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Autore: Fragolina84    08/11/2021    0 recensioni
Questa fanfiction si inserisce nel contesto da me creato con la serie "I love Avengers".
Il protagonista della storia, nata dopo la visione della miniserie The Falcon and The Winter Soldier (di cui non c'è nessuno spoiler), è James Bucky Barnes.
Sono passati due anni da quando gli Avengers lo hanno ritrovato nella base Hydra in Siberia, ma Bucky non si è ancora abituato alla sua nuova vita. Sarà Rebecca, la giovane proprietaria del Caffè Roma, a prenderlo per mano e ad aiutarlo nel percorso di guarigione.
Le stava dando l'ultima possibilità per tirarsi indietro. Perché lui era guasto. Rovinato, forse per sempre. Probabilmente corrotto fino al midollo senza possibilità di redenzione. E lei non meritava uno come lui.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I love Avengers'
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Siamo all'epilogo di Someone like you
e come fa presagire il titolo si tratta di un lieto fine.
Grazie infinite a chi è arrivato sin qui
(e mi scuso del ritardo con cui ho postato questi ultimi capitoli).
Spero che vorrete lasciarmi un pensiero
per farmi sapere cosa ne pensate di questo mio lavoro.
Buona lettura!

 
 
I progressi furono immediatamente evidenti, tanto che già quella sera, quando Steve venne a trovarlo, James volle mettersi a sedere. Rebecca obiettò che secondo lei non era una grande idea, ma James insistette tanto da costringere Steve ad accontentarlo. Lo afferrò delicatamente sotto le braccia e lo aiutò a raddrizzarsi, mentre Rebecca gli sistemava i cuscini. 
Lui cercò di evitare di mostrare il dolore che quel movimento gli aveva causato, tuttavia la cosa non sfuggì a Rebecca. 
«Va tutto bene, Rebecca» disse con calma, prima che lei potesse protestare. 
Mentre Steve si sedeva sul letto, Rebecca li lasciò e ne approfittò per andare a farsi una doccia. Rimase a lungo sotto il getto d’acqua calda, quasi a voler lavare via tutta la preoccupazione di quei lunghi giorni di incertezza. Poi, non volendo approfittare della disponibilità di Steve e incapace di stare troppo a lungo lontana da James, tornò in infermeria. 
«Bene» fece Steve quando la vide, «ora che la tua infermiera privata è tornata io posso andare.» 
James tese il braccio in vibranio e cinse le spalle dell’amico mentre questi lo aiutava a rimettersi coricato. 
«Sono felice che tu sia tornato. Mi sei mancato, Buck. Non farmi più preoccupare così tanto, intesi?» sussurrò. Poi salutò entrambi e se ne andò. 
Rebecca sedette sul letto e gli posò una mano sul petto. James mosse piano il braccio destro e coprì la mano della donna con la propria. 
«Dio, sono così stanco. Mi sembra di essere un neonato» sospirò, mentre faticava a tenere gli occhi aperti. 
Rebecca sorrise: «Il tuo corpo ha subìto un trauma terribile e stai ancora recuperando: è normale che tu senta il bisogno di riposare.» 
Lui girò lo sguardo sulla poltrona accanto al letto. 
«Anche tu dovresti» replicò. Il color caramello della sua pelle mascherava molte cose, ma non gli sfuggivano le ombre violacee sotto gli occhi. «Non hai l’aria di aver dormito molto negli ultimi giorni.» 
Rebecca non replicò e lui si perse a fissare i suoi occhi neri. Un’emozione calda e viva gli si agitava nel petto e non aveva nessuna intenzione di opporre resistenza, non stavolta. Se solo non fosse stato così debole… 
«Dobbiamo parlare, Rebecca.» 
«Non è il momento, James». Rebecca scosse la testa e sorrise. «La priorità adesso è riposare e riprendere le forze. Avremo tempo per…» 
«No, adesso. Quello che devo dirti non può aspettare» la interruppe. Rebecca tacque di fronte alla sua determinazione e attese. 
«In tutta la mia vita ho fatto un sacco di cose spregevoli. Sono diventato un killer ma, per quanto io non voglia aggrapparmi a delle giustificazioni, non avevo controllo su quello che facevo.» 
Le strinse la mano e Rebecca ricambiò la stretta. 
«Ma c’è una cosa che non potrò mai perdonarmi, la più miserabile di tutte. E sai perché è la peggiore? Perché su quella avevo il controllo, eppure ho mandato tutto a puttane». Tacque per un istante. «È stato il giorno che ho deciso di lasciarti» aggiunse. 
Rebecca deglutì, cercando di trattenere le lacrime: «James, non dovresti essere così duro con te stesso» provò a dire, ma lui scosse la testa. 
«Non giustificarmi» sbottò. «Non me lo merito, davvero. Perché quel giorno ti ho mentito e l’ho fatto solo per egoismo.» 
«Egoismo?» 
«Sì, egoismo. Perché non potevo credere che, dopo tutto quello che avevo fatto, il destino avesse deciso di mettere sul mio cammino un tale miracolo. Prima o poi avresti deciso che qualcuna delle mie azioni era troppo da sopportare e mi avresti lasciato. E quindi ho usato il controllo che avevo per chiudere con te prima che tu potessi farlo con me, perché quello non l’avrei sopportato.» 
Rebecca aggrottò la fronte, come se faticasse a seguire il suo ragionamento. Cosa vera, peraltro. Lui sorrise mestamente. 
«Lo so, sono stato un emerito idiota. Tu sopportavi ogni cosa con una tranquillità che mi disarmava. Ogni assassinio che ti avevo raccontato, gli incubi che mi tenevano sveglio di notte, le occhiate di chi per strada mi riconosceva come il Soldato d’Inverno e mi guardava con paura: niente sembrava sconvolgerti. Continuavi a starmi accanto in un modo che io non capivo. Anche quando sei stata rapita a causa del mio passato, l’unica tua preoccupazione era per me». Incapace di sostenere oltre il suo sguardo, si voltò verso le grandi finestre che davano sulla città: «Prima o poi tutto quello sarebbe stato troppo e io dovevo proteggere me stesso.» 
Rebecca liberò la mano dalla sua stretta e gliela posò sulla guancia, facendogli girare la testa verso di sé. 
«Non avevi motivo di proteggerti da me. Non ti avrei mai lasciato, James. Non mi importa il tuo passato, né quanto pericoloso possa essere stare al tuo fianco.» 
Lui stirò le labbra in un sorriso teso: «Nessuna delle torture a cui mi ha sottoposto l’Hydra è mai stata dolorosa quanto dirti addio. E quando mi sono preso quella mitragliata nel petto, l’unico pensiero era che non potevo morire o non avrei mai potuto dirti che mi ero completamente e perdutamente innamorato di te.» 
James fece leva sul braccio in vibranio e si sollevò. Rebecca non fece in tempo a protestare che lui la baciò. Ritrovare quelle labbra e accorgersi che ne ricordava perfettamente la forma e il sapore fu un delizioso shock, come se non fossero passati mesi dall’ultima volta. La donna si abbandonò a quella sensazione, almeno finché James non ansimò e ricadde all’indietro. Lei lo sostenne e lo aiutò a sistemarsi sui cuscini. 
«Chiamo Helen» affermò, ma James scosse la testa. 
«Sto bene, tranquilla». Provò a muovere il braccio destro ma desistette e alzò quello in vibranio, accarezzando piano la guancia di Rebecca. «Ti amo, Rebecca. E spero non sia troppo tardi per rimediare all’enorme cazzata che ho fatto dicendoti che non volevo stare con te. Perché è l’unica cosa che voglio, a qualsiasi costo. Ma capirò se non vorrai più avere nulla a che fare con me.» 
Un’unica lacrima solitaria le scese dall’angolo dell’occhio e James la raccolse col dito. 
«L’unica cosa di cui mi pento è di non averti detto prima quello che provavo per te, ma l’ho fatto solo perché le cose stavano andando alla grande e non volevo metterti inutili pressioni. E quando mi hai detto che era finita ero talmente sconvolta da non avere nemmeno la forza per oppormi.» 
James percepì in quelle parole la scia di disperazione che si era lasciato dietro e si odiò per averla fatta soffrire così. Aveva fatto soffrire entrambi, solo perché non aveva affrontato la cosa con lei. 
«Quando Steve si è presentato al Roma, ho capito subito che ti era capitato qualcosa di molto grave e non ho potuto fare a meno di raggiungerti. Pensavo di essere riuscita ad andare avanti con la mia vita, di poter fare a meno di te, ma la realtà è che mi sono limitata a sopravvivere e ad evitare di andare completamente in pezzi.» 
Lui distolse lo sguardo, rendendosi conto di quanti danni avesse fatto e del dolore che aveva provocato, ma lei si mosse per incrociare di nuovo i suoi occhi. 
«Ti amo, James. E, se vorrai, passerò il resto della vita a ripetertelo finché ti entrerà in quella testaccia dura.»  
Quelle parole erano l’unica medicina di cui aveva bisogno. Rebecca era l’unica medicina di cui aveva bisogno. Con delicatezza e pazienza lei aveva rimesso insieme il suo cuore spezzato e l’aveva guarito dalle terribili ferite che cinquant’anni di assoggettamento all’Hydra gli avevano provocato. 
«Dovresti riposare ora» affermò la donna, sistemandogli i cuscini. «Hai bisogno di qualcosa?» 
«L’unica cosa di cui ho bisogno sei tu» rispose, sollevando il braccio in vibranio e spostandosi un po’ per farle posto accanto a sé. 
«No, non se ne parla.» 
«Non ti lascerò dormire un’altra notte su quella poltrona» obiettò. 
Lei scosse la testa: «Non possiamo starci.» 
«Ma figurati!» contestò James, soffocando uno sbadiglio. «A casa nostra mi dormi sempre appiccicata e non occupiamo più spazio di così.» 
Il cuore di Rebecca ebbe un sussulto quando lui pronunciò le parole “casa nostra” e James sorrise: «E non fare quella faccia, so bene cosa ho detto. Vieni qui.» 
Rebecca si sistemò al suo fianco, incastrando la spalla sotto quella di lui e poggiandogli la testa sul petto, infilando una gamba fra le sue. Lui la strinse a sé, posandole un bacio sui capelli, e lei emise un sospiro di beatitudine. 
Rimasero così per qualche minuto. James si godeva il calore del corpo della sua donna premuto contro il proprio, accarezzandole dolcemente la schiena con la mano in vibranio. 
«Sai che ti dico?» mormorò, un istante prima che la stanchezza avesse la meglio su di lui, «Fosse per me, non vorrei passare il resto della vita più lontano da te di quanto lo sia in questo momento.» 
Rebecca non rispose e James spostò la testa per osservarla: si era già addormentata, il viso disteso in un’espressione serena e tranquilla. 
Sorrise, baciandole dolcemente la fronte. Poi si rimise giù e chiuse gli occhi, abbandonandosi infine al sonno. 
 
  
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