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Autore: RLandH    23/10/2021    2 recensioni
[Spoiler! uno, ma bello grosso, su TOA, qualcosa su MC&TGoA| Crossover con Magnus Chase| What If]
Mi sentivo di essere pronta a fare un tributo a Jason Grace.
“Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Genere: Avventura, Commedia, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cimopolea, Jason Grace, Magnus Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Percy Jackson in The Multiverse'
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ALLORA ALLORA, nessun disegno bello questa volta (sto decidendo se farvi Madina o Jarnsaxa).
Cosa posso dire di questo capitolo?
CHIACCHIERE, ma si entra nel vivo, circa. La verità è che questo capitolo doveva essere spaccato a metà ed accorpato una parte allo scorso ed una parte al prossimo.
MA SONO PROLISSA.
Comunque, se vi chiedete il perché, di una scena, la risposta è contenuta nel primo romanzo della casa di Magnus Chase:
Hearthstone passes out even more than Jason Grace (tough i have no idea who that is)”, che è anche il momento per cui ho pensato a questa ff.
Sarò onesta, fino a prima dell’ultima di TOA ero davvero convinta che Jason sarebbe finito al Valhalla.
MA ECCO a che servono le ff, no?
Vorrei ringraziare chi legge, chi segue/preferisce/ricorda ed ovviamente chi legge.
Grazie Farkas; grazie Edoardo811.
Spero possiate apprezzare questo capitolo,
un bacio
RLandH

 

Il Barbaro

 

Astrid aveva fatto la sua comparsa mentre scendeva da una vertiginosa scala a chioccia, in pantaloni morbidi e maglietta dell’hotel, sprovvista della sua pelliccia, appariva incredibilmente attuale. Con le trecce sottili, i pantaloni morbidi e la t-shirt, Astrid sembrava una ordinaria ragazza degli anni duemila, di origini miste, con una chiara discendenza nativa. Qualcosa di assolutamente ordinario, nel senso positivo del termine.
I capelli erano un po’ arruffati, ma mentre portava giù grossi scatoloni non sembrava particolarmente provata dalla fatica, doveva essere un’altra gentile conseguenza della non-morte.
“Oh! Ciao Jason!” aveva dichiarato lei, notandolo sul fondo della scala, “Hai già finito con i piani malefici con zia Trudy?” aveva chiesto poi.
“Così pare. Per oggi” aveva risposto lui, allungando le braccia per raccogliere lo scatolone, ma Astrid l’aveva ignorato a pie pari, percorrendo gli ultimi gradini e superandolo, per dirigersi verso il soggiorno, “Spero non stia combinando niente di troppo pericoloso” aveva valutato la giovane guerriera.
Jason si era aggiustato gli occhiali, tremolante, “Non ti preoccupare” le aveva detto, cercando di rassicurarla.
“Menti proprio male, sai?” aveva risposto Astrid, posando lo scatolone al centro della stanza.
C’erano una serie di diviani, sistemati in due L affrontate, che creavano un rettangolo nella stanza, intorno erano pieni di scaffali, con tazze, posate e quant’altro, c’era anche un sacco di poster che andavano da nomi di bad, incontri a messaggi propositivi.
“Carico di libri!” aveva dichiarato Astrid, attirando l’attenzione di tutti.
Dei ragazzini sui dodici e tredici anni si erano subito fiondati, non aspettando che la guerriera aprisse la scatola.
“Come piccoli piranha” aveva dichiarato Jason, osservando i ragazzini. Giovani come i bambini che venivano riconosciuti al campo e come quelli costretti al primo anno di prova a Roma, più magri e grigi, con occhi grandi e spaventati.
“Cos’è questo? Una specie di campo per semidei norreni?” aveva chiesto subito Jason. Astrid lo aveva guardato parecchio stupida, “No? Che idea bislacca!” aveva dichiarato, “No, questo è un rifugio per ragazzi senza tetto” aveva dichiarato Astrid, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.
Jason aveva annuito, anche se animato da una certa perplessità.
“È stata un’idea di Magnus e Alex, quando erano ancora in vita, vivevano come barboni, il che è parecchio strano considerando che questa magione era di Magnus” aveva spiegato poi Astrid, “Onestamente il loro pensiero è stato comunque molto carino, se ci rifletto. Avevo un amico che ne avrebbe giovato parecchio da vivo, di un posto del genere, ma ai miei tempi dormire sotto il cielo con un occhio aperto, sperando non ti uccidessero nel sogno era abbastanza comune” aveva aggiunto la guerriera.
Jason l’aveva guardata, “So, cosa si prova” aveva dichiarato alla fine.
Non era mai stato senza un tetto, per quanto non avesse mai trovato un luogo da chiamare casa, ma era stato un semidio, dove anche a Nuova Roma non aveva mai trovato pace.
Non esisteva tranquillità per loro, neanche da morti.
“Ti prego ricordati che sei un ragazzo ordinario” aveva sottolineato Astrid.
Magnus si era affacciato verso di loro, aveva un espressione cotta, mentre stava distribuendo da una cesta delle sciarpe.
Aveva salutato Jason facendo oscillare i capelli biondi, “Ehi là! Sei venuto a dare una mano ad Astrid?” aveva inquisito proprio il padrone di casa.
“No, è venuto a prendermi. Il piano venti senza di me è perduto” lo aveva anticipato la guerriera, con espressione inflessibile.
Un ragazzino di dodici anni si era avvicinato furtivo ed aveva rubato un paio di sciarpe dalla cesta di Magnus, che non ci aveva dato troppo peso.
Erano fatte a maglia, di quella lana grezza tremendamente urticante, anche solo per guardarla, di colori sgargianti. “Non sono opera di Blitz, vero?” aveva chiesto con un tenue paura Astrid, ammiccando proprio agli indumenti.
“Oh, no, le ha spedite qui mio zio, sua moglie le ha fatte lei. Ha imparato a fare la maglia, così mi ha detto mia cugina” aveva spiegato Magnus.
“Direi che ‘imparato a fare’ sia molto generosa come definizione” aveva dichiarato Astrid, mordace. Jason invece aveva battuto le ciglia, realizzando quell’informazione, “Sei … sei ancora in contatto con la tua famiglia?” aveva chiesto, stupito.
Magnus aveva scosso il capo, “Complicato. La zia che ha fatto questo non la ho mai vista, per lei e per mio zio, il fratello di mia madre, pensa che io sia morto … cioè sono morto, ma pensa che sia morto-morto. Ho contatti solo con mia cugina, ma perché il tragico giorno del mio funerale la ho incontrata, quindi era un po’ difficile, ecco, inventare una scusa plausibile” aveva raccontato Magnus.
“Lei tiene il segreto?” aveva chiesto Jason.
“Ne ha anche lei. Abbiamo trovato un terreno comune ed un’ottima amicizia” aveva dichiarato Magnus, il suo tono era pieno d’amore, ma anche tristezza e nostalgia, un tono che Jason conosceva bene, perché lo usava anche lui, quando parlava o pensava a Thalia.
Dedizione ed amore, ma anche rimpianto per il tempo perso.
“Legalmente questo posto è suo, sia la casa, sia il centro, i suoi genitori pensano che qui ci siano dei collaboratori. Parlano con Alex per lo più” aveva spiegato Magnus.
Jason aveva annuito.
Aveva una sola domanda da fargli. Sembrava anche un’ottima domanda, ricollegando le informazioni che aveva raccolto nella sua vita.
Chase.
Magnus aveva una cugina con dei segreti. Annabeth aveva sviluppato un interesse per la mitologia norrena negli ultimi tempi.
Prima che potesse porre la domanda, però il giovane guerriero del Valhalla lo aveva invitato a fare un giro.
Jason si era lasciato trascinare.

Lo Spazio Chase era grande.
La sua grandezza gli permetteva di ospitare un numero di persone abbastanza numeroso, cosa che non avrebbe dovuto essere poi granché positiva – faceva quasi impressione quanti ragazzi vivessero per strada.
“Non riusciamo a convincere tutti a venire, o oppure tornare a scuola o … non so è complicato. Almeno qui hanno un pasto ed un letto, l’inverno dormire fuori è letale. Se non fossi morto come sono morto probabilmente sarei morto assiderato” aveva raccontato Magnus, lo aveva fatto con la stessa tranquillità di come avrebbe commentato il sole.
Jason era rimasto interdetto: Magnus era il proprietario di una villa, ma viveva per strada …
“Come sei morto? Se posso chiederlo. Non so come funziona l’etichetta?” aveva valutato Jason.
“Oh, be, tre quarti degli abitanti del Valhalla sono felicissimi di raccontare della loro gloriosa morte, gli altri sono persone normali. La mia morte ha fatto parecchio schifo: era coinvolta una palla di fuoco, un arco da cupido giocatolo e Jack” aveva raccontato Magnus, cercando di forzare un sorriso che non era arrivato agli occhi grigi.
“Oh” aveva dichiarato Jason, “E già. Pensa che avevano mano messo la telecamera di Sam, quindi si è vista una versione anche più imbarazzante. Grazie, Jason, mi hai salvato dalla Presentazione Più Pittoresca di questo secolo” aveva aggiunto Magnus, sorridendo in maniera più sincera.
“Merito di Thrud” aveva provato Jason, incerto. “A proposito della tua valchiria, Halfborn mi ha detto che non si palesava con un anima da secoli e perfino Sam, che è una sua compagna, si è dichiarata parecchio stupita, Thrud sta spesso da sola” aveva raccontato Magnus.
Si era fermato davanti ad una porta.
All’interno della stanza dove si erano fermati, Alex regnava come una maestà. Indossava una gonna rosa, con del pizzo sull’orlo verde pistacchio, in tinta con un maglioncino[1]; stava lavorando con un tornio a pedale, mentre modellava a mani nude dell’argilla ancora morbida.
Davanti ad Alex, c’era un gruppo di giovani ragazzini, che andavano dai dieci a diciassette anni, esigui, che tentavo la stessa impresa, con molta meno convinzione e maestria.
“Alex adora … modellare” aveva dichiarato Magnus pieno d’orgoglio.
“Posso fare una domanda … indelicata?” aveva chiesto Jason.
Magnus si era voltato verso di lui, perdendo di vista il suo amore, per sorridere sornione, “Al momento è una ragazza, dopo potrebbe non esserlo. Chiedile sempre come vuole essere chiamarla e rispetta quello che ti dice, consiglio spassionato, se non vuoi che ti decapiti” aveva risposto Magnus, anticipando la domanda di Jason.
Sì, avrebbe voluto chiederli del genere della sua compagna, lo confondeva infinitamente e non voleva … sbagliare.
Era comunque arrossito per la sua ingenuità, “Io … va bene” aveva dichiarato alla fine Jason.
Alex cambiava fisicamente? Cambiava animo? Era importante in fin dei conti?
“Non essere imbarazzato, lei non ama parlarne particolarmente, non per vergogna, ma perché si è stufata parecchio; però … ecco, non ha problemi a spiegare a chi vuole imparare” aveva sottolineato Magnus, studiandolo, con gli occhi grigi, attento.
In quel momento Jason era stato certo, che dovesse avere qualcosa a che fare con Annabeth.
“Se stai pensando che potrei avere pregiudizi? Non è il caso, con la mia famiglia non è il caso” aveva dichiarato alla fine Jason, con tranquillità.
Pensando a suo padre e le sue infinite stranezze.
Magnus aveva sorriso compiaciuto e poi era tornato a guardare la sua ragazza.
Alex stava spiegando come mettere le mani ad un ragazzo, con una certa irruenza, di chi non era molto pratico con la calma, però muoveva le dita precise ed attenta, sotto le sue mani, l’argilla si modellava come … be, argilla.
Era brava Alex, contava solo quello, stava creando un alabastron[2] dal corpo allungato, con una terra di un rosso aranciato.
Brava, brava davvero. A Nuova Roma esistevano dei vasai, fuori dal Campo di Giove, uno dei mezzi di sostentamento – e pochi contatti con l’esterno – era direzionato proprio nella vendita di vasellame. Sia nuovo sia antico, esistevano figli di Trivia capaci di incantare gli oggetti con così tanta maestria da farli apparire come vasi di epoca romana; erano gli incubo di tutti gli autenticatori del mondo.
Alex avrebbe superato anche i migliori, realizzava …
Ebbe un’idea. Stupida, ma un’idea.
“Fa … ehm … solo vasi?” aveva chiesto Jason a Magnus. “No, i vasi sono la cosa che le piace di più, ma non fa solo vasi” aveva risposto, “Però, ecco, si puoi chiederlo a lei, no. Alex è capacissima di rispondere” aveva cinguettato Magnus.
Jason aveva annuito.
Nonostante la promessa che aveva fatto a Kymopoleia, Jason non sapeva come si realizzasse un action figure, però sapeva come si faceva un votivo – sperava che alla dea delle tempeste andasse bene, ugualmente.

 

“Andiamo a mangiare dei falafel” quella di Magnus Chase non era stata una domanda, quando un’affermazione, “Il mio amico Amir fa i migliori della città” aveva aggiunto propositivo.
Jason era seduto su un divano che stava spiegando ad Alex Fierro – quello era il suo cognome – la sua proposta; la ragazza sembrava intrigata, “Aspetta, Mango: gli adulti stanno discutendo” aveva dichiarato lei. “Senti, amico, perché non mi fai un disegno di come vuoi questa statuina? Così non sbaglio. Cioè non fraintendere, verrebbe probabilmente più bella, ma sembri tenerci proprio ai dettagli” aveva dichiarato con tranquillità Alex, infilando una ciocca di capelli verdi dietro l’orecchio.
“Falafel?” aveva proposto Magnus, questa volta, ammiccando ad Astrid che sosteneva una cesta piena di prodotti per la pulizia. “Uhm … verdura contro stufato di maiale, sono già morta Magnus Chase, non infierire su di me. Poi devo andare a ritirare la mia pelliccia da Blitz; come se avessi accettato” aveva dichiarato Astrid, volgendo gli occhi chiari verso Jason.
“Sì, certo, ti farò un disegno. Faccio schifo con le figure umane e so fare solo disegno tecnico ma posso provarci” aveva detto Jason, prima di notare lo sguardo affilato di Astrid su di lui.
Jason lo riconosceva.
“Io … ehm … la mia fidanzata era vegetariana, quindi, ecco, sì per un po’ sto riscoprendo la natura cacciatrice in me” aveva dichiarato Jason, osservando l’espressione delusa formarsi sul viso di Magnus. “Tranquillo, Mango, ti accompagno io” aveva cinguettato Alex.
Il sorriso era tornato a splendere sul viso dell’altro ragazzo, se fosse stato un mezzosangue della sua ‘parte di mondo’, Jason avrebbe immaginato fosse un figlio di Apollo.
“Bene, io ho pulito tutti i bagni di questa magione. Sette, a chi servono, sette bagni?” aveva chiesto retorica Astrid, posando il secchio per terra.
“La famiglia Chase era molto numerosa un tempo” aveva dichiarato Magnus, il suo tono di voce era allegro, ma la felicità non aveva raggiunto gli occhi. Astrid doveva averlo capito perché non aveva fatto altre battutte, “Ci vediamo domani” aveva dichiarato la guerriera, “Tornate?” aveva chiesto Magnus guardando sia Astrid sia Jason.
“Uhm … sì?” aveva provato Jason, confuso; “Lo ho promesso a Blitz, quindi sì, per una settimana ci sono” aveva dichiarato Astrid con fermezza.
Magnus aveva annuito, “Allora ci mettiamo d’accordo per farti fare un turno di notte. Di solito viene un adulto dai servizi sociali oppure Blitz o Heartstone, ma ogni tanto sta uno di noi” aveva dichiarato l’einherjar. “Non vedo l’ora” aveva dichiarato Astrid, poco convinta.

 

“La tua pelliccia?” aveva dichiarato Jason, mentre osservava la giovane abbandonare il manor, con le trecce al vento lungo la schiena, senza la casula di pelliccia. Indossava una sacca di pezza legata di traverso sul busto. “Uhm … lo ho data ad un ragazzo, che probabilmente cercherà di venderla per comprarsi della droga – si usa ancora in questi tempi, come negli anni ottanta?” aveva risposto Astrid.
“Credo di sì, non so, non frequentavo molto … la vita mondana?” aveva risposto incerto Jason.
Astrid non aveva fatto una piega, “Comunque non vale niente, la pelliccia è rovinata ed acconciata male, per questo preferisco l’altra. Non ha neanche valore nell’essere vecchia di mille anni – nel Valhalla si conserva tutto come nuovo” aveva dichiarato lei, mentre scendeva gli ultimi gradini del patio di ingresso dello Spazio Chase.
Qualche ragazzo che si attardava fuori, ancora, al calar del tramonto li aveva guardati ancora.
“Perché non volevi che restassi con Magnus?” aveva chiesto Jason, raggiungendola.
“Perché tu sei tremendamente ovvio e lui è un ragazzo … be, lui è sensibile ed Alex è sveglia” aveva dichiarato Astrid con assoluta calma.
Lui aveva sentito la vergogna attraversarlo.
“Giusto, ho preso queste cose per te dalla biblioteca della casa” aveva dichiarato Astrid poi, mettendo una mano dentro la sacca di pezza, tirando fuori dei libri.
Li aveva porti verso Jason; e lui aveva sorriso al gesto.
“Grazie” aveva detto prendendo i libri, con gentilezza. Erano due, uno era di una dimensione notevole, l’altro era un po’ più affrontabile. “Edda Poetica e Edda In Prosa” aveva letto.
“Tutto quello che hai bisogno di sapere sul mondo e la poetica norrena” aveva dichiarato Astrid, mentre imboccava la strada, Jason l’aveva affiancata.
“Oh! Questo mi ricorda che ho conosciuto Bragi” aveva dichiarato Jason.
“Mi è molto simpatico, a volte è un po’ pedante, però riesce a rendere interessante la poesia. Ha scritto lui l’Edda Poetica anche se i mortali non ne hanno idea. Pensano siano una semplice raccolta di miti” aveva raccontato Astrid.
Jason aveva annuito ed aveva osservato i libri, erano belli, appartenevano alla stessa collezione, uno era rilegato in una copertina rigida rossa e l’altro in una verde, sulle due copertine in tintura d’oro era scritto il nome dell’opera ed era raffigurato un albero, inscritto in un cerchio, su cui erano intessuti una fantasia di trecci viminei. Jason immaginava fosse una rappresentazione stereotipata dell’Yggdrasil.
Aveva osservato le edizioni, erano pregiate, curate, però anche di una certa età. Non così tanto antiche, ma abbastanza da essere più vecchie di Jason – più vecchie di quanto Jason sarebbe mai stato.
Aveva aggrottato le sopracciglia quando aveva letto il nome del curatore di quella edizione: M. Chase. Aveva aperto la prima pagina di uno dei due libri per cercare il nome completo e lo aveva trovato: Magni Robert Chase.
“Pensi che fosse il nonno di Magnus?” aveva chiesto Jason ad Astrid.
“Può darsi. Quella era casa sua prima” aveva replicato quell’altra, “Caso mai ti fossi dimenticata, oggi, lui non sapeva neanche il mio nome. Non siamo esattamente amici per la pelle” aveva aggiunto Astrid.
“Comunque grazie per i due libri. Ci metterò un po’ a mettermi in pari, sono dislessico, ma grazie” aveva dichiarato alla fine Jason, grato.
“Be, hai l’eternità. Non aspettarti che legga per te, però. Chiedi a Madina, lei adora fare queste cose” aveva dichiarato Astrid, nel farlo si era lasciata sfuggire un sorriso.
Jason l’aveva guardata.
“Sono un figlio di Giove” le aveva detto. “Pensa, io credevo Raijin[3]” aveva replicato Astrid per nulla stupita, con un sorriso sornione stavolta ben visibile sulle labbra, “Potevo anche essere un figlio di Perun, a quanto pare” aveva dichiarato Jason, non era sicuro che il dio in questione fosse un signore dei fulmini, ma in base a come la stessa Astrid aveva cercato di scaricare la colpa sul figlio di quell’ultimo dio, per il maltempo provocato da Zeus. “Troppo appariscente, fidati. Anche se ammetto che quando hai usato il vento ho pensato tu potessi essere un Uccello del Tuono[4]” aveva dichiarato Astrid, “Sono enormi uccelli con ali colorate che spostano il vento con le ali ed emettono saette dagli occhi. Mia madre spergiurava di averne visto qualcuno quando era giovane.” aveva aggiunto lei, con espressione pensosa, aveva rilassato la postura solo dopo ed aveva aggiunto: “Poi ho visto il tatuaggio” aveva stabilito, indicando l’avambraccio di Jason. Doveva trovare un modo per coprirlo, per evitare di scatenare su sé stessa l’ira funesta di un gladiatore cheruscio e perché il suo segreto doveva restare tale … o si sarebbe scatenata una guerra tra pantheon.
 “Immagino anche l’assenza di ali multicolore” aveva provato Jason. Astrid aveva ridacchiato, “Saprai abbastanza che gli dèi sono in grado di ottime messe in scena” aveva detto lei.
Jason l’aveva guardata, “Te lo ho detto perché non lo potrò più dire, per tanto tempo, forse per l’eternità. Ed insieme alla cicatrice che non ho più, essere figlio di Giove era una delle poche cose che … mi rendeva me. Ora sono un einherjar – e non sono neanche sicuro di poterlo pronunciare bene – in un mondo che non conosco” aveva buttato fuori.
Astrid lo aveva guardato, aveva allungato una mano e gli aveva accarezzato il viso, gentile, poi gli aveva anche pizzicato una guancia. “Non piangerti addosso, non sta bene ad un guerriero. Sei una skraeling come me. Ti abituerai” aveva detto lei, il suo tono era stato calmo, ma nel fondo Jason aveva percepito dolcezza.
“Vuol dire estraneo, vero?” aveva chiesto Jason.
“Oh, be, vuol dire: barbaro, in islandese[5]. I norvegesi di Groenlandia e Islanda[6] chiamavano così la gente di mia madre, i thule[7] – nessuna relazione con i nazisti misterici. Di rimando loro chiamavano la gente di mio padre kadvkunait, che era pressoché la stessa cosa, anche se alla fine è finito per diventare il termine ‘danesi’ per i groenlandesi il che è assurdo, perché non erano danesi” aveva raccontato lei con una punta di divertimento.
Astrid era una creatura a metà; un po’ come Piper.
Solo nata, probabilmente, quando i due popoli erano in guerra … la rappresentazione vivente di una convivenza che poteva esistere e che mai era avvenuta.
“Ieri mi hai chiamando così” aveva ricordato Jason. “Certo! Sei uno straniero bianco e biondo” lo aveva imbeccato lei.
Jason aveva riso.
Lo era.
Era uno straniero, più di quanto fosse mai stato.
“Senti, come dicono i Sioux: Non è come nasci, ma come muori, che  rivela a quale popolo appartieni” aveva esclamato Astrid.
Jason aveva sorriso, “E che si dica quel che si vuole, il Valhalla accettata tutti gli uomini coraggiosi[8]” aveva terminato lei.
Jason l’aveva guardata per un secondo, poi si era sporto per abbracciarla, aveva usato un braccio solo ed i due libri erano finiti per fare da scudo tra di loro.
Astrid era rimasta rigida, però aveva ricambiato poi.
Si erano staccati l’uno dall’altro abbastanza in fretta.
Lei era arrossita sulle guance e non riusciva a guardarlo negli occhi e Jason si sentiva a disagio.
“Per il resto non posso dirti altro, intendo su mio padre e la mia condizione, ma solo perché la situazione sarebbe così delirante da essere quasi imbarazzante” aveva ammesso Jason, grattandosi dietro la nuca, cercando di non far cadere le due Edda e tentando di eliminare l’atmosfera che era nata tra lui ed Astrid. Faceva ridere se ci pensava, ridere per isteria, era stato portato in una condizione di non morte, rischiando di scatenare una guerra tra pantheon, perché sua cugina voleva una action figure ed il diritto di ucciderlo alle sue condizioni.
“Immagino riguardi il votivo che vuoi far fare ad Alex” aveva considerato Astrid.
“Sì. Questo è un altro problema, nel senso, finché si tratta di progettare sono bravo, ma poi disegnare a mano, probabilmente farò un piccolo obbrobrio …” aveva aggiunto colmo di disagio.
Fortunatamente, Kym, lo avrebbe ucciso presto.
Astrid aveva chiuso gli occhi, quasi in contemplazione, “Sai … sai … potremmo … unire l’utile al dilettevole” aveva considerato lei, “Ma prima devo recuperare la mia pelliccia di Wapiti e progettare l’omicidio di Mel per vendetta” aveva aggiunto lei.

 

Astrid lo aveva condotto ad un bel negozio di abbigliamento, o così pareva dai vestiti dietro la vetrina, per quanto le luci fossero spente e la saracinesca d’ingresso abbassata.
Jason aveva indentificato delle sagome al suo interno.
La sua compagna si era messa a battere contro il vetro di una vetrina.
La porta si era aperta giusto un secondo dopo, rivelando un elfo, doveva esserlo, dall’incarnato chiaro come la carta lucida, gli occhi grigi, stanchi, e capelli chiarissimi. Rispetto l’elfo che lavorava al bar, quello che aveva davanti, aveva un aspetto più spento e terribilmente umano.
Era vestito anche in colori scuri, tranne che per una accesa sciarpa a doppio colore. “Oh! Tu non sei Blitz, sei Hearthstone, giusto? L’elfo stregone?” aveva domandato subito Astrid.
Quello li aveva guardato, aveva annuito poi. “Sono venuta a riprendere la mia pelliccia, da Blitz” aveva specificato Astrid, l’altro aveva annuito, aveva guardato Astrid ed aveva fatto una smorfia, frustrato, aveva anche sollevato gli occhi al cielo.
“Posso aspettare qui, se vuoi, mentre lo ehm … vai a chiamare” aveva detto la ragazza, ma Hearthstone si era fatto da parte e gli aveva lasciati entrare.
Il negozio non era molto grande, ma era interessante, da un lato c’erano vestiti casual, affrontato a quello, una parete di abiti lunghi da cerimonia, per uomini e donne.
La terza parete,  quella che si vedeva entrando dalla porta, esibiva un bancone, dietro al quale erano esposte cotte di maglia. Considerando che il resto dell’abbigliamento pareva molto mortale, era certo che quei particolari capi fossero occultati dalla foschia.
Sul bancone c’erano delle scatole di cibo cinese, non ancora aperto.
Hearthstone aveva chiuso la porta, a chiave, e si era congedato con un gesto della testa, aveva guardato con gentilezza ambedue, sebbene avesse trattenuto lo sguardo su Jason più del necessario.
Astrid lo aveva chiamato Elfo Stregone.
“Non parla?” aveva chiesto Jason.
Astrid aveva sollevato le spalle, “Può darsi, probabilmente … Mi pare di aver capito che non possa sentire, forse non può neanche parlare” aveva proposto lei.
Hearthstone era apparso di nuovo, da dietro una porta laterale, che Jason non aveva notato, ma era tornato tranquillo, seguito da un nano dall’incarnato scuro, con i capelli stretti in una serie di rasta a loro volta, costretti in una coda alta. Sfoggiava un completo gessato porpora molto evidente, ma sicuramente pregiato, mentre teneva tra le braccia la pelliccia di wapiti di Astrid.
Per essere un nano, non che Jason ne conosceva molti, poteva valutare che lo sconosciuto fosse incredibilmente proporzionato ed armonico.
“Oh! Giovane Astrid Figlia di Panikpak!” l’aveva salutata quello.
“Oh, rispettabile Blitz figlio di Freya” aveva ripiegato Astrid, prima di voltarsi verso Jason, “Lui è un nuovo acquisto, Jason figlio di …” aveva fatto una pausa la ragazza, guardandolo.
“Beryl” aveva dichiarato lui, seguendo il ragionamento.
“Nuovo amico del Valhalla?” aveva domandato Blitz, osservandolo. “Sì, piano venti, arrivato ieri” aveva spiegato Jason.
“Blitz invece è uno svartalfar, un elfo oscuro. Troverai tutto nell’Edda” aveva dichiarato Astrid, riferendosi a Jason.
Blitz aveva annuito, prima di chiamare Astrid con lui, per discutere di qualcosa relativa alla pelliccia ‘troppo preziosa per essere trattata così’. Lasciando Jason un po’ in disparte, con l’elfo Hearthstone che aveva preso una delle scatoline di cibo cinese, aveva allungato verso Jason, mostrando dei ravioli al vapore. Un’offerta.
“No, ma grazie mille” aveva detto Jason in imbarazzo.
L’altro aveva annuito, tornando a guardarlo, come se lo stesso valutando. Forse lo stava facendo.
Jason sapeva di fare una bella impressione, almeno era così quando era in vita.
“Ho qualcosa in faccia?” aveva chiesto alla fine Jason. L’elfo aveva scosso il capo in senso di diniego.
Astrid era tornata subito, rilassata ed allegra, mentre sfoggiava la sua pelliccia castano-dorata di Wapiti – sembrava molto più lucida e brillante di quanto avesse fatto il giorno passato, prima del suicidio di Mel con la forchetta; “Bene, ora che sono di nuovo completa, Jason Grace, ci aspetta del cinghiale e sidro!” aveva esclamato lei.

 

“Quindi quei due erano?” aveva chiesto curioso Jason, mentre si lasciavano il negozio alle spalle, “Non li troverai nelle Edda, ma sono due eroi. Hanno salvato il mondo. Blitz è il miglior stilista dei nove mondi e l’altro è un elfo stregone. Sono ammessi al Valhalla. Veramente a pochi vivi, fuori le valchirie, è concesso tale onore” aveva spiegato subito Astrid, mentre continuava a passare le mani sulla sua pelliccia. “Blitz ha detto che il modo di trattare la pelle e come ho fatto le cuciture è stato sublime” aveva aggiunto piena di soddisfazione la guerriera. “Questo è stato il primo lavoro che ho fatto completamente da sola, caccia all’animale incluso – mio padre forgiava il ferro, non aveva idea di come si tenesse un ago in mano” aveva raccontato.
Jason le aveva sorriso.
“Non ti ci vedo impiegata nelle opre femminili” aveva ammesso Jason.
“Certo; la gente quando pensa alle guerriere vichinghe pensa a tutte queste potenti virago. Non è sbagliato, esistevano valchirie e le mogli di lancia” aveva raccontato Astrid, “Ma io non ero ne l’una nell’altra, cioè sapevo cacciare e menare di spada, ma più per difesa che per vera passione” aveva dichiarato quella.
Jason aveva fatto schioccare le labbra, “Avrei giurato fossi autentico materiale da valchiria” aveva aggiunto. “Oh, be, nel corso dell’ultimo millennio, lo sono diventata, zia Thrud, Aslaug ed anche Guinilla mi avevano chiesto di unirmi, ma non fa per me. Non ho la pazienza di stare a raccogliere anime o a servire da bere” aveva raccontato Astrid.
“Nel nostro … il mio … nel pantheon greco romano abbiamo … le cacciatrici, sono un gruppo di guerriere immortali che accompagnano Artemide nella caccia e nelle battaglie” aveva raccontato Jason, non era sicuro di sapere perché.
“Lo so!” le aveva risposto Astrid, stupendolo, “Giro il mondo da un millennio e non lo ho passato confinato nella mia cameretta. Ho conosciuto una cacciatrice, fammi pensare, si chiamava Zoe Nighshade … credo, qualcosa come trecento o quattrocento anni fa, chi li conta più i secoli” aveva detto quella.
“Una cacciatrice, quello mi sarebbe piaciuto, ma ero decisamente inadatta” aveva aggiunto Astrid. “Giusto già morta” aveva commentato Jason. “Tra le altre cose” aveva risposto serafica Astrid.
Dopo il silenzio, non troppo lungo, prolungato e pesante, Jason aveva chiesto come sarebbero rientrati all’Hotel. “Dall’Ingresso. Non possiamo usarlo per uscire – senza previa autorizzazione di Odino, su richiesta delle Norne o affari del genere – ma possiamo rientrare senza problemi. Immaginalo come una prigione, a nessuno importa come entri ma solo come tenti di uscire” aveva raccontato Astrid, con divertimento.
Jason aveva sospirato, “Spero di abituarmi da qui a mille anni” aveva esclamato.

 

Jason aveva sentito che qualcosa sarebbe andato storto prima ancora che andasse. Non sapeva come classificare la sensazione, ma era stato certo che anche Astrid l’avesse sentita nel momento stesso in cui l’aveva percepita lui. Si era fermato d’improvviso attirato da qualcosa, un rumore, un’energia … era difficile da spiegare. “Possiamo far finta di niente” aveva suggerito Astrid.
Un uggiolato spaventato aveva attirato la loro attenzione, accompagnata da un urlo roborante: “Ti ho trovato”
Jason si era voltato verso la ragazza, “Non fa per me. Intendo, far finta di niente” aveva dichiarato Jason.
Tutti gli uomini coraggiosi” aveva borbottato Astrid. “Jason … se ti lanci in questa cosa e muori … sei morto” aveva specificato lei.
Jason le aveva sorriso, “Ho vissuto per quasi diciassette anni della mia vita così; mi è andata male una sola volta, in fondo” le aveva detto.
Astrid aveva sbuffato, “Solo oggi sei morto di stenti” aveva ricordato lei. Jason aveva seguito l’inquietante fonte di potere ed il vociare.
Oh te immonda bestia!” aveva esclamato ancora la voce.
Jason aveva riconosciuto chi era il proprietario. Era un uomo, anzi un ragazzo, non più vecchio di Jason, nonostante la sua voce imperiosa. Il viso pallido, gli occhi furbi, aveva capelli biondo cenere, fluenti. Indossava una camicia di jeans, in coordinato con i pantaloni chiari, oltre una camicia rosa pastello. A guardarlo sembra un giovane idolo degli anni Ottanta. Se si ignorava l’arco, con la freccia incoccata, puntato perentoriamente contro un lupo uggiolante, che tentava senza successo di scomparire, appallottolandosi su sé stesso, ma la sua massa lo rendeva praticamente impossibile.
Astrid aveva sbuffato, “Ti prego, quello è un lupo. Fidati non è una buona idea” aveva dichiarato la ragazza.
Ma Jason a guardare la bestia, che forse sarebbe apparsa minacciosa e pericolosa in altre circostanze, in quel momento sembrava un cuccioletto, latrante, con un una ferita rosso vermiglia sulle zampe ed il manto grigio cenere.
Aveva pensato a Lupa.
Lupa potente e guerriera, che si era presa cura di lui.
“Che succede?” aveva strillato Zeus. Lo sconosciuto si era voltato immediatamente verso di loro, “Vi pregherei di non interrompermi.  Io sono Váli l’Ardito e devo uccidere questa bestia” si era dichiarato immediatamente quello.
Lo aveva detto con un tono chiaro, ma tracotante di superbia, a Jason aveva ringorgato la spocchia e la boria di Caligola, il suo assassino.
E sapeva come comportarsi – circa.
“Scusa non credo di conoscerti” aveva dichiarato Jason.



[1] Quando Magnus descrive l’armadio di vestiti di Alex, tra questi spiccano anche delle gonne. Ebbene sì, Alex indossa anche delle gonne, credo la faccia a prescindere dal suo genere.

[2] Nonostante il nome, non è fatto di Alabastro (i primi modelli egizi sì) quello che sta facendo Alex è un alabastron corinzio. Allora: Perché Jason sa il nome delle tipologie dei vasi? Non so, ho idea che a Nuova Roma siano molto più ‘Old Fashion’ de il Campo Mezzosangue. However, i vasi greci sono belli, peccato io ne conosca tre in croce.

[3] Dio dei fulmini giapponese

[4] Avete visto animali fantastici? Sì, quello è il Thunderbird, però … mancano le corna, in quella versione e le ali arcobaleno.

[5] Il termine Skraeling è molto dibattuto, in islandese MODERNO (la più pura delle lingue scandinave) vuol dire: Barbaro (aka: lo straniero), in danese invece era “Persona gracile” ed il termine trova la sua origine dal verbo skraekja, ovvero urlare. Quindi potrebbero essere urlatori.

[6] Nota inutile: i tempi in cui Astrid è vissuta, corrispondono al tentativo di colonizzazione vichinga dell’America del nord, quando l’Islanda e la Groenlandia erano state colonizzate per lo più da norvegesi (anche la conquista americana è stata guidata dai norvegesi, forse per questo è fallita. Lol. I Vichinghi come li immaginiamo e ricordiamo noi, ovvero il terrore d’Europa erano per lo più i Danesi, meanwhile gli svedesi, per la maggiore, facevano bordelli ad Oriente. EVVIVA LA GUARDIA VARIAGAAAA).

[7] Popolazione antenata degli attuali Inuit. Nessuna relazione con la “Thula”.

[8] La citazione è un rifacimento a quella di C. R. Kiernam, da La Leggenda di Beowulf, che riportava “Hanno trovato la morte che cercano tutti gli uomini coraggiosi, e ora sono einheriar […] E questa notte […] loro banchetteranno alla tavola di Odino nel Vlahalla e al mattino si sveglieranno con gioia al canto del gallo Gullinkambi per galoppare di nuovo nei campi di Idavoll. Non moriranno vecchi e malati e costretti a letto”.

 

   
 
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