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Autore: LadyKant    26/10/2021    3 recensioni
A volte quando stai cadendo nel buio hai bisogno di una voce che ti indichi la strada. A volte però la voce è quella sbagliata.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Drago, Gaius, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Aprì gli occhi a fatica, le palpebre sembrava non riuscissero staccarsi.
La prima sensazione che avvertì fu il freddo, totale, pungente. Sembrava che ogni parte di lui fosse congelata e quando alzò un braccio vide che la nebbia gelida che aveva visto intorno a sé aveva creato su di lui un sottile strato di ghiaccio.
Quanto tempo era passato?
In un lampo gli occhi che aveva visto prima che il buio si chiudesse su di lui gli invasero la mente.
 
Merlin!
 
Dopo qualche tentativo si mise seduto e lo vide, gli dava le spalle.
 
Lo chiamò
 
Merlin voltò la testa mostrando il profilo del viso senza però guardarlo.
 
“Non saresti dovuto venire”
 
Che diamine stava dicendo?
 
Si mise in piedi con difficoltà e fece un passo verso di lui, il mago si allontanò come di riflesso.
 
“Non saresti dovuto venire”
 
Il tono era serio, freddo e distaccato e lo fece fermare, preso alla sprovvista. Vederlo li non era di certo quello che si aspettava; si era preparato ad una lunga ricerca, alla vista di Merlin ferito e prigioniero, era pronto a combattere. Nel momento in cui aveva capito che poteva fare qualcosa aveva sentito scorrere sottopelle una gioia selvaggia, aveva pregustato il momento in cui lo avrebbe trovato, il momento in cui lo avrebbe stretto talmente forte da farlo diventare una parte di sé, aveva quasi potuto sentire il calore di quel corpo stretto al suo.
Invece non era successo, Merlin era lì, ma lontano e non lo guardava.
Quanto può mancare uno sguardo?
Stupido quanto sia l’assenza delle cose più semplici e scontate a ferire di più.
 
“Che stai dicendo? Muoviti, dobbiamo andarcene da qui, questo posto non è reale”
 
“Lo so”
 
“Lo sai?”

“Lo so”
 
Arthur rimase qualche istante in silenzio. Lo sapeva? Sapeva che non era reale? Allora perché rimaneva così distante? Perché neanche lo guardava?
 
In un solo momento tutte le emozioni che lo avevano sommerso nelle ultime settimane si unirono in un tutt’uno, la preoccupazione, l’impotenza, il dolore, il vuoto, la paura diventarono una cosa sola trasformandosi in rabbia, una rabbia feroce che gli percorse le vene, come se una miccia fosse stata accesa, ogni suo pensiero si infiammò. In poche falcate lo raggiunse, lo girò e lo afferrò per il bavero della giacca avvicinandoselo al viso.
 
“Che diamine succede?”
 
Il silenzio che ne seguì provocò una nuova scarica di rabbia, il volto di Merlin rivolto da un lato, gli occhi che ancora rimanevano ostinatamente lontani dai suoi gli fecero perdere il controllo, la presa sulla giacca si fece più forte e lo strattonò con violenza.
 
“Guardami quando ti parlo. Cosa diamine sta succedendo!”
 
Aspettò qualche secondo prima di girarsi e guardarlo e Arthur pensò che sarebbe stato meglio non l’avesse fatto.
Il gelo che sentiva all’esterno era niente rispetto a quello che vedeva negli occhi di Merlin, nessuna emozione, nessun calore, solo gelido niente.
Di colpo la rabbia fluì via da lui e si sentì svuotato, come se il freddo di quello sguardo lo avesse paralizzato. Mai Merlin lo aveva guardato così. Nei suoi occhi c’era sempre qualcosa di assurdamente vivo, qualcosa che arrivava dritto al cuore. Nel corso degli anni era stato in grado di vederci ogni emozione che attraversava il cuore di Merlin, aveva visto il coraggio, il dolore, la gioia, la rabbia, l’amore. C’era sempre qualcosa e quando Merlin era diventato lo specchio della sua anima tutto il vuoto che lo aveva sempre accompagnato si era riempito come per riflesso delle emozioni che vedeva in lui. All’inizio non le aveva capite, le aveva rinnegate per la paura della loro intensità, ma alla fine le aveva accettate ed anche provate.
Vedere ora tutto quel niente lo aveva riportato a quando lui stesso si considerava niente, quando non sentiva niente, quando non gli importava niente.
 
Quegli occhi così vuoti non potevano di certo essere di Merlin, avrebbero potuto essere i suoi, ma non quelli del mago.
Gli tornarono in mente le parole del grande drago, aveva detta che avrebbe visto e sentito cose che avrebbero potuto non essere reali e che solo il loro legame contava.
 
Lasciò la presa su di lui e fece un passo indietro, il suo sguardo divenne freddo come quello del ragazzo di fronte a lui.
 
“Tu non sei Merlin”
 
Si fissarono per interminabili attimi di silenzio, poi Merlin fece un sorriso, una piccola cosa amara, così tanto estranea alla sua natura che Arthur fu sempre più convinto della sua teoria.
 
“Da quando sai chi sono?”
 
“Io so chi sei”

“Tu sai quello che ho voluto farti vedere”
 
“Tu non sei Merlin”
 
“Sono io. Anche se non ci vuoi credere. Questo è quello che sono, quello che ti ho sempre tenuto nascosto, come la mia magia. Questo è quello che mi hai fatto diventare, dovendo mostrare solo la parte di me che avresti accettato. Sono quello che hai distrutto, creando te stesso”
 
Arthur cercò di non mostrare quanto quelle parole lo avessero ferito, ma gli sembrava di sanguinare per quanto lo avevano fatto. Si sforzò di ricordare che quello davanti a lui non era Merlin, ma quelle parole non riuscì ad ignorarle perché erano vere.
Era stato talmente preso dalla sua vita, dalle sue paure, dai compiti che doveva eseguire, che non si mai fermato a pensare a come lui influisse su Merlin.
Come aveva fatto a non pensarci?
Aveva sempre e solo pensato al tempo che aveva perso prima di rendersi conto di vivere sepolto in sé stesso, a quanto gli ci era voluto per trovare il coraggio di cercare il motivo che l’aveva portato a quel punto, a quanto fosse stato difficile concedersi di aver bisogno di aiuto per farlo perché quel motivo era sepolto talmente a fondo che dubitava della sua esistenza.
E in tutto questo Merlin era sempre stato al suo fianco.
 
Lui aveva avuto tutto questo dal loro rapporto, Merlin invece cosa aveva avuto?
Lui ne aveva goduto come un assettato nel deserto, Merlin cosa aveva ricevuto?
Lui aveva conosciuto il calore, Merlin aveva assorbito il gelo e il niente che riempivano il suo cuore, la sua mente e la sua anima?
 
Quello che aveva davanti era davvero una conseguenza del suo disinteresse, della sua arroganza e della sua paura? Aveva davvero prosciugato Merlin al punto di creare quegli occhi tanto inespressivi?
Non poteva guardarlo, vedere quel vuoto nei suoi occhi gli ricordava la paura di essere così nel suo io più profondo, quella paura che aveva messo da parte ignorandola, rimandando il momento di affrontarla, coprendola con ogni scusa possibile.
 
Quando menti per tanto tempo quella bugia diventa una seconda verità, forse l’unica di cui ti concedi di ricordare.
 
“Avresti fatto meglio a non venire”
 
Arthur chiuse gli occhi e cercò di controllare quella valanga di emozioni e paure che lo stava sommergendo. Riprese il controllo quando un formicolio intenso gli percorse la spina dorsale. Cos’era stato?
Quanto riaprì gli occhi si rese conto di essere solo. Si guardò intorno ma non vide nulla a parte la nebbia e per un breve istante ne fu contento. Quello seguente se ne vergognò. Quello ancora dopo ebbe paura di quel pensiero.
 
Si aggrappò alle parole del drago, quella era una delle cose non reali che avrebbe potuto incontrare, doveva esserlo, anche se la paura che fosse così fu enorme perché se questo era quello che avrebbe dovuto affrontare non era sicuro di potercela fare da solo.
Avrebbe voluto dire affrontare sé stesso, le sue paure più nascoste, le sue debolezze.
 
Gli venne in mente un pensiero che gli fece paura.
Lui era nell’anima di Merlin, il loro nemico anche. Dato il modo in cui quest’ultimo gli aveva parlato doveva aver trovato il modo di vedere i suoi ricordi e le sue paure, forse aveva già fatto in modo che il vero Merlin se le trovasse di fronte, magari attraverso un’immagine di sé che temeva.
 
La paura che seguì il pensiero seguente fu peggiore.
 
Quanto male poteva fargli una copia di sé stesso, un Arthur che sapeva quali tasti toccare? Esattamente quanto la copia di Merlin aveva fatto con lui, con la differenza che nel suo caso l’incontro era durato poco, ma in che stato poteva essere Merlin dopo settimane? Il terrore di trovarlo annientato nell’anima, nella mente e nel cuore si impadronì di lui. Se fosse stato così sarebbe stato in grado di aiutarlo? Di rimettere insieme i pezzi di un’anima frantumata?
 
Si mosse senza volerlo, i passi sempre più veloci finché si ritrovò a correre, il nome di Merlin urlato con ogni briciolo di energia che possedeva. Non poteva perderlo, no, non sarebbe stato perso, non in quel modo, non con tutto quel dolore.
 
Nella nebbia vide un’ombra, rallentò la sua corsa e si avvicinò lentamente con tutti i sensi all’erta.
 
Era Merlin, ma non sembrava reale, non come la persona che si era trovato prima di fronte, sembrava un riflesso, un fantasma, qualcosa di incorporeo. Era inginocchiato e gli dava le spalle, era chinato sopra qualcosa e stava piangendo. Quando provò a posargli una mano sulla spalla, non ci riuscì, la sua mano gli passò attraverso, come se fosse parte della nebbia, la stessa che si diradò mostrano una persona stesa davanti a lui.
Lo riconobbe, era quel signore dei draghi che avevano cercato nella foresta, Balinor.
 
“Posso salvarti! Non posso affrontare il drago da solo”
“Ho visto abbastanza per sapere che mi renderai fiero”
“No padre!”
 
Quell’uomo era il padre di Merlin? Perché lui non ne sapeva niente? Vide quell’uomo morire, fu testimone dell’ultima leggera carezza che fece al figlio, vide il dolore di Merlin e fu straziante. Lo fu molto di più vedere il suo riflesso apparire e infuriarsi per la morta di quello che credeva fosse l’unica speranza per Camelot mentre Merlin si tappava la bocca per non fargli sentire i singhiozzi per poi alzarsi e fare finta di nulla.
In quel periodo stavano iniziando ad essere veramente amici, ma nonostante questo era stato cieco. Ora iniziava a farsi un’idea delle cose che Merlin aveva dovuto affrontare e si sentì in colpa pensando che nel farle era sempre stato solo. Ricordava che in seguito gli aveva detto di averlo visto piangere per quell’uomo e che nessun uomo meritava le sue lacrime; Merlin aveva risposto con una battuta dicendogli, ridendo, che lui sicuramente non le meritava. Aveva anche aggiunto che lo avrebbe seguito in battaglia perché voleva stare al suo fianco. Ripensò a quanto era rimasto sorpreso che volesse seguirlo ad affrontare un drago; quella era stata la prima volta in cui, di fronte a così tanta convinzione, aveva visto Merlin sotto una luce diversa. Forse quella era stata la prima pallida scintilla di quello che in seguito avrebbe visto e provato per lui.
 
L’immagine che aveva di fronte svanì come se un colpo di vento l’avesse spazzata via.
 
Rimase a guardare la nebbia e gli fu chiaro che quello che aveva visto non era un altro inganno, quello era un ricordo. Si sentì in imbarazzo, quelli erano momenti personali di Merlin, non avrebbe dovuto vederli così, avrebbe dovuto essere lui a parlargliene se avesse voluto. Scoprirli così gli sembrava scorretto, aveva la sensazione di rubargli qualcosa.
 
Riprese a camminare cercando di allontanare ogni pensiero che non fosse trovare Merlin, non doveva cedere, avrebbe fatto il gioco del loro nemico. Ma era difficile. Quel mondo fatto di nebbia, quel gelo e quella solitudine non erano solo intorno a lui, sembrava avessero il potere di entrargli dentro scatenando un vortice di dubbi e dolore.
Doveva sbrigarsi o ne sarebbe diventato parte.
Sperò che al suo servitore questo non fosse già accaduto.
 
Davanti a lui Merlin riprese quella forma incorporea, un altro ricordo? Pensò di andare oltre ma la curiosità fu più forte e si fermò, sapeva che non era la cosa giusta ma una parte di lui voleva sapere cosa si fosse perso, cosa non aveva saputo vedere, quanto non aveva fatto.
Lo vide mentre stava camminando con qualcuno tra le braccia. Una ragazza? Chi era? La stava adagiando dolcemente a terra e le sorrideva mentre le accarezzava dolcemente i capelli.
 
“Deve esserci qualcosa che posso fare, voglio salvarti”
“Mi hai già salvata Merlin, non solo con la tua magia, ma con il tuo cuore, mi hai fatto sentire amata”
 
Una stilettata di gelosia lo colpì in pieno petto, troppe domande gli affollarono la mente. Chi era quella ragazza che si era sentita amata da Merlin, perché lui non ne sapeva nulla, quanto si era perso della vita della persona che gli era più vicino?
Faceva male, un male fottuto. Lui aveva aperto il suo cuore, i suoi pensieri, le sue paure. Merlin no. Era sempre stato con lui, aveva ascoltato, assorbito ogni cosa e fatto di tutto per aiutarlo, per non lasciarlo solo, ma non aveva mai aperto davvero sé stesso; sapeva dei sentimenti che provava per lui, ne era certo, ma dietro a questo c’era un mondo che a lui era stato precluso e questo lo feriva.
Quella ragazza aveva avuto qualcosa che a lui era stato negato. La verità.
Vide Merlin iniziare a piangere, doveva tenerci molto a lei perché il suo viso era una maschera di dolore.

“Non voglio lasciarti”
“Un giorno Merlin io mi sdebiterò”
 
La ragazza morì tra le sue braccia, Merlin pianse più forte e la sollevò stringendola in modo disperato.
 
Anche quella visione sparì in un alito di vento.
 
Non seppe dire quanto passò, era troppo scosso per capirlo, ma fu di nuovo quel formicolio a farlo reagire; era una sensazione strana quella che gli lasciava addosso, come volesse spingerlo ad andare oltre, ma ora non aveva tempo per pensare anche a quello.
Riprese a camminare chiamando il nome del suo servitore, ricevendo in risposta solo il silenzio.
 
Un altro ricordo gli si formò davanti, sembrava volesse bloccargli il cammino.
 
C’era Merlin e stava parlando con qualcuno, gli si avvicinò fino ad essergli accanto.
Nimueh apparve davanti a loro e Arthur istintivamente portò la mano sulla spada.
 
“Sai già cosa voglio chiederti?”
“Sì”
“Lo farai?”
“Senza dare niente in cambio non ho il potere di ridare la vita”
“So che c’è un prezzo da pagare”
“Per una vita deve esserci una morte, l’equilibrio del mondo deve ristabilirsi”
“Sono pronto ad offrire la mia vita per quella di Artù, qualsiasi cosa mi chiederai la farò, la sua vita vale più della mia”
 
Smise di ascoltare.
Merlin aveva offerto la sua vita a quella strega per salvarlo? Quando era successo? Molte volte era stato in pericolo di vita e se ci pensava era sempre comparsa una miracolosa erba curativa giusto in tempo per salvarlo. Chissà quante volte era stato Merlin a farlo, chissà quante volte aveva rischiato la vita.
Sorpassò quel ricordo anche se non era ancora svanito, doveva trovare Merlin, doveva trovarlo, poi tutto il resto. Continuò a ripeterselo come un mantra.
 
Erano comparsi molto altri ricordi, ma li guardava per sempre meno tempo, non voleva, non poteva. Ci passava in mezzo ed andava oltre, ma sembrava che gli si attaccassero addosso come una patina dolorosa.
 
Aveva visto un Merlin bambino attorniato da altri ragazzini che lo additavano continuando a chiamarlo mostro finché non era arrivata sua madre a scacciarli e ad accoglierlo tra le braccia tremante ed in lacrime.
Aveva visto quando Merlin aveva creato una frana per metterlo in salvo da un’orda di banditi, lasciandosi catturare e portare da Morgana per poi essere torturato.
Aveva visto quando lo aveva aiutato ad estrarre Excalibur.
Aveva visto quando si era confrontato con Cedric.
Aveva visto quando era stato colpito per proteggerlo.
Aveva visto momenti in cui aveva sofferto.
Aveva visto lacrime, tante, troppe.
Aveva visto sacrificio, devozione, amore.
 
Quanto non se ne sentiva degno, quando si sentiva piccolo di fronte a quanto era stato fatto per lui, quando non meritava Merlin.
 
Si fermò in mezzo a quel nulla guardandosi intorno, non poteva continuare a vagare alla cieca in un mondo di nebbia, si sarebbe perso, non solo fisicamente, ma in tutti i modi in cui una persona può perdersi. Ci era già andato vicino e sapeva che non poteva continuare in quel modo perché non sarebbe cambiato nulla, perché quella nebbia di ricordi lo avrebbe sopraffatto, perché il senso di colpa lo avrebbe distrutto.
 
Se il luogo in cui si trovava era l’essenza di Merlin doveva cercare il fulcro di quella, doveva cercare la sua magia, doveva cercare il loro legame, doveva sentirlo.
Chiuse gli occhi e si impose di non pensare a nulla, si concentrò sul battito del suo cuore e solo con quello chiamò Merlin ed insieme a lui, per la prima volta, la sua magia.
 
Provò e riprovò fino a quando non ottenendo nulla la frustrazione lo fece crollare in ginocchio.
L’esasperazione prese il sopravvento, le lacrime iniziarono a pungergli gli occhi e la disperazione gli fece colpire il terreno con pugni sempre più rabbiosi, doveva sfogarsi, liberare quel senso di impotenza che lo stava divorando.
Pianse e colpì sempre più forte.
 
Quanto poteva reggere ancora? Quanto poteva sopportare prima di cedere?
 
Accadde di nuovo, quel formicolio lo distolse dai pensieri e gli fece portare l’attenzione sulla spada che sembrava brillare nel fodero dove era riposta, la tirò fuori e rimase a bocca aperta quando vide la lama brillare di una luce fioca.
Si alzò e sentì quello stesso formicolio attraversargli il braccio fino alla mano che impugnava la spada. Provò ad agitarla e vide che a seconda della direzione in cui la spostava la luce cambiava di intensità.
 
Che la magia avesse risposto al suo appello?
Che quel formicolio fosse lei?
 
Spinto da una piccola scintilla di speranza si alzò ed iniziò a camminare aggrappandosi ad Excalibur, seguendo la direzione verso la quale la luce aumentava di intensità.
Proseguì senza sosta, ignorando il dolore alle gambe e la stanchezza fino a quando la punta della spada non colpì qualcosa, sembrava un muro. Con una mano toccò quello che aveva di fronte, non riusciva a vederlo ma sì era chiaramente un muro.
La spada brillava talmente forte che sembrava fosse fatta di luce.
Non ci pensò neanche un momento, brandì Excalibur con entrambe le mani ed iniziò a colpire la parete che aveva davanti, qualsiasi cosa ci fosse dall’altra parte era quello che stava cercando, era qualcosa a cui era arrivato, niente lo avrebbe fermato.
La furia con cui stava colpendo era qualcosa che non aveva mai provato e quando vide la prima crepa sul muro si abbatté contro di essa con tutta la forza che aveva, tutti i suoi pensieri, il suo cuore e la sua forza si fusero insieme e alla fine il muro crollò aprendogli un varco.
 
Lo superò e quello che si trovò di fronte lo lasciò a bocca aperta.
 
Non c’era più nebbia, si trovava in uno spazio aperto, un prato immenso sotto un cielo plumbeo carico di nubi, davanti a sé un enorme cratere.
Si avvicinò e guardò in basso, quello che vide gli mozzò il fiato.
Nel centro di quell’enorme buco c’era Merlin, in ginocchio, immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo perso nel vuoto fisso davanti a sé, la pelle dello stesso colore della nebbia che aveva appena abbandonato.
Non aveva mai visto nessuno in quello stato, era pura distruzione.
Ma era lui.
Era Merlin.
Non sapeva come, ma ne aveva la certezza, sentiva la sua anima vibrare e sentì quel formicolio familiare fare lo stesso.
Scattò verso da lui, ma appena si mosse oltre il bordo del cratere sbatté contro qualcosa di invisibile che lo fece cadere, si rialzò e provò senza risultato.
Impugnò Excalibur e colpì, riprovò con una disperazione sempre maggiore ma non cambiò nulla.
Appoggiò entrambe le mani su quella parete che non riusciva a vedere e chiamò Merlin con tutto il fiato che aveva in gola, ma lui non sembrava sentirlo.
Con le mani ben piantate su quel muro invisibile iniziò a camminare lungo tutto il perimetro del cratere cercando un varco.
 
Si fermò quando vide sé stesso camminare verso Merlin.
 
Il panico lo invase, non poteva rimanere a guardare, doveva fare qualcosa, fargli capire che non era reale. Iniziò a battere i pugni e ad urlare il suo nome.
 
La sua copia era ricoperta di sangue, sembrava uscita da un massacro, si era fermata ad un passo dal ragazzo in ginocchio e gli stava parlando, ma non sentiva nulla di quello che stava dicendo. Vide Merlin alzare appena la testa, lo sguardo talmente perso che si chiese se vedesse veramente chi aveva di fronte.
La sua copia estrasse la spada e gliela puntò al collo.
Vide Merlin sollevare un braccio e tendere la mano verso l’uomo di fronte a lui, non avrebbe saputo dire se in uno strenuo tentativo di fermarlo, per chiedere aiuto o solo per appigliarsi a lui, ma appena le su dita lo sfiorarono questo indietreggiò e sembrava urlasse dal dolore. Si accasciò a terra e si contorse come se stesse bruciando su un rogo fino al momento in cui si dissolse.
Il braccio di Merlin ancora teso davanti a sé tremava incontrollabilmente fino a quando ricadde inerte a terra, chinò la testa fino a ripiegarsi su sé stesso e non si mosse più.
 
Arthur impazzì.
 
Colpì quello che aveva davanti con tutte le sue forze urlando a squarciagola il nome di Merlin.
Lo stava perdendo. Le mani gli sanguinavano per la violenza dei colpi ma non sentiva alcun dolore. Lo stava perdendo. Un terrore totale lo aveva invaso. Lo stava perdendo.
 
“Non saresti dovuto venire”
Si girò di scatto. Merlin era dietro di lui. No, non era Merlin, era lo stesso con cui aveva parlato appena arrivato in quell’incubo. All’inizio era stato tratto in inganno, ma aveva visto troppo perché accadesse di nuovo. Si lanciò contro di lui sguainando la spada ma invece di colpirlo gli passò attraverso come fosse stato fatto di aria.
 
Quando si voltò si ritrovò davanti un Merlin in ginocchio che lo guardava terrorizzato.
“Perché mi fai questo?”
 
Gli mancò il fiato, ma fu solo un momento, era un inganno, lo sapeva.
 
Guardò sul fondo del dirupo e vide che Merlin era ancora là. Come aveva osato quel mago ridurlo così, distruggerlo, ferirlo, usare il loro legame per annientarlo?
 
Non c’era più nulla in Arthur che non fosse pura furia e nonostante le sembianze che aveva assunto provò a colpirlo ma senza risultato. Ancora e ancora.
 
“Combatti codardo! Battiti contro di me!”
 
“Perché dovrei? Tu non puoi farmi niente”
 
“Mostrati! Tu non sei Merlin!”
 
“Lo sono”
 
Un formicolio più forte dei precedenti lo percorse ed ebbe la sensazione di venire appoggiato, sostenuto.
 
“No! Non lo sei”
 
Un altro leggero brivido, come a confermare le sue parole. Arthur sorrise appena, un sorriso gelido come la morte, freddo come l’ira più profonda, feroce come la disperazione.
 
“Non puoi più ingannarmi, non sei lui. Mostrati e combatti”
 
Merlin sorrise e la sua immagine lasciò il posto a quella di un uomo di mezza età, i capelli e la barba erano rasati, una lunga veste nera fermata in vita da una cintura di ferro con al centro un simbolo che non conosceva. Lo guardava divertito, sapeva di avere il pieno controllo.
 
“Finalmente ti mostri stregone”
 
“Sono Almier, ultimo gran maestro dei Catha, servitore della Sacra Dea, al vostro servizio”
 
Si inchinò beffardamente senza staccargli mai gli occhi di dosso.
 
“Si può sapere che diamine vuoi da Merlin?”
 
“Ancora non è chiaro? Voglio la sua magia e con essa voglio sottomettere Camelot e ogni regno conosciuto”
 
“Perché?”
 
“Osi anche chiederlo? La tua stirpe ha massacrato la mia gente, distrutto il mio popolo. Nei secoli siamo stati braccati come animali, torturati, sterminati, sottomessi. Restituirò ogni torto subìto, riporterò i Catha al loro legittimo posto, signori di un mondo che era nostro di diritto, avrò il potere che ci è stato negato”
 
“Non ti permetterò di fare niente del genere!”
 
“E come pensi di fermarmi? Te l’ho già detto Sire, non saresti dovuto venire”
 
“Perché non avrei dovuto farlo? Pensavi sarei rimasto a guardare mentre distruggervi Merlin, la mia gente e ogni cosa la tua testa malata intende fare?”
 
Lo stregone scoppiò a ridere guardandolo con finta compassione
 
“Tu non puoi fermarmi. Se tu non fossi venuto il tuo amico mi avrebbe già consegnato la sua magia, ma tu no, hai dovuto interferire e ora lui soffrirà in modo molto peggiore perché sarai tu a distruggerlo”
 
“Mai!”
 
“Tu, io, sé stesso…cambierà solo la forma, cambierà il tipo di dolore, ma non la sua fine. E quando accadrà io avrò la sua magia e sai qual è la cosa migliore? Che farò tutto comodamente da qui. Prenderò il comando anche del suo corpo e la gente vedrà lui infliggere morte e dolore, lo odieranno, proveranno ad eliminarlo e tu non potrai fare altro che guardare, bloccato nella nebbia, rivivendo tutto ancora e ancora fino a che non ti consumerai”
 
Arthur partì all’attacco, incapace di ascoltare altre parole, ma lo stregone rise di lui, una risata crudele che rimase nell’aria anche dopo che svanì nel nulla.
 
Si ritrovò solo, preda di una ira profonda, disperato per la sua incapacità di trovare una soluzione, scoraggiato per l’inferiorità che sentiva verso il nemico. Tornò verso il bordo del cratere e poggiò la fronte contro la barriera invisibile guardando Merlin che era rimasto immobile nella stessa posizione, piegato su sé stesso, perso in un dolore infinito.
Vederlo così straziato era una sofferenza che andava oltre l’immaginabile, sentiva la sua anima sgretolarsi, ogni sua speranza annullata come lui.
 
Non riuscì a muovere un muscolo quando vide il finto sé stesso riavvicinarsi a Merlin, continuò a guardare sentendosi annientato, le lacrime uniche testimoni di quel momento. Neanche Merlin si mosse, sordo ad ogni parola, insensibile ad ogni gesto, lontano da ogni cosa.
 
Il familiare formicolio lo percorse, ma non riuscì a distrarlo.
 
Divenne più forte, come se cercasse di farlo reagire, ma non ci riuscì.
 
Poi fu come se un fulmine lo avesse attraversato e si riscoprì a sbattere le palpebre intontito. Il familiare formicolio tornò e con lui uno strano senso di urgenza e di…esasperazione? Gli sembrò di avere addosso gli occhi di Merlin quando, a suo dire, non credeva in sé stesso comportandosi da asino.
 
Pensò di stare impazzendo.
 
Di nuovo quella sensazione, stava per ignorarla di nuovo quando un pensiero folle gli attraversò la mente, ci mise qualche momento prima di dirlo a voce alta.

“Sei magia vero? La magia di Merlin?”
 
Per pochi istanti il formicolio divenne frenetico.
 
Sì, ne era sicuro, stava impazzendo.
 
Quella sensazione tanto sconosciuta ma familiare lo invase ancora e pensò che non avesse niente da perdere, pazzia o meno, doveva provare.

“Puoi aiutarmi a salvarlo?”
 
Il formicolio lo percorse interamente più volte, lo sentì vibrargli dentro, fargli battere il cuore più forte per poi scivolargli lungo il braccio fino nel palmo della mano che come dotata di volontà propria impugnò Excalibur che brillò di nuovo. Sentì un potere sconosciuto ma familiare forgiarsi insieme al metallo e fluire in lui rendendoli parte di esso.
 
Finalmente capì.
 
Gli venne da sorridere quando si rese conto del pieno significato della parola “àncora”.
 
Merlin si era legato a lui, lui si era legato a Merlin, la magia si era legata ad entrambi, ancorandoli uno all’altro.
Merlin non poteva cedere quello che non era più solo suo, aveva bisogno di Arthur per farlo. Almier questo doveva averlo capito, per questo lo aveva chiamato “la sua ancora”, per questo aveva preso le sue sembianze, non solo per fargli male, ma perché pensava che fosse la chiave per ottenere quello che voleva.
 
Arthur percepì il potere che gli scorreva nelle vene e ne rimase impressionato, ma non ne ebbe paura e se ne stupì perché gli avevano sempre insegnato a diffidare dalla magia, a temerla, a vederla come il nemico; invece non era così, perché quello che sentiva dentro era rassicurante, gli dava la forza di andare avanti. La frustrazione e il senso di impotenza svanirono, al loro posto una determinazione feroce.
 
Ripose la sua fiducia in quel potere senza nessuna esitazione e lasciò che lo guidasse.
Impugnò Excalibur e la puntò davanti a sé appoggiandola contro il muro invisibile che lo separava da Merlin, appena la punta della spada lo toccò questo venne percorso da un’onda dorata che ne rivelò la forma, non era un muro, ma un’enorme cupola che chiudeva il cratere.
La cupola sembrava percorsa da onde dorate e vibrava come se fosse fatta di vetro.
 
Vide la sua copia alzare lo sguardo verso di lui e sgranare gli occhi, in un secondo se lo ritrovò alle spalle pronto a colpirlo, ma non ci riuscì perché in quell’istante la cupola si frantumò con una violenta esplosione, generando una potente onda d’urto che lo scaraventò lontano da lui.
 
Arthur istintivamente si coprì la testa con le braccia ma non venne colpito, la magia di Merlin lo aveva protetto e lui si trovò a ringraziarla dal profondo del cuore.
Approfittò del fatto che lo stregone non fosse tornato all’attacco per scendere nel cratere, non ci pensò neanche un momento, scese a mani nude, ignorando il dolore, la fatica, la paura.
 
I suoi piedi non fecero in tempo a toccare terra che stava già correndo verso Merlin e quando lo raggiunse si lasciò cadere sulle ginocchia davanti a lui, stava per toccarlo ma si fermò quasi avesse paura di romperlo. Gli pose gentilmente una mano sulla spalla e si abbassò fino a sussurrargli all’orecchio.
 
“Merlin…sono io…sono qui”
 
La mano di Arthur gli carezzava la schiena con tocchi leggeri, la sua voce continuava a chiamarlo, ma Merlin non reagiva, rimaneva piegato su sé stesso, immobile.
 
Prese delicatamente il suo volto tra le mani e gli fece sollevare la testa.
Deglutì a vuoto di fronte a quello che vide, gli occhi di Merlin erano completamente spenti, vuoti, lontani, sembrava un guscio vuoto, un corpo senz’anima.
 
Le sue mani tremavano mentre con i pollici gli carezzava gli zigomi

“Sono qui, ti prego…”
 
Merlin sembrava non vederlo, non accorgersi neanche della sua presenza.
Abbassò la testa senza però lasciare la presa sul suo volto, si sentiva sconfitto, impotente di fronte al totale annichilimento che aveva di fronte, le lacrime iniziarono a scorrergli sul viso, pregò la magia di tornare da Merlin, di salvarlo, di riportarlo da lui.
In risposta senti la magia scorrere tra di loro, sofferente, ma nulla cambiò.
Lo scosse con forza, urlando il suo nome tra le lacrime, ma neanche questo sembrò raggiungere Merlin, di fronte a quello sguardo perso si sentiva annientato.
 
Percepì la presenza di Almier alle sue spalle quando ormai era troppo tardi per fare qualsiasi cosa, non si preoccupò neanche di voltarsi, l’idea di aver perso Merlin lo aveva annientato completamente. Chiuse gli occhi e lo attirò a sé, stringendolo. Se la fine era giunta non avrebbe desiderato altro che passare i suoi ultimi istanti stretto a lui.
 
Sentì la magia esplodere e tutto perse consistenza.
 
Aprì gli occhi e vide che tutto era immerso in una nube bianca, percorsa da saette di un oro caldo e brillante, sembrava di essere fuori dal tempo, fuori dallo spazio, fuori da ogni cosa.
Almier si stava muovendo a rallentatore, gli occhi confusi come se non capisse quello che stava succedendo, Arthur si sentì percorso dal familiare formicolio ed impugnò Excalibur che brillante di potere trapassò il corpo dello stregone ponendo fine alla sua vita e dissolvendolo per sempre.
 
Merlin era ancora immobile tra le sue braccia, lo sollevò di nuovo prendendogli il volto tra le mani, cercando uno sguardo, un barlume di vita, ma quegli occhi ancora sembrava non lo vedessero, erano vuoti, lontani, ma erano dorati.
 
“Merlin…”
 
Riuscì a pronunciare solo il suo nome.
 
Una singola lacrima cadde da quegli occhi che rimanevano pieni solo di un nulla infinito.
  
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