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Autore: HellWill    09/11/2021    0 recensioni
Luce è una cacciatrice di vampiri. O almeno, lo era prima di essere tramutata in una di essi. Ma il suo odio per questa specie di non-morti trascende la sua stessa condizione, per cui ha un piano per sterminarli tutti, e farsi uccidere dai suoi ex-colleghi subito dopo, per estirpare dal mondo la piaga del vampirismo.
I vampiri, le era stato detto, non provano emozioni; e allora come mai Luce nutre un odio ed una rabbia così profondi, al punto di non volersi per niente integrare nella società vampiresca, se non con il fine di uccidere tutti i suoi simili?
E come mai sente le farfalle nello stomaco quando nel clan di Bologna fa ingresso una donna che, dice, ha circa duemila anni e viaggia fra i diversi mondi?
Davvero i vampiri non provano emozioni? Oppure è solo una bugia che si è raccontata fino a quel momento per giustificare i propri intenti distruttivi?
STORIA SCRITTA PER IL NaNoWriMo 2021.
Genere: Dark, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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V
Rabbia
 
«Devo imparare a nascondere i miei pensieri» annunciò Luce scontenta, rientrando in casa; ma Luke non poteva sentirla, non quel sabato notte.
Allarmata dalla mancata risposta dell’amico, Luce sondò l’appartamento: era in perfetto disordine, come al solito durante il weekend, in attesa che il lunedì arrivasse la signora di servizio per pulire gli ambienti comuni di casa.
Un uggiolio come di un cane bastonato provenne dalla camera di Luke, e Luce si tolse le scarpe con calma prima di dirigersi lì. Trovò Luke trasformato in lupo; era un lupo molto più grande di un animale normale, e occupava pressoché tutto il letto matrimoniale mentre la fissava con gli occhi scuri che conosceva così bene. L’ultima volta aveva preferito trasformarsi fuori di casa, per non rischiare di farle del male, e così Luce poteva dire di non averlo mai visto in quella forma. Avrebbe parlato, oppure non poteva farlo? Si doveva nutrire? Avrebbe dovuto cacciare? Ne sapeva così poco che quasi si vergognò.
«Che succede?» mormorò, e il suo sguardo cadde quasi in automatico sul calendario, su cui dei giorni erano cerchiati in quanto i giorni di trasformazione: quel sabato non era fra questi. «Non avresti dovuto… non oggi, comunque. Non mi aspettavo di trovarti così. Vuoi uscire?» chiese gentilmente, deglutendo e sperando che il lupo non fosse ancora del tutto confuso dalla trasformazione.
Lui uggiolò ancora e scese dal letto, incapace di parlare, e le leccò il viso senza neanche mettersi in piedi, limitandosi invece ad allungare il collo. Luce ridacchiò e si guardò intorno: come avrebbe dovuto portarlo fuori? Era un animale che la capiva, o dentro quel corpo c’era effettivamente Luke con tutta la sua personalità e comprensione? Avrebbe avuto bisogno di collare e guinzaglio oppure l’avrebbe seguita senza remore, obbedendo anche ai suoi comandi? Che roba complessa.
«Allora… Non vedo guinzagli qui e ne sono lieta, a dire il vero, perché penso che sarebbe umiliante portarti a spasso come un cane. Sbatti le palpebre due volte se mi capisci, non fare niente se invece non mi capisci» gli ordinò, corrucciata. Il lupo lasciò cadere la lingua fuori dai denti, ansimando, e batté obbediente le palpebre un paio di volte, inarcando poi un sopracciglio pieno di vibrisse mentre la fissava in attesa.
«Okay… va bene. Mi starai accanto quando usciamo? Ti porto fuori Bologna, in un bosco o qualcosa del genere. Dovrai aspettare un po’».
Il lupo iniziò a scodinzolare fortissimo, si sedette, poi fece un giro su se stesso, irrequieto, infine restò a fissarla scodinzolante, ancora in attesa.
«Non prendo l’auto da un po’, quindi non ti lamentare se guido… beh, da cani» rise Luce, e il lupo smise immediatamente di scodinzolare, fissandola serio.
«”Non è divertente, gne gne gne”» lo imitò Luce, muovendo la mano come fosse lei a parlare, e il lupo si diresse alla porta d’ingresso, irrequieto.
Il viaggio in auto fu silenzioso, in quanto Luce non aveva molta voglia di parlare dopo la seduta dal dottor Gentili; quando giunsero al parco dei cedri, Luce aprì semplicemente la portiera dell’auto e lo lasciò correre libero nei boschi che correvano lungo il fiume, sperando potesse sfamarsi con qualche lepre o carpa, a caso. In quanto a lei, si sedette sul tettuccio dell’auto e si accese una sigaretta dopo l’altra, frugando nella borsa per buttare le cartacce nel cestino prima di andarsene; incappò nel biglietto da visita scarabocchiato dallo psicologo, ed esitò. Poi tirò fuori il cellulare e compose il numero.
«Pronto? Chi parla?» chiese una voce femminile al di là della cornetta.
«Ehm, salve. Cerco Giosuè».
«Un momento».
Partì una musichetta classica sgranata e semi-irriconoscibile, finché Luce non colse alcune note: era “La primavera” di Vivaldi.
«Pronto? Chi parla?».
«Salve. Lei è Giosuè?».
«Sono io. Cosa posso fare per lei?».
«Mi chiamo Luce. Sono… sono un vampiro da meno di tre anni, volevo… volevo sapere se fosse possibile entrare nel clan delle Sette Chiese».
Silenzio per qualche secondo, poi rumore di fogli di carta.
«Guardi, posso darle un appuntamento per valutare la sua situazione e vedere se possiamo ammetterla al clan. Mi dà per favore i suoi recapiti e il numero della sua carta d’identità? Nel caso sia straniera extra-europea, va bene anche il passaporto» disse, intuendo erroneamente dall’accento che Luce rientrasse in quest’ultimo caso.
Luce frugò nella borsa, mentre diceva: «Solo un momento…». Dettò all’uomo il proprio numero di telefono, poi le altre informazioni richieste, deglutendo a fatica, e infine Giosuè le riferì:
«Lunedì alle 20:45, ci vediamo in un luogo pubblico: il bar delle Sette Chiese. Ci saremo io e la mia segretaria. Lei può portare eventualmente qualcuno, se la può aiutare a sentirsi più al sicuro».
«Come… come sono i rapporti del clan con i licantropi?» chiese Luce, titubante.
«Non siamo in guerra con loro, se è questo che vuol sapere. Non siamo in ottimissimi rapporti con i branchi bolognesi, ma non disprezziamo il mutuo aiuto ogni tanto» la informò l’uomo.
«Okay. Mi porterò dietro un mio amico. È un licantropo».
«Vi aspettiamo lunedì. Mi stia bene».
E detto questo attaccò.
Luce lasciò uscire tutta l’aria che aveva conservato nei polmoni fino a quel momento, e vide tornare di gran carriera il lupo che aveva sguinzagliato nel parco; aveva una lepre fra le fauci, morta stecchita, e quando raggiunse l’auto il lupo si accovacciò sotto la portiera e iniziò a mangiarsela con calma: aveva il muso già sporco di sangue, segno che aveva già predato qualcos’altro, ma dall’odore Luce riuscì ad intuire che si trattava comunque di un qualche tipo di animale e non, per fortuna, un povero cristo uscito per dello jogging notturno.
«Ho contattato il clan delle Sette Chiese. Spero abbia un programma di scambio con gli altri clan, tipo l’università» mormorò, diretta al suo amico, ma lui non diede segno di averla sentita o, quantomeno, ascoltata. Finì la lepre con calma, ingoiando le ossa pressoché intere, e quando ebbe concluso il pasto guardò Luce in attesa, soddisfatto, leccandosi i baffi.
«Non so neanche se puoi capirmi».
Il lupo la fissò in silenzio.
«Il dottor Gentili crede che tu sia innamorato di me. È ridicolo, non trovi?» borbottò, a disagio; se Luke avesse ricordato la nottata sarebbe stata fonte di assoluto imbarazzo, ma non avrebbe mai potuto parlargliene mentre era in forma umana. «Nessuno potrebbe mai amarmi, non così» mormorò infine, alzando lo sguardo alle stelle.
Il lupo alzò anch’esso lo sguardo al cielo, e improvvisamente latrò ed ululò; forse si sentiva solo? O era una risposta a ciò che aveva appena detto Luce?
In qualche modo, quell’ululato la calmò.
«Vieni. Andiamo a casa» gli disse, e scese dal tettuccio dell’auto con un salto. Gli aprì la portiera del passeggero dietro, in modo che potesse stendersi come all’andata, e il lupo le leccò una mano prima di salire.
Il viaggio di ritornò fu calmo, e Luce mise l’auto nel garage del proprio appartamento in silenzio una volta tornati a casa.
Il mattino venne troppo presto e, quando Luke uscì dalla propria stanza, il ragazzo era di pessimo umore.
«’Giorno» la salutò bofonchiando, e Luce gli sorrise tesa.
«Ricordi qualcosa di ieri notte?» gli chiese nervosa, e lui si strinse nelle spalle.
«Noi licantropi possiamo capire quello che dici, quando siamo in forma animale; questo non vuol dire che ricordiamo più di qualche flash» le spiegò spazientito, versandosi del caffè. Lei annuì e si grattò la nuca, in imbarazzo.
«Capisco. Volevo solo… chiederti come mai ti sia trasformato con tre giorni d’anticipo. È successo qualcosa… di cui non sono al corrente?».
«Ho incontrato mio padre. Sono andato a casa per prendere dei vestiti, e lui… lasciamo perdere. Avrebbe dovuto essere a lavoro, ma a quanto pare è stato licenziato. Ha ritenuto opportuno prendersela con me» ringhiò, e Luce si alzò dal divano in fretta, per avvicinarsi titubante al ragazzo.
«Posso?» chiese piano, e lui la fissò con gli occhi scuri.
«Cosa?».
«Toccarti. So che ci si sente un po’ di merda dopo una trasformazione, quindi…» mormorò, e lui la guardò corrucciato, poi annuì.
«Puoi».
Luce gli cinse la vita con le braccia, e poggiò la testa sulla sua schiena: ah, avere un cuore che batteva forte e veloce… era una di quelle piccole cose che le mancavano da morire. Restò ad ascoltare il battito di Luke come fosse ipnotico, e il ragazzo sospirò, rassicurato da quell’abbraccio. Poi parve ricordarsi qualcosa.
«Luce… dobbiamo parlare».
Alla ragazza si sarebbero rizzati tutti i peli del corpo, se solo avesse avuto ancora quel tipo di riflessi; invece, si limitò ad interrompere l’abbraccio e a fissarlo interrogativa: scelse di fare la finta tonta.
«Di cosa?».
«Di noi. Di cosa diavolo ci facciamo a convivere se neanche ci baciamo. Mi pare che abbiamo saltato un po’ di tappe, e che ne abbiamo raggiunte altre fin troppo presto».
«Vuoi parlare di… sentimenti? O di tappe obbligate? Non capisco».
Luke sorseggiò il caffè con calma.
«Voglio parlare di sentimenti» chiarì. «Io… io credo di amarti. Di certo sono innamorato, e perso».
Luce si sentì soffocare. Sarebbe stato meschino provare ad ipnotizzarlo fino al punto da fargli credere di non amarla affatto? Nella sua testa era solo una delle opzioni plausibili.
«Io… io non so cosa dire, Luke» mormorò lei, abbassando lo sguardo, colma di vergogna e astio e rabbia. «Non sono nelle condizioni di accettare questo tipo di sentimenti nella mia vita».
Luke si irrigidì a quelle parole, poi si rilassò di nuovo e osservò, mesto:
«Però non dici che non mi ami».
«Per non ferirti» specificò, e Luke la fissò senza capire.
«Luce, preferisco una dura verità rispetto ad immensi giri di parole per evitare il discorso. Sono una creatura semplice. E lo sono ancora di più quando è mattina e mi sono appena ritrasformato in essere umano» spiegò, un po’ spazientito.
«Va bene, d’accordo: non ti amo. Passo del tempo con te perché ti considero mio amico, un amico con il quale ogni tanto si fa qualcosa di diverso, un amico prezioso, ma… pur sempre un amico».
Luke abbassò lo sguardo.
«Non tiro fuori la faccenda della friendzone solo perché è una roba da incel, ma… mi ricordo una cosa che mi hai detto ieri notte» disse piano.
Luce si irrigidì.
«Cosa ti ricordi?» chiese, quasi accusatrice.
«Che nessuno potrebbe mai amarti. Non così» citò quasi testualmente, e Luce arretrò di un passo.
«Contavo che non l’avresti ricordato».
«È buffo, perché non avrei voluto ricordarlo. Quelle parole fanno più male a me che a te».
«E in che modo? Sentiamo».
«Sono la prova vivente che puoi essere amata, perché ti amo così come sei. Non ti ho conosciuta da viva, non mi sono innamorato di te da viva, ma quando eri già un vampiro. Eppure per qualche assurdo motivo tu non ci credi, non credi di poter essere amata, e di fatto invalidi completamente il mio sentire, le mie emozioni, i miei sentimenti».
Luce non riusciva neanche a deglutire tanto era paralizzata dal terrore. Aveva affrontato qualcosa come 400 vampiri, ne aveva ammazzati probabilmente altrettanti, eppure… eppure bastava una singola discussione su dei sentimenti a bloccarla completamente, a farle mancare il respiro, a farla sentire una stupida inetta, inadatta alla vita – beh, era morta; cosa mai poteva aspettarsi se non di essere inadatta alla vita?
«Beh? Non dici niente?» Luke aprì le braccia e Luce arretrò di un altro passo, afflitta.
«Non… non posso ricambiare i tuoi sentimenti, Luke» mormorò. «Non posso. Non riesco. Non sono neanche sicura di riuscire ad amare qualcuno, ora come ora. Non sei tu… è che forse davvero i vampiri non riescono a provare emozioni positive. Forse davvero non posso per via della mia natura. Non ho idea del perché – ma è così».
Luke abbassò le braccia, prese un altro sorso di caffè e poi annuì.
«Cambierebbe qualcosa se ti chiedessi di fare della terapia insieme?».
«No, non cambierebbe nulla» mormorò Luce, affranta. Luke abbozzò un sorriso.
«Spero mi vorrai comunque intorno per un po’… intanto che cerco un altro appartamento, o una stanza, da qualche parte».
«E come pensi di pagartela?».
«Cercherò lavoro, prima».
«Puoi restare qui quanto vuoi. Possiamo fare quello che facciamo sempre: videogiochi, alcol, e erba».
Luke sorrise.
«Mi piacerebbe, ma non so quanto potrei resistere al vederti continuamente. Ho bisogno… di stare un po’ per conto mio».
«Ti infastidirò il meno possibile».
Luke alzò gli occhi al cielo.
«Luce, non si tratta di “infastidirmi”. Si tratta del fatto che… lasciamo perdere» si interruppe da solo, scuotendo la testa.
«Sono tutt’orecchi» cercò di apparire il meno sarcastica possibile; si appoggiò allo schienale del divano e incrociò le braccia al petto.
«Io sono innamorato di te, Luce. Questo vuol dire che se non ricambi, io soffro. E soffrirò continuamente nel vederti, continuamente nell’osservarti, perché è un sentimento che non si può spegnere con un interruttore».
Luce annuì piano, poi le venne in mente qualcosa.
«Cosa ti fa credere di amarmi? Sono curiosa, tutto qui» specificò, prima che lui potesse prendere male la domanda.
«Forse sono io che ho frainteso, ma… il prendersi cura l’uno dell’altra e viceversa, questo è stata una delle prime cose che mi ha fatto affezionare a te».
«Ma se ho tentato di ucciderti due volte, da quando conviviamo!» esclamò la ragazza, stupita.
«Poi il fatto che ti odi con tanta ferocia… mi fa solo pensare al fatto che hai bisogno di qualcuno che sei degna d’essere amata».
«Ho solo bisogno di un bravo psicologo» ringhiò Luce, e distolse lo sguardo da lui. «Forse non è una cattiva idea, che tu vada via».
Luke arretrò di un passo, ferito.
«Quindi… non vuoi più rivedermi?».
«Credevo fossi tu a non volermi vedere più» obbiettò Luce, guardandolo male.
«Non… non pensavo fosse una cosa ricambiata, tutto qui».
«Luke» lo chiamò Luce, e accese nella propria mente l’interruttore per l’ipnosi non appena i loro sguardi si incrociarono. «Ti ho spezzato il cuore. Non mi ami più – anzi, sono l’essere più egoista e cattivo che tu conosca. Proprio per questo vuoi rimanere qui: sono pericolosa per il prossimo, e non puoi permettere che accada qualcosa a qualcun altro. Ti sacrificherai per un bene superiore. Hai capito?» mormorò trafelata, e Luke annuì appena.
«Capito».
«Ora non ricorderai nulla di questa ipnosi. Ma interiorizzerai le mie istruzioni. È chiaro?».
«Chiaro».
Luce spense l’interruttore, e Luke si riscosse come da un sogno ad occhi aperti.
«Penso che rimarrò qui, invece» disse cauto. «Magari un lavoro me lo trovo comunque, in modo da pagarti un affitto».
«Non è necessario che mi paghi l’affitto, sono ricca di famiglia, ricordi?».
Luke annuì e abbozzò un sorriso, poi la osservò.
«Sembri stanca».
«Capita, quando non puoi più dormire».
Il ragazzo si strinse nelle spalle.
«Sicura di non aver usato i tuoi poteri?».
«Quali poteri? Ti ricordo che non sono minimamente dotata per farlo» borbottò Luce, e Luke sorrise.
«Bugiarda».
Luce lo guardò senza fiatare.
«In ogni caso, penso che potresti accompagnarmi lunedì».
«Che succede lunedì?» chiese lui, curioso.
«Ho un incontro conoscitivo con quelli del clan delle Sette Chiese».
Luke sorrise.
«Quindi ce l’hai fatta ad avere un contatto… ottimo. Stan sarà contento» osservò. «Però non me l’hai chiesto».
«Cosa?».
«Se posso, lunedì».
«Perché, hai impegni?».
«No, ma potevo averli».
Luce lo fissò senza capire.
«Non mi vuoi accompagnare?».
«Certo che ti accompagno. Ma potevi anche chiedere, invece di ordinarmelo e darlo per scontato».
Luce sostenne il suo sguardo, e Luke la guardò ferino. Era arrabbiato? Mh.
«Mi dispiace» disse lei lentamente. «Vuoi accompagnarmi, lunedì?».
«Sì, vengo volentieri» disse lui, inarcando un sopracciglio.
Restarono a fissarsi in cagnesco per qualche minuto, poi fu Luke a distogliere lo sguardo per primo e ad aprire il frigorifero.
«Mangi con me, oggi?».
«Sai che non ne ho bisogno».
«So che puoi farlo, però. Mi tieni compagnia?».
«I vampiri non possono digerire, Luke. Non se non sono ben nutriti, come una zanzara troppo piena».
«Dovresti smetterla di paragonarti ad un insetto tanto fastidioso» borbottò lui, e Luce sorrise suo malgrado.
«E perché? È proprio così che la vedo».
«Come va con lo psicologo?».
Luce si irrigidì.
«Bene. Tutto bene».
«Ti sta aiutando?».
«È un telepate. Questo me lo fa stare altamente sul culo, ma… immagino che sia l’unico modo in cui posso aprirmi con qualcuno, dato che tendo a mentire anche a me stessa, a quanto pare» borbottò Luce, e Luke quasi si strozzò con il latte che stava bevendo dal cartone.
«Un telepate?!».
«Già. Mi legge nel pensiero anche quando non vorrei che lo facesse. Il che complica e semplifica le cose al tempo stesso».
«Immagino! Assurdo che possa fare lo psicologo, non è tipo… scorretto?».
«È dichiarato ovunque, e forse proprio per quello ha pochi clienti. Oltre al fatto che è un vampiro».
«Cazzo!» rise. «Non deve essere semplice per lui».
«Non… non ci avevo pensato» Luce abbozzò un sorriso, e Luke si strinse nelle spalle.
«Non pensi a molte cose» asserì, e detto questo richiuse il frigo. «Vado a fare la spesa».
«Ti do qualcosa?» chiese, tirando già fuori il portafoglio, ma Luke esitò.
«Non… non è molto giusto, dato che non mangi».
«Mia madre controlla le carte di credito. Se si accorgesse che non mangio più si chiederebbe il perché» disse Luce, stringendosi nelle spalle e porgendogli una carta.
«Il pin?».
«Te lo scrivo per messaggio. Tienila tu. Ti servirà».
«Ma è intestata a te…».
«Sì, ma c’è ancora il mio indirizzo di Napoli» Luce scrollò le spalle. «Davvero. Ne ho un’altra, tanto».
Luke esitò, poi prese la carta e se la mise nel portafoglio che portava sempre nella tasca anteriore dei jeans.
«Va bene. Esco. Cerca di non deprimerti troppo».
«Come vuoi tu, capo» lo sfotté Luce con un sorrisino di scherno.
Luke le dedicò un’occhiataccia, poi prese le chiavi ed uscì di casa. Luce mise su un videogioco con cui sfogare la propria frustrazione, e solo quello occupò il suo tempo per ore.
 
Il lunedì arrivò troppo presto. Luce non sapeva né cosa dire né come comportarsi, così mise su una maschera di fredda sfacciataggine e si presentò al caffè delle Sette Chiese insieme a Luke, senza sapere che tipo di domande le avrebbero posto, né se ce ne fosse qualcuna che avrebbe potuto fare lei.
Si accese una sigaretta, umettandosi le labbra: quella mattina Luke aveva fatto sì che si nutrisse bene, fin quasi a farle battere il cuore, e lei aveva apprezzato così tanto la sua diligenza che lo aveva premiato concedendogli della cioccolata – che, si sapeva, era un bocconcino prelibato per i licantropi, dato che non potevano mangiarla in quanto tossica ed eccessivamente zuccherosa.
«Come lo riconoscerai?».
«Dall’odore, credo».
«Cioè, non avete concordato segni di riconoscimento?».
Luce si strinse nelle spalle.
«Io non ci ho pensato, e lui non me ne ha detti».
Luke strinse le labbra, alquanto scontento.
«Sembri una femme fatale».
«Ma piantala» borbottò Luce, lanciandogli un’occhiata seccata. «Devo solo… apparire sicura di me. Come se mi piacesse essere un vampiro».
«Uuuh, la fai facile» la sfotté l’amico. «Attenta che potrebbe diventare la verità» osservò asciutto, e Luce lo guardò senza capire.
«Che intendi?».
«A volte, per caso, fingiamo di essere qualcosa che non siamo. Fingiamo sentimenti, emozioni, identità che non sono vere… ma che poi finiscono per esserlo» mormorò lui a denti stretti. «Cazzo che freddo» borbottò, pestando i piedi a terra e guardandosi intorno. «Allora, vedi qualcuno? O meglio, lo annusi?» scherzò, e Luce prese un tiro dalla sigaretta.
«Forse quei due lì. Sono due vampiri, mi pare» disse, e indicò con un cenno una ragazza di colore con una cartellina in mano e un signore dinoccolato e vestito per bene seduto accanto a lei: sorseggiavano un cappuccino, nonostante fosse sera.
«Beh, allora andiamo?».
Luce annuì, gettò la sigaretta nel posacenere del cestino lì accanto ed entrò nel bar. Si sedette al tavolino senza dire una parola, e l’uomo sorrise.
«Devi essere Luce. Io sono Giosuè, piacere di conoscerti. Lei è Zakiya, è la mia segretaria. Prenderà appunti riguardo le tue domande e le tue risposte. Lui dev’essere l’amico di cui mi accennavi».
«Piacere, Luke» disse con un sorriso, ma evidentemente a disagio. Nessuno gli porse una mano, così il licantropo si limitò a sedersi accanto a Luce, di fronte a Zakiya, in silenzio.
«Desiderate qualcosa? Un caffè, un the, una spremuta?» chiese gentilmente Giosuè, e aggiunse: «Offro io, ovviamente».
«Sono a posto così» disse Luce, secca, e Luke si strinse nelle spalle.
«Anche io» confermò.
«Bene. Allora iniziamo» Giosuè si schiarì la voce e intrecciò le mani sul tavolino. «Cosa ti porta da noi delle Sette Chiese, Luce, con precisione?».
«Siete… D’accordo è una storia un po’ lunga» borbottò Luce. «Ho dei problemi con l’essere un vampiro. Non è quello che mi aspettavo dalla… beh, dalla vita, dalla morte, come la vogliamo mettere. Per cui sono andata da uno psicologo, il dottor Gentili, e mi ha suggerito di rivolgermi a voi per… allargare la mia cerchia di conoscenze, e che queste siano vampiri come me».
«Ah, il dottor Gentili» Giosuè si scambiò un’occhiata con la ragazza, che appuntò qualcosa sul foglio che teneva sulla cartellina. «Capisco. Quali problemi hai con l’essere un vampiro, se posso chiederlo?».
«Ero… ero una cacciatrice di vampiri. Facevo parte del network di cacciatori di New York, ma quando sono stata trasformata mi hanno ripudiato e mi sono ritrovata da sola, con la mia posizione compromessa perché tutti sapevano dove abitavo e come trovarmi. Sono dovuta tornare in Italia, e non nella mia città natale, Napoli, perché tutti loro sapevano da dove venivo» sciorinò tutta quella storiella come fosse vera, sperando che nessuno dei due fosse un telepate come il dottor Gentili. «Sono sola. La mia famiglia non sa… di questa mia condizione. L’unico amico che ho è Luke» mormorò, abbassando lo sguardo.
«Capisco. Mi dispiace che tu abbia dovuto passare tutto ciò, ma fidati quando ti dico: i clan bolognesi sono molto accoglienti. A parte i Sette Segreti che hanno requisiti specifici, gli altri tre clan sono decisamente meno pretenziosi».
«Non… non sapevo ci fossero altri due clan» Luce inarcò le sopracciglia sorpresa. «È una città piccola, credevo… credevo ce ne fossero due e basta».
«Oh, no. Il clan delle Volte e il clan dell’UniBo contano pochi membri, ma non dubitare: hanno molto potere. Il clan delle Sette Chiese è un po’ un clan di passaggio: quando conviene, i membri migrano in altri clan, e abbiamo iniziative per far sì che tutti trovino il clan giusto. Il clan UniBo è simile, in quanto accoglie tutti i vampiri che hanno a che fare con il mondo universitario, che sia per sempre o per poco tempo. Il clan delle Volte è composto perlopiù di bolognesi nati e cresciuti qui, ma accolgono anche “outsiders” che vogliono far parte della vita bolognese».
«E voi?» chiese Luce, inarcando le sopracciglia.
«Noi accogliamo chiunque. Gli incontri preliminari sono solo una formalità, diciamo così».
«Capisco. Avete avuto nuovi membri, recentemente?».
«Oh, sì. È arrivata… una persona un po’ particolare. Non mancheremo di fartela conoscere, a suo tempo, ma… non è esattamente un vampiro. Non puro, almeno».
Luce drizzò la schiena, e aggrottò la fronte.
«Che vuol dire che non è un vampiro “puro”? Si può essere vampiri mescolati a qualcos’altro?».
«A quanto pare sì» Giosuè sorrise appena, e scosse la testa. «È la prima volta che ci capita qualcosa del genere. Si tratta di una ragazza – anzi, direi una donna? – che è per metà lupo mannaro e per metà vampiro».
A Luce si strinse la gola.
«Che vuol dire?» chiese scioccata.
«Vuoi venire a conoscerla? Domani si farà un incontro di gruppo con i nuovi arrivati, e ci sarà molto probabilmente anche lei» la informò casualmente Zakiya, continuando a prendere appunti sulla conversazione.
Luce si sporse sul tavolino e mormorò:
«Ma da dove viene? Parla italiano, inglese, altro?».
«Sappiamo ancora pochissimo sul suo conto. So che frequenta un liceo classico qui in città da settembre, e poco altro».
«Ma… come può frequentarlo? È una donna, no?».
«Dimostra un’età che va dai sedici ai vent’anni, in realtà… Appare molto giovane, ecco».
«E non lo è?».
«Ripeto che sappiamo molto poco sul suo conto. Un po’ per la barriera linguistica, un po’ perché è molto riservata» Giosuè scrollò le spalle, poi sorrise appena. «Come mai tutto questo interesse per la nuova arrivata?».
Luce tacque imbarazzata.
«Non ho mai sentito di persone per metà mannari e metà vampiri. Dev’essere una cosa piuttosto rara. Mi chiedo che odore abbia».
«Sì, è più unica che rara, come persona» confermò Giosuè. «Che dire? Benvenuta a bordo, e sappi che in Italia non ci sono cacciatori di vampiri come negli Stati Uniti… sei al sicuro, soprattutto con il nostro clan».
«E se non lo fossi? Se mi avessero seguita?» cercò di apparire nervosa, e Giosuè sorrise appena.
«Vedi, Luce, i clan non sono solo un’occasione per conoscere vampiri vecchi e nuovi; sono anche una protezione, sia da altri clan che dai mannari, che dagli eventuali cacciatori».
«I mannari rappresentano un pericolo?».
«Oh, sì. Molto più dei licantropi come te. I mannari hanno branchi, organizzazioni gerarchiche, territori da contendersi; i licantropi sono semplicemente umanoidi maledetti, mentre il mannarismo è… quasi una malattia, un’intossicazione, al pari del vampirismo insomma. In più, il veleno dei mannari è mortale per noi vampiri».
Luce si ritrovò a pensare a quella donna, ancora una volta in quella breve conversazione; come faceva ad essere metà e metà se il veleno dei vampiri era mortale per i mannari e viceversa? Doveva indagare più a fondo sulla faccenda.
«Quindi giovedì c’è l’incontro con i nuovi accoliti?».
«Oh, dio… “accoliti” è una parola un po’ grossa, non credi?».
Luke alzò gli occhi al cielo, ma non si espresse.
«Comunque non giovedì, ma domani. Sei la benvenuta. Ci riuniamo alle Sette Chiese, proprio lì» e indicò l’antico monastero la cui entrata campeggiava in fondo alla piazza. «Saremo nel sagrato del pozzo, non saremo neanche una decina. Ci sono politiche molto severe sulla trasformazione di nuovi vampiri… Infatti se non erro sei straniera, giusto?» chiese, riferendosi al suo accento.
«In realtà sono nata e cresciuta a Napoli. Non ho preso la parlata tipica solo perché in casa mia si parlava italiano, e poi a ventidue anni sono andata via di casa, negli Stati Uniti. Sono tornata qui solo l’anno scorso, e ho scelto Bologna per via delle amicizie che avevo qui all’epoca» disse, scambiandosi un’occhiata con Luke. Lui sorrise appena e annuì.
«Ah… beh, però sei stata trasformata in vampiro negli States, giusto?» chiese Zakiya, interessata.
Luce esitò, poi annuì ed abbassò lo sguardo.
«Sì, esatto. Durante una caccia, per giunta. Ho assunto un antidoto sperimentale, ma… ma non ha funzionato» mormorò. Giosuè si fece attento.
«Un antidoto sperimentale?».
«Sì, deve essere assunto nei minuti o nelle ore che seguono lo scambio di sangue. Tuttavia io ho… avevo… un metabolismo un po’ più veloce degli esseri umani, dato che mia madre e mio padre sono creature magiche… quindi non ha funzionato anche se l’ho preso un paio d’ore dopo lo scambio».
«Come hanno fatto ad effettuare lo scambio di sangue con una vittima che non voleva diventare vampiro? Ti hanno obbligata a bere il sangue, prima di essere morsa? Non capisco».
«Io… io avevo ferito quel vampiro quasi a morte. Un po’ del suo sangue era caduto nelle mie ferite aperte, ma non mi importava finché riuscivo ad evitare i suoi morsi. Mi ha lanciato via, ho battuto la testa e ci ho visto nero. La prima cosa che ricordo dopo è che avevo un profondo morso sulla spalla e che lui stava arrancando via mentre gli altri cacciatori combattevano contro altri vampiri» spiegò a disagio: non le piaceva ripercorrere quella notte, la notte in cui il suo cuore aveva battuto per l’ultima volta.
«Spero che ti sapremo aiutare» mormorò Giosuè, sorridendo appena. Luce si ritrovò ad annuire suo malgrado.
«Vado da uno psicologo vampiro per questo. Conoscere altri vampiri aiuterà di certo… le esperienze sono tutte diverse».
«Hai già avuto a che fare con i tuoi poteri? Abbiamo dei laboratori per scoprirli ed esercitarli».
«Oddio, io… io faccio pratica con l’ipnosi, ultimamente. Per il resto non ho idea se abbia altri poteri».
«L’ipnosi è il più elementare diciamo. Saremo felici di aiutarti a scoprirne di nuovi» assicurò lui, allegro ma composto, e lasciò una banconota da cinque euro sul tavolino, scambiandosi un’occhiata con Zakiya. «Ora temo che dobbiate andare, abbiamo un altro appuntamento fra poco. È stato un piacere, conto di rivederti domani».
Luce annuì.
«Ci sarò».
 
«Non voglio andarci» mormorò Luce, accendendosi una sigaretta: finalmente erano a casa, e Luke aveva appena ordinato una pizza per sé, mentre lei gli guardava un po’ gelosa il collo. Aveva fame, anzi, sere; dopotutto, quel giorno non si era ancora nutrita. Ma qualcosa la tratteneva, una sensazione cocente che sapeva di rabbia contro l’ineluttabilità del proprio destino.
«Allora non ci andare».
«Però voglio conoscere quella… donna? Metà mannaro e metà vampiro. Assurdo. Non sapevo neanche che fosse possibile» mormorò, fra una boccata e l’altra.
«Potresti provare a cercarla».
Luce rizzò la testa oltre il divano, e vide che Luke sorrideva.
«Se ti interessa così tanto…» aggiunse il ragazzo, e Luce sbuffò.
«E come faccio a cercarla? Neanche mi ricordo il suo nome, se me l’ha detto».
«No, non l’ha detto. Non ti resta che aspettare domani, no?».
«Mannaggia al cazzo» ringhiò Luce. «Preferisci prima o dopo la pizza?» chiese, decidendosi a spegnere il mozzicone nel posacenere. Luke si strinse nelle spalle.
«Dopo. Non vorrei suonasse il rider mentre stai bevendo».
Luce si raggrinzì sul divano, meditando come evitare l’incontro e conoscere al tempo stesso la donna da cui ora era ossessionata.
Così si dispose all’attesa.
   
 
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