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Autore: RLandH    17/11/2021    2 recensioni
[Spoiler! uno, ma bello grosso, su TOA, qualcosa su MC&TGoA| Crossover con Magnus Chase| What If]
Mi sentivo di essere pronta a fare un tributo a Jason Grace.
“Lo giuro sullo Stige” aveva dichiarato, certo di aver commesso un errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene, adesso, non dire la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio ciechi e di che non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo aveva preso in giro lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la memoria a brandelli e feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita era una sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva allentato la pressione della lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva provato a puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta, “Io non sono mai stata qui e tu asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E permettimi di scusarmi in anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Genere: Avventura, Commedia, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cimopolea, Jason Grace, Magnus Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Percy Jackson in The Multiverse'
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E LO SO CHE SONO IN RITARDISSIMO.

MA: Sono stata in vacanza, cosa che non succedeva da eoni.
Quindi perdonatemi, pls.
Per l’illustrazione, uhm … ho fatto Gerd e Jarnsaxa ma non mi piace e non so se postarla, però ho finalmente fatto una caricaturale dei nostri giovani eroi.
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Jason-Grace-and-the-Barbarians-898018264
Non sono una gran far di questo style, però, sì dai ci stava.
Come sempre ringrazio chi legge/segue/preferisce/ricorda ed un grazie di cuore a Farkas e Edoardo811.
Questo capitolo mi ha preso un po’ la mano, devo ammettere e non è andato esattamente dove doveva andare. Però giuro, la parte introduttiva e finita (a capitolo 7 era anche ora) e finalmente possiamo procedere con la missione.
(Abbiamo anche il limite di tempo canonico del mondo di PJO per fare le cose).
E niente spero lo possiate apprezzare.
Un Bacio
RLandH

Ps – I due personaggi all’inizio potranno sembrare molto WTF, ma giuro avranno il suo senso. Prima o poi :^

Il (‘Idromele)Party del Piano Venti

 

“Io ti odio” aveva sillabato Astrid prima di colpirlo dritto sul naso con l’elsa della sua accetta.
Jason era ruzzolato atterra, dolorante e con fiotti di sangue che scendevano giù da un naso maciullato. “Lo so” aveva dichiarato lui, calmo.
La conversazione tra lui ed Astrid stava andando così da tutta la mattina.
Jason aveva anche cercato di introdurre il suo sogno, relativo alla notte scorsa, ma la guerriera non aveva voluto ascoltare una parola, aveva preferito cercare di uccidere Jason in ogni modo possibile.
In realtà … non stava cercando di ucciderlo.
Se Jason fosse morto, si sarebbe riformato nella sua piccola stanzetta al piano Venti e sarebbe sfuggito allo sguardo diligente di Astrid.
Quindi, sì, la sua compagna stava cercando di farlo a pezzi – senza ucciderlo.
E Jason non le portava neanche un po’ di rancore.
Infondo era colpa sua e del suo, dannatissimo, senso di giustizia, che lo aveva già ucciso una volta.
“In piedi, di nuovo” aveva impartito lei.
Jason si era tirato su, aveva un occhio gonfio, la bocca impastata ed il sapore ferruginoso del sangue. Non vedeva benissimo Astrid, ma anche lei non era una rosa di campo.
Aveva un grosso taglio sulla tempia, le mancava un pezzo di treccia ed un orecchio.
“Comunque, volevo dirti …” aveva cominciato Jason. “Non mi interessa” lo aveva smontato lei per l’ennesima volta, prima di lanciarsi su di lui con l’accetta alla mano ed un grido di battaglia, che la faceva somigliare davvero ai nativi americani dei film stereotipati degli anni Sessanta.
Quel pensiero aveva distratto Jason, abbastanza da evitare per un solo soffio la lama che aveva avuto tutta l’intenzione di conficcarsi nella sua spalla.

Jason aveva risposto con un fendente della sua spada – Panikpak VI, visto che nei confini del Valhalla, era meglio non sfoggiare troppo Giunone – che aveva avuto un bacio piuttosto rumoroso con la lama dell’accetta di Astrid.
La sua compagna era feroce, ed attenta, non aveva la stessa maestria e tattica che Jason poteva sfoggiare, dopo tutta la vita modellata secondo la rigida educazione di Roma, ma si sapeva difendere bene.
D’altronde, per anni, Astrid aveva millantato una vita all’insegna della morte. Jason aveva infilzato la ragazza, su un fianco, abbastanza defilato da non aver colpito nessun organo vitale. Astrid lo aveva maledetto in una lingua che Jason non conosceva.
Lei gli aveva tirato una testata, il ragazzo era barcollato un po’ all’indietro, ma non aveva abbandonato la presa sull’elsa della spada, ma aveva deciso di affondare ancora di più nella carne.

Astrid aveva afferrato con difficoltà la sua ascia, Jason doveva averle reciso qualche legamento, perché era piuttosto indecisa nei movimenti e mancava di forza, ma alla fine era riuscita a colpire Jason con la lama lungo la coscia.
Lui era indietreggiato.
“Oh ma che bravi che siete ragazzi” qualcuno aveva disturbato il loro arrancare per terra, con tanto di battito di mani.
Jason si era voltato osservando due guerrieri che li guardavano. Erano, alti e grossi. Uno sfoggiava una lunga barba spessa, scura ed ispida, l’incarnato di porcellana e capelli acconciati in trecce con anelli d’oro.  Indossava quella che aveva tutta l’aria di essere una cotta di maglia, ma che era composta da quattro anelli, collegati da un singolo anello, allacciato ai pantaloni di cuoio portava un machete, ma Jason sapeva fosse uno scramasax – lo ricordava in relazione alle lezioni sull’utilizzo di armi bianche che aveva ricevuto a Campo di Giove, nessuno la usava mai … era un arma barbara.
Su un braccio teneva fermo uno scudo tondo in legno, su cui era dipinto un cerchio rosso pieno, attraversato da una croce greca oro che divideva in quattro spicchi identici su cui scintillavano delle B speculari.
L’altro uomo aveva un aspetto più ordinato, con i capelli scuri portati corti ed una barba rada, aveva una pelle olivastra ed un naso importante. Ma erano le vesti che avevano attirato Jason, indossava una maglia di ferro ad anelli sottili, almeno così di poteva vedere, sopra una camicia morbida arancione con clavi dorati, la veste raggiungeva le ginocchia e sotto sfoggiava calze bianche e sandali … anche lui aveva uno scudo con la croce e le B.

“Ottima tecnica ragazzo, sicuro di essere morto di recente?” aveva domandato il più ordinato dei due uomini, se così avessero potuto essere chiamati, ambedue sarebbero parsi a Jason sulla ventina, ma … più vecchi dei giovani di quell’età che si vedevano in giro, o che almeno lui aveva visto. “Ma lei è più carina” aveva ridacchiato il barbuto.
“Direi invece che voi siate variaghi” aveva stabilito Astrid, sfilandosi la lama di Jason dalla pancia, sulla maglietta si era cominciata ad aprire una macchia bruna, che progrediva sulla stoffa come inchiostro rovesciato. “Lui” aveva detto il ragazzo ordinato, “Io sono romano dalla testa ai piedi” aveva stabilito l’altro, parlava inglese, ma il suo tono era più musicale e di miele.
Jason aveva avuto un brivido a quella notizia, due sentimenti opposti avevano tormentato la sua anima, il sollievo di non essere solo ed il terrore di essere scoperto. Per testimoniare le sue parole, quello aveva mostrato il braccio, portava legata un’armilla che copriva la parte del dorso, ma la parte interna, coperta solo da lacci, per un tratto, esponeva la carne nuda, svettava una scritta.
Che confuse Jason, non poco.
S P Q R; sotto la scritta, oltre le bande che segnavano i suoi anni al Campo di Giove, vi era il disegno di una spira di grano, il cui gambo si intrecciava in un anello, tempestato di gioielli.
Jason non lo conosceva.
“Che tatuaggio strano” aveva dichiarato ingenuamente, mentre si premeva una mano sulla gamba ferita; quella mattina aveva coperto il suo tatuaggio con una banda, che aveva trovato nel suo armadio.
“Ti prego non dargli spago” aveva dichiarato il variago, scuotendo il capo. “Questo è simbolo di mio padre, Pluto” aveva dichiarato il suo interlocutore con orgoglio.
Non era lo stesso tatuaggio che aveva Hazel.
“Intendevi Plutone, non si chiama così?” era intervenuta Astrid. “Oh, no, quello è il Signore dei Morti. Mio padre è il dio dell’Abbondanza[1]” aveva specificato quello, “Sì, sì ma tu sei morto povero e solo esattamente come me” era intervenuto il variago, dando un colpetto sulla spalla del suo amico, interrompendo la sua spiegazione. O che Jason potesse sottolineare fossero praticamente lo stesso dio.
“Volevamo avere la stanza dei duelli, in vero, visto che sono ore che siete qui dentro” aveva dichiarato il Variago.
Jason doveva concordare, non aveva neanche fatto colazione. Astrid aveva annuito, alla fine, “Sì, ho bisogno di risanare la mia ferita” aveva stabilito lei, annoiata, restituendo Panipak VI a lui, che l’aveva ripresa con incertezza. La testa aveva smesso di pulsare ed un occhio aveva cominciato a sgonfiarsi appena, le ferite si stavano rimarginando, sapeva che sarebbe successo, ma quella era la prima volta che accadeva, tutte le altre volte, era morto prima.
I due avevano annuito, “Perfetto, grazie bella ragazza” aveva stabilito quello con la barba lunga, passandosi proprio una mano tra i peli ispidi, “Se volessi dividere con me un giaciglio e vino dolce, non mi tirerei indietro” aveva stabilito con un certo orgoglio il variago.
Astrid era arrossita, anche Jason l’aveva fatto, giurava anche che il romano figlio di Pluto lo stesse facendo. “Oh, déi, Esben” si era lamentato giusto quest’ultimo.
“Grazie passo, Jason impegna tutto il mio tempo” aveva dichiarato Astrid, indicandolo, sfacciatamente, lo aveva detto con il suo tono calmo e l’espressione austera. Jason si era fatto ancora più paonazzo, mentre Esben il variago lo studiava con una certa criticità.
“Ora è meglio che andiamo” aveva stabilito il figlio di Pluto, spintonando il suo amico, verso la piccola arena attrezzata nella stanza dei duelli.
Jason quando l’aveva vista, quella mattina preso, aveva avuto un mancamento. Al centro, in una forma che ricordava un quadrato, con molto impegno, era steso un tappetto di pelle acconciata, fermato, sul pavimento, agli angoli da quattro bastoni di legno, che delimitavano il campo e tendevano la pelle al suo massimo. Esistevano tre porte per accedere alla stanza.
Era sistemato come il campo per un holmagag.

 

“Ho fatto un sogno-non-sogno” aveva ripetuto Jason, mentre percorrevano il corridoio verso l’ascensore, “Me lo hai già detto e ti ho risposto che non mi interessa, ora. Prima dobbiamo pensare a Váli l’Ardito che affronteremo tra sei giorni. Sei” aveva rettificato Astrid, mentre si arrestava davanti l’ascensore.
Le porte si era aperte, rivelando il viso fin troppo compiaciuto di Freydis Erikdottir, che esibiva un sorriso da gatta dello Cheshire.
Differentemente da come l’aveva veduta Jason, il giorno prima, il suo viso era leggermente diverso, un paio di zampe di gallina spuntavano all’angolo degli occhi – era strano?
Affianco a lei, c’era uno dei due uomini del giorno prima, quello biondo, con l’aspetto stanco, sbiadisco, che si addiceva ad un fantasma che ad un guerriero einherjar.
Astrid aveva sussultato quando gli aveva visti, ambedue. “Ma guarda un po’ cosa c’ha portato il carro di Freya” aveva stabilito Freydis. Osservandoli con interesse.
Astrid aveva forzato un sorriso sulle sue labbra, che le dava un’espressione ancora più caustica, “Ti stanno sputando di nuovo le rughe” aveva dichiarato.
Freydis non aveva perso il suo sorriso compiaciuto, “Inevitabilità del caso. Troverò un’altra mela” aveva dichiarato, nonostante l’espressione rilassata, il suo tono tradiva un certo fastidio.
“Mi chiedo come tu possa” aveva valutato Astrid, Fredydis aveva roteato gli occhi.
Hjarta[2]” si era introdotto l’uomo-spettro, attirando l’attenzione su di lui. Aveva un tono grave, cavernoso. Aveva parlato guardando Astrid, allora Jason aveva notato, che gli occhi dell’uomo, dietro la stanchezza e le screziature rosse e lucidi, esibivano un colore verde ghiaccio, come quelli di Astrid.
Lei aveva però una forma allungata, stretta, eredità probabilmente di sua madre thule. “Fathir[3]” aveva risposto la ragazza, con un tono pregno d’emozione.
Jason non conosceva la lingua norrena, ma riusciva ad interpretare quella parola, senza molti dubbi. L’uomo aveva detto qualcos’altro in quella lingua e la figlia aveva annuito; Freydis aveva roteato gli occhi, “Come siete sentimentali” si era lamentata, in inglese, quel commento era bastato perché Astrid cominciasse a parlare con suo padre in un'altra lingua ancora, suo padre era più incerto nei termini. Jason indovinava fosse una lingua nativa. Riusciva ad individuare il tema del discorso, però, visto che aveva sentito l’uomo pronunciare un nome piuttosto noto: Váli.
“Possiamo muoverci, stiamo bloccando l’ascensore” aveva dichiarato Freydis con un tono seccato.
Astrid si era voltato verso Jason, “Vai avanti, io arrivo tra poco” aveva dichiarato.
Jason aveva annuito, con incertezza, mentre entrava nell’ascensore, Einar – così doveva chiamarsi[4] – era invece uscito per raggiungere sua Astrid.
I due si somigliavano come la luna e la lana, vedendoli insieme nessuno avrebbe mai potuto indovinare fossero padre e figlia.
Lui era rimasto in ascensore con la belva.
“Non preoccuparti se la tua avventura con Thrud ha avuto risvolti così drammatici. Uno dei suoi pretendenti è finito pietrificato, una volta” aveva tubato subito Freydis appena le porte si erano chiuse.
“Immagino abbia saputo di Váli” aveva valutato Jason. Lei aveva ridacchiato, “Mio fratello siede tra i Thegn … tal volta carpisco le notizie ancora prima che avvengano” aveva dichiarato Astrid con un certo divertimento.
Jason aveva annuito, quasi esausto, “Váli è un bel tipo. Troppo arrogante, sapere che non morirà lo rende stupido. La morte non è l’unico modo in cui qualcuno può essere annientato” aveva dichiarato Freydis, strizzandoli un occhio, sfacciata.
“Potrei averlo notato, ma è pur sempre un dio e i sono un uomo” aveva stabilito Jason. “Ed un bel uomo come te andrebbe a raccogliere delle mele per me?” aveva domandato Freyds.
“Parli delle mele di Idunn, quelle che rendono immortali?” aveva chiesto Jason.
Non era arrivato a leggere nell’Edda di loro, ma le ricordava – citate molto parzialmente e velocemente – dalla presentazione di Odino. Mele d’oro, che coincidenza, che esistessero anche in quella mitologia. Solo che le loro rendevano immortali.
“Sì. Nonostante io sia morta da vera virago, armata e coraggiosa, ero anche vecchia. Tragicamente vecchia” aveva esclamato Freydis, “Il che è un peccato, perché come puoi vedere da giovane ero un bel bocconcino, per questo di tanto in tanto mangio una bella succulenta meletta[5]” aveva raccontato, “E la mia anima torna bella e giovane. Le mele non rendo semplicemente immortali” aveva aggiunto con un certo divertimento.
“Ma non dura molto” aveva constato Jason.
“Meno di quanto durerebbe per un dio – ovviamente” aveva aggiunto con una punta di rassegnazione la donna, passando le dita sulla lunga chioma bionda-bianca, alcuni fili d’argento brillavano. “Ieri cercavi un modo per andare a prendere una mela?” aveva indagato Jason.
Freydis aveva ridacchiato, con una punta di cattiveria, “Non chiedere mai ad una donna la sua età e i suoi piani segreti” aveva stabilito lei, con un sorriso lezioso.

 

Jason aveva lasciato l’ascensore con una cattiva sensazione addosso, con il sorriso di Freydis ad inseguirlo lungo il corridoio.
Aggiunto, al sogno della notte prima. Era sparito un cinghiale e la jotunn Gerd serviva uno skraeling del piano venti dell’Hotel Valhalla.
Per Jason, lo skraeling, il barbaro, a cui la gigantessa poteva fare riferimento poteva riguardare solamente solo lui o Astrid. Lei era letteralmente la skraeling per eccellenza, lo era letteralmente, riguardo a Jason, lui era anche più barbaro e straniero di lei.
Aveva incontrato Gerd quel giorno stesso, mentre era con Jarnsaxa, che aveva origliato almeno una piccola parte della conversazione tra lui e Kym, che ai loro occhi, doveva essere straniera.
Gli faceva male la testa.

“Ehilà!” lo aveva salutato subito Mel, che era appoggiato allo stipite della sua porta, indossava la maglietta verde dell’hotel sopra dei pantaloni rossi a rombi verdi e stivali di pelliccia, creando uno strano patch-work di stili.
“Non sei a Idavol?” aveva chiesto Jason, realizzando l’orario, “Oh, oggi ho saltato. Ti ho fatto i cupcake, pensando che probabilmente Astrid ti farà saltare anche il pranzo” aveva dichiarato quello, indicando con il dito un cestino quadrato che era ai suoi piedi.
“Madina?” aveva indagato Jason, “Lei è andata. Combattere le fa bene, se resta troppo tempo tranquilla si innervosisce. Ieri sembrava divertita dalla situazione, ma non lo è per nulla, ha passato la nostre sveglia ad intrecciare cestini” aveva risposto Mel, recuperando proprio il cestino, sembrava uno di quelli da picknick che si vedevano nei film romantici.
Jason aveva aperto la porta della sua stanza ed aveva lasciato l’ingresso libero anche a Mel, che lo aveva seguito con passo svelto.
“Grazie per il cibo” aveva dichiarato Jason.
“Prego. Te lo dovevo! Infondo se non mi fossi suicidato l’altra sera, tu e Astrid probabilmente non avreste mai incontrato Vali. Come una partita di genga finito male” aveva cominciato Mel.
Jason aveva scosso il capo, “Credo sia più colpa della mia lealtà cieca e dell’ego smisurato di Vali” aveva stabilito lui.
Senza remore di offendere il dio in questione.
“Oh, be, Adoro cucinare, comunque; quando ero piccolo, era uno dei pochi ambienti della domus dove potevo nascondermi per non lavorare. La schiava che la gestiva aveva un certo debole per me, credo le ricordassi un figlio che aveva perso” aveva raccontato Mel con tranquillità.
Lavorare.
Jason si era toccando la banda, sotto cui era nascosto il suo marchio, il suo orgoglio.
“In realtà credo piacessi un po’ anche alla Domina” aveva aggiunto, “Anche se era difficile da dire, dopo essere diventata vedova era diventata come quelle persone che paiono avere sempre un limone in bocca” aveva raccontato, mentre lasciava il cestino a Jason.
Mel si era accomodato sul divano, mentre lui, di rimando, si era mangiato tre cupcake fatti con fragola e crema di cioccolato da solo, prima di raggiungerlo.
Mel era stato uno schiavo domestico di un lanista e poi era divenuto gladiatore? O era stato venduto?
Nella mente di Jason vorticavano queste domande, ma si era reso conto fosse meglio non farle, anche Astrid si era raccomandata.
“Meglio ovviamente del giovane padrone di casa. Lui era … è brutto se dico fosse sbagliato?” aveva domandato il germano, crucciando le sopracciglia pallide.
Jason aveva scosso la testa.
Mel gli era sembrato un ragazzo allegro, uno di quelli dall’aria spensierata, che nascondeva i suoi traumi per bene sotto a un tappetto metaforico, che di solito ricordava un sorriso. Un po’ come Leo.
La nostalgia si era fatta prepotente dentro di lui ed era stato difficile, si era reso conto, trattenere le lacrime.
“Sei … tutto bene?” aveva chiesto Mel, aggrottando le sopracciglia bionde.
“Ho fatto un sogno … sai un sogno molto strano” aveva dichiarato Jason, fingendo che il suo improvviso umore fosse da imputare a quello, cosa che in parte non era del tutto sbagliato, “Che non mi aiuta con questa storia dell’Holmagang” aveva chiarito.
Voleva parlare del suo sogno, era ovvio, che se avesse visto qualcosa, doveva avere un significato. Queste cose non capitava a lui per caso.
Gerd aveva bisogno di un eroe del loro piano.
“Imparerai che in questo posto raramente un sogno è conseguenza di un indigestione di arrosto di cinghiale” aveva stabilito Mel, prendendo uno dei suoi cupcake, “Parla” aveva impartito. In quel momento, nonostante fosse vestito in quella maniera improbabile e come globo poteva offrire solo un pasticcino, Mel aveva tutta l’austerità degna di un Re.
Jason aveva annuito ed aveva raccontato, cercando di essere quanto più preciso possibile, lui non aveva idea di metà di quello che aveva visto, ma forse se fosse stato esauriente, Mel avrebbe potuto tradurre per lui.
Alla fine del racconto, per Jason, era stato ovvio che Thumelicus avesse avuto una visione più chiara di quella che aveva avuto lui.
“Oh, Mentula[6]!” aveva esclamato Mel, preoccupato. Jason era rimasto piuttosto sorpreso da un imprecazione in latino, ma non aveva fatto commenti.
Il suo compagno si era alzato come una scheggia, “Vuoi spiegarmi?” aveva chiesto Jason, pregno di perplessità.
“Sì, ma prima devi raccontare questa storia ad un'altra persona” aveva dichiarato Mel.
“Se ti riferisci ad Astrid non mi vuole sentire” aveva risposto Jason, anche se era ovvio che il suo amico avesse in mente una persona precisa, forse Madina.
Jason aveva imitato Mel, quando questi si era fiondato fuori dalla sua stanza per raggiungere la porta più vicina a quella di Jason e mettersi a battere contro di essa.
Fred, come aveva fatto per i due giorni precedenti non aveva dato segni di vita.
“Ascoltami figlio di … Frederick! Questo è davvero, davvero, importante” aveva stabilito Mel, continuando a picchiare contro la porta.
“Jason ha avuto un sogno e credo possa riguardare te” aveva strillato Mel.
Lui aveva aggrottato le sopracciglia, “Ma sicuramente riguarda la tua famiglia!” aveva stabilito Mel.
La serratura della porta era scattata, se Fred avesse avuto l’intenzione di lasciare solo uno spiraglio aperto, non era stato accontentato, perché Mel aveva usato tutta la sua forza per irrompere nella stanza, Jason l’aveva seguito ed avevano tramortito e travolto nel mezzo lo sconosciuto del piano venti.

La stanza di Fred era piena di piante.
Un albero dal tronco chiaro e le foglie rosse, faceva da sovrano nella stanza, ma in ogni dove, in ogni angolo, era possibile trovare piante di ogni genere, da veri e propri cespuglietti a piane grasse in vasetti della dimensione di pugni di bambino.
Quello che non era occupato da piante era occupato da fogli. Se Jason aveva pensato a se stesso, come disordinato con il suo materiale da disegno, se aveva pensato a Leo come confusionario, Jason doveva riscrivere il suo concetto di disordine e caos.
“Sei peggiorato” aveva constato Mel con tranquillità, mentre allungava una mano per raccogliere un foglio di carta, Jason aveva osservato l’oggetto, era in carta rigida fatta in percentuale di cotone e sopra era raffigurata un immagine in carboncino.
Era la jotun Gerd, vestita come la Vergine Maria – strano.
Aveva uno stile di disegno strano, diverso da quello che aveva visto nella sua amica Hazel, che riusciva con i suoi colori a dipingere una realtà magnifica, filtrata dai suoi occhi pieni di vita e di ardore. I disegni di Fred erano cupi, avevano delle forme allungate, profonde, oscure, come di qualcuno che aveva perso da tempo la luce.
Erano belli, ma inquietanti.
A parte quelli con le croci. Ce n’erano un sacco.
“Stavo aprendo la porta” si era lamentato Fred, ancora seduto sul suo pavimento che si massaggiava il naso, dove la porta aperta da Mel lo aveva colpito dritto sul naso.
Jason aveva guardato lo sconosciuto vicino, “Ciao, io sono Jason Grace” si era presentato.
“Oh, be, Madina non potevi essere” aveva replicato quell’altro, sollevandosi.
Fred era più alto di lui, anche di Mel, ma era sottile come un giunco, con braccia senza muscoli e gambe dritte come pertiche, sembrava un fuscello.
La sua carnagione era bronzea, come se fosse stato fino a quel momento esposto alla luce del sole, aveva capelli scuri e ricci, lunghi fino alle spalle ed occhi neri come il caffè.
La cosa che attirava di più lo sguardo però era il fatto che il ragazzo sfoggiava una camicia da notte di un bianco panna, con lo scolo a barca che metteva in evidenza le clavicole. “Io sono Fred di Clermont” si era presentato, pulendo il sangue con la manica della camicia da notte.
Se l’urto lo avesse storto, il naso sarebbe tornato immediatamente dritto. “Abbiamo i cupcake, dai” aveva provato Mel, Fred aveva borbottato qualcosa in francese, Jason aveva abbastanza famigliarità con le lingue romanze – in particolare quella – da sapere che non erano complimenti.
Anche Mel vista la smorfia che aveva manifestato.
“Non fare caso a lui. Era uno di quei guerrieri-monaci con la croce sullo scudo. Non ha superato bene questa cosa del paganesimo” aveva bisbigliato Mel, per chiarezza.

Fred si era voltato verso il suo piccolo soggiorno, differentemente da Jason non aveva un divano davanti ad un camino, ma aveva un tavolo tondo con delle sedie, anche se tutte erano sepolte di fogli, pergamene e piante.
Il proprietario della stanza aveva cominciato a spostare fogli da tutte le parti, alcuni li aveva impilati in una torre più cadente di quella di Pisa sul tavolo, altri erano caduti rovinosamente a terra in fruscio di fogli.
“Perché dici questo, Thumelicus?” aveva chiesto retorico Fred, “Avevo undici anni quando mi hanno messo una spada in mano. Vai, uccidi gli infedeli, riconquistiamo la Sacra Gerusalemme. Oh, cielo, siamo finiti a Costantinopoli e niente paradiso per te, Fred, per te … i pagani!” aveva raspato quello, assieme ad un’altra serie di rimproveri in francese; nel mentre aveva sgomberato tre sedie.
“Non è tipo che tutta la mia vita è stata una menzogna e che ho commesso azioni indicibili in virtù del nulla cosmico. E sono figlio di una gigantessa … una degna sposa di Satana, direbbero, non so se è un miglioramento, rispetto la presunta meretrice che credevo inizialmente. Cioè lo è lo stesso, visto che è sposata ed io sono un bastardo. Ma, ehi, è una gigantessa ed io sono in un posto che le odia” aveva scherzato forzatamente Fred, c’era ferocia nel suo sguardo.
“Oh, oh, stai parlando con lo schiavo gladiatore cheeeruscioo” aveva ridacchiato Mel, spostando una sedia per potersi accomodare.
Jason lo aveva imitato.
Fred aveva roteato gli occhi, “Sì…sì … blablabla … ero uno schiavo … blabla … il mio domino era il male puro con il pallino dell’incesto … blabla …ecco, perché non esco mai” aveva stabilito quello.
Mel non aveva perso il suo sorriso rassicurante, come se i commenti appena fatti non riguardassero affatto lui.
Fred aveva lanciato lo sguardo su Jason, “Uhm … tu? L’Aldilà è come te lo aspetti?” aveva chiesto.
No.
“Pensavo a spiagge caraibiche e fiumi di martini” aveva raccontato Jason.
Mel aveva ridacchiato, “Adoro come evolva così stranamente il concetto di Paradiso nel corso dei secoli e per i vari popoli” aveva ammesso.
“Esiste un solo paradiso e noi siamo solo in perpetuo inferno” aveva stabilito Fred, sedendosi anche lui, “Cosa è successo a Mia Madre?” aveva chiesto poi il proprietario della stanza.
Fred era figlio di Gerd, la jotun che aveva sognato e l’amica di Jarnsaxa; Mel si era riferito al sogno di Jason con problemi relativi alla famiglia di Fred, lo stesso si era dichiarato figlio di una gigantessa.
Pareva, quasi, ovvio.
“Amico, prego” Mel aveva invitato Jason a parlare.
Jason aveva raccontato di nuovo il sogno; Mel aveva annuito ad ogni parte, mentre Fred lo aveva guardato con occhi allarmati.
Appena terminato, il figlio di Giove aveva aggiunto, “Però, ecco, mi servirebbe una spiegazione ampia. Chi sono queste persone, che vuol dire che hanno perso un cinghiale?” aveva chiesto.
“Breve storia: Gerd è mia madre. La moglie di Frey, il dio dell’estate” aveva cominciato Fred, “Il padre di Magnus Chase, per intenderci” si era inserito Mel, ma il figlio della jotun aveva continuato dritto come una spada.
“Sì, ecco, il matrimonio tra Jotun e dei, Asi o Vani, ma anche tra Asi e Vani … non distraiamoci, è sempre stato caldeggiato per la pace e la prosperità. Frey per sposare Gerd ha dovuto rinunciare alla sua Spada, Sumarbrander[7], contro cui perirà durante al Raganarok. E no, non la ha offerta al padre della sposa come Dote, è una storia lunga e complicata … quindi facciamo finta di niente.
Comunque, immagino che mia madre pensasse alla rinuncia della spada quando faceva riferimento ai Sacrifici compiuti. Beyla e Skirin sono due servi di Frey, anche l’altro con la B … non è che posso ricordarli tutti” Fred aveva fatto una pausa, per osservare la foglie, a piatto largo, di una piantina che era rimasta sul tavolo.
“Idromele?” aveva chiesto per un secondo.
“Magari sì” aveva ammesso Jason.
Così, Fred si era alzato, per recuperare da quello che pareva un piccolo frigo-bar delle boccette – sì, Jason doveva pensare anche lui a procurarselo.
“Non so chi sia Stellan. Ma non mi sorprende che mia madre abbia preso un giardiniere per aiutarla, quei tre sono servi di Frey” stava raccontato Fred, il pensiero di Jason era galoppato a Vali, servi, forse era solo un altro modo per dire schiavi, come rischiavano di diventare lui e Astrid, “… mia madre è la dea del cortile, dei campi, queste cose qui” aveva dichiarato Fred.
“Pensavo quella fosse Sif” era intervenuto Jason.
Odino nel Power Point l’aveva definita così, lui l’aveva catalogata come una Demetra giovane dai cappelli d’oro, la nonna di Astrid e Madina e la shampista di fiducia di Vali.
“Hai una mente troppo rigida, amico mio, la mitologia norrena è fluida” aveva cercato di spiegare Mel, “La situazione è complicata, perché è stata la confluenza di due pantheon” aveva dichiarato.
“Come Greci e Romani?” aveva chiesto Jason, genuinamente confuso.
“Oh, no. Greci, Romani ed Etruschi hanno avuto circa gli stessi dei a cui hanno cambiato nomi, qualche particolare la e qua e discreta importanza. Nel Ludos con me, c’era un ragazzo figlio di Feronia, praticamente Proserpina etrusca, che per i tusci era importante mentre per i romani … oh, be … meno. Però, sì, insomma, gli stessi Dei … con gli Asi e i Vani è stata una somma. Due Pantheon in uno[8]” aveva dichiarato Mel.
“Tanto satanasso più, satanasso meno” aveva dichiarato sprezzante Fred, versando da bere per tutti e tre, “Comunque mia madre è la Dea del Cortile[9]. Lei ama le piante, ed io ho un pollice verde invidiabile. Mi piace far crescere le cose” Fred aveva detto l’ultima cosa, con un magone nella voce.
Magone di chi probabilmente aveva dovuto falciare vite.
Fred aveva portato sul tavolo, oltre piccole bottigliette, alte quanto un pugno chiuso, anche un set di porcellane per prendere il tè. “Servitevi” aveva dichiarato spento il proprietario.

Jason aveva bevuto il suo idromele, “Una cosa orribile di questa situazione è l’incapacità di ubriacarsi. Mi manca. Il vino era una delle poche cose belle della mia vita” aveva dichiarato Mel, per spezzare il silenzio che era venuto a crearsi tra loro.
“Oh, sì” aveva considerato Fred.
Probabilmente doveva essere una sfortunata condizione dell’essere einherjar – male per Jason, non credeva di aver mai bevuto alcolici nella sua vita e questo non spiegava perché Thrud non aveva dato lui il vino. “Vogliamo andare avanti? Vogliamo parlare del cinghiale? Dello Skraeling? Di Stellan che viene a cercare uno di noi?” aveva chiesto Jason.
“Oh, giusto il Verro D’Oro” aveva commentato Fred, sorseggiando un po’ del suo idromele. “Vello?” aveva indagato Jason, sentendo un nome famigliare.
Aveva pensato all’albero di Thalia.
“No, Verro con la R” aveva spiegato Mel, più gentile dello sguardo, non esattamente velato, di scontentezza di Fred.
“Non hai preso l’Edda?” aveva chiesto poi il germano.
“Nell’altra stanza” aveva dichiarato Jason, “Inoltre, sono arrivato ai nani che creano i Dvergar[10], qualunque cosa siano” aveva aggiunto lui. Fred aveva sollevato un sopracciglio, “Non è proprio così, sono i Nani che sono Dv …” aveva cominciato, “Diciamo che ora, questa cosa è … complicata. Però, restiamo concentrati” era intervenuto Fred, prendendo un’espressione seria, che non gli si addiceva molto.
“Una volta avevo l’Edda qui dentro, credo di averci disegnato sopra” aveva constato Fred, Mel lo aveva ignorato a pie pari.
“Allora, Il cinghiale di Frey, è noto anche come verro, che è un tipo di maiale, d’oro per il colore ed il materiale del manto, si chiama Gullinbursti. Super-veloce, in grado di correre sull’aria e sull’acqua e, inoltre, emette luce propria. Nessuna notte lo è veramente, finchè c’è Gullinbursti, che con le sue setole d’oro può illuminare qualsiasi ambiente” aveva spiegato, pratico Mel.
Jason aveva immaginato, nella sua testa, una scena molto ridicola, pensando a questo cinghiale luminoso che correva al fianco di Tempesta o Arione.
“Sì, be, Frey ha avuto questa lanterna pelosa come regalo da Brokkr, un nano, su commissione di Loki. Storia molto in breve, Loki ha rasato i cappelli di Sif, ha fatto infuriare suo marito Thor, così lui ha costretto il dio infame a metterci una pezza” aveva cominciato Fred.
“Perché ha rasato Sif?” aveva chiesto Jason. “Loki e la sua progenie fanno cose a caso tutto il tempo, non fidarti mai di loro e la risolvi” aveva detto schivo Fred. Mel aveva mimato con le labbra un ‘non-è-vero”.
“Comunque Loki incarica i Nani di forgiare una nuova capigliatura d’oro per la dea.  Fanno una sfida, noioso e blasfemo, quindi andiamo avanti, morale della favole ne viene fuori la parrucca più costosa del mondo, un’altra serie di roba più o meno utile, tra cui il Verro d’Oro” aveva dichiarato Fred, bevendo un altro sorso del suo idromele.
Questo, a pensiero di Jason, era dolciastro.
“Quindi, mentre i servi erano fuori, Gerd ad un appuntamento con Jarnsaxa … il cinghiale luminoso è scomparso?” aveva ricapitolato lui, pensando al suo sogno.
In quel momento capiva perché l’elfo Stellan avesse affermato che il cinghiale era notabile.

Mel aveva annuito, “E, adesso, il povero giardiniere sta venendo qui per cercare lo skraeling tra noi … ecco, io pensavo potessi essere tu, sei suo figlio … e un … ti senti sempre estraneo qui” aveva provato Mel, “Però potrebbe essere anche Astrid, visto che lei è una skraeling, o Madina che è di origini di capoverdiane, anche se figlia di Ullr, o io che non sono ne germano ne romano o Jason per un qualsivoglia ragione” aveva affermato Mel.
Come essere un’anima strappata dai Campi Elisi?
“Può darsi” aveva bisbigliato lui.
Fred aveva sbuffato, “Tutto possibile. Sicuramente non mi arrampico sull’albero dell’Universo per cercare un elfo in missione … Se Mamma ingoia l’ansia e dice a suo marito che si è perso il cinghiale risolve tutto” aveva stabilito Fred calmo, “Io non voglio farne parte” aveva detto pieno di acidità.
Mel aveva tirato un buffetto sulla spalla del mezzo-jotun.
“Be, io dovrei comunque raccogliere i legni per l’holmagang” aveva valutato Jason, ricordando una delle condizioni di Vali. “Giusto tu devi pensare a quello” aveva ricordato Mel, con espressione seria.
Fred aveva osservato la scena, “Oh, cosa mi sono perso?” aveva chiesto, “Esci dalla stanza più spesso e lo saprai” aveva scherzato Mel, ma non sembrava particolarmente pieno di allegrezza.
Il mezzo jotun aveva fatto una smorfia e bisbigliato qualcosa in francese, che somigliava ad imboccare la strada per un certo paese.

“Io credo che le cose siano più complicate, di un certo cinghiale scomparso. Gerd sembrava davvero terrorizzata” aveva considerato Jason, “Inoltre, Gullinbrusti non è un semplice cinghiale superveloce-fiaccola. Lui è un portatore di luce, senza di lui … le notti, credo, diventeranno più buie? Ha senso? Si registra il rapimento del cinghiale di Frey in qualche cronaca?” aveva chiesto Mel, preoccupato.
“Nessuna, affare senza precedenti. Probabilmente nessuno lo ha rapito, avranno lasciato il recinto aperto; Mamma è terribilmente distratta” aveva dichiarato Fred, con un tono pacato, prima di sollevarsi dalla sua sedia.
“A prescindere da come debba evolversi questa storia, i sogni sono il modo in cui il diavolo si insidia … scusate volevo dei gli dèi comunicano con noi, circa. Come aveva scoperto un tale infame[11], esperto di seidr, i sogni più consistenti per noi einherjar sono quelli che facciamo quando risorgiamo” aveva deliberato Fred, cominciando a frugare per la sua stanza, anche dentro i vasi delle piante.
“Chiaramente se il nostro Jason, qui, ha avuto una visione è perché in questa storia c’è più dentro della carne in un pasticcio” aveva raccontato chiaro Fred.
Aveva rovesciato una pila di fogli che raffiguravano una Gerd-Madonna con braccia oranti, con un corpo esageratamente allungato, che richiamava nella pose una croce.
Fred doveva vivere un profondo disagio intimo …
“No, no” aveva farfugliato Fred, prima di avvicinarsi ad un ficus e cominciare ad estrarre della terra, aveva trovato un elsa, e da lì, aveva tirato fuori una lama bastarda, lunga, – decisamente più del vaso in cui era contenuta –   aveva delle rune incise sopra di esse, emettevano delle luci fievoli. “Elle est là!” aveva strillato soddisfatto Fred, lasciando ondeggiare la spada.

“Non mi piace” aveva considerato Jason.
“A me sì, guarda che lama, che affinatura …  Quella è Angurvadal!” aveva esclamato eccitato Mel, rispetto Jason, con un sorriso da orecchio ad altro, “Unica e sola, lo ho rubata un paio di secoli fa! La Spada dell’Angoscia, ottima filatura, ma ciò che la resa nota è la luminescenza: fioca … perché siamo in tempi di pace” aveva stabilito Fred.
La cosa sembrava aver rilassato Mel, un po’. Fred si era avvicinato a loro, con ancora il ferro ondeggiante, era splendida come lama, lunga, di un ferro così chiaro da sembrare bianco, lucido, bellissimo.
 “Comunque via il dente, via il dolore … vediamo se le Norne, immagino siano loro, le signore del fato e del futuro … abbiano qualcosa per noi” aveva dichiarato, sollevando la spada.
“Non lo decapitare, ci vorrà un sacco e farà male” era intervenuto Mel, “Fidati di me, andrà dritto come con il brie” aveva dichiarato Fred.
Jason aveva sospirato e teso il collo.
Era stato netto. “Voglio assolutamente quella lama!” era tutto quello che Jason era riuscito a sentire, da parte di un super eccitato Mel.

 

Fred aveva avuto ragione, era finito altrove. Non aveva subito compreso dove fosse, non conosceva l’ambiente ma era certo non fosse la casa di Gerd e Freyr. Però era una casa, accogliente, calda e piena di voci.
Aveva messo a fuoco bene l’ambiente, aggiustando i suoi occhiali, e l’aveva vista.
Una ragazza, bella, con un’espressione corrucciata, con gli occhi piegati su un foglio e capelli biondo cannella. “Non riesco a capire questa cosa … che senso hanno gli integrali?” aveva chiesto lei, con un tono amareggiato ed un sospiro pesante.
Lei era in un soggiorno, di una casetta accogliente.
“Mi chiedo se in questa casa ci sia qualcuno capace in una materia astrusa come la matematica” aveva dichiarato una voce, Jason si era voltato, alle sue spalle, su un divanetto, c’era un ragazzo che stava cercando di accordare una chitarra. Aveva capelli scurri, ritti sulla testa, tenuti con una bandana di spugna. Jason lo conosceva, ne era certo, certissimo, ma non lo ricordava.
“Uhm … ho già provato a chiederlo a Giorgina, con l’ipotenusa è stata una forza, ma lo studio di funzioni sono troppo anche per lei” si era dichiarata lei.
Il ragazzo aveva riso, “Dee, Cal sei imbarazzante” aveva stabilito quello.
“Lit!” lo aveva ammonito lei, decisamente irritata.
Quello aveva ridacchiato, divertito da quella reazione.
Lit … Lit … Certo … Lityerses, il mietitore di uomini.
Jason era stato responsabile di una sua parziale trasformazione in Oro, mentre cercavano Era, con Piper e Leo. Sembrava tutto così lontano.
Cal aveva sbuffato, poi aveva raccolto i suoi pensieri. “Lo sai che è complicato” aveva ammesso lei. “Lo so, io e Giorgina stiamo facendo i piccioni viaggiatori” aveva stabilito l’altro, “Ma vedo la situazione complicata solo da un lato” aveva aggiunto Lit.
Cal aveva annuito, “Va bene … allora …” si era sollevata, chiudendo di scatto il libro.
Prima che potesse fare altro, però era stato Lit a parlare, una genuina imprecazione, Jason aveva seguito il suo sguardo, così come Calypso, allarmata, ma dalle ombre era apparso un pallido Nico di Angelo.
“Calypso!” aveva chiamato subito quello.
“Nico!” aveva risposto lei, preoccupata, “Devo parlare con Leo” aveva dichiarato Nico.

 

Jason era tornato dal regno onirico, trovandosi comodo sul suo letto nella sua stanza.
Fred aveva avuto torto.
Le Norne – se erano davvero loro, chiunque fossero – non avevano altro da dire a Jason, almeno sulla questione Gerd e cinghiale.
Ma avevano da dire su Nico.
Nico che aveva raggiunto Leo, chi sa … se fosse riuscito a rimanere un altro po’ avrebbe potuto vedere il suo amico. Non vedeva Leo da quella battaglia, non riusciva a ricordare l’ultima cosa che gli avesse detto.
Perché non doveva essere l’ultima cosa.
Si era tirato su, con fatica, sentendosi pesante, ed era sceso dal letto, per raggiungere l’esterno della sua stanza, si era aspettato di trovare Fred e Mel ansiosi, ma ciò che aveva incontrato era stato Astrid.
Braccia conserte ed espressione dura.
“Cosa stai facendo?” aveva chiesto lei.
“Oh mangiato qualche cupcake e poi sono andato a dormire” aveva raccontato Jason, tranquillo.
Astrid aveva stretto gli occhi, “Ti ho già detto che menti male” aveva stabilito lei.
Jason aveva schiuso le labbra, “Non hai mai, mai, pensato che potresti essere tu incredibilmente brava nel leggere le persone?” aveva provato Jason.
“Nel senso, nessun altro … ha notato il mio blef” aveva dichiarato Jason.
“Sei nel Valhalla da due giorni! E lo ho scoperto io! Hai sfidato un dio all’Holmagang!” aveva replicato lei, nonostante il tono fosse leggermente allarmato, l’espressione di Astrid poteva essere descritta in una sola maniera: stanca.
“Come è andata con tuo padre?” aveva domandato Jason, “Male, chiaramente. Lui è arrabbiato con me e io sono arrabbiata con lui. Ma niente di nuovo sotto il Carro di Sól, va avanti così da quando Urbano II reclutava per la Crociata – e no, io non sono Vali. Che hai combinato?” aveva sentenziato Astrid.
“Sono morto” aveva ammesso alla fine Jason, “Fred mi ha decapitato” aveva specificato.
L’espressione dura di Astrid si era sciolta, il suo viso era tatuato dalla confusione. “Cosa? Perché? Fred!” aveva esclamato. “Sei riuscito a vedere Fred? Lo hai fatto uscire?” aveva esclamato lei.
Jason si era sentito inghiottito da tutte quelle domande, “No. Sono entrato io. Vieni, ti aggiorno. Non chiedermi come ma le cose si sono complicate” aveva raccontato Jason, ammiccando verso la stanza del mezzo-Jotun.
Astrid lo aveva seguito, con le sopracciglia scure arricciate, pregna di perplessità, “Perché ogni volta che ti vedo, la situazione è peggiorata?” aveva interpellato lei.
Jason si era morso il labbro, pieno di disagio. E questo era niente.
“Sul serio” aveva aggiunto Astrid, la sua espressione era marziale – per un secondo aveva ricordato Reyna quando sentiva qualche stupidaggine.
“Ti ho detto che oggi ho avuto un sogno, no?” aveva provato lui, prendendo la direzione per la porta della stanza di Fred.
“Ti ho detto che non lo volevo sapere” aveva sottolineato lei, stanca, “Perché sapevi che i sogni non sono mai sogni” aveva considerato Jason, “Volevi fare lo struzzo” aveva aggiunto, con un sorriso leggermente divertito. “A volte lo sono, capita di rado, ma succede. Una volta ho sognato di essere inseguito da un Caciotta di Formaggio Gigante” aveva raccontato lei.
Jason aveva riso a quell’inaspettata confessione, era davvero un’immagine parecchio strana a cui pensare. Astrid che scappava da una caciotta.
“Smettila di ridere” lo aveva rimproverato lei, “Riguardava Váli?” aveva chiesto lei, mentre Jason bussava alla porta.
Lui aveva fatto un segno di diniego.


Je ne … Non è che devo recuperare tutti quanti oggi” aveva sentenziato Fred, quando aperto la porta aveva identificato la figura di Astrid.
“Anche io sono felice di sapere che non sei sbiadito” aveva risposto lei. “Ma ci ho provato intensamente” aveva replicato Fred, facendosi da parte per fargli entrare.
Mel era ancora al tavolino che beveva idromele da una tazzina da caffè, aveva salutato Astrid con un sorriso da orecchio all’altro.
“Questo posto è peggiorato. Lo sai che l’Hotel ha anche un servizio di pulizia sì?” aveva dichiarato Astrid. Fred le aveva sorriso – aveva un modo freddo di farlo, “Be, magari tra una settimana posso chiedere al divino Váli di mandarmi la sua domestica” aveva scherzato acido.
Astrid gli aveva mollato una ginocchiata sull’inguine, seguita da un colpo secco di palmo sul naso, che aveva fatto ruzzolare il proprietario della stanza per terra, tra le cartacce.
“Sai cosa odio di più dopo i lupi?” aveva chiesto retorica lei.
Mel si era alzato per aiutare Fred a tirarsi su.
A Jason sembrava così strano il guerriero, nei due giorni che era stato all’Hotel aveva a malapena interagito con gli altri, sebbene tutti, ogni giorno si fermassero – almeno una volta per uno – alla sua porta nel tentare di farlo uscire. Madina li aveva sempre riportato da mangiare.
Jason si era fatto l’idea di qualcuno di fragile … forse non aveva torto, anche se la fragilità di Fred era diversa. Infondo era un uomo che aveva dedicato la sua interezza a qualcosa che in qualche modo si era dimostrato falso, falso almeno per lui – visto come era finita la sua vita e non-morte, Jason non si sentiva così audace da escludere l’esistenza di qualsiasi cosa, incluso il Paradiso Cristiano.
“Gli Jotun? Perché mi ricordo che con Gunilla potevi andarci a braccetto” aveva sentenziato Fred, tirandosi su, “O gli uomini? Visto che scappano tutti a gambe levate” aveva aggiunto, con una punta di cattiveria.
“I cristiani” aveva replicato lapidaria Astrid, tirando dritto verso il tavolo.
“Bambini, non litigate. Fred è uscito dalla sua vita ascetica e Jason ha avuto un sogno importante” si era intromesso Mel, “O se volete risolverla lo sapete: faccio un quadrato con quel tappetto” aveva aggiunto, con un sorriso rassicurante.
Astrid si era voltata di nuovo verso Fred, “Inoltre, per tua informazione, un aitante variago, giusto, oggi mi ha invitato a dividere il giaciglio con lui” aveva dichiarato.
Fred aveva sorriso, “Oh, confessami i tuoi peccati, infedele” aveva ghignato, avvicinandosi a lei. Nonostante il tono dei due fosse rimasto inalterato, cattivo, Jason poteva vedere chiaramente la sinergia tra i due.
Quello doveva essere il loro modo di comunicare – se ben ricordava, anche la volta che aveva visto Astrid fuori dalla porta di Fred, lei non aveva usato toni gentili.
“Sono ottocento anni che fanno così” aveva cercato di giustificarli Mel, con un bel sorriso stampato in faccia.
“No, voglio sapere cosa è successo perché tu abbia deciso di aprire le porte del tuo tumulo” aveva replicato Astrid, prendendo un po’ di idromele dal tavolo, invece di usare le tazzine di porcellana di Fred, aveva preferito ricorrere al suo corno – Jason cominciava a sospettare che quella fosse l’arma che aveva con se alla morte, più dell’ascia.
“Ah, sì, giusto, questo ci ricorda. Hai visto qualcosa?” aveva chiesto Fred.
“No, solo un mio caro amico che andava a trovare il mio migliore amico” aveva dichiarato Jason.
Avrebbe potuto rivedere Leo …
“Oh, sì, anche a me capitava continuamente, vedevo o mio cugino o Gaio Giulio. In un paio di volte anche visioni decisamente intime che sarebbe stato meglio non vedere ma di cui Madina ha giovato parecchio – poi” aveva raccontato Mel, senza peli sulla lingua.

Jason si era seduto attorno al tavolo, abbastanza certo di non voler conoscere i racconti piccanti del cugino di Mel, di Gaio Giulio o Madina, particolarmente l’ultima, sarebbe stato imbarazzante poi, quando l’avrebbe incontrata.
Astrid lo aveva salvato, “Raccontatemi, che cosa è successo. Siate veloci, devo requisire Jason per degli allenamenti, come sapientemente ricordato da questo lestofante qui, tra una settimana potrei davvero essere a pulire casa di un dio famoso per non lavarsi neanche le mani” aveva dichiarato Astrid, “Senza dimenticare che devo già fare la sorvegliante allo Spazio Chase” aveva aggiunto.
“Ah, sì, credo di aver letto quella parte sull’Edda” aveva considerato Jason, “Ma credevo che Váli avesse già raggiunto i suoi propositi[12]” aveva valutato, l’occhiataccia di Astrid era bastata perché decidesse, saggiamente, di non contraddirla oltre.
“Vai, faccia-pulita, racconta a questa bestia il tuo sogno” l’aveva invitato poco garbatamente Fred.
Astrid non si era degnata neanche di scomporsi.
“Possiamo aspettare Madina così non dovrò raccontarlo ancora una volta?” aveva chiesto Jason.
“Il fatto che non invecchiamo non vuol dire che Elli non possa prenderci[13]” aveva spillato Astrid, “Non so più come dirti che non capisco quello che dici” aveva ripetuto Jason.
“Non è più colpa mia. Ti ho fornito il materiale e tu mi hai messo in un pasticcio” aveva risposto.
Jason aveva alzato le mani in segno di resa, consapevole di non poter dire molto altro, così aveva ripetuto il suo songo per la terza volta.
L’espressione sul viso di Astrid era passa da boria, poi era virata per l’interesse, caduta nella genuina preoccupazione ed in ultimo in una maschera di dura, irrigidita a quel termine che le pesava ancora sul cuore.
Gothri Mathr[14]!” aveva esclamato Astrid, alla fine.

“Come vedi niente di importante, mamma si è persa il cinghiale-lampadina del marito, niente di più disdicevole rispetto a quando lui ha perso il telecomando della televisione e lei non ha potuto assistere all’incoronazione di quell’eretica di Elizabeth II” aveva liquidato la faccenda Fred.
“Ed invece no!” aveva risposto subito Astrid.
“Non è mai successa una cosa del genere, il nostro mondo è ciclico, avvengono sempre le stesse cose ed avvengono in un preciso ordine. Letteralmente la nostra vita è una gara continua contro il Ragnarok. Disfare l’inevitabile” aveva raccontato la guerriera.
Come la Tela di Persefone, aveva pensato Jason, anche se non ne era certo.
Per i Romani, e i greci, le profezie erano ineluttabili, ma non erano mai chiare, mai precise, era sempre un mistero, continuo. Quasi mai l’interpretazione data era corretta.
Le profezie erano assolute e contemporaneamente nulla più che linee guida.
Jason non sapeva come fossero le profezie per loro, esseri comuni – se così potevano essere definiti, ma se qualcosa che aveva capito Jason dalla profezia della Veggente presente nell’Edda e dalla presentazione di Odino la prima sera: l’universo norreno era stato già tutto previsto, per filo e per segno.
Senza margine di errore – almeno per chi era citato.
Il Ragnarok stesso era già cominciato, o almeno il processo che lo avrebbe avviato, con la morte del dio di nome Baldr, da quel momento in poi, gli einherjar stavano disfacendo l’inevitabile, in un continuo tentativo di ritardare la fine.
Ineluttabile.
Aveva pensato a Jarnsaxa che era costretta a stare lontana da Thor così da non partorire un bambino, che avrebbe avuto tre anni nel Gran finale. Un altro piccolo tassello da sfasciare prima che fosse incancellabile.
Mel aveva schioccato le dita davanti alla sua faccia, “Scusa, amico, ma parevi aver preso il Bifrost con la mente” aveva dichiarato con innocenza. “Lo avevo fatto” aveva ammesso Jason.
“…Quindi, evento, fuori dal programma … mai successo. Non riguarda il Ragnarok o direttamente noi, ma è strano. Forse è un nuovo ciclo, ma io sono in giro da mille anni e Mel ne compie duemila tra un po’” aveva rettificato Astrid.
“Ho intenzione di organizzare un’orgia di combattimenti” aveva stabilito Thumelicus, “Non per vantarmi ma potrei effettivamente essere il più vecchio residente del Valhalla, o giù di lì” aveva detto estasiato.
Duemila anni.
Mel si svegliava tutti i giorni ed andava a combattere ad Idavol aspettando la fine da duemila anni.
Sembrava il pensiero più spaventoso che Jason fosse riuscito a fare.
Duemila anni.
“Sì, di norma la gente ha il buon senso di dissolversi prima. Gli esseri umani non sono fatti per la vita eterna, cioè questo tipo di vita eterna” aveva dichiarato Fred.
“Non so perché dite così. Io adoro stare qui. Certo è stato un po’ triste vedere quasi tutti i miei amici nel tempo dissolversi, ma da seicento anni a questa parte non è capitato frequentemente. Poi ho voi” aveva dichiarato Mel, “Anche tu Fred sei qui da ottocento anni” aveva sottolineato.
“Solo perché non riesco a disciogliermi. Aveva ragione Fratello Philippe sono un mulo testardo” aveva ringhiato Fred.
“Per favore, voi, concentrati” era intervenuto Jason.
disciogliersi … come gli dèi dimenticati, chi sa che cosa accadeva davvero?
Sì andava nel nulla o … lui sarebbe potuto tornare ai Campi Elisi?

“Sì, ha ragione, Jason. Concentrati. Parleremo dell’Orgia di Mel, dopo. Indipendentemente dal fatto che il ciclo sia nuovo o sia un fuori programma, la cosa ci riguarda. Tua madre, Fred, vuole uno di noi” aveva ricordato lei.
Jason aveva guardato Astrid attentamente, lei aveva ricambiato.
Entrambi erano consapevoli di essere papabile indossatori del ruolo di Skraeling.
Il che, ovviamente, arrivava nel momento meno propizio possibile – quello, assolutamente, sembrava molto più in linea alla vita di Jason di qualsiasi evento avvenuto negli ultimi due giorni.
Mel aveva bevuto un po’ del suo idromele, “Inoltre, Astrid, dimmi, se sbaglio … ma, ecco, Gullinsporti è un portatore di luce, no? E vive ad Alfheim, il regno senza notte … non so, ecco, ci pensavo, le cose potrebbero essere correlate?” aveva proposto.
Astrid aveva fatto un verso strozzato, somigliate ad un singulto. Jason aveva allungato una mano per metterla sulla sua spalla, lei non si era ritratta come fosse stata incandescente, segno di una seria preoccupazione.
Però era stato Fred a parlare, con un tono che mischiava il divertito e l’isterico: “Oh Saul sulla strada di Damasco, immagina se davvero qualcuno avesse appena staccato la spina al regno degli Elfi.”

Tra di loro era caduto un silenzio teso come la corda di un’arpa. Pensante; anche la risata forzata di Fred si era assopita.
“Non è così, vero?” aveva chiesto Jason, che non sapeva neanche come o dove fosse il Regno degli Elfi, ma che la questione non pareva possibile.
Nel dirlo aveva guardato Astrid.
Lei aveva ancora l’espressione spaventata di una cerva sul bordo di una strada, “Probabilmente non sarà così” aveva provato, ma l’algida sicurezza che sembrava sempre permeare Astrid, in quel momento somigliava ad un ghiacciolo in una giornata d’estate in California.
“Alfheim esisteva da prima che fosse di Frey ed è stata di Frey molto a lungo prima di ricevere il Cinghiale” aveva considerato la ragazza, giocando con nervosismo contro una punta delle sue trecce.
“Vero. Come dicevo, la mamma che fa la mamma” aveva replicato Fred.
L’atmosfera non sia comunque alleggerita, stranamente. Il pensiero, per quanto infondato, si era insediato in tutti, in qualche maniera.
Onestamente Jason non aveva idea se la cosa potesse essere possibile. Il Mondo degli Elfi funzionava ed esisteva da prima del cinghiale; quindi, non avrebbe neanche dovuto essere discusso il problema ma se aveva turbato i suoi compagni …
“Sì, infatti, preoccupazione inutile” aveva dichiarato Mel.
Tutti aveva annuito, “Cioè non sarà mica come il mjolnir senza in quale il Grande e Potente Thor diventa utile come una carrozza ad un pesce. Non è come che gli dèi ed il mondo si impigriscano fino a dipendere da cose che un tempo erano loro a malapena appendici vestigiali” aveva borbottato Fred.
Come quando avevano rubato la folgore a suo padre ed era dovuto andare Percy, dodicenne a recuperarla – se l’avevano raccontata correttamente a Jason – perché senza quello, il divino Giove era inutile.
L’ultima frase di Fred aveva riportato su di loro, pesante come il cielo sostenuto da Atlante, la consapevolezza.
“Penso di star per svenire” aveva considerato Mel, aveva un viso bianco lenzuolo e gli occhi spalancati, pieno di timore e pregno di consapevolezza.
Astrid si era sollevata, di scatto, nervosa; nell’azione aveva fatto anche rovesciare la sedia alle sue stanze; Jason era trasalito al colpo improvviso.
Fred aveva avuto intenzione di dirle qualcosa, ma poi forte rumore si era espanso per tutta la stanza, per tutto l’hotel, per essere preciso.
Jason conosceva quel suono, lo aveva sentito a Campo di Giove, di tanto in tanto, non era molto Romano.
“È un olifante!” aveva considerato infatti.
A Nuova Roma avevano sempre elefanti, e per quanto brutto fosse, capitava che quando qualcuno di essi si spegnesse – per vecchiaia, a Nuova Roma tenevano tantissimo a quegli animali – qualche figlio di Vulcano si cimentasse nel lavoro gli avori.
Per lo più statuine dedicati agli dei – forse Kym avrebbe più apprezzato di una statuina di ceramica? Decise comunque di accantonare il pensiero – ed ogni tanto qualche olifante.
“L’ultima volta che ha suonato è stato quando Gunilla ha capito chi fosse la spia” aveva bisbigliato funereo Fred, ricordando forse qualcosa di spiacevole.
Jason non aveva idea chi fossero le due persone a cui loro si stavano riferendo[15].
Il suo pesante, ombroso e grave dell’Olifante aveva continuato a riempire l’ambiente.
“Sì, ma questo allarme vuol dire che i confini del Valhalla sono stati violati[16]. Qualcuno che non ha il promesso di essere qui, è entrato” aveva raccontato Astrid.
“Tecnicamente qualcuno che Odino non si aspettava. Qualche settimana fa è entrato Big Boy[17] ma non è suonato l’Olifante, ma quando mille-trecento anni fa un’anima da Helheim ha tento di entrare qui, dovevate sentire che tuoni” aveva raccontato Mel.
“Ragazzi, è Stellan” aveva dichiarato Jason.
Doveva essere Stellan, l’elfo giardiniere di Gerd.
Astrid aveva annuito, “Se l’Olifante sta ancora suonando vuol dire solo una cosa” aveva cominciato a dire, “Non lo hanno ancora trovato”.



[1] Pluto è un dio greco (con maggiore culto in Samotracia), dio della ricchezza e dell’abbondanza, spesso rappresentato con Eirene, la pace. I romani lo hanno erroneamente accorpato ad Ade, creando Plutone. Però si Pluto è un dio greco, che ha per figlio un romano che ai suoi tempi ha fatto parte del Campo di Giove e che gira con un variago. Strano? BIZANTINO. 
(Momento meme, questo personaggio è fratello di Hazel, quanto lo è Nico, ma non è fratello di Nico)

[2] Cuore  

[3] Padre

[4] Il padre di Astrid deve chiamarsi Einar, perché Astrid più volte ha dichiarato di chiamarsi Einardottir, inoltre anche Thrud lo chiama Einar, prima di infilare Jason in lavatrice.

[5] Nelle scorse note avevo parlato di una differenza tra la mia Freydis e quella di Riordan, in 9 FROM THE NINES, Freydis appare vecchia, però, ecco, visto che abbiamo delle comodissime Mele di Idunn.

[6] Letteralmente M*nchia in latino, Thumelicus è un germano molto strano.

[7] Se avete letto la saga di Magnus Chase, questa storia la conoscete benissimo e sapete dove è la spada. Se no, be, il primo libro si chiama La Spada dell’Estate ed io potrei avervi lasciato un indizio/spoiler da qualche parte nei capitoli precedenti. Fischietta.

[8] Teoria piuttosto accreditata (che se non sbaglio è sostenuta da Snorri stesso) vede nei Vanir, gli dèi della terra/stagioni/roba-naif il pantheon originale norreno, mentre gli Asi (che anche mitologicamente emigrando, seguendo Odino) come dei guerrieri venuti assieme ai popoli indoeuropei (Se non sbaglio: Thor carissimo, ha la stessa radice indoeuropea di altri due dei molto fulminosi, il nostro amico Zeus e l’ormai sempre citato Perun).  Non vorrei dire una castroneria, ma mi pare che i germani fossero molto più devoti agli Asi che hai vani, ma insomma castroneria probabilmente.

[9] Come sempre la mitologia Norrena non ha sempre posti fissi. Comunque, l’unione di Gerd con Feyr, ho trovato in alcune versioni, viene interpretato come l’estate che riscalda i campi, o una cosa simile.

[10] Strofa 10 della Volupsa. I dvergar sono fantocci di terra. In realtà su i dvergar è piuttosto dibattuta la questione, cioè cosa sono e chi li ha creati veramente (Bugge interpreta l’azione legata ai Nani – in questo caso anche la versione di Jason).

[11] Allora, ennesimo riferimento al personaggio sinistro di cui parlava Guinilla. Di lui non ne parleremo in questa storia, tranquilli. Solo che a me piace fare gli intrecci e contestualizzare le cose.

[12]  Váli ha promesso di non lavarsi le mani ne pettinarsi fino a che non avesse adempiuto ai suoi propositi (Vendicare Bald) per questo nello scorso capitolo mi ero riferito a lui come “Lo spettinato”. Cioè, tecnicamente Bald si è “vendicato” ma, ecco, sì, la persona con cui si è vendicato è tipo la punta dell’Iceberg della questione.

[13] Elli è la Dea della Vecchiaia.

[14] O buon uomo! (Addirittura, coniugato correttamente in vocativo – grazie all’autorevolissima fonte di Wikipedia).

[15] Guinilla è un personaggio di Magnus Chase (per farla molto breve, la Loro Clarisse) e il tipo che ha beccato è un riferimento al 'Famoso figlio di Loki' (nel capitolo su Vàlii c’è un riferimento, così come in un'altra nota).

[16] Questa cosa non è presente in Magnus Chase e la sto inventando di sana pianta. Yeah.

[17] Questo è un riferimento a 9 FROM THE NINES WORD. BIGBOY è un personaggio di Magnus Chase (e che PERSONAGGIO <3 potrebbe, tipo, essere il mio preferito. Tipo.) che ovviamente non vive nel Valhalla e che potrebbe guardarlo solo con il bincolo.

   
 
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