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Autore: FreddyOllow    04/11/2021    0 recensioni
Thomas Horke è un uomo depresso, apatico, imprigionato in un vuoto abissale che si porta dietro da sempre. Ogni notte, scoccata la mezzanotte, si siede sul parapetto del tetto e guarda giù.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1

Tornai a casa verso le otto e mi sedetti sul divano. Non avevo fame. Accesi il pc portatile e cominciai a giocare. I miei nervi si sciolsero. Allo scoccare della mezzanotte, come facevo ormai da più di un anno, salii sul tetto e mi sedetti sul parapetto. Era diventato una sorta di rito. Avrei lasciato tutto pur di ritrovarmi seduto coi piedi a penzoloni nel vuoto.
Ora salta! Leva quelle cazzo di mani dal bordo e lasciati andare. Fallo!
Non ci riuscivo.
Sei un fottuto codardo! Non hai palle. Salta! Fallo! Lascia questo cazzo di mondo.
Chinai il busto in avanti, il marciapiede deserto.
Non pensarci, fallo! Chiudi gli occhi e gettati di sotto. È facile.
Restai lì fino alle sei del mattino. Andai al lavoro.

Appena lasciai la bici nell'angolo del magazzino, Seth mi raggiunse. "Devi fare due viaggi."
"E domani tre?"
Sollevò un angolo della bocca in modo inquietante. "Spiritoso. Ora vai a caricare le casse."
"Ora faccio due lavori, quindi mi..."
"Scordatelo."
"Allora me ne vado. Mi licenzio."
Sospirò dalle narici. "Ok, aggiungo cinquanta dollari per i tuoi viaggi."
"Per ogni viaggio?"
"Per ogni viaggio. Ora vai a fare il tuo cazzo di lavoro!"
Mentre caricavo le casse nel furgone, pensai a come era stato facile trattare con Seth. Era sempre stato testardo. Forse i soldi che mi avrebbe dato non erano i suoi? Probabile. Se il sicario gestiva il Joe's Market, allora Seth prendeva uno stipendio fisso. E doveva essere molto corposo, visto che girava su una porche nera.
Accesi il motore, ingranai la prima e partii. Duecento metri dopo restai imbottigliato nel traffico. Poco più avanti, due auto si erano schiantate al centro della strada. I ripetuti colpi dei clacson mi stavano facendo scoppiare la testa.
Quando arrivai nel retro del negozio di Loretta, una berlina nera era parcheggiata vicino all'uscita di emergenza. All'interno, un uomo in giacca e cravatta, sulla quarantina, digitava qualcosa sul cellulare. Alzò lo sguardo su di me per un momento, si portò il cellulare all'orecchio e parlò.
Scesi dal furgone e mi diressi verso il negozio.
Loretta uscì dal locale e mi raggiunse. "Devi fare un viaggio a questo indirizzo." Mi diede un piccolo pezzo di carta stropicciato. "Non è lontano, ma prendi solo strade secondarie."
"Perché?"
"Tu fallo." Si girò e rientrò dentro.
Lessi il pezzo di carta. Ottantasettesima strada. Palazzo di tre piani, accanto a un parchetto. Fermati nel retro.
Non capivo perché dovevo fare un altro viaggio e perché non me lo avesse detto a parole. Dovevo tornare da Seth e portare lì la merce? Oppure...
Tre uomini uscirono dalla saracinesca. Uno di loro mi raggiunse. Era imponente, alto quasi due metri e puzzava di sudore. "Appena finiamo, vai a prendere il secondo carico e portalo qui. Poi noi caricheremo dell'altra roba che dovrai portare a..." Indicò con il mento barbuto il pezzo di carta che avevo in mano.
Chi paga il viaggio? Seth? Loretta? Mi limitai ad annuire.
Il tizio si diresse verso i due uomini e cominciarono a scaricare le casse.

Tornai indietro e andai nell'ufficio di Seth. Non c'era. Lo cercai nell'alimentare. Sparito.
Mi avvicinai alla commessa dallo sguardo assente. Passava alla cassa un balsamo per capelli. "Dov'è, Seth?"
"È andato via. Ha detto che tornerà verso l'una."
"Hai il suo numero?"
Indicò un foglietto attaccato sul fianco della cassa.
Salvai il numero, andai nel retro e lo chiamai.
"Pronto?"
"Sono Thomas. Loretta mi ha detto che devo portare un terzo carico all'ottantasettesima strada. Tu nei sai qualcosa?"
"Ma porca puttana, Tom! Non devi chiamarmi! Ora... ora fai quello che devi fare. E non chiamarmi più, cazzo!"
Mi riattaccò in faccia. Non avevo nemmeno fatto in tempo a chiedergli chi mi avrebbe pagato. Non che fossi attaccato ai soldi, ma non mi andava di lavorare gratis.




 

2

Caricai la merce sul furgone e guidai da Loretta. Al mio arrivo, i tre uomini mi stavano aspettando seduti su una panca. La berlina nera non c'era più. Spensi il motore e aprii le portiere posteriori del furgone. Attesi che i tre uomini scaricassero e caricassero altre casse, accesi il motore e ingranai la prima.
Cominciò a piovigginare.
Mi fermai al semaforo rosso. Una pattuglia della polizia era ferma dall'altra parte della strada. Mi ricordai delle parole di Loretta.
Prendi solo le strade secondarie.
Il cuore cominciò a martellarmi nel petto. Se quella pattuglia è lì per me? Se ha ricevuto una soffiata? Scacciai la paranoia, ma l'ansia mi aveva già pervaso la mente. Magari mi spareranno. Magari morirò così. Finalmente morirò, ma non voglio morire in questo modo. Voglio saltare da quel cazzo di tetto!
Scattò il verde e pigiai il piede sull'acceleratore. Appena passai accanto alla pattuglia, le sirene iniziarono a strillare. Mi venne una fitta allo stomaco, come un pugno nell'addome. Continuai a guidare con un occhio puntato sullo specchietto retrovisore laterale. Pensai che avrebbero fatto inversione a U, invece, con un fischiare di ruote, l'auto sparì dietro un palazzo.
Tirai un sospiro di sollievo. Accostai il furgone accanto al marciapiede e spensi il motore. Il mio corpo fremeva di piacere. Non capivo perché, ma non m'importava.

Quando mi immisi nella ottantasettesima strada, scorsi un palazzo grigio accanto a un parchetto. Panchine distrutte, vialetti cosparsi d'erica, scivoli corrosi dalla ruggine. La maggior parte degli altri edifici paralleli erano bassi, le finestre rotte o sbarrate da assi di legno, le pareti puntellate da crepe. Lungo i marciapiedi deserti, quattro auto dalla carrozzeria arrugginita, piegata.
Svoltai a sinistra e m'inoltrai in un lungo e stretto vicolo. Qualche metro più avanti, un uomo mi osservava da una scala antincendio. Svoltai nuovamente a sinistra, proseguii per altri trenta metri e mi fermai davanti a un cancello arrugginito. Reti metalliche coperte da pannelli di legno cingevano il cortile. Impedivano ad occhi indiscreti di guardarci dentro.
Attesi per un minuto. Nessuno in vista. Suonai più volte il clacson.
Niente.
Aspettai altri due minuti, finché un uomo grassoccio e pelato aprì il cancello dall'interno. Mi disse di entrare con un cenno della mano e lo richiuse alle mie spalle. Scesi dal furgone e aprii le doppie portiere posteriori. Mi guardai intorno. Decine di veicoli distrutti, piegati e malridotti. Un tempo doveva essere un cortile.
L'uomo mi raggiunse. "Sei stato seguito?"
"Non credo."
"Non credi o non lo sai?"
Che cazzo ne so se sono stato seguito! "Non lo so."
Serrò gli occhi e si allontanò un poco, prese il cellulare e compose un numero. "Problemi? No? Ok... Capisco... Certo... Tienimi aggiornato." Mise il cellulare in una tasca interna del giubbotto e mi guardò. "Apro l'altro cancello. Tu parcheggia dentro il furgone."
Entrai nel veicolo e lo guidai dentro il palazzo. Parcheggiai vicino a una colonna portante. L'ambiente un misto tra un parcheggio interno e un magazzino. Quattro uomini in tuta da lavoro uscirono da una porta laterale. Quando mi videro, smisero di ridere e scherzare.
Quello con i capelli rasati passò lo sguardo dagli altri a me. "Dov'è Ian?"
"Si è licenziato."
"Licenziato? Impossibile. Lui..."
L'uomo grassoccio lo guardò in malo modo. "Ti sembra il momento di fare due chiacchiere? Scaricate quelle fottute casse!" Mi prese per un braccio e mi condusse in disparte. "Dì a Loretta che abbiamo avuto problemi con i giocattoli. Risolveremo la questione entro due o tre giorni, capito?"
Annuii.
Lasciai il palazzo.



 

3

Tornai al negozio di Loretta e varcai la saracinesca. L'uomo imponente mangiava un sandwich, seduto accanto a una moto dall'ampio manubrio. La tuta da lavoro imbrattata di olio di motore.
Alzò lo sguardo. "Qualche problema?"
"No, tutto a posto. Devo dare un messaggio a Loretta."
Staccò un morso e masticò con la bocca aperta. "Che messaggio?"
"Forse è meglio se glielo dico di persona."
Si alzò in piedi con un ghigno, la barba cosparsa di briciole. "Sei sveglio."
Sveglio? Per cosa? Non parlai.
Si pulì le mani unte sulla tuta grigia. "Seguimi."
Entrammo in una porta laterale e seguimmo il corto corridoio fino alla penultima porta. Bussò piano prima di aprirla.
Loretta riordinava una pila di cartelle sulla scrivania. Non ci degnò di uno sguardo. "Che c'è?"
"Il tizio nuovo ha un messaggio per te."
La donna corrugò la fronte. "Qual è il messaggio?"
"Dice di volertelo dire di persona."
"Sto parlando con te? No? Allora sparisci!"
Mi avvicinai e le diedi il messaggio.
"Ti ha detto proprio così?"
"Sì."
"Perché non volevi dirlo a Steven?"
"Credevo volessi saperlo di persona."
"E cosa te lo ha fatto credere?"
Sollevai le spalle. "Non lo so, lo reputavo importante."
Mi fissò per un momento. "Ok, grazie per avermelo detto. Ora puoi andare." Prese il cellulare e compose un numero.
Chiusi la porta a ci posai un orecchio.
"Perché non mi hai chiamato, Pete? Perché usare il corriere per dirmi che avevi delle grane? Ti sei rincoglionito, per caso? Sai quanto cazzo è pericoloso una cosa del genere?"
Un forte suono metallico provenne dall'officina. Sobbalzai. Fissai l'estremità del corridoio.
"Vaffanculo" urlò Steven. "Chi cazzo ha lasciato la cassetta degli attrezzi aperta!"
Tirai un sospiro di sollievo e mi allontani.

Arrivato al Joe's Market, entrai nell'ufficio di Seth. Era seduto dietro la scrivania. Sopra, un centinaio di dollari. Mi sedetti e lo guardai.
Sbuffò dal nervoso. "Prendi quei cazzo di soldi!"
"Sarà sempre così d'ora in poi? Diventerò il corriere?"
"Per adesso."
"Che vuoi dire?"
"Fai il tuo lavoro e tieni la bocca chiusa."
"Faccio due lavori e..."
"Da domani ne farai solo uno."
Non parlai subito. "Stai dicendo che farò più di tre viaggi."
"Ne farai molti."
Cinquanta dollari a viaggio era una ottima somma, anche se l'idea di arricchirmi non mi faceva fare salti di gioia. Apatia assoluta. Voglio solo saltare da quel fottuto tetto! Tutto qui.

Verso le otto di sera raggiunsi il palazzo in cui abitavo e salii la rampa di scale. L'ascensore era rotto da così tanto tempo, che ormai tutti i condomini non lo degnavano di uno sguardo.
Appena infilai la chiave nella toppa, la porta alle mie spalle si aprì. Mi voltai.
"Thomas."
"Ciao, Derek."
"Vuoi farmi compagnia? Ho cucinato del pollo arrosto. Ho fatto anche le patate."
L'odore mi fece venire l'acquolina in bocca. Toby sbucò da dietro le pantofole dell'anziano e inclinò la testa un poco a lato.
Girai la chiave nella serratura. "Grazie, ma sono stanco."
"Dai, non farti pregare. Cena con me. Solo per oggi. Fai contento un vecchio."
Toby uscì la lingua di fuori e mi fissò, come a voler chiedermi di entrare.
"Va bene" mi sorpresi a dire.
Il viso dell'anziano si illuminò di gioia. "Accomodati, accomodati."
Chiusi nuovamente a chiave il mio appartamento ed entrai in quello di fronte, l'odore di pollo arrosto intriso nell'aria. L'abitazione di Derek era accogliente, semplice con qualche mobilio antico e diversi dipinti ad olio appesi alle pareti. Mi condusse in cucina e mi fece sedere al tavolo. Toby si sdraiò nella cuccetta, posò il muso sul pavimento e ci fissò.
"Vuoi qualcosa da bere? Del vino o forse..." L'anziano aprì il frigo e si voltò. "Niente birra. Ho solo vino."
"Dell'acqua andrà bene."
"Non per me" sorrise. Portò in tavola vino e acqua e indossò i guanti da cucina. Aprì il forno, prese la teglia e la posò sul ripiano.
Mi alzai. "Ti do una mano."
"No, resta seduta. Sei mio ospite."
Derek preparò due porzioni e me ne porse una.
"Grazie." Mi versai un bicchiere d'acqua.
Si sedette e sorrise. "Bon appétit!"
"Parli francese?"
Abbassò gli occhi. "No, lo diceva sempre mia moglie..."



 

4

Dopo la squisita cena, ci sedemmo sul divano in soggiorno e guardammo un film western in bianco e nero.
L'anziano accarezzava Toby accucciato sul suo grembo.
"Mich non verrà" ghignò il cowboy col cappello a tesa larga. "È troppo codardo per duellare con me."
Lo sceriffo baffuto corrugò la fronte. "Vi sbagliate, John. Verrà e ve la farà pagare per aver ucciso i coloni. Cosa vi avevano fatto? Erano brave persone."
Il cowboy rise, beffardo. "Non esistono santi, sceriffo. Quando hanno trovato il bambino morto nel fiume, non hanno pensato due volte a mettere il cappio attorno all'indiano che l'ha trovato. Che prove avevano della sua colpevolezza? Gli hanno storto il collo e tanti saluti. Per voi questa è brava gente?"
Lo sceriffo lo fissò, torvo. "Gli indiani sono degli incivili a cui deve essere insegnato il vivere civile."
John inserì i pollici nel centurione. "Menzogne. Pensate di essere la fiaccola della civilizzazione?" sbuffò una mezza risata. "Allora quella stella che portate con tanta fierezza sul petto è inutile. Siete come loro, un assassino. Credete di dispensare giustizia, quando invece vi nascondete dietro l'arbitrarietà!"
Lanciai un'occhiata a Derek, le sue palpebre si sforzavano di restare aperte. Cominciò a russare.
"Cosa succede qui?" Mich serrò gli occhi verso John. Uno sguardo pregno di sfida e arroganza.
Il cowboy sollevò un angolo della bocca. "Siete venuto a morire?"
Mich si portò una mano sul calcio della pistola. "Sarete voi a morire, serpente!"
I due si fissarono a lungo. Lo sceriffo li osservava, impaziente. Il silenzio rotto da calde folate di vento. Una fisarmonica cominciò a suonare una melodia western. Al primo rintocco di una campana, i due estrassero rapidi le pistole e...
Spensi la tv, accarezzai Toby che mi leccò la mano e andai via.

Una volta nel mio appartamento, mi feci una doccia e guardai il cellulare. Scarico. Lo misi sotto carica e accesi il pc portatile. Giocai fino a mezzanotte, raggiunsi il tetto e mi sedetti sul parapetto. La luna piena mi osservava nella volta tempestata di stelle. Quella notte la tristezza e la depressione erano latenti. C'erano, ma non erano marcati. Non sapevo perché, ma forse passare del tempo con Derek mi aveva giovato. Non parlava molto, ma era di compagnia. La sua sola presenza mi aveva alleviato un poco la perenne solitudine che mi trascinavo dietro da sempre. Guardai giù, verso le luci e i veicoli che sfrecciavano da entrambe le corsie.
Non mi andava di saltare.
Perché ci sono salito? Abitudine? Cosa?
Più ci pensavo, più non ne capivo il motivo. Alla fine rimasi lì fino alle sei del mattino, sdraiato sul tetto e non sul parapetto come facevo di solito. Avevo persino dormito senza svegliarmi più volte, ma la voglia di uccidermi era ritornata silente nei miei pensieri.
Guardai il parapetto con gli occhi assonnati.
Salta! Prendi la rincorsa. Magari è più facile. Fallo adesso, così la gente avrà la tua morte sulla coscienza per tutta la giornata.
Presi la rincorsa e scattai in avanti. Poco prima di saltare, una gamba si bloccò e mi schiantai di spalla contro il parapetto.
Cos'è stato? Il cervello mi ha sabotato? Ho sentito un blocco.
Mi alzai, osservai il cornicione e mi allontanai, turbato.

 

   
 
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