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Autore: moira78    01/11/2021    3 recensioni
Un piccolo castello nascosto nei boschi di Lakewood. Una storia che affonda le sue radici in un lontano passato. E un sopralluogo che porterà Candy e gli altri a confrontarsi con eventi soprannaturali. Una mini-fic di Halloween dove tutto può accadere...
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Hai detto che i fantasmi erano tre", disse Candy quando furono quasi arrivati e avvertì il corpo di Albert irrigidirsi.

Erano quasi alla fine del corridoio stretto.

"Sì, l'ho detto", rispose lui infine, come se non gli piacesse ammetterlo.

Alzò il capo per guardarlo senza lasciare la presa sul braccio e, nella penombra, il suo profilo appariva teso.

"Chi era? Forse... Anthony? O Stair?".

Albert scosse la testa: "No, credo si trattasse di Lord Scott Ardlay", disse in tono cupo. "Guarda, siamo arrivati", aggiunse subito dopo, troncando la risposta.

Candy si fermò, fissando il fascio di luce che lui stava muovendo per individuare un corridoio più largo e, a prima vista, speculare a quello cieco che avevano lasciato. I mattoni nudi e le ragnatele erano anche lì ma non vide le scale di cui Albert le aveva parlato.

"Dunque anche quella era una visione...", mormorò come in risposta al suo pensiero.

Avanzarono di qualche passo e si accorse che lui zoppicava più di prima. Ogni volta che metteva il piede sul pavimento, faceva una leggera smorfia di dolore. Si fermarono accanto ad alcune casse di legno accatastate in un angolo e lei si chinò per esaminare la caviglia.

"Stai fermo un attimo e punta la luce qui, per favore, voglio controllarti", disse tastando la pelle con cautela.

Lui eseguì e non emise un lamento, ma capì dal respiro improvviso che prese e trattenne che il suo tocco leggero gli aveva fatto male. Mentre lo esaminava e si rendeva conto che il gonfiore era aumentato, Candy si accorse che Albert stava controllando il luogo, anche se la luce diretta la stava puntando in basso.

"Stavo pensando che le scale potrebbero essere dietro a un altro passaggio segreto... ahi!", concluse quando esercitò una lieve pressione.

"Hai detto bene, tu pensa e io controllo. Siediti qui da qualche parte e fammi luce, che ispeziono il muro", dichiarò in tono pratico, rialzandosi in piedi.

"Ma...".

"Niente ma! L'edema è peggiorato e se non vuoi rimanere seduto per il prossimo mese ti consiglio di riposare un poco", lo rimproverò come fosse un bambino disobbediente. Il terrore per quello che le aveva confessato poc'anzi era ancora latente e, a dirla tutta, non aveva elaborato la portata delle sue affermazioni.

Albert era sempre stato un uomo concreto e con i piedi per terra, che non riusciva mai a fermarsi in un posto se non era costretto. Sentirlo parlare di fantasmi era una cosa così fuori dalla norma che il suo cervello aveva metabolizzato il fatto solo per metà, facendole perdere i sensi sul momento ma consentendole anche di trovare una nuova forza dentro di sé.

Era accanto ad Albert in una situazione surreale, che se gliel'avessero raccontata non vi avrebbe mai creduto. Ma si sentiva al sicuro vicino a lui e si appoggiava al suo principe senza però mancare di supportarlo.

Fu quindi con estrema soddisfazione che lo vide sedersi come gli aveva chiesto e indicarle la porzione di muro nella quale aveva scorto le famose scale.

"Prima mi è apparsa una sala da ballo illuminata. Poi, quando mia madre e mio padre sono spariti lo scantinato era... diverso. Simile a questo, ma con delle torce sul muro e queste scale che... un momento!", interruppe il racconto raddrizzando la schiena.

"Cosa ti è venuto in mente?", chiese Candy voltandosi e smettendo di battere le nocche sui mattoni.

"Forse è un evento del passato in un luogo diverso, come è stato per il ricevimento. Magari stavo vedendo lo scantinato del Castello di Edimburgo", ipotizzò portando una mano sotto al mento.

Si voltò del tutto per fronteggiarlo, aggrottando le sopracciglia: "Raccontami come è andata: Lord Scott ti ha parlato dopo aver sceso le scale?".
Di nuovo, vide Albert indurire i lineamenti in un'espressione seria, la mano che reggeva la torcia si abbassò un poco.

"Oh, andiamo, non sverrò di nuovo sentendo parlare di un fantasma, te lo prometto! E poi una volta ne ho visto uno anche io!", dichiarò per indurlo ad aprirsi.

"Stai scherzando?", domandò lui con un piccolo sorriso.

Candy gli narrò brevemente della leggenda che le avevano raccontato Anthony, Archie e Stair poco dopo il suo arrivo e durante un ballo. Concluse con il dispetto che le aveva fatto Eliza e con l'apparizione dello strano uomo col cilindro e il mantello.

Albert fece una faccia strana, a metà tra il serio e il faceto e disse: "Chissà, avrei potuto anche essere io quel fantasma".

Candy spalancò gli occhi, indignata: "Albert, smettila di scherzare e dimmi di Lord Scott, piuttosto!".

Lui fece un respiro profondo e raccontò: "Dietro queste casse ho sentito il lamento di una donna: a quanto pare sono l'unico elemento in comune fra i due luoghi. Poi ho udito il richiamo di qualcuno che cercava una certa Sophia".

"Allora è così che si chiamava", disse tristemente, ricominciando a controllare il muro. Dopo aver tastato tutta la parete si arrese. "Qui non c'è nulla, a questo punto verifico anche le altre pareti. Seguimi con la torcia, per favore".

Terminato il perimetro, Candy sedette pesantemente accanto ad Albert, poggiando il capo sulla sua spalla. Nonostante la situazione poco felice, s'inebriò del suo odore maschile e si rilassò a tal punto che per poco non si addormentò.

"Se ti appisoli qui potrei anche portarti in braccio, ma rischierei che la mia infermiera mi sgridi se sforzo il mio povero piede slogato". La sua voce era un sussurro roco nell'orecchio che le rimandò l'alito caldo di Albert.

Represse un brivido gradevole mentre si staccava un poco: "Scusa, è che stamattina mi sono alzata presto per non farmi rimproverare dalla zia Elroy e tutte queste emozioni...". Si strinse nelle spalle, tirando fuori la lingua in un gesto birichino.

"Tranquilla, non c'è problema, ma credo che dovremmo tornare di là. Qui mi sembra persino più freddo e umido e tu stai tremando". Non se n'era quasi accorta finché non glielo aveva fatto notare e, dopo un diniego iniziale, accettò la sua giacca sulle spalle prima di ritornare al primo scantinato.

"E adesso che facciamo?", chiese ad Albert, quando si fu seduto di nuovo.

"Riposerò un poco il piede e poi controllerò meglio questo luogo. Se l'altro scantinato non ha alcun passaggio e il corridoio di collegamento nemmeno, deve per forza essercene uno qui. Ho intenzione di accatastare un po' di quei mobili e arrampicarmi fino al soffitto per vedere se riesco a sbloccare il meccanismo originario".

Candy si limitò a scoccargli un'occhiata in tralice, ma doveva dire che non aveva tutti i torti: l'uscita doveva trovarsi lì, magari proprio sulle loro teste.

"Se mi lasci ispezionare la stanza ti permetterò di controllare il soffitto, visto che sei più alto. Ma lascia che ti dica che non mi piace l'idea di saperti arrampicato su un cumulo di legno marcio con quella caviglia", rimbeccò.

Lo sguardo di Albert divenne dolce e intenso e Candy vi si perse. D'improvviso, l'atmosfera leggera era mutata in un momento profondo scandito solo dagli occhi del suo principe e dalla sua voce profonda che le diceva: "Grazie, Candy. Sei molto cara a preoccuparti così per me".

"Io... io...". Al momento, aveva perso l'uso della parola, troppo calamitata dal suo viso e dalla mano che le saliva sulla guancia. Non esisteva il freddo, non esisteva il rumore della pioggia che, in modo alquanto bizzarro, era l'unico che udissero lì sotto. E non esisteva neanche la fine del suo discorso: cosa stava per dire, poi? Che un'infermiera si comportava così con i propri pazienti? Che loro erano amici ed era normale che si preoccupasse per lui?

Sciocchezze.

Candy sapeva benissimo che l'impulso di socchiudere gli occhi e avvicinarsi al suo volto mentre anche lui lo stava facendo non aveva nulla a che fare né con la propria professione né con l'amicizia.

Voleva un bacio da Albert. Voleva che finalmente lui facesse quel salto, così che lei...

Il boato del tuono li fece sobbalzare nel medesimo istante e l'incanto si spezzò.

"Si è fatta sera e sta piovendo, ormai ci staranno cercando", disse Albert allontanandosi un poco, la voce velata da una strana emozione che non seppe decifrare.

"Controllo queste mura e ti aiuto con i mobili", rispose alzandosi in piedi.

Fino a pochi istanti prima era pronta a baciarlo. Ora, Candy si sentiva bruciare le guance per l'imbarazzo.
 
- §-
 
Il piede sinistro era puntellato su una tavola di legno poggiata su una console di cui aveva accuratamente saggiato le gambe già rotte, limandole quanto possibile con un coltellino per renderla stabile. Il mobile, a sua volta, era stato bilanciato su un lungo tavolo basso che scricchiolava un po' ma sembrava reggere il peso. Nonostante ciò, Albert dovette sollevarsi sulla punta sentendosi quasi come una gru di quelle che aveva visto in Africa. O come un improbabile ballerino classico.

Candy non faceva altro che ripetergli che doveva stare attento e lui le aveva già risposto che era l'ultima persona a dovergli fare un appunto simile, visto quello che combinava sugli alberi.

Era un dato di fatto, però, che i mobili erano molto antichi e in parte marci e sarebbe bastato un nonnulla perché tutta quell'impalcatura improvvisata crollasse sotto al suo peso. Immaginò la zia Elroy avere un attacco di cuore solo a saperlo lassù.

Albert passò più volte i palmi nella zona da dove lui e Candy erano precipitati, anche se avevano discusso a lungo su quale fosse quella giusta. Eppure, nessun mattone si mosse.

Abbassò le braccia, riprendendo fiato: "Facciamo così: spostiamo tutto un po' a sinistra e riproviamo". La debole protesta di lei non lo fermò e, insieme, spinsero i mobili dove aveva indicato.

Ripeterono l'operazione altre tre volte prima di arrendersi.

Albert appoggiò ancora una volta la schiena al muro, la caviglia che pulsava a ogni battito cardiaco. L'aveva dovuta usare più volte per salire e scendere e ora il dolore era davvero notevole, ma non voleva far preoccupare Candy, così cercò di sopportarlo.

"C'è solo una cosa da fare, a questo punto", disse lei aggrottando le sopracciglia e sedendogli accanto.

"Ovvero?", chiese voltandosi e alzando un sopracciglio.

La verità era che confidava molto in Candy: poteva svenire davanti a una storia di fantasmi ma mostrare una forza d'animo invidiabile.

Sulle prime, quindi,  rimase perplesso quando lei si limitò a urlare a squarciagola una richiesta di aiuto, la voce che rimbombava sulle pareti quasi assordandolo. Facendo un sorrisetto divertito, però, decise di imitarla: continuava a sentire i tuoni e la pioggia, quindi per quale motivo gli altri non dovevano sentire loro? Di certo non se n'erano andati abbandonandoli lì!

La voce acuta di Candy e la sua più baritonale, però, non sortirono alcun effetto e smisero quando cominciò a mancare per il tanto gridare.

"Uffa, questo è assurdo! Qualunque sortilegio ci sia in questo castello pare proprio che voglia farci restare qui chissà per quanto tempo!", sbuffò lei incrociando le braccia.
Albert la guardò per un istante, indeciso se confessarle che a lui non dispiaceva affatto. Voleva tanto rimanere solo con lei per darle l'anello che pareva quasi che le entità del castello si fossero accordate per accontentarlo. Peccato che si trovassero in uno scantinato buio e umido. E che lui avesse lasciato l'anello a casa.

Sospirò e le disse: "Candy, perché non provi a dormire un po'? Eri molto stanca se non sbaglio...".

La ragazza si voltò a guardarlo, gli occhi verdi brillavano nella luce della torcia e le mani erano strette sulla sua giacca.

"Hai freddo?", le chiese avvicinandosi a lei con l'intenzione di stringerla in un abbraccio. Incredibilmente, lei arrossì.

"Non molto, la tua giacca è molto calda... tu, piuttosto...".

"Io sto bene", ribatté deciso.

"... e la caviglia?".

"Va meglio", mentì con un sorriso.

"Bugiardo", lo scoprì subito Candy, dandogli un leggero pugno sul braccio. "Va bene, mi appisolo un po'. Spegni la torcia, però, se non ti serve. Almeno risparmieremo la batteria".

"Agli ordini!", rispose facendole il saluto militare e vedendola ridacchiare.

Un clic e la figura della sua piccola Candy non era più visibile.

Ma conosceva a memoria ogni più piccola conformazione del suo viso così caro, dai lineamenti delicati come quelli di una ragazzina eppure più adulti man mano che passavano gli anni. Le labbra, ancora più piene, il naso leggermente schiacciato intorno al quale le lentiggini, anche se più sbiadite, continuavano a conferirle quell'aria sbarazzina. E il verde luminoso dei suoi occhi, che potevano brillare di lacrime o di intelligenza e scrutargli fin dentro l'anima in un solo istante. I capelli ricci le ricadevano dorati come un manto le poche volte che li scioglieva e, quando accadeva, gliene era silenziosamente grato. Sarebbe stato così facile e meraviglioso affondarvi le dita!
Candy non era di una bellezza canonica e statuaria, ma fresca e spontanea: il corpo piccolo ma ben formato, le curve non troppo pronunciate ma deliziosamente visibili sotto all'abito che la fasciava...

Albert scosse la testa, rimproverandosi per quei pensieri poco casti che stava facendo. Ma l'amava, l'amava con tutto se stesso e la desiderava come non aveva mai desiderato nessuna donna. Era cresciuta davanti ai suoi occhi, trasformandosi da bambina spaventata in ragazza indipendente, sbocciando nell'anima e nel corpo.
Il sentimento che aveva maturato nei suoi confronti era stato altrettanto graduale, come un fiore che apra i petali solo quando è maturo. E dall'istinto di protezione all'amore maturo il passo, seppure non breve, c'era stato e ora lui se ne sentiva travolto.

Poggiò il capo al muro, maledicendo la situazione surreale nella quale erano finiti e appuntandosi in un angolo della mente che, la prossima volta che la zia Elroy gli avesse fatto una richiesta, sarebbe stato meno conciliante. Certo, non poteva raccontarle cosa fosse accaduto dentro a quel vecchio castello. Anzi, sarebbe stato meglio che tenessero per loro quel segreto, lui e Candy. Non solo non avrebbero creduto a una parola, ma li avrebbero presi per due che avessero battuto la testa.

La stanchezza di quella giornata cominciò a invadergli le membra e, nonostante la caviglia gli mandasse stilettate puntuali lungo tutta la gamba, il sonno lo pervase come un manto. Aveva freddo senza giacca, non poteva negarlo e il temporale che stava imperversando sulle loro teste rendeva l'ambiente ancora più umido.

Ma era felice di averla data a Candy e si accontentò di tirare le maniche fino a coprirsi le mani, che stavano diventando gelide.

Ci ripensò, e con la sinistra cercò e strinse quella destra di Candy.

Gli occhi si fecero pesanti e, alla fine, anche Albert si addormentò.
   
 
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