza nemmeno badarci – è l’odore di lui quello che gli pizzica il naso, non può fare a meno di sorridere, un sorriso amaro come veleno, stringendo la stoffa della camicia del suo unico amico tra le dita.
“Dove vai?”
La voce di Albus è impastata, è assonnato, le sue ciglia ramate sfarfallano. Gellert si china su di lui e gli sigilla le palpebre con un bacio.
“Ho solo sete, meine liebe. Continua a dormire i tuoi sogni incantati, torno subito.”
Albus sorride, prima di ricadere sui guanciali, pacifico – il dolore nel guardarlo è quasi insopportabile (perché non posso strapparti l’anima e portarla altrove), lo straniero lo sfiora un’ultima volta e si dilegua nel corridoio.
Nel bagno la luce è fioca. Beve l’acqua direttamente dal rubinetto, evitando di incrociare il proprio sguardo nello specchio – ci troverebbe solo incubi, niente risate, solo urla, niente sogni.
Ha la gola riarsa, i suoi stessi pensieri, impazziti, lo disturbano, sono peggio di una tortura. I suoi occhi cadono sempre più spesso sulla porta della stanza di lei, a pochi passi di distanza.
È solo un maledetto incubo, quello in cui è precipitato – Albus, Ariana, l’anima giusta nel corpo sbagliato, lei che è perduta, soltanto perduta.
Gellert sa di doversi fermare (ma non lo fa), spegne la luce e scivola nel corridoio denso di ombre, silenzioso come un gatto. I cardini nemmeno cigolano, in quella casa vecchia in cui tutto produce schiocchi e fruscii, quando schiude l’uscio e si infila nella camera della ragazzina.
Lei dorme, riversa nel letto in una camiciola d’un azzurro spento. Sta sognando, il suo viso pallido è contratto in un’espressione tesa, sofferente – le sue labbra articolano, fioche, quei gemiti metà singhiozzi metà sussurri.

Non dorme bene, ma lo straniero non se ne stupisce. Lei non parla più e non sogna più – solo gemiti, solo incubi.
Sa che sta sbagliando (Albus è di là che ti aspetta torna da lui fermati fermati fermati), ma le si avvicina ugualmente. Si siede sulla sponda del letto ed esita appena, ma alla fine cala una mano su di lei e le sfiora una spalla, scuotendola delicatamente.
Ariana si sveglia, rabbrividendo appena. I suoi occhi azzurri sono, come sempre, altrove; vagano per la stanza per qualche secondo, prima di orientarsi su di lui.
Lui le accarezza appena il viso, lei si lascia toccare come se neanche se ne accorgesse – ma lui sa che non è così.
“Stavi facendo un incubo, vero, mio fiore divelto?”
Lei sbatte appena le palpebre, muovendo la testa sul cuscino per inseguire quelle dita che la sfiorano pianissimo, sul mento, lungo il profilo della gola – lo straniero sa che potrebbe fare qualsiasi cosa (lei non parla mai lei non griderà non dirà una parola non si lascerà sfuggire nemmeno un urlo), ma la repulsione e il dolore gli frustrano le mani (sei rotta bambina mia un’anima spaccata in un corpo bellissimo).
Le sue dita accarezzano appena la camicia da notte di seta, avverte il rilievo delle costole sotto la stoffa. Il respiro di lei si affanna, lui ha le labbra così secche che gli fanno male anche solo nello schiuderle per sospirare.
Lo straniero la sfiora con gesti misurati d’equilibri infranti – la pelle delle sue gambe è freddissima, la tensione di quel momento morboso lo sta facendo impazzire (chissà di che colore porti le mutandine mio fiore in rovina), non lo farà, sa che non lo farà (per te Albus per te e la tua anima giusta nel corpo sbagliato), ma vederla contorcersi sul letto gli fa desiderare di non aver mai lasciato la Germania (lei non c’è lei è rotta e basta e sarebbe un gesto mostruoso sarebbe mostruoso ma bellissimo).
Gellert solleva di scatto le mani dalle sue cosce bianche e si ritrae. È cosparso di brividi e palpiti indesiderati, il respiro di lei così affannato lo convince quasi a tornare indietro, non riesce nemmeno a guardarla.
Si copre il volto, non lo stupisce affatto sentire i polsi tremare. È tutto sbagliato.
Lei si lascia sfuggire uno di quei gemiti da incubo che lo straniero ricorderà finché vive, e così si volta a guardarla. Lo sta osservando, e forse sono le ombre, forse è la sua immaginazione, ma c’è una consapevolezza sconosciuta in quegli occhi vacui.
Gellert sa di sbagliare (ma non si ferma) quando precipita con le labbra contro quella bocca schiusa, quando le strappa quel bacio goffo, surreale, impossibile – e lei geme contro i suoi denti e vibra d’una melodia che non ha niente a che fare con i narcisi che danzavano nel cielo e le risa stridenti e le grida di quel giorno in cui tutto s’è interrotto, Gellert le posa un bacio sul collo e i fiori sbocciano, strangolati nel buio.
Lo straniero si solleva da quel letto prima di smarrire qualsiasi controllo e si allontana da lei, quasi collassa contro lo stipite della porta.
Si volta a guardarla solo un’ultima volta.
“Tuo fratello manca di fede. Gli dimostrerò che tutto è possibile. Che tu sei possibile, mio fiore spezzato.”

 

 

 

Note dell’Autrice
Ed eccoci a quello che è forse il mio capitolo preferito di tutta la storia! Spero piaccia anche a voi.
Mi è uscito morbosetto, potevo esagerare di più, ma sarei andata contro la mia idea del personaggio. A questo proposito, volevo specificare che quando scrivo che a Gellert “la repulsione e il dolore frustano le mani”, intendo che non prova repulsione per lei, ma per la sua situazione e perché andare oltre sarebbe, a tutti gli effetti, un approfittarsene, un abuso.
“Meine liebe” dovrebbe significare “Amore mio”, secondo la mia scarsissima conoscenza del tedesco.
Fatemi sapere se vi è piaciuto!

Mary

 

 

  
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