Precious
Cuddling
Hongjoong, Hongjoong! Potresti
aiutarmi?
Joong, non è
che avresti un po’ di tempo per me?
Ehi, Hongjoong, senti, avrei bisogno di una mano!
Ci sei? Sai, riguardo a quella cosa di cui abbiamo parlato ieri…
Aveva
portato pazienza, ne aveva sempre portata e più che a sufficienza, ma si era
rotto le palle. Il vociare incessante, le continue richieste, il suo essere
costantemente presente per chiunque e a qualunque costo lo stava portando
all’esaurimento: non era solo la questione della preparazione delle nuove
esibizioni che stava portando via un sacco di tempo e un impegno non
indifferente.
No.
Nemmeno le prove di canto estenuanti, o l’organizzazione del poco tempo libero
a disposizione nelle settimane che precedevano il nuovo programma di lavoro.
Neanche.
Erano proprio loro.
Kim Hongjoong si era palesemente rotto il cazzo di stare dietro a ogni singola
richiesta di ognuno, a partire dai propri colleghi. Aveva sempre avuto un buon
rapporto con loro – ottimo, anzi – ma ormai era giunto all’esasperazione.
E basta!
L’indomani sarebbe stato il primo
giorno libero dopo parecchi di lavoro pressante, sfiancanti ore passate a portare
avanti al meglio il proprio dovere: la consapevolezza di una tale opportunità aveva
un sapore goloso e speziato di soddisfazione, distacco e distanziamento. Belle
parole, ne avrebbe fatto buon uso dopo una doccia calda e un più che meritato
riposo. Hongjoong era stranamente calmo rispetto all’euforia generale che stava
scuotendo gli animi dei colleghi: aveva i suoi riti e voleva portarli a termine
senza alcuna interferenza, ma sembrava un’impresa non da poco.
Allora, siamo pronti?
Il ragazzo voltò lentamente il capo ricoperto da una zazzera rosso acceso
frutto dell’ultima scelta di stile, concessa con diffidenza ma una volta tanto
accolta dal manager senza troppe cerimonie; una vittoria facile, si disse,
rimescolando i ciuffi selvatici con le dita sottili. Siamo pronti per cosa?
Disse scandendo le sillabe, gli occhi rivolti a quell’insieme di ragazzi che
stavano facendo caciara al pari di un branco di
bambini incustoditi al parco giochi del quartiere.
Come per cosa? La nostra serata,
non ricordi?
Nostra… di chi, esattamente?
Sbiancò.
Gli zigomi si tinsero dello stesso colore del mobile della sala, del tappeto su
cui aveva poggiato i piedi avvolti nelle pantofole da camera e della felpa che
utilizzava per le serate come quella, le serate di relax: bianco candido. La
sua pelle faceva a gara con l’arredo per la mancanza di qualsiasi tonalità. Fu
in quel momento che sbottò in una reazione insolita, inaspettata.
Rise.
D’isteria.
Io non vado da nessuna parte.
Mingi si voltò verso il collega che se ne stava ricurvo sulla poltrona del
salone comune, perfettamente mimetizzato con il mobile: lo vedeva sorridere, ma
di un ghigno poco rassicurante e una nota palese di sarcasmo. Il ragazzo si
focalizzò sulla sua posa, sulle iridi scure sconvolte e stanche: sapeva quanto
Hongjoong avesse lavorato nell’ultimo periodo, lo sapeva per certo perché era
sempre lì con lui. L’essere particolarmente affiatati e affiancati da anni di
convivenza, lavoro e divisione obbligata degli spazi, stava dando i suoi
frutti: non c’era bisogno di essere empatici per riuscire a cogliere simili
stati d’animo. Anche perché il chiaro mi avete rotto il cazzo di qualche
ora prima, ricevuto in sala prove con le braccia alzate in un gesto esasperato,
era stato più che eloquente.
Mingi si riscosse staccandosi dall’entusiasmo non certo contagioso dei
colleghi, mosse qualche passo in direzione dell’altro sedendoglisi accanto e si
accasciò sospirando: non sto granché bene. Hongjoong dovrà stare a casa a
controllare che non peggiori.
Il vociare contrariato che si sollevò all’affermazione si trasformò in
brontolii sconvolti e concitati irritando ancor più l’umore già palesemente
nero di Hongjoong: si alzò spazientito, osservandoli uno per uno, le mani
chiuse a pugno poggiate sui fianchi. Un malessere improvviso poteva capitare,
soprattutto in un periodo così pressante e impegnativo: colpevolizzare Mingi
per l’assenza alla serata di karaoke organizzata non sarebbe stato maturo da
parte di nessuno.
Mingi non fingeva mai.
Mingi era sempre diretto, sincero.
Mingi non diceva bugie.
Chi si scusò, chi si profuse in una espressione rassegnata, ma nel complesso i
ragazzi se ne andarono senza fare troppe storie: d’altronde, con un collega che
affermava di stare male, non avrebbero potuto fare molto.
Non c’è di che. Mingi abbandonò la stanza poco dopo, nel più assoluto
silenzio, senza mostrare alcun sintomo, ripensamento, dolore o condizioni di
difficoltà.
Silenzio.
Idilliaco, goduto, meraviglioso silenzio.
Hongjoong alzò il termostato della sala: anche se fuori il cielo era terso, il
freddo si faceva sentire già in quel lieve cambio stagione verso l’ultimo
trimestre dell’anno corrente. Si stiracchiò sorridendo soddisfatto, si
massaggiò la schiena sfregandosela con le mani, ora il mondo era suo.
E non poteva essere più felice di così.
I primi minuti passarono nella beatitudine più genuina: televisore spento,
nessuno che parlava, si intrometteva, disturbava, chiedeva… nulla di
nulla, niente lavoro, niente stress ossessivo, niente sbuffi.
Quasi un sogno.
Una mezz’ora dopo però, con più calore in corpo – i venticinque gradi
centigradi impostati si sentivano pienamente ormai – e un piccolo, piccolissimo
senso di curiosità, il ragazzo si spostò in direzione delle camere, chiedendosi
come potesse effettivamente stare Mingi: quest’ultimo aveva detto di non
sentirsi bene, per poi eclissarsi e non palesare più la sua presenza.
Caffè lungo con zucchero di canna e latte caldo. Ricordava perfettamente
i suoi gusti, con lui faceva spesso colazione, e pure dopo pranzo dedicava
cinque o dieci minuti alla compagnia del collega mentre tutti gli altri s’erano
già dileguati; perché dunque non presentarsi anche a quell’ora con in dono la
bevanda preferita?
I capelli color argento splendevano
alla luce di una luna quasi piena che tingeva la coperta blu notte del cielo,
penetrando con quieto silenzio la barriera della finestra trasparente dalle
tende scostate. Una musica familiare diffusa in sottofondo dalla cassetta
bluetooth rendeva l’atmosfera godibile, intima, rilassata.
Mingi adorava rilassarsi così, detestava il silenzio assoluto: lo percepiva
come opprimente, snervante. Spesso infatti non
comprendeva le reazioni di Hongjoong, il suo tendere a isolarsi: il collega
doveva essere parecchio stressato se per ottenere un minimo di equilibrio aveva
bisogno di chiudersi, ma Mingi sapeva quante responsabilità gravassero su di
lui. Quando avvertì in salone la sua rabbia sfociare in una reazione isterica,
decise di intervenire e rinunciare alla compagnia degli altri, giusto per poter
regalare un po’ di pace a Hongjoong. Aveva agito d’istinto, senza nemmeno riflettere.
E per uno come lui, disabituato a mentire, era strano. Si ritrovò a pensare
quanto fosse stato soddisfatto nel vedere l’amico sollevato, rinfrancato, a
tratti incredulo.
E poco importava ritrovarsi ora solo, chiuso in quattro mura, a perdere il
proprio tempo libero a gironzolare distrattamente su internet, perdendosi tra
video scemi, tiktok deliranti e immagini su
Pinterest.
Di certo non si sarebbe aspettato di sentir bussare alla porta della camera.
Trasalì e rispose con assenso soltanto qualche secondo dopo.
Hongjoong si aspettava di trovare Mingi steso a letto
sotto le coperte, dormiente, affannato per qualche dolore difficile da gestire.
Sentendosi chiamare dall’altra parte della superficie di legno chiaro, entrò
stringendo con possessività due tazze di caffè tra le mani, uno estremamente
dolce, l’altro amaro, ristretto, un concentrato di stimolanti che forse non
avrebbe fatto proprio bene alla sua serata. Tanto poco importava, il giorno
dopo avrebbe potuto dormire fino a orari imbarazzanti, ragazzi permettendo. La
camicia bianca a cuori rossi che indossava come pigiama sembrava rilucere in
mezzo alla camera, mentre la figura di Mingi si mimetizzava quasi perfettamente
con l’ambiente oscurato dalla notte, non fosse stato per i capelli visibilmente
brillanti grazie alla luce riflessa dello schermo dello smartphone.
Posso?
Che domande, gli aveva già permesso di entrare.
Ti ho portato questo, pensavo potesse
aiutarti a stare meglio.
Mingi sollevò il busto puntando il peso sui gomiti e facendo scivolare parte
delle coperte scure dal corpo, rivelando la larga e comoda tenuta in pigiama.
Sorrise, premurandosi di abbassare il volume della musica e di accendere la
lampada accanto al letto.
Hongjoong gli si avvicinò porgendogli la tazza tiepida e rimanendo in piedi in
mezzo alla stanza, stupendosi ancora una volta di quante cose diverse potessero
starci dentro a una sola camera: vinili da collezione, libri e fumetti
occupavano la parte sinistra, riempiendo un mobile a muro, mentre dall’altro
lato il giradischi svettava sul resto e la scrivania mostrava ancora tracce di
lavoro lasciato sospeso – computer acceso, blocchi di fogli scribacchiati, il
programma di produzione di basi musicali abbandonato sullo schermo incustodito.
Siediti, non stare lì in piedi. Peccato che la sedia era impegnata da un
notevole volume di vestiti di ogni genere abbandonati su di essa.
Mingi sorrise scoraggiato dallo stesso disordine che aveva creato, richiamando
l’attenzione dell’altro con un pat pat amichevole sul materasso: un “accomodati” senza dirlo ad
alta voce. Hongjoong si sedette perdendosi in quell’ambiente privato, dove si
sentiva leggermente a disagio; non era tipico suo disturbare nelle camere altrui
a quell’ora, ma si trovava lì per un motivo più che valido.
Grazie per il caffè, ma sto
benissimo, perché?
Tra tutte le risposte che
Hongjoong avrebbe potuto ricevere, quella proprio non se l’aspettava: aveva
preventivato di dover assicurarsi assunzioni eventuali di antidolorifici o simili,
e invece Mingi lo stava osservando incuriosito con quegli occhi per nulla stanchi,
il cellulare abbandonato sul cuscino e
un sorriso sornione dipinto in volto.
Come perché? Gli occhi di Hongjoong si strinsero nel
confermare il dubbio appena insinuatosi.
Era una cazzata.
Mingi aveva detto una cazzata, e lui cretino, il primo ad averci creduto. Stava
per aggiungere qualcosa ma fu completamente spiazzato dalle poche parole che l’amico
gli dedicò con una tale naturalezza da spiazzarlo.
L’ho fatto per te, così te ne sei
stato a casa tutto tranquillo. Ti conosco, non è quello che volevi?
Il ragazzo scoppiò a ridere dopo un paio di secondi ricchi di silenzio
assoluto, coprendosi gli occhi con il palmo. Che idiota, si disse. Avrebbe
dovuto dire grazie, di sicuro, eppure gli risultava particolarmente difficile
in quel momento: era bloccato lì sul letto, con gli occhi scuri di Mingi a
scrutarlo, la luce calda della lampada da comodino a definire dei buffi contorni
grotteschi sui loro volti. Si sentì improvvisamente scrutato, imbarazzato in
presenza di un collega, un amico, una persona che conosceva da anni…
Che sensazione assurda…
Venne strattonato verso la figura
più grande, uno scossone rapido che si concluse con l’impatto con la tela leggera
della maglia che copriva a malapena un corpo scolpito, robusto. Arrossì, una
delle poche volte in vita sua, Hongjoong arrossì in volto, felice di essere
nascosto dal tessuto.
Mingi stava stringendo a sé Hongjoong in modo protettivo, massaggiandogli la
schiena con le grandi mani: sfregò in modo quasi impacciato, non era abituato a
gesti impetuosi e spensierati come quello, non erano proprio da lui. Aveva agito
impulsivamente, come quando aveva affermato di stare male per permettere all’altro
di rimanere a casa a rilassarsi.
Senza pensare minimamente alle conseguenze.
Proprio come in quel momento.
Quando se ne accorse, sentì l’impulso di allontanarsi e sospingere Hongjoong
sulle spalle, lontano abbastanza, lontano almeno un metro. Giusto per rimarcare
i confini dello spazio vitale.
Però.
Però…
Non ce la faceva.
Quel calore che Hongjoong emanava era piacevole.
Non era il calore dell’abbraccio del dopo concerto, o quello della vittoria di
un premio annuale. Era differente.
Non era il calore di una pacca sulla spalla, o di un sorriso nello spronarsi a
vicenda.
Non era nemmeno il calore di uno sguardo palesemente preoccupato dopo una
stonatura in sala prove, o una caduta durante una esercitazione.
Era diverso.
Semplicemente, diverso.
Piacevole.
Tanto da volerne ancora, e strinse più forte.
Carezzò quei capelli così brillanti, così caldi, immergendoci i polpastrelli e
saggiandone la consistenza con le punte delle dita. Sentì l’irrigidimento di
Hongjoong venire meno, e seppe di aver ottenuto ciò che desiderava maggiormente
per lui: un po’ di sana, meritata, ragionevole quiete.
Quanto sapeva essere strano Mingi, si disse Hongjoong mentre
lasciava cadere mollemente le spalle tese, rilassando la cervicale indurita
dallo stress e cedendo con il busto su quello dell’altro. Strano sì, visto che
un attimo prima aveva mentito chiaramente per lui, e un attimo dopo lo stava…
accarezzando?
Coccolando?
Qualsiasi cosa gli stesse facendo, era particolarmente piacevole.
Nostalgico, familiare.
E Hongjoong pregò dentro di sé di non vederlo smettere tanto facilmente, perché
in quelle carezze tutto il male, il dolore, l’alienazione accumulati sembravano
essere svaniti nel nulla.
Mugolò poco prima di addormentarsi nel tepore di un petto tanto grande,
accogliente, mugolò sentendo una mano delicata dedicargli attenzioni che non
credeva neppure di volere.
Mingi si accorse di Hongjoong, era chiaro stesse dormendo ormai, eppure continuò
con movimento lento, circolare, cadenzato: lo aveva fatto per lui, si disse,
ritrovandosi a sorridere mentre quella maglia a cuori seguiva il ritmo di un
respiro rilassato.
Solo per lui.
Certo.