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Autore: Milagar    06/11/2021    2 recensioni
Bill Weasley ha appena rinunciato al suo incarico da Spezzincantesimi in Egitto per collaborare con l'Ordine della Fenice.
Fleur Delacour è appena stata assunta dalla Gringott per migliorare il suo inglese.
All'apparenza non possono essere più diversi, eppure un evento particolare li porterà ad avvicinarsi e scoprire che sono indispensabili l'uno per l'altra.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Weasley, Fleur Delacour | Coppie: Bill/Fleur
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Ottobre-Dicembre 1996
 
Un sonoro crack sovrastò lo sciabordio del mare davanti a Villa Conchiglia. Bill e Fleur furono sorpresi da un’inaspettata ondata che bagnò loro i piedi, riempiendo le scarpe e inzuppando gli orli dei jeans di Bill. La risata tintinnante di Fleur si acuì quando Bill la sollevò di peso, allontanandola dalla battigia e facendola volteggiare in aria, le sue labbra su quelle della futura moglie.

Un debole sole si faceva coraggio tra le nubi basse che correvano mosse dal vento e i capelli dei due fidanzati sferzavano l’aria, che si stava mischiando agli schizzi di mare che si infrangeva sulle scogliere; il loro vociare voleva superare il sibilo dell’aria.

“Entriamo, prima di venire sommersi di nuovo dai cavalloni” rise Bill, facendo scorrere un braccio attorno alle spalle di Fleur e conducendola verso il cottage.  

Il profumo di vernice fresca fu un brusco cambiamento rispetto al profumo naturale del mare e denotava i primi lavori che avevano iniziato a fare in quella che presto avrebbero iniziato a chiamare casa. Era successo tutto troppo velocemente e quasi a Bill non sembrava vero che la cosa che più lo preoccupava – avere una casa per lui e Fleur – si fosse risolta nel modo più semplice possibile e in tempi brevissimi. Fleur era semplicemente al settimo cielo, quando Bill le aveva dato la notizia e la stessa reazione l’avevano avuta i genitori di Fleur, quando lei e il fidanzato li avevano raggiunti in Provenza, durante un soleggiato fine settimana di settembre. Per Bill era stato più difficile convincere i suoi, di genitori, che la casa perfetta per il suo futuro fosse a Tinworth. Ma, d’altronde, Bill si era accorto fin troppo bene quanto la scelta di sposarsi non fosse stata troppo ben accetta in famiglia: le occhiate sbieche di sua madre e alcune sue taglienti considerazioni, come anche quelle di Ginny, lo avevano indotto a pensare che quello che era il suo momento di massima felicità non fosse altrettanto condiviso con la famiglia. Ma a Bill non importava: ricordava fin troppo bene i pianti e le lamentele di sua madre quando aveva comunicato, appena uscito da Hogwarts, che il suo lavoro si sarebbe svolto in Egitto e non in un comodo ufficio londinese.  

“Fasciamo il piano di sopra, ogi?” chiese Fleur, le mani sui fianchi, contemplando soddisfatta i primi lavori che avevano fatto in salotto e in cucina.

Salirono le scale ed entrarono nella stanza dove, più di un anno prima, avevano scoperto il forziere dell’eredità Dupaty. La grande finestra che faceva filtrare il bagliore perlaceo della luce di quel giorno affacciava sul mare ribelle, promettendo una vista mozzafiato nelle giornate di calma.

“Sarà la nostra stonsa, non credi?” chiese Fleur, raggiungendo Bill che si era accostato alla finestra per guardare l’orizzonte, avvolgendolo tra le braccia e appoggiando il viso alle sue spalle.

Deve essere questa. Non potrebbe essere altrimenti”.

Nei giorni che seguirono, iniziarono a spolverare quel luogo che era disabitato da tempo, ma denso di promesse. Mentre guardava Fleur lavorare, pulire pavimenti, imbiancare pareti e iniziare a sistemare i primi mobili che avevano scelto, Bill non poté fare a meno di pensare a cosa gli avesse riservato la vita, in quell’ultimo anno e mezzo. Gli aveva tolto il suo adorato lavoro: non era stato facile lasciare l’Egitto, eppure l’aveva fatto e aveva riscoperto l’affetto e la vicinanza della sua famiglia e aveva imparato a resistere per il suo paese in guerra.

Aveva accettato un lavoro d’ufficio, forse un po’ monotono, che tanto cozzava con il suo spirito avventuriero. E invece la vita gli aveva riservato la luce per illuminare tutto: gli aveva dato Fleur. Che forse era arrivata nel tempo e nel luogo giusto, per farlo ricredere sull’amore. Per farlo sentire responsabile non più solo per tutti quei fratelli, ma per una donna che, venuta da lontano, gli aveva fatto scoprire più da vicino se stesso. Perché tra i progetti per la sua vita non aveva mai contemplato di passare interi giorni a scegliere colori di vernici o ad arredare una casa che non fosse la Tana.

Con Fleur, invece, tutto questo gli era sembrata la cosa più naturale da fare, non gli pesava, anzi, era bello impegnarsi così tanto per loro, il loro futuro. Perché nonostante l’incertezza del mondo attorno, quella precarietà della vita che strisciava subdolamente nelle loro vite, Bill credeva nel futuro. Ne confidava in modo talmente forte da aver scommesso sull’amore per Fleur come la puntata più vincente di tutta la sua vita. Ed era un miracolo stare a Villa Conchiglia giornate intere per progettare la casa della sua famiglia.

“Posso ja mettere le lansuola, che disci?” chiese Fleur, apparendo nella camera con un grosso pacchetto tra le mani, mentre Bill sorvegliava due pennelli che stavano ritoccando gli infissi della finestra.

Bill rise, voltandosi a guardarla. “Fammi pensare… Mancano ancora...mh… dieci mesi al matrimonio? Dobbiamo ancora sistemare due camere, c’è ancora tanto da fare…”
Fleur lo squadrò coi suoi sguardi in tralice. “Ponsi che non sci serviranno mai, dopo una bella douche?”

Bill sorrise, mordendosi un labbro. Adorava quando Fleur lo provocava. Non resisteva alla sua ironia tagliente, il suo sbottare insofferente verso alcune situazioni. Avanzò dondolando verso di lei.

“Direi che ti do una mano a fare… e disfare il letto” le disse, lasciandole una lunga scia di baci sul collo.

Fleur emise la sua risata cristallina, mentre cercava di divincolarsi dalla presa forte di Bill.

Pas si tot” sussurrò Fleur, sommersa dalla foga dei baci di Bill. “Hai detto che dobiamo fare le due camere, di là…”

“E va bene… riesci sempre a scaricarmi la colpa” rise Bill, mentre Fleur lo aveva preso per mano e trascinato nella stanza di fronte a quella che sarebbe diventata la loro camera da letto.

“Che peccato, da qui non si vede il mare” sospirò Bill, notando che la finestra dava sul piccolo giardinetto della casa.

“Ma è bellisima lo stesso” disse Fleur, che stava passando con una mano sopra lo strato di polvere accumulato sul vano della finestra.

“E questa invece…” proseguì Bill, uscendo dalla stanza ed entrando in quella del centro, che era molto più piccola rispetto alle altre due.

Vedere quel piccolo spazio, così raccolto, così caldo fece balenare nella mente di Bill una culla in un angolo, un tappeto pieno di giochi, come quello che aveva visto molti anni prima alla Tana e su cui erano passati tutti i suoi fratelli più piccoli, forse lui stesso. Gli occhi gli si illuminarono, e si voltò in fretta verso Fleur, convinto di condividere con lei la gioia nel pensiero che proprio quella stanza sarebbe stata quella dei loro figli. Ma non fece in tempo ad esprimere il proprio pensiero, perché vide il volto di Fleur fissare un punto lontano da lui, mentre si mordeva un labbro.

“Ehi… tutto bene?” chiese Bill, apprensivo, avvicinandosi a Fleur, che si stava stringendo nelle spalle. Ormai Bill aveva imparato a conoscere fin troppo bene la mente della ragazza e sapeva che anche a lei, probabilmente, aveva intravisto in quel luogo ciò che aveva sentito anche lui. Non avevano mai parlato di avere dei bambini. Fino a quel momento, avevano pensato alla costruzione del loro amore, allo scoprirsi giorno dopo giorno, al viversi, condividersi, pensare al loro futuro insieme. Ma mai in quei termini.

E nonostante dentro Bill si stesse facendo lentamente spazio la voglia di creare una famiglia che andasse al di là di lui e Fleur, si era sempre fermato perché aveva paura di ferirla e di bruciare le tappe: la prospettiva di vivere i primi tempi del matrimonio solo con lei era inebriante e densa di aspettative. E poi, la conosceva abbastanza bene da sapere quanto tenesse al lavoro, a fare carriera, e glielo dimostrava quel contratto full time a cui ambiva e per cui lottava con le unghie e con i denti. Gli piaceva proprio perché sapeva essere molto più matura della sua età – Bill ricordava come fossero le ragazze di vent’anni ed era per quella ragione che non si era mai innamorato veramente prima di conoscere Fleur. O forse solo perché i suoi vent’anni li aveva donati all’avventura, in Egitto, inebriandosi di curiosità e scoperte, che tanto rispecchiavano la sua indole. Fino ad un anno prima, niente e nessuno – meno che meno l’amore - gli avrebbe impedito di limitare la sua libertà tanto desiderata – che terribile egoista! Gli fu evidente quanto grande fosse l’anima di Fleur: così ardente e innamorata, determinata e idealista, che aveva accettato con tutta se stessa l’amore di quell’uomo più grande di lei, così lontano dalla sua terra, che aveva scelto tra migliaia di altre possibilità migliori. Aveva accettato di allontanarsi dalle sue radici, dai suoi affetti, per crearne di nuovi lì, con lui. Bill si era completamente innamorato della passione totalizzante di Fleur per la vita: ma non poteva, e non doveva in alcun modo forzarla.  

Bill strinse tra le sua braccia Fleur, che appoggiò la schiena al suo petto.

“Se ponso che viscino a me sci sarai tu… Allora mi fido”.

Bill non sapeva quale fosse stato il ragionamento che Fleur avesse fatto per dire quelle cose. Ma, ancora più di qualsiasi voto che avrebbero stretto entro l’anno, quella fiducia che gli aveva dichiarato era relativa anche al rispetto di un’attesa del momento giusto, nel quale tutti i pezzi dei loro desideri si sarebbero sistemati nell’ordine giusto, nell’orizzonte degli eventi.

Fleur si alzò sulle punte dei piedi, per lasciargli un bacio, gli occhi appena velati dalle lacrime.  

Bill la strinse ancora più forte, sollevandola e baciandola con ancora più foga e inaugurando con il loro amore la futura stanza degli sposi.
 
***
 
Tra i pregi di Fleur, c’era il non far pesare immediatamente le cose. Aveva imparato col tempo, con fatica a lasciarsi scivolare addosso le parole, gli sguardi che la sfioravano sin da quando era poco più che adolescente. Solo al momento giusto, però, quando ormai non ci si aspettava più la reazione, Fleur stilettava con grande precisione il bersaglio, colpendolo nel segno e riversandogli addosso tutto quello che le aveva dato fastidio.

Aveva iniziato a capire che qualcosa non andava tra lei e la madre di Bill quando lei e il fidanzato erano tornati dal fine settimana in Francia dai Delacour. Nonostante i primi imbarazzi, la paura di non piacere, Fleur aveva osservato compiaciuta Bill entrare con il suo abituale garbo e la sua semplicità nella sua famiglia: vederlo ricoperto di attenzioni da parte di Apolline Delacour era stata la vittoria più grande – lei, di cui Fleur temeva sempre il giudizio. La sintonia con suo padre, poi, era qualcosa di estremamente tenero: trattava Bill come il figlio maschio che non aveva mai avuto. Gli sguardi compiaciuti di Gabrielle, il suo arrossire quando Bill le aveva rivolto la parola, aveva dato a Fleur la soddisfazione di essersi lasciata andare con la persona giusta. E sotto i cieli di un caldo autunno provenzale, Fleur aveva capito quanto grande fosse la differenza tra i suoi genitori e i suoi futuri suoceri.

Si era chiesta più di una volta dove avesse sbagliato nel suo approccio con la famiglia di Bill. Ci aveva provato sin dal primo giorno alla Tana, ce l’aveva messa tutta a risultare disponibile con i Weasley, a non mancare mai di rispetto – come le avevano insegnato, dimostrandosi così com’era, senza filtri o sovrastrutture – schietta, sincera, ambiziosa. Ma questo non era valso a nulla: sentiva avvinghiarsi addosso a lei un senso di disagio per quel luogo, di inadeguatezza. Ogni volta che entrava in una delle stanze della Tana, sentiva l’ambiente raffreddare quel calore che si percepiva invece quando in quella casa c’erano solo lei e Bill. Si sentiva osservata, criticata, mai abbastanza adeguata al ruolo che sarebbe andata a ricoprire, come sposa del primogenito.

Le era ormai chiaro, dopo alcuni mesi di convivenza alla Tana come la sua presenza non fosse gradita alla signora Weasley: sbottava alle sue domande, non voleva mai rimanere troppo tempo da sola con lei, la trattava con pressapochismo quando Fleur, entusiasta, le esponeva i progetti per quel matrimonio tanto sognato. Dopo l’estate passata gomito a gomito con la signora Weasley, Fleur si era chiesta più volte se fosse la scelta giusta sposare Bill, fondere per sempre la sua vita con quella di una famiglia che stentava ad accoglierla, anzi, che sembrava osteggiare il loro amore, credendolo solo frutto di un’infatuazione momentanea. Senza nemmeno sapere quel che c’era dietro e i presupposti che li avevano portati fin lì, ad un passo dall’altare.

Anche la scelta delle damigelle le aveva confermato la superficialità con cui i Weasley la consideravano. Ginny nascondeva nella sua personcina un carattere focoso e – complice forse l’immaturità dei suoi quindici anni – che faticava a dissimulare la sua disapprovazione.

“Lo sappiamo tutti che Ginny non è romantica. Alzare gli occhi al cielo era il minimo che potesse fare per esprimere il suo disappunto” aveva commentato Bill, quando Fleur aveva avanzato un commento non troppo dolce rivolto alla futura cognata. Era risultata evidente a Fleur la pragmaticità di Ginny, ma non le era nemmeno sfuggito il nomignolo che aveva colto da una conversazione della ragazza con gli amici. Flebo. Non ci voleva fare caso, come sempre, da quando sua madre le aveva detto, prima di partire per Beauxbatons, di lasciar perdere le persone invidiose di poco valore. “Non sei al loro livello” si ripeteva Fleur per sostenersi in quei mesi che avevano pesato dentro di lei.

Coi Weasley però era diverso: non riusciva a lasciarsi scivolare addosso quel senso di distacco e poca tolleranza che avvertiva, perché sapeva che sotto quello stupido pregiudizio – insensato, privo di fondamento e incentrato sulla sua bellezza - c’erano le persone che avevano cresciuto Bill, che l’avevano amato e l’avevano fatto diventare l’uomo di cui si era innamorata.

Quando si soffermava a guardare in modo distaccato le dinamiche familiari, non riusciva a capacitarsi come la stessa famiglia che la osteggiava, fosse quella che non faceva mancare a nessuno dei numerosi membri l’attenzione giusta, una buona parola o una carezza. Guardava la famiglia di Bill, l’apprensione che provavano per lui e sentiva il cuore scaldarsi. Eppure, scegliendo Bill, Fleur avrebbe scelto anche quella famiglia chiassosa e tanto diversa dalla sua, una famiglia in cui non si sentiva amata. E nonostante il disagio che provava ogni volta che metteva piede tra quelle mura sghembe, nonostante più di una volta fosse stata sul punto di dirglielo, Fleur non riusciva a lamentarsene con Bill.  Sapeva che se lo avesse fatto, lo avrebbe deluso e non se lo meritava. E si sarebbe sentita in colpa nel vederlo così.

Quel venticinque dicembre, Fleur aveva poi avuto la conferma di tutti quei pensieri e di quelle sensazioni che le rovinavano l’anima quando, scendendo in cucina aveva visto tutti i presenti, nessuno escluso – nemmeno Harry – con un caldo e avvolgente maglione lavorato a mano dalla signora Weasley. In quel momento Fleur si era sentita davvero esclusa da quell’universo del quale Bill faceva parte da sempre. Aveva visto lo sguardo entusiasta di Bill affievolirsi nel vedere Fleur avvolta in un’elegante veste cobalto, anziché in un maglione come il suo; l’espressione che la signora Weasley cercava di nascondere lasciava trasparire la soddisfazione per averla finalmente distinta da coloro che riteneva veramente famiglia. Fleur aveva ancora una volta ingoiato quel comportamento, lasciandosi abbracciare da Bill, che le ricordava sempre il perché della sua presenza alla Tana e che era l’unico motore per riportarla ad essere solo se stessa e nient’altro.

L’arrivo inaspettato del fratello di Bill – Percy, che Fleur non aveva mai conosciuto - aveva appesantito la situazione, facendo scendere il gelo nella sontuosa tavola natalizia. Fleur aveva visto Bill contrarre la mascella, fissando quel fratello che dietro l’aria fin troppo composta e occhiali da vista troppo spessa, faceva trasparire un senso di disagio e di nostalgia di quella situazione chiassosa che lo aveva cresciuto. Vederlo preso di mira dai giovani Weasley aveva suscitato in Fleur un interiore moto di compassione nei confronti di quel povero ragazzo – dovevano avere circa la stessa età – non compreso in quel microcosmo al pari suo.

Ripensava a tutto questo Fleur, la notte del venticinque dicembre, mentre, affacciata alla finestra, seguiva la neve che continuava a scendere copiosa, imbiancando le strade scure di Diagon Alley. Una lacrima cadde sul suo bel viso, mentre pensava alla sua famiglia, lontana, che stava passando il Natale senza di lei, che un anno prima avrebbe dato tutto l’oro del mondo per poterlo passarlo con Bill.

“Sarà ora di andare a letto?” Fleur si voltò di scatto, sorpresa dalla voce di Bill, che era entrato in camera silenziosamente. “È stata una giornata pesante per tutti”. 

“Arrivo subìto, un moment” sussurrò Fleur, voltandosi e asciugandosi quella spia della sua rabbia che continuava a scivolarle sul volto. Ma era troppo tardi: Bill le era già accanto, la sua mano sulla spalla.

“So a cosa stai pensando” le sussurrò Bill all’orecchio. Fleur emise un leggero sbuffo, cercando di sorridere, ma sfoderando una sgradevole smorfia.

“Vorrei solo che mia madre ti guardasse come la tua guarda me”.

Fleur si voltò a guardarlo – lui che la capiva sempre, anche senza vederla in volto - e non riuscì a trattenere più quel pianto che le infangava la gola da settimane: pianse perché si sentiva perennemente inadeguata e fuori posto, per quella sua futura famiglia che non la voleva, pianse per la lontananza, per sua sorella – che aveva scartato per il primo anno i regali da sola - e per quel fratello che aveva salutato a fatica Bill.



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Cari lettori, 
non sono sparita. Anzi, torno qui - a pubblicare la mia logn - dopo tantissimi mesi. 
Mesi in cui la mia vita ha avuto momenti talmente pieni da spingermi a pensare di chiudere l'account e dire di nuovo basta con le fanfiction. 
E invece, in questa serata di inizio novembre, ho ripreso in mano il capitolo scritto ormai un'eternità fa e ho finalmente deciso di riguardarlo, apportare una minima modifica e pubblicarlo. Perché ho sentito l'esigenza di farlo, un bisogno di riprendere un po' di quello che era la mia vita "prima" della ventata di novità che i mesi scorsi mi hanno voluto donare. 
C'è molta introspezione in questo capitolo, non me ne vogliate. Ma ora mi sento anche io un po' così. 
Grazie per chi deciderà di ricominciare a leggermi.
Grazie a chi, in vari modi, c'è sempre stato. 
Un abbraccio
Milagar
  
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