E LO SO CHE
SONO IN RITARDISSIMO.
MA: Sono
stata in vacanza, cosa che non succedeva da eoni.
Quindi perdonatemi, pls.
Per l’illustrazione, uhm … ho fatto Gerd e
Jarnsaxa ma non mi piace e non so se
postarla, però ho finalmente fatto una caricaturale dei
nostri giovani eroi.
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Jason-Grace-and-the-Barbarians-898018264
Non sono una gran far di questo style, però, sì
dai ci stava.
Come sempre ringrazio chi legge/segue/preferisce/ricorda ed un grazie
di cuore
a Farkas e Edoardo811.
Questo capitolo mi ha preso un po’ la mano, devo ammettere e
non è andato
esattamente dove doveva andare. Però giuro, la parte
introduttiva e finita (a
capitolo 7 era anche ora) e finalmente possiamo procedere con la
missione.
(Abbiamo anche il limite di tempo canonico del mondo di PJO per fare le
cose).
E niente spero lo possiate apprezzare.
Un Bacio
RLandH
Ps –
I due
personaggi all’inizio potranno sembrare molto WTF, ma giuro
avranno il suo
senso. Prima o poi :^
Il
(‘Idromele)Party del Piano Venti
“Io
ti odio”
aveva sillabato Astrid prima di colpirlo dritto sul naso con
l’elsa della sua
accetta.
Jason era ruzzolato atterra, dolorante e con fiotti di sangue che
scendevano
giù da un naso maciullato. “Lo so” aveva
dichiarato lui, calmo.
La conversazione tra lui ed Astrid stava andando così da
tutta la mattina.
Jason aveva anche cercato di introdurre il suo sogno, relativo alla
notte
scorsa, ma la guerriera non aveva voluto ascoltare una parola, aveva
preferito
cercare di uccidere Jason in ogni modo possibile.
In realtà … non stava cercando di ucciderlo.
Se Jason fosse morto, si sarebbe riformato nella sua piccola stanzetta
al piano
Venti e sarebbe sfuggito allo sguardo diligente di Astrid.
Quindi, sì, la sua compagna stava cercando di farlo a pezzi
– senza ucciderlo.
E Jason non le portava neanche un po’ di rancore.
Infondo era colpa sua e del suo, dannatissimo, senso di giustizia, che
lo aveva
già ucciso una volta.
“In piedi, di nuovo” aveva impartito lei.
Jason si era tirato su, aveva un occhio gonfio, la bocca impastata ed
il sapore
ferruginoso del sangue. Non vedeva benissimo Astrid, ma anche lei non
era una
rosa di campo.
Aveva un grosso taglio sulla tempia, le mancava un pezzo di treccia ed
un
orecchio.
“Comunque, volevo dirti …” aveva
cominciato Jason. “Non mi interessa” lo aveva
smontato lei per l’ennesima volta, prima di lanciarsi su di
lui con l’accetta
alla mano ed un grido di battaglia, che la faceva somigliare davvero ai
nativi
americani dei film stereotipati degli anni Sessanta.
Quel pensiero aveva distratto Jason, abbastanza da evitare per un solo
soffio
la lama che aveva avuto tutta l’intenzione di conficcarsi
nella sua spalla.
Jason aveva
risposto con un fendente della sua spada – Panikpak VI, visto
che nei confini
del Valhalla, era meglio non sfoggiare troppo Giunone – che
aveva avuto un
bacio piuttosto rumoroso con la lama dell’accetta di Astrid.
La sua compagna era feroce, ed attenta, non aveva la stessa maestria e
tattica
che Jason poteva sfoggiare, dopo tutta la vita modellata secondo la
rigida
educazione di Roma, ma si sapeva difendere bene.
D’altronde, per anni, Astrid aveva millantato una vita
all’insegna della morte.
Jason aveva infilzato la ragazza, su un fianco, abbastanza defilato da
non aver
colpito nessun organo vitale. Astrid lo aveva maledetto in una lingua
che Jason
non conosceva.
Lei gli aveva tirato una testata, il ragazzo era barcollato un
po’
all’indietro, ma non aveva abbandonato la presa
sull’elsa della spada, ma aveva
deciso di affondare ancora di più nella carne.
Astrid aveva
afferrato con difficoltà la sua ascia, Jason doveva averle
reciso qualche
legamento, perché era piuttosto indecisa nei movimenti e
mancava di forza, ma
alla fine era riuscita a colpire Jason con la lama lungo la coscia.
Lui era indietreggiato.
“Oh ma che bravi che siete ragazzi” qualcuno aveva
disturbato il loro arrancare
per terra, con tanto di battito di mani.
Jason si era voltato osservando due guerrieri che li guardavano. Erano,
alti e
grossi. Uno sfoggiava una lunga barba spessa, scura ed ispida,
l’incarnato di
porcellana e capelli acconciati in trecce con anelli d’oro. Indossava quella che aveva
tutta l’aria di
essere una cotta di maglia, ma che era composta da quattro anelli,
collegati da
un singolo anello, allacciato ai pantaloni di cuoio portava un machete,
ma
Jason sapeva fosse uno scramasax – lo
ricordava in relazione alle
lezioni sull’utilizzo di armi bianche che aveva ricevuto a
Campo di Giove, nessuno
la usava mai … era un arma barbara.
Su un braccio teneva fermo uno scudo tondo in legno, su cui era dipinto
un
cerchio rosso pieno, attraversato da una croce greca oro che divideva
in quattro
spicchi identici su cui scintillavano delle B speculari.
L’altro uomo aveva un aspetto più ordinato, con i
capelli scuri portati corti
ed una barba rada, aveva una pelle olivastra ed un naso importante. Ma
erano le
vesti che avevano attirato Jason, indossava una maglia di ferro ad
anelli
sottili, almeno così di poteva vedere, sopra una camicia
morbida arancione con
clavi dorati, la veste raggiungeva le ginocchia e sotto sfoggiava calze
bianche
e sandali … anche lui aveva uno scudo con la croce e le B.
“Ottima
tecnica ragazzo, sicuro di essere morto di recente?” aveva
domandato il più ordinato
dei due uomini, se così avessero potuto essere chiamati,
ambedue sarebbero
parsi a Jason sulla ventina, ma … più vecchi dei
giovani di quell’età che si
vedevano in giro, o che almeno lui aveva visto. “Ma lei
è più carina” aveva
ridacchiato il barbuto.
“Direi invece che voi siate variaghi” aveva
stabilito Astrid, sfilandosi la
lama di Jason dalla pancia, sulla maglietta si era cominciata ad aprire
una
macchia bruna, che progrediva sulla stoffa come inchiostro rovesciato.
“Lui”
aveva detto il ragazzo ordinato, “Io sono romano dalla testa
ai piedi” aveva
stabilito l’altro, parlava inglese, ma il suo tono era
più musicale e di miele.
Jason aveva avuto un brivido a quella notizia, due sentimenti opposti
avevano tormentato
la sua anima, il sollievo di non essere solo ed il terrore di essere
scoperto.
Per testimoniare le sue parole, quello aveva mostrato il braccio,
portava
legata un’armilla che copriva la parte del dorso, ma la parte
interna, coperta
solo da lacci, per un tratto, esponeva la carne nuda, svettava una
scritta.
Che confuse Jason, non poco.
S P Q R; sotto la scritta, oltre le bande che
segnavano i suoi anni al
Campo di Giove, vi era il disegno di una spira di grano, il cui gambo
si
intrecciava in un anello, tempestato di gioielli.
Jason non lo conosceva.
“Che tatuaggio strano” aveva dichiarato
ingenuamente, mentre si premeva una
mano sulla gamba ferita; quella mattina aveva coperto il suo tatuaggio
con una
banda, che aveva trovato nel suo armadio.
“Ti prego non dargli spago” aveva dichiarato il
variago, scuotendo il capo.
“Questo è simbolo di mio padre, Pluto”
aveva dichiarato il suo interlocutore
con orgoglio.
Non era lo stesso tatuaggio che aveva Hazel.
“Intendevi Plutone, non si chiama così?”
era intervenuta Astrid. “Oh, no,
quello è il Signore dei Morti. Mio padre è il dio
dell’Abbondanza[1]”
aveva
specificato quello, “Sì, sì ma tu sei
morto povero e solo esattamente come me”
era intervenuto il variago, dando un colpetto sulla spalla del suo
amico,
interrompendo la sua spiegazione. O che Jason potesse sottolineare
fossero
praticamente lo stesso dio.
“Volevamo avere la stanza dei duelli, in vero, visto che sono
ore che siete qui
dentro” aveva dichiarato il Variago.
Jason doveva concordare, non aveva neanche fatto colazione. Astrid
aveva
annuito, alla fine, “Sì, ho bisogno di risanare la
mia ferita” aveva stabilito
lei, annoiata, restituendo Panipak VI a lui, che l’aveva
ripresa con
incertezza. La testa aveva smesso di pulsare ed un occhio aveva
cominciato a
sgonfiarsi appena, le ferite si stavano rimarginando, sapeva che
sarebbe
successo, ma quella era la prima volta che accadeva, tutte le altre
volte, era
morto prima.
I due avevano annuito, “Perfetto, grazie bella
ragazza” aveva stabilito quello
con la barba lunga, passandosi proprio una mano tra i peli ispidi,
“Se volessi
dividere con me un giaciglio e vino dolce, non mi tirerei
indietro” aveva
stabilito con un certo orgoglio il variago.
Astrid era arrossita, anche Jason l’aveva fatto, giurava
anche che il romano
figlio di Pluto lo stesse facendo. “Oh, déi,
Esben” si era lamentato giusto
quest’ultimo.
“Grazie passo, Jason impegna tutto il mio tempo”
aveva dichiarato Astrid,
indicandolo, sfacciatamente, lo aveva detto con il suo tono calmo e
l’espressione austera. Jason si era fatto ancora
più paonazzo, mentre Esben il
variago lo studiava con una certa criticità.
“Ora è meglio che andiamo” aveva
stabilito il figlio di Pluto, spintonando il
suo amico, verso la piccola arena attrezzata nella stanza dei duelli.
Jason quando l’aveva vista, quella mattina preso, aveva avuto
un mancamento. Al
centro, in una forma che ricordava un quadrato, con molto impegno, era
steso un
tappetto di pelle acconciata, fermato, sul pavimento, agli angoli da
quattro
bastoni di legno, che delimitavano il campo e tendevano la pelle al suo
massimo. Esistevano tre porte per accedere alla stanza.
Era sistemato come il campo per un holmagag.
“Ho
fatto un
sogno-non-sogno” aveva ripetuto Jason, mentre percorrevano il
corridoio verso
l’ascensore, “Me lo hai già detto e ti
ho risposto che non mi interessa, ora.
Prima dobbiamo pensare a Váli l’Ardito che
affronteremo tra sei giorni. Sei”
aveva rettificato Astrid, mentre si arrestava davanti
l’ascensore.
Le porte si era aperte, rivelando il viso fin troppo compiaciuto di
Freydis
Erikdottir, che esibiva un sorriso da gatta dello Cheshire.
Differentemente da come l’aveva veduta Jason, il giorno
prima, il suo viso era
leggermente diverso, un paio di zampe di gallina spuntavano
all’angolo degli
occhi – era strano?
Affianco a lei, c’era uno dei due uomini del giorno prima,
quello biondo, con
l’aspetto stanco, sbiadisco, che si addiceva ad un fantasma
che ad un guerriero
einherjar.
Astrid aveva sussultato quando gli aveva visti, ambedue. “Ma
guarda un po’ cosa
c’ha portato il carro di Freya” aveva stabilito
Freydis. Osservandoli con
interesse.
Astrid aveva forzato un sorriso sulle sue labbra, che le dava
un’espressione
ancora più caustica, “Ti stanno sputando di nuovo
le rughe” aveva dichiarato.
Freydis non aveva perso il suo sorriso compiaciuto,
“Inevitabilità del caso.
Troverò un’altra mela” aveva dichiarato,
nonostante l’espressione rilassata, il
suo tono tradiva un certo fastidio.
“Mi chiedo come tu possa” aveva valutato Astrid,
Fredydis aveva roteato gli
occhi.
“Hjarta[2]”
si era introdotto l’uomo-spettro, attirando
l’attenzione su di lui. Aveva un
tono grave, cavernoso. Aveva parlato guardando Astrid, allora Jason
aveva
notato, che gli occhi dell’uomo, dietro la stanchezza e le
screziature rosse e
lucidi, esibivano un colore verde ghiaccio, come quelli di Astrid.
Lei aveva però una forma allungata, stretta,
eredità probabilmente di sua madre
thule. “Fathir[3]”
aveva risposto la ragazza, con un tono pregno d’emozione.
Jason non conosceva la lingua norrena, ma riusciva ad interpretare
quella
parola, senza molti dubbi. L’uomo aveva detto
qualcos’altro in quella lingua e
la figlia aveva annuito; Freydis aveva roteato gli occhi,
“Come siete sentimentali”
si era lamentata, in inglese, quel commento era bastato
perché Astrid
cominciasse a parlare con suo padre in un'altra lingua ancora, suo
padre era
più incerto nei termini. Jason indovinava fosse una lingua
nativa. Riusciva ad
individuare il tema del discorso, però, visto che aveva
sentito l’uomo
pronunciare un nome piuttosto noto: Váli.
“Possiamo muoverci, stiamo bloccando
l’ascensore” aveva dichiarato Freydis con
un tono seccato.
Astrid si era voltato verso Jason, “Vai avanti, io arrivo tra
poco” aveva
dichiarato.
Jason aveva annuito, con incertezza, mentre entrava
nell’ascensore, Einar –
così doveva chiamarsi[4]
– era
invece uscito per raggiungere sua Astrid.
I due si somigliavano come la luna e la lana, vedendoli insieme nessuno
avrebbe
mai potuto indovinare fossero padre e figlia.
Lui era rimasto in ascensore con la belva.
“Non preoccuparti se la tua avventura con Thrud ha avuto
risvolti così
drammatici. Uno dei suoi pretendenti è finito pietrificato,
una volta” aveva
tubato subito Freydis appena le porte si erano chiuse.
“Immagino abbia saputo di Váli” aveva
valutato Jason. Lei aveva ridacchiato,
“Mio fratello siede tra i Thegn … tal volta
carpisco le notizie ancora prima
che avvengano” aveva dichiarato Astrid con un certo
divertimento.
Jason aveva annuito, quasi esausto, “Váli
è un bel tipo. Troppo arrogante,
sapere che non morirà lo rende stupido. La morte non
è l’unico modo in cui
qualcuno può essere annientato” aveva dichiarato
Freydis, strizzandoli un
occhio, sfacciata.
“Potrei averlo notato, ma è pur sempre un dio e i
sono un uomo” aveva stabilito
Jason. “Ed un bel uomo come te andrebbe a raccogliere delle
mele per me?” aveva
domandato Freyds.
“Parli delle mele di Idunn, quelle che rendono
immortali?” aveva chiesto Jason.
Non era arrivato a leggere nell’Edda di loro, ma le ricordava
– citate molto
parzialmente e velocemente – dalla presentazione di Odino.
Mele d’oro, che
coincidenza, che esistessero anche in quella mitologia. Solo che le
loro
rendevano immortali.
“Sì. Nonostante io sia morta da vera virago,
armata e coraggiosa, ero anche
vecchia. Tragicamente vecchia” aveva esclamato Freydis,
“Il che è un peccato,
perché come puoi vedere da giovane ero un bel bocconcino,
per questo di tanto
in tanto mangio una bella succulenta meletta[5]”
aveva
raccontato, “E la mia anima torna bella e giovane. Le mele
non rendo
semplicemente immortali” aveva aggiunto con un certo
divertimento.
“Ma non dura molto” aveva constato Jason.
“Meno di quanto durerebbe per un dio –
ovviamente” aveva aggiunto con una punta
di rassegnazione la donna, passando le dita sulla lunga chioma
bionda-bianca,
alcuni fili d’argento brillavano. “Ieri cercavi un
modo per andare a prendere
una mela?” aveva indagato Jason.
Freydis aveva ridacchiato, con una punta di cattiveria, “Non
chiedere mai ad
una donna la sua età e i suoi piani segreti” aveva
stabilito lei, con un
sorriso lezioso.
Jason aveva
lasciato l’ascensore con una cattiva sensazione addosso, con
il sorriso di
Freydis ad inseguirlo lungo il corridoio.
Aggiunto, al sogno della notte prima. Era sparito un cinghiale e la
jotunn Gerd
serviva uno skraeling del piano venti
dell’Hotel Valhalla.
Per Jason, lo skraeling, il barbaro, a cui la
gigantessa poteva fare
riferimento poteva riguardare solamente solo lui o Astrid. Lei era
letteralmente la skraeling per eccellenza, lo era letteralmente,
riguardo a
Jason, lui era anche più barbaro e straniero di lei.
Aveva incontrato Gerd quel giorno stesso, mentre era con Jarnsaxa, che
aveva
origliato almeno una piccola parte della conversazione tra lui e Kym,
che ai
loro occhi, doveva essere straniera.
Gli faceva male la testa.
“Ehilà!”
lo
aveva salutato subito Mel, che era appoggiato allo stipite della sua
porta,
indossava la maglietta verde dell’hotel sopra dei pantaloni
rossi a rombi verdi
e stivali di pelliccia, creando uno strano patch-work di stili.
“Non sei a Idavol?” aveva chiesto Jason,
realizzando l’orario, “Oh, oggi ho
saltato. Ti ho fatto i cupcake, pensando che probabilmente Astrid ti
farà
saltare anche il pranzo” aveva dichiarato quello, indicando
con il dito un
cestino quadrato che era ai suoi piedi.
“Madina?” aveva indagato Jason, “Lei
è andata. Combattere le fa bene, se resta
troppo tempo tranquilla si innervosisce. Ieri sembrava divertita dalla
situazione, ma non lo è per nulla, ha passato la nostre
sveglia ad intrecciare
cestini” aveva risposto Mel, recuperando proprio il cestino,
sembrava uno di
quelli da picknick che si vedevano nei film romantici.
Jason aveva aperto la porta della sua stanza ed aveva lasciato
l’ingresso
libero anche a Mel, che lo aveva seguito con passo svelto.
“Grazie per il cibo” aveva dichiarato Jason.
“Prego. Te lo dovevo! Infondo se non mi fossi suicidato
l’altra sera, tu e
Astrid probabilmente non avreste mai incontrato Vali. Come una partita
di genga
finito male” aveva cominciato Mel.
Jason aveva scosso il capo, “Credo sia più colpa
della mia lealtà cieca e
dell’ego smisurato di Vali” aveva stabilito lui.
Senza remore di offendere il dio in questione.
“Oh, be, Adoro cucinare, comunque; quando ero piccolo, era
uno dei pochi
ambienti della domus dove potevo nascondermi per non lavorare. La
schiava che
la gestiva aveva un certo debole per me, credo le ricordassi un figlio
che
aveva perso” aveva raccontato Mel con tranquillità.
Lavorare.
Jason si era toccando la banda, sotto cui era nascosto il suo marchio,
il suo orgoglio.
“In realtà credo piacessi un po’ anche
alla Domina” aveva aggiunto, “Anche se
era difficile da dire, dopo essere diventata vedova era diventata come
quelle
persone che paiono avere sempre un limone in bocca” aveva
raccontato, mentre
lasciava il cestino a Jason.
Mel si era accomodato sul divano, mentre lui, di rimando, si era
mangiato tre
cupcake fatti con fragola e crema di cioccolato da solo, prima di
raggiungerlo.
Mel era stato uno schiavo domestico di un lanista e poi era divenuto
gladiatore? O era stato venduto?
Nella mente di Jason vorticavano queste domande, ma si era reso conto
fosse
meglio non farle, anche Astrid si era raccomandata.
“Meglio ovviamente del giovane padrone di casa. Lui era
… è brutto se dico
fosse sbagliato?” aveva domandato il germano, crucciando le
sopracciglia
pallide.
Jason aveva scosso la testa.
Mel gli era sembrato un ragazzo allegro, uno di quelli
dall’aria spensierata,
che nascondeva i suoi traumi per bene sotto a un tappetto metaforico,
che di
solito ricordava un sorriso. Un po’ come Leo.
La nostalgia si era fatta prepotente dentro di lui ed era stato
difficile, si
era reso conto, trattenere le lacrime.
“Sei … tutto bene?” aveva chiesto Mel,
aggrottando le sopracciglia bionde.
“Ho fatto un sogno … sai un sogno molto
strano” aveva dichiarato Jason,
fingendo che il suo improvviso umore fosse da imputare a quello, cosa
che in
parte non era del tutto sbagliato, “Che non mi aiuta con
questa storia
dell’Holmagang” aveva chiarito.
Voleva parlare del suo sogno, era ovvio, che se avesse visto qualcosa,
doveva
avere un significato. Queste cose non capitava a lui per caso.
Gerd aveva bisogno di un eroe del loro piano.
“Imparerai che in questo posto raramente un sogno
è conseguenza di un
indigestione di arrosto di cinghiale” aveva stabilito Mel,
prendendo uno dei
suoi cupcake, “Parla” aveva impartito. In quel
momento, nonostante fosse
vestito in quella maniera improbabile e come globo poteva offrire solo
un
pasticcino, Mel aveva tutta l’austerità degna di
un Re.
Jason aveva annuito ed aveva raccontato, cercando di essere quanto
più preciso
possibile, lui non aveva idea di metà di quello che aveva
visto, ma forse se
fosse stato esauriente, Mel avrebbe potuto tradurre per lui.
Alla fine del racconto, per Jason, era stato ovvio che Thumelicus
avesse avuto
una visione più chiara di quella che aveva avuto lui.
“Oh, Mentula[6]!”
aveva esclamato Mel, preoccupato. Jason era rimasto piuttosto sorpreso
da un
imprecazione in latino, ma non aveva fatto commenti.
Il suo compagno si era alzato come una scheggia, “Vuoi
spiegarmi?” aveva
chiesto Jason, pregno di perplessità.
“Sì, ma prima devi raccontare questa storia ad
un'altra persona” aveva
dichiarato Mel.
“Se ti riferisci ad Astrid non mi vuole sentire”
aveva risposto Jason, anche se
era ovvio che il suo amico avesse in mente una persona precisa, forse
Madina.
Jason aveva imitato Mel, quando questi si era fiondato fuori dalla sua
stanza
per raggiungere la porta più vicina a quella di Jason e
mettersi a battere
contro di essa.
Fred, come aveva fatto per i due giorni precedenti non aveva dato segni
di
vita.
“Ascoltami figlio di … Frederick! Questo
è davvero, davvero, importante” aveva
stabilito Mel, continuando a picchiare contro la porta.
“Jason ha avuto un sogno e credo possa riguardare
te” aveva strillato Mel.
Lui aveva aggrottato le sopracciglia, “Ma sicuramente
riguarda la tua
famiglia!” aveva stabilito Mel.
La serratura della porta era scattata, se Fred avesse avuto
l’intenzione di
lasciare solo uno spiraglio aperto, non era stato accontentato,
perché Mel
aveva usato tutta la sua forza per irrompere nella stanza, Jason
l’aveva
seguito ed avevano tramortito e travolto nel mezzo lo sconosciuto del
piano
venti.
La stanza di
Fred era piena di piante.
Un albero dal tronco chiaro e le foglie rosse, faceva da sovrano nella
stanza,
ma in ogni dove, in ogni angolo, era possibile trovare piante di ogni
genere,
da veri e propri cespuglietti a piane grasse in vasetti della
dimensione di
pugni di bambino.
Quello che non era occupato da piante era occupato da fogli. Se Jason
aveva pensato
a se stesso, come disordinato con il suo materiale da disegno, se aveva
pensato
a Leo come confusionario, Jason doveva riscrivere il suo concetto di
disordine
e caos.
“Sei peggiorato” aveva constato Mel con
tranquillità, mentre allungava una mano
per raccogliere un foglio di carta, Jason aveva osservato
l’oggetto, era in
carta rigida fatta in percentuale di cotone e sopra era raffigurata un
immagine
in carboncino.
Era la jotun Gerd, vestita come la Vergine Maria – strano.
Aveva uno stile di disegno strano, diverso da quello che aveva visto
nella sua
amica Hazel, che riusciva con i suoi colori a dipingere una
realtà magnifica,
filtrata dai suoi occhi pieni di vita e di ardore. I disegni di Fred
erano
cupi, avevano delle forme allungate, profonde, oscure, come di qualcuno
che
aveva perso da tempo la luce.
Erano belli, ma inquietanti.
A parte quelli con le croci. Ce n’erano un sacco.
“Stavo aprendo la porta” si era lamentato Fred,
ancora seduto sul suo pavimento
che si massaggiava il naso, dove la porta aperta da Mel lo aveva
colpito dritto
sul naso.
Jason aveva guardato lo sconosciuto vicino, “Ciao, io sono
Jason Grace” si era
presentato.
“Oh, be, Madina non potevi essere” aveva replicato
quell’altro, sollevandosi.
Fred era più alto di lui, anche di Mel, ma era sottile come
un giunco, con
braccia senza muscoli e gambe dritte come pertiche, sembrava un
fuscello.
La sua carnagione era bronzea, come se fosse stato fino a quel momento
esposto
alla luce del sole, aveva capelli scuri e ricci, lunghi fino alle
spalle ed
occhi neri come il caffè.
La cosa che attirava di più lo sguardo però era
il fatto che il ragazzo sfoggiava
una camicia da notte di un bianco panna, con lo scolo a barca che
metteva in
evidenza le clavicole. “Io sono Fred di Clermont”
si era presentato, pulendo il
sangue con la manica della camicia da notte.
Se l’urto lo avesse storto, il naso sarebbe tornato
immediatamente dritto.
“Abbiamo i cupcake, dai” aveva provato Mel, Fred
aveva borbottato qualcosa in
francese, Jason aveva abbastanza famigliarità con le lingue
romanze – in
particolare quella – da sapere che non erano complimenti.
Anche Mel vista la smorfia che aveva manifestato.
“Non fare caso a lui. Era uno di quei guerrieri-monaci con la
croce sullo
scudo. Non ha superato bene questa cosa del paganesimo” aveva
bisbigliato Mel,
per chiarezza.
Fred si era
voltato verso il suo piccolo soggiorno, differentemente da Jason non
aveva un
divano davanti ad un camino, ma aveva un tavolo tondo con delle sedie,
anche se
tutte erano sepolte di fogli, pergamene e piante.
Il proprietario della stanza aveva cominciato a spostare fogli da tutte
le
parti, alcuni li aveva impilati in una torre più cadente di
quella di Pisa sul
tavolo, altri erano caduti rovinosamente a terra in fruscio di fogli.
“Perché dici questo, Thumelicus?” aveva
chiesto retorico Fred, “Avevo undici
anni quando mi hanno messo una spada in mano. Vai, uccidi gli infedeli,
riconquistiamo la Sacra Gerusalemme. Oh, cielo, siamo finiti a
Costantinopoli e
niente paradiso per te, Fred, per te … i pagani!”
aveva raspato quello, assieme
ad un’altra serie di rimproveri in francese; nel mentre aveva
sgomberato tre
sedie.
“Non è tipo che tutta la mia vita è
stata una menzogna e che ho commesso azioni
indicibili in virtù del nulla cosmico. E sono figlio di una
gigantessa … una
degna sposa di Satana, direbbero, non so se è un
miglioramento, rispetto la
presunta meretrice che credevo inizialmente. Cioè lo
è lo stesso, visto che è
sposata ed io sono un bastardo. Ma, ehi, è una gigantessa ed
io sono in un
posto che le odia” aveva scherzato forzatamente Fred,
c’era ferocia nel suo
sguardo.
“Oh, oh, stai parlando con lo schiavo gladiatore cheeeruscioo”
aveva
ridacchiato Mel, spostando una sedia per potersi accomodare.
Jason lo aveva imitato.
Fred aveva roteato gli occhi,
“Sì…sì …
blablabla … ero uno schiavo … blabla …
il mio domino era il male puro con il pallino dell’incesto
… blabla …ecco,
perché non esco mai” aveva stabilito quello.
Mel non aveva perso il suo sorriso rassicurante, come se i commenti
appena
fatti non riguardassero affatto lui.
Fred aveva lanciato lo sguardo su Jason, “Uhm …
tu? L’Aldilà è come te lo
aspetti?” aveva chiesto.
No.
“Pensavo a spiagge caraibiche e fiumi di martini”
aveva raccontato Jason.
Mel aveva ridacchiato, “Adoro come evolva così
stranamente il concetto di
Paradiso nel corso dei secoli e per i vari popoli” aveva
ammesso.
“Esiste un solo paradiso e noi siamo solo in perpetuo
inferno” aveva stabilito
Fred, sedendosi anche lui, “Cosa è successo a Mia
Madre?” aveva chiesto poi il
proprietario della stanza.
Fred era figlio di Gerd, la jotun che aveva sognato e l’amica
di Jarnsaxa; Mel
si era riferito al sogno di Jason con problemi relativi alla famiglia
di Fred,
lo stesso si era dichiarato figlio di una gigantessa.
Pareva, quasi, ovvio.
“Amico, prego” Mel aveva invitato Jason a parlare.
Jason aveva raccontato di nuovo il sogno; Mel aveva annuito ad ogni
parte,
mentre Fred lo aveva guardato con occhi allarmati.
Appena terminato, il figlio di Giove aveva aggiunto,
“Però, ecco, mi servirebbe
una spiegazione ampia. Chi sono queste persone, che vuol dire che hanno
perso
un cinghiale?” aveva chiesto.
“Breve storia: Gerd è mia madre. La moglie di
Frey, il dio dell’estate” aveva
cominciato Fred, “Il padre di Magnus Chase, per
intenderci” si era inserito
Mel, ma il figlio della jotun aveva continuato dritto come una spada.
“Sì, ecco, il matrimonio tra Jotun e dei, Asi o
Vani, ma anche tra Asi e Vani …
non distraiamoci, è sempre stato caldeggiato per la pace e
la prosperità. Frey
per sposare Gerd ha dovuto rinunciare alla sua Spada, Sumarbrander[7],
contro
cui perirà durante al Raganarok. E no, non la ha offerta al
padre della sposa
come Dote, è una storia lunga e complicata …
quindi facciamo finta di niente.
Comunque, immagino che mia madre pensasse alla rinuncia della spada
quando
faceva riferimento ai Sacrifici compiuti. Beyla e Skirin sono due servi
di
Frey, anche l’altro con la B … non è
che posso ricordarli tutti” Fred aveva
fatto una pausa, per osservare la foglie, a piatto largo, di una
piantina che
era rimasta sul tavolo.
“Idromele?” aveva chiesto per un secondo.
“Magari sì” aveva ammesso Jason.
Così, Fred si era alzato, per recuperare da quello che
pareva un piccolo
frigo-bar delle boccette – sì, Jason doveva
pensare anche lui a procurarselo.
“Non so chi sia Stellan. Ma non mi sorprende che mia madre
abbia preso un
giardiniere per aiutarla, quei tre sono servi di Frey” stava
raccontato Fred,
il pensiero di Jason era galoppato a Vali, servi, forse era solo un
altro modo
per dire schiavi, come rischiavano di diventare lui e Astrid,
“… mia madre è la
dea del cortile, dei campi, queste cose qui” aveva dichiarato
Fred.
“Pensavo quella fosse Sif” era intervenuto Jason.
Odino nel Power Point l’aveva definita così, lui
l’aveva catalogata come una
Demetra giovane dai cappelli d’oro, la nonna di Astrid e
Madina e la shampista
di fiducia di Vali.
“Hai una mente troppo rigida, amico mio, la mitologia norrena
è fluida” aveva
cercato di spiegare Mel, “La situazione è
complicata, perché è stata la
confluenza di due pantheon” aveva dichiarato.
“Come Greci e Romani?” aveva chiesto Jason,
genuinamente confuso.
“Oh, no. Greci, Romani ed Etruschi hanno avuto circa gli
stessi dei a cui hanno
cambiato nomi, qualche particolare la e qua e discreta importanza. Nel Ludos
con me, c’era un ragazzo figlio di Feronia, praticamente
Proserpina etrusca,
che per i tusci era importante mentre per i romani … oh, be
… meno. Però, sì,
insomma, gli stessi Dei … con gli Asi e i Vani è
stata una somma. Due Pantheon
in uno[8]”
aveva
dichiarato Mel.
“Tanto satanasso più, satanasso meno”
aveva dichiarato sprezzante Fred,
versando da bere per tutti e tre, “Comunque mia madre
è la Dea del Cortile[9].
Lei ama
le piante, ed io ho un pollice verde invidiabile. Mi piace far crescere
le
cose” Fred aveva detto l’ultima cosa, con un magone
nella voce.
Magone di chi probabilmente aveva dovuto falciare vite.
Fred aveva portato sul tavolo, oltre piccole bottigliette, alte quanto
un pugno
chiuso, anche un set di porcellane per prendere il tè.
“Servitevi” aveva
dichiarato spento il proprietario.
Jason aveva bevuto il suo idromele, “Una cosa orribile di
questa situazione è
l’incapacità di ubriacarsi. Mi manca. Il vino era
una delle poche cose belle
della mia vita” aveva dichiarato Mel, per spezzare il
silenzio che era venuto a
crearsi tra loro.
“Oh, sì” aveva considerato Fred.
Probabilmente doveva essere una sfortunata condizione
dell’essere einherjar –
male per Jason, non credeva di aver mai bevuto alcolici nella sua vita
e questo
non spiegava perché Thrud non aveva dato lui il vino.
“Vogliamo andare avanti?
Vogliamo parlare del cinghiale? Dello Skraeling? Di Stellan che viene a
cercare
uno di noi?” aveva chiesto Jason.
“Oh, giusto il Verro D’Oro”
aveva commentato Fred, sorseggiando un po’
del suo idromele. “Vello?” aveva
indagato Jason, sentendo un nome
famigliare.
Aveva pensato all’albero di Thalia.
“No, Verro con la R” aveva spiegato Mel,
più gentile dello sguardo, non
esattamente velato, di scontentezza di Fred.
“Non hai preso l’Edda?” aveva chiesto poi
il germano.
“Nell’altra stanza” aveva dichiarato
Jason, “Inoltre, sono arrivato ai nani che
creano i Dvergar[10],
qualunque cosa siano” aveva aggiunto lui. Fred aveva
sollevato un sopracciglio,
“Non è proprio così, sono i Nani che
sono Dv …” aveva cominciato,
“Diciamo che ora, questa cosa è …
complicata. Però, restiamo concentrati” era
intervenuto Fred, prendendo un’espressione seria, che non gli
si addiceva
molto.
“Una volta avevo l’Edda qui dentro, credo di averci
disegnato sopra” aveva
constato Fred, Mel lo aveva ignorato a pie pari.
“Allora, Il cinghiale di Frey, è noto anche come
verro, che è un tipo di
maiale, d’oro per il colore ed il materiale del manto, si
chiama Gullinbursti.
Super-veloce, in grado di correre sull’aria e
sull’acqua e, inoltre, emette
luce propria. Nessuna notte lo è veramente,
finchè c’è Gullinbursti, che con le
sue setole d’oro può illuminare qualsiasi
ambiente” aveva spiegato, pratico
Mel.
Jason aveva immaginato, nella sua testa, una scena molto ridicola,
pensando a
questo cinghiale luminoso che correva al fianco di Tempesta o Arione.
“Sì, be, Frey ha avuto questa lanterna pelosa come
regalo da Brokkr, un nano,
su commissione di Loki. Storia molto in breve, Loki ha rasato i
cappelli di
Sif, ha fatto infuriare suo marito Thor, così lui ha
costretto il dio infame a
metterci una pezza” aveva cominciato Fred.
“Perché ha rasato Sif?” aveva chiesto
Jason. “Loki e la sua progenie fanno cose
a caso tutto il tempo, non fidarti mai di loro e la risolvi”
aveva detto schivo
Fred. Mel aveva mimato con le labbra un ‘non-è-vero”.
“Comunque Loki incarica i Nani di forgiare una nuova
capigliatura d’oro per la
dea. Fanno una
sfida, noioso e blasfemo,
quindi andiamo avanti, morale della favole ne viene fuori la parrucca
più
costosa del mondo, un’altra serie di roba più o
meno utile, tra cui il Verro
d’Oro” aveva dichiarato Fred, bevendo un altro
sorso del suo idromele.
Questo, a pensiero di Jason, era dolciastro.
“Quindi, mentre i servi erano fuori, Gerd ad un appuntamento
con Jarnsaxa … il
cinghiale luminoso è scomparso?” aveva
ricapitolato lui, pensando al suo sogno.
In quel momento capiva perché l’elfo Stellan
avesse affermato che il cinghiale
era notabile.
Mel aveva
annuito, “E, adesso, il povero giardiniere sta venendo qui
per cercare lo skraeling
tra noi … ecco, io pensavo potessi essere tu, sei suo figlio
… e un … ti senti
sempre estraneo qui” aveva provato Mel,
“Però potrebbe essere anche Astrid,
visto che lei è una skraeling, o Madina che è di
origini di capoverdiane, anche
se figlia di Ullr, o io che non sono ne germano ne romano o Jason per
un
qualsivoglia ragione” aveva affermato Mel.
Come essere un’anima strappata dai Campi Elisi?
“Può darsi” aveva bisbigliato lui.
Fred aveva sbuffato, “Tutto possibile. Sicuramente non mi
arrampico sull’albero
dell’Universo per cercare un elfo in missione … Se
Mamma ingoia l’ansia e dice
a suo marito che si è perso il cinghiale risolve
tutto” aveva stabilito Fred
calmo, “Io non voglio farne parte” aveva detto
pieno di acidità.
Mel aveva tirato un buffetto sulla spalla del mezzo-jotun.
“Be, io dovrei comunque raccogliere i legni per
l’holmagang” aveva valutato
Jason, ricordando una delle condizioni di Vali. “Giusto tu
devi pensare a
quello” aveva ricordato Mel, con espressione seria.
Fred aveva osservato la scena, “Oh, cosa mi sono
perso?” aveva chiesto, “Esci
dalla stanza più spesso e lo saprai” aveva
scherzato Mel, ma non sembrava
particolarmente pieno di allegrezza.
Il mezzo jotun aveva fatto una smorfia e bisbigliato qualcosa in
francese, che
somigliava ad imboccare la strada per un certo paese.
“Io
credo
che le cose siano più complicate, di un certo cinghiale
scomparso. Gerd
sembrava davvero terrorizzata” aveva considerato Jason,
“Inoltre, Gullinbrusti
non è un semplice cinghiale superveloce-fiaccola. Lui
è un portatore di luce,
senza di lui … le notti, credo, diventeranno più
buie? Ha senso? Si
registra il rapimento del cinghiale di Frey in qualche
cronaca?” aveva chiesto
Mel, preoccupato.
“Nessuna, affare senza precedenti. Probabilmente nessuno lo
ha rapito, avranno
lasciato il recinto aperto; Mamma è terribilmente
distratta” aveva dichiarato
Fred, con un tono pacato, prima di sollevarsi dalla sua sedia.
“A prescindere da come debba evolversi questa storia, i sogni
sono il modo in
cui il diavolo si insidia … scusate volevo dei gli
dèi comunicano con noi,
circa. Come aveva scoperto un tale infame[11],
esperto di seidr, i sogni più consistenti per noi einherjar
sono quelli che
facciamo quando risorgiamo” aveva deliberato Fred,
cominciando a frugare per la
sua stanza, anche dentro i vasi delle piante.
“Chiaramente se il nostro Jason, qui, ha avuto una visione
è perché in questa
storia c’è più dentro della carne in un
pasticcio” aveva raccontato chiaro
Fred.
Aveva rovesciato una pila di fogli che raffiguravano una Gerd-Madonna
con
braccia oranti, con un corpo esageratamente allungato, che richiamava
nella
pose una croce.
Fred doveva vivere un profondo disagio intimo …
“No, no” aveva farfugliato Fred, prima di
avvicinarsi ad un ficus e cominciare
ad estrarre della terra, aveva trovato un elsa, e da lì,
aveva tirato fuori una
lama bastarda, lunga, – decisamente più del vaso
in cui era contenuta – aveva
delle rune incise sopra di esse,
emettevano delle luci fievoli. “Elle est
là!” aveva strillato
soddisfatto Fred, lasciando ondeggiare la spada.
“Non
mi
piace” aveva considerato Jason.
“A me sì, guarda che lama, che affinatura
…
Quella è Angurvadal!”
aveva esclamato eccitato Mel, rispetto
Jason, con un sorriso da orecchio ad altro, “Unica e sola, lo
ho rubata un paio
di secoli fa! La Spada dell’Angoscia, ottima filatura, ma
ciò che la resa nota
è la luminescenza: fioca …
perché siamo in tempi di pace” aveva
stabilito Fred.
La cosa sembrava aver rilassato Mel, un po’. Fred si era
avvicinato a loro, con
ancora il ferro ondeggiante, era splendida come lama, lunga, di un
ferro così
chiaro da sembrare bianco, lucido, bellissimo.
“Comunque
via il dente, via il dolore … vediamo
se le Norne, immagino siano loro, le signore del fato e del futuro
… abbiano
qualcosa per noi” aveva dichiarato, sollevando la spada.
“Non lo decapitare, ci vorrà un sacco e
farà male” era intervenuto Mel, “Fidati
di me, andrà dritto come con il brie”
aveva dichiarato Fred.
Jason aveva sospirato e teso il collo.
Era stato netto. “Voglio assolutamente quella
lama!” era tutto quello che Jason
era riuscito a sentire, da parte di un super eccitato Mel.
Fred aveva
avuto ragione, era
finito altrove. Non aveva subito compreso dove fosse, non conosceva
l’ambiente
ma era certo non fosse la casa di Gerd e Freyr. Però era una
casa, accogliente,
calda e piena di voci.
Aveva messo a fuoco bene l’ambiente, aggiustando i suoi
occhiali, e l’aveva
vista.
Una ragazza, bella, con un’espressione corrucciata, con gli
occhi piegati su un
foglio e capelli biondo cannella. “Non riesco a capire questa
cosa … che senso
hanno gli integrali?” aveva chiesto lei, con un tono
amareggiato ed un sospiro
pesante.
Lei era in un soggiorno, di una casetta accogliente.
“Mi chiedo se in questa casa ci sia qualcuno capace in una
materia astrusa come
la matematica” aveva dichiarato una voce, Jason si era
voltato, alle sue
spalle, su un divanetto, c’era un ragazzo che stava cercando
di accordare una
chitarra. Aveva capelli scurri, ritti sulla testa, tenuti con una
bandana di
spugna. Jason lo conosceva, ne era certo, certissimo, ma non lo
ricordava.
“Uhm … ho già provato a chiederlo a
Giorgina, con l’ipotenusa è stata una
forza, ma lo studio di funzioni sono troppo anche per lei” si
era dichiarata
lei.
Il ragazzo aveva riso, “Dee, Cal sei imbarazzante”
aveva stabilito quello.
“Lit!” lo aveva ammonito lei, decisamente irritata.
Quello aveva ridacchiato, divertito da quella reazione.
Lit … Lit … Certo … Lityerses, il
mietitore di uomini.
Jason era stato responsabile di una sua parziale trasformazione in Oro,
mentre
cercavano Era, con Piper e Leo. Sembrava tutto così lontano.
Cal aveva sbuffato, poi aveva raccolto i suoi pensieri. “Lo
sai che è complicato”
aveva ammesso lei. “Lo so, io e Giorgina stiamo facendo i
piccioni viaggiatori”
aveva stabilito l’altro, “Ma vedo la situazione
complicata solo da un lato”
aveva aggiunto Lit.
Cal aveva annuito, “Va bene … allora
…” si era sollevata, chiudendo di scatto
il libro.
Prima che potesse fare altro, però era stato Lit a parlare,
una genuina
imprecazione, Jason aveva seguito il suo sguardo, così come
Calypso, allarmata,
ma dalle ombre era apparso un pallido Nico di Angelo.
“Calypso!” aveva chiamato subito quello.
“Nico!” aveva risposto lei, preoccupata,
“Devo parlare con Leo” aveva
dichiarato Nico.
Jason era
tornato dal regno onirico, trovandosi comodo sul suo letto nella sua
stanza.
Fred aveva avuto torto.
Le Norne – se erano davvero loro, chiunque fossero
– non avevano altro da dire
a Jason, almeno sulla questione Gerd e cinghiale.
Ma avevano da dire su Nico.
Nico che aveva raggiunto Leo, chi sa … se fosse riuscito a
rimanere un altro
po’ avrebbe potuto vedere il suo amico. Non vedeva Leo da
quella battaglia, non
riusciva a ricordare l’ultima cosa che gli avesse detto.
Perché non doveva essere l’ultima cosa.
Si era tirato su, con fatica, sentendosi pesante, ed era sceso dal
letto, per
raggiungere l’esterno della sua stanza, si era aspettato di
trovare Fred e Mel
ansiosi, ma ciò che aveva incontrato era stato Astrid.
Braccia conserte ed espressione dura.
“Cosa stai facendo?” aveva chiesto lei.
“Oh mangiato qualche cupcake e poi sono andato a
dormire” aveva raccontato
Jason, tranquillo.
Astrid aveva stretto gli occhi, “Ti ho già detto
che menti male” aveva
stabilito lei.
Jason aveva schiuso le labbra, “Non hai mai, mai, pensato che
potresti essere
tu incredibilmente brava nel leggere le persone?” aveva
provato Jason.
“Nel senso, nessun altro … ha notato il mio blef”
aveva dichiarato
Jason.
“Sei nel Valhalla da due giorni! E lo ho scoperto io! Hai
sfidato un dio
all’Holmagang!” aveva replicato lei, nonostante il
tono fosse leggermente
allarmato, l’espressione di Astrid poteva essere descritta in
una sola maniera:
stanca.
“Come è andata con tuo padre?” aveva
domandato Jason, “Male, chiaramente. Lui è
arrabbiato con me e io sono arrabbiata con lui. Ma niente di nuovo
sotto il
Carro di Sól, va avanti così da quando Urbano II
reclutava per la Crociata – e no,
io non sono Vali. Che hai combinato?” aveva sentenziato
Astrid.
“Sono morto” aveva ammesso alla fine Jason,
“Fred mi ha decapitato” aveva
specificato.
L’espressione dura di Astrid si era sciolta, il suo viso era
tatuato dalla
confusione. “Cosa? Perché? Fred!” aveva
esclamato. “Sei riuscito a vedere Fred?
Lo hai fatto uscire?” aveva esclamato lei.
Jason si era sentito inghiottito da tutte quelle domande,
“No. Sono entrato io.
Vieni, ti aggiorno. Non chiedermi come ma le cose si sono
complicate” aveva
raccontato Jason, ammiccando verso la stanza del mezzo-Jotun.
Astrid lo aveva seguito, con le sopracciglia scure arricciate, pregna
di
perplessità, “Perché ogni volta che ti
vedo, la situazione è peggiorata?” aveva
interpellato lei.
Jason si era morso il labbro, pieno di disagio. E questo era
niente.
“Sul serio” aveva aggiunto Astrid, la sua
espressione era marziale – per un
secondo aveva ricordato Reyna quando sentiva qualche stupidaggine.
“Ti ho detto che oggi ho avuto un sogno, no?” aveva
provato lui, prendendo la
direzione per la porta della stanza di Fred.
“Ti ho detto che non lo volevo sapere” aveva
sottolineato lei, stanca, “Perché
sapevi che i sogni non sono mai sogni” aveva considerato
Jason, “Volevi fare lo
struzzo” aveva aggiunto, con un sorriso leggermente
divertito. “A volte lo
sono, capita di rado, ma succede. Una volta ho sognato di essere
inseguito da
un Caciotta di Formaggio Gigante” aveva raccontato lei.
Jason aveva riso a quell’inaspettata confessione, era davvero
un’immagine
parecchio strana a cui pensare. Astrid che scappava da una caciotta.
“Smettila di ridere” lo aveva rimproverato lei,
“Riguardava Váli?” aveva
chiesto lei, mentre Jason bussava alla porta.
Lui aveva fatto un segno di diniego.
“Je ne … Non è che
devo recuperare tutti quanti oggi” aveva sentenziato
Fred, quando aperto la porta aveva identificato la figura di Astrid.
“Anche io sono felice di sapere che non sei
sbiadito” aveva risposto lei. “Ma
ci ho provato intensamente” aveva replicato Fred, facendosi
da parte per fargli
entrare.
Mel era ancora al tavolino che beveva idromele da una tazzina da
caffè, aveva
salutato Astrid con un sorriso da orecchio all’altro.
“Questo posto è peggiorato. Lo sai che
l’Hotel ha anche un servizio di pulizia
sì?” aveva dichiarato Astrid. Fred le aveva
sorriso – aveva un modo freddo di
farlo, “Be, magari tra una settimana posso chiedere al divino
Váli di mandarmi
la sua domestica” aveva scherzato acido.
Astrid gli aveva mollato una ginocchiata sull’inguine,
seguita da un colpo
secco di palmo sul naso, che aveva fatto ruzzolare il proprietario
della stanza
per terra, tra le cartacce.
“Sai cosa odio di più dopo i lupi?”
aveva chiesto retorica lei.
Mel si era alzato per aiutare Fred a tirarsi su.
A Jason sembrava così strano il guerriero, nei due giorni
che era stato
all’Hotel aveva a malapena interagito con gli altri, sebbene
tutti, ogni giorno
si fermassero – almeno una volta per uno – alla sua
porta nel tentare di farlo
uscire. Madina li aveva sempre riportato da mangiare.
Jason si era fatto l’idea di qualcuno di fragile …
forse non aveva torto, anche
se la fragilità di Fred era diversa. Infondo era un uomo che
aveva dedicato la
sua interezza a qualcosa che in qualche modo si era dimostrato falso,
falso
almeno per lui – visto come era finita la sua vita e
non-morte, Jason non si
sentiva così audace da escludere l’esistenza di
qualsiasi cosa, incluso il
Paradiso Cristiano.
“Gli Jotun? Perché mi ricordo che con Gunilla
potevi andarci a braccetto” aveva
sentenziato Fred, tirandosi su, “O gli uomini? Visto che
scappano tutti a gambe
levate” aveva aggiunto, con una punta di cattiveria.
“I cristiani” aveva replicato
lapidaria Astrid, tirando dritto verso il
tavolo.
“Bambini, non litigate. Fred è uscito dalla sua
vita ascetica e Jason ha avuto
un sogno importante” si era intromesso Mel, “O se
volete risolverla lo sapete: faccio
un quadrato con quel tappetto” aveva aggiunto, con un sorriso
rassicurante.
Astrid si era voltata di nuovo verso Fred, “Inoltre, per tua
informazione, un
aitante variago, giusto, oggi mi ha invitato a dividere il giaciglio
con lui”
aveva dichiarato.
Fred aveva sorriso, “Oh, confessami i tuoi peccati,
infedele” aveva ghignato,
avvicinandosi a lei. Nonostante il tono dei due fosse rimasto
inalterato,
cattivo, Jason poteva vedere chiaramente la sinergia tra i due.
Quello doveva essere il loro modo di comunicare – se ben
ricordava, anche la
volta che aveva visto Astrid fuori dalla porta di Fred, lei non aveva
usato
toni gentili.
“Sono ottocento anni che fanno così”
aveva cercato di giustificarli Mel, con un
bel sorriso stampato in faccia.
“No, voglio sapere cosa è successo
perché tu abbia deciso di aprire le porte del
tuo tumulo” aveva replicato Astrid, prendendo un
po’ di idromele dal tavolo,
invece di usare le tazzine di porcellana di Fred, aveva preferito
ricorrere al
suo corno – Jason cominciava a sospettare che quella fosse
l’arma che aveva con
se alla morte, più dell’ascia.
“Ah, sì, giusto, questo ci ricorda. Hai visto
qualcosa?” aveva chiesto Fred.
“No, solo un mio caro amico che andava a trovare il mio
migliore amico” aveva
dichiarato Jason.
Avrebbe potuto rivedere Leo …
“Oh, sì, anche a me capitava continuamente, vedevo
o mio cugino o Gaio
Giulio. In un paio di volte anche visioni decisamente intime
che sarebbe
stato meglio non vedere ma di cui Madina ha giovato parecchio
– poi” aveva
raccontato Mel, senza peli sulla lingua.
Jason si era
seduto attorno al tavolo, abbastanza certo di non voler conoscere i
racconti
piccanti del cugino di Mel, di Gaio Giulio o Madina, particolarmente
l’ultima,
sarebbe stato imbarazzante poi, quando l’avrebbe incontrata.
Astrid lo aveva salvato, “Raccontatemi, che cosa è
successo. Siate veloci, devo
requisire Jason per degli allenamenti, come sapientemente ricordato da
questo
lestofante qui, tra una settimana potrei davvero essere a pulire casa
di un dio
famoso per non lavarsi neanche le mani” aveva dichiarato
Astrid, “Senza
dimenticare che devo già fare la sorvegliante allo Spazio
Chase” aveva
aggiunto.
“Ah, sì, credo di aver letto quella parte
sull’Edda” aveva considerato Jason,
“Ma credevo che Váli
avesse già raggiunto i suoi
propositi[12]”
aveva valutato, l’occhiataccia di Astrid era bastata
perché decidesse,
saggiamente, di non contraddirla oltre.
“Vai, faccia-pulita, racconta a questa bestia il tuo
sogno” l’aveva invitato
poco garbatamente Fred.
Astrid non si era degnata neanche di scomporsi.
“Possiamo aspettare Madina così non
dovrò raccontarlo ancora una volta?” aveva
chiesto Jason.
“Il fatto che non invecchiamo non vuol dire che Elli non
possa prenderci[13]”
aveva
spillato Astrid, “Non so più come dirti che non
capisco quello che dici” aveva
ripetuto Jason.
“Non è più colpa mia. Ti ho fornito il
materiale e tu mi hai messo in un
pasticcio” aveva risposto.
Jason aveva alzato le mani in segno di resa, consapevole di non poter
dire
molto altro, così aveva ripetuto il suo songo per la terza
volta.
L’espressione sul viso di Astrid era passa da boria, poi era
virata per
l’interesse, caduta nella genuina preoccupazione ed in ultimo
in una maschera
di dura, irrigidita a quel termine che le pesava ancora sul cuore.
“Gothri Mathr[14]!”
aveva
esclamato Astrid, alla fine.
“Come
vedi
niente di importante, mamma si è persa il
cinghiale-lampadina del marito,
niente di più disdicevole rispetto a quando lui ha perso il
telecomando della
televisione e lei non ha potuto assistere all’incoronazione
di quell’eretica di
Elizabeth II” aveva liquidato la faccenda Fred.
“Ed invece no!” aveva risposto subito Astrid.
“Non è mai successa una cosa del genere, il nostro
mondo è ciclico, avvengono
sempre le stesse cose ed avvengono in un preciso ordine. Letteralmente
la
nostra vita è una gara continua contro il Ragnarok. Disfare
l’inevitabile”
aveva raccontato la guerriera.
Come la Tela di Persefone, aveva pensato Jason,
anche se non ne era
certo.
Per i Romani, e i greci, le profezie erano ineluttabili, ma non erano
mai
chiare, mai precise, era sempre un mistero, continuo. Quasi mai
l’interpretazione data era corretta.
Le profezie erano assolute e contemporaneamente nulla più
che linee guida.
Jason non sapeva come fossero le profezie per loro, esseri comuni
– se così
potevano essere definiti, ma se qualcosa che aveva capito Jason dalla
profezia
della Veggente presente nell’Edda e dalla presentazione di
Odino la prima sera:
l’universo norreno era stato già tutto previsto,
per filo e per segno.
Senza margine di errore – almeno per chi era citato.
Il Ragnarok stesso era già cominciato, o almeno il processo
che lo avrebbe
avviato, con la morte del dio di nome Baldr, da quel momento in poi,
gli
einherjar stavano disfacendo l’inevitabile, in un continuo
tentativo di
ritardare la fine.
Ineluttabile.
Aveva pensato a Jarnsaxa che era costretta a stare lontana da Thor
così da non
partorire un bambino, che avrebbe avuto tre anni nel Gran finale. Un
altro
piccolo tassello da sfasciare prima che fosse incancellabile.
Mel aveva schioccato le dita davanti alla sua faccia, “Scusa,
amico, ma parevi
aver preso il Bifrost con la mente”
aveva dichiarato con innocenza. “Lo
avevo fatto” aveva ammesso Jason.
“…Quindi, evento, fuori dal programma …
mai successo. Non riguarda il Ragnarok
o direttamente noi, ma è strano. Forse è un nuovo
ciclo, ma io sono in giro da
mille anni e Mel ne compie duemila tra un po’”
aveva rettificato Astrid.
“Ho intenzione di organizzare un’orgia di
combattimenti” aveva stabilito
Thumelicus, “Non per vantarmi ma potrei effettivamente essere
il più vecchio
residente del Valhalla, o giù di lì”
aveva detto estasiato.
Duemila anni.
Mel si svegliava tutti i giorni ed andava a combattere ad Idavol
aspettando la
fine da duemila anni.
Sembrava il pensiero più spaventoso che Jason fosse riuscito
a fare.
Duemila anni.
“Sì, di norma la gente ha il buon senso di
dissolversi prima. Gli esseri umani
non sono fatti per la vita eterna, cioè questo tipo di vita
eterna” aveva
dichiarato Fred.
“Non so perché dite così. Io adoro
stare qui. Certo è stato un po’ triste
vedere quasi tutti i miei amici nel tempo dissolversi, ma da seicento
anni a
questa parte non è capitato frequentemente. Poi ho
voi” aveva dichiarato Mel,
“Anche tu Fred sei qui da ottocento anni” aveva
sottolineato.
“Solo perché non riesco a disciogliermi. Aveva
ragione Fratello Philippe sono
un mulo testardo” aveva ringhiato Fred.
“Per favore, voi, concentrati” era intervenuto
Jason.
disciogliersi … come gli dèi dimenticati, chi
sa che cosa accadeva davvero?
Sì andava nel nulla o … lui sarebbe
potuto tornare ai Campi Elisi?
“Sì,
ha
ragione, Jason. Concentrati. Parleremo dell’Orgia di Mel,
dopo.
Indipendentemente dal fatto che il ciclo sia nuovo o sia un fuori
programma, la
cosa ci riguarda. Tua madre, Fred, vuole uno di noi” aveva
ricordato lei.
Jason aveva guardato Astrid attentamente, lei aveva ricambiato.
Entrambi erano consapevoli di essere papabile indossatori del ruolo di
Skraeling.
Il che, ovviamente, arrivava nel momento meno propizio possibile
– quello,
assolutamente, sembrava molto più in linea alla vita di
Jason di qualsiasi
evento avvenuto negli ultimi due giorni.
Mel aveva bevuto un po’ del suo idromele, “Inoltre,
Astrid, dimmi, se sbaglio …
ma, ecco, Gullinsporti è un portatore di luce, no? E vive ad
Alfheim, il regno
senza notte … non so, ecco, ci pensavo, le cose potrebbero
essere correlate?”
aveva proposto.
Astrid aveva fatto un verso strozzato, somigliate ad un singulto. Jason
aveva
allungato una mano per metterla sulla sua spalla, lei non si era
ritratta come
fosse stata incandescente, segno di una seria preoccupazione.
Però era stato Fred a parlare, con un tono che mischiava il
divertito e
l’isterico: “Oh Saul sulla strada di Damasco,
immagina se davvero qualcuno avesse
appena staccato la spina al regno degli Elfi.”
Tra di loro
era caduto un silenzio teso come la corda di un’arpa.
Pensante; anche la risata
forzata di Fred si era assopita.
“Non è così, vero?” aveva
chiesto Jason, che non sapeva neanche come o dove
fosse il Regno degli Elfi, ma che la questione non pareva possibile.
Nel dirlo aveva guardato Astrid.
Lei aveva ancora l’espressione spaventata di una cerva sul
bordo di una strada,
“Probabilmente non sarà così”
aveva provato, ma l’algida sicurezza che sembrava
sempre permeare Astrid, in quel momento somigliava ad un ghiacciolo in
una
giornata d’estate in California.
“Alfheim esisteva da prima che fosse di Frey ed è
stata di Frey molto a lungo
prima di ricevere il Cinghiale” aveva considerato la ragazza,
giocando con
nervosismo contro una punta delle sue trecce.
“Vero. Come dicevo, la mamma che fa la mamma” aveva
replicato Fred.
L’atmosfera non sia comunque alleggerita, stranamente. Il
pensiero, per quanto
infondato, si era insediato in tutti, in qualche maniera.
Onestamente Jason non aveva idea se la cosa potesse essere possibile.
Il Mondo
degli Elfi funzionava ed esisteva da prima del cinghiale; quindi, non
avrebbe
neanche dovuto essere discusso il problema ma se aveva turbato i suoi
compagni …
“Sì, infatti, preoccupazione inutile”
aveva dichiarato Mel.
Tutti aveva annuito, “Cioè non sarà
mica come il mjolnir senza in quale
il Grande e Potente Thor diventa utile come una carrozza ad un pesce.
Non è
come che gli dèi ed il mondo si impigriscano fino a
dipendere da cose che un
tempo erano loro a malapena appendici vestigiali” aveva
borbottato Fred.
Come quando avevano rubato la folgore a suo padre ed era dovuto andare
Percy,
dodicenne a recuperarla – se l’avevano raccontata
correttamente a Jason – perché
senza quello, il divino Giove era inutile.
L’ultima frase di Fred aveva riportato su di loro, pesante
come il cielo
sostenuto da Atlante, la consapevolezza.
“Penso di star per svenire” aveva considerato Mel,
aveva un viso bianco
lenzuolo e gli occhi spalancati, pieno di timore e pregno di
consapevolezza.
Astrid si era sollevata, di scatto, nervosa; nell’azione
aveva fatto anche
rovesciare la sedia alle sue stanze; Jason era trasalito al colpo
improvviso.
Fred aveva avuto intenzione di dirle qualcosa, ma poi forte rumore si
era espanso
per tutta la stanza, per tutto l’hotel, per essere preciso.
Jason conosceva quel suono, lo aveva sentito a Campo di Giove, di tanto
in
tanto, non era molto Romano.
“È un olifante!” aveva considerato
infatti.
A Nuova Roma avevano sempre elefanti, e per quanto brutto fosse,
capitava che
quando qualcuno di essi si spegnesse – per vecchiaia, a Nuova
Roma tenevano
tantissimo a quegli animali – qualche figlio di Vulcano si
cimentasse nel lavoro
gli avori.
Per lo più statuine dedicati agli dei – forse Kym
avrebbe più apprezzato di una
statuina di ceramica? Decise comunque di accantonare il pensiero
– ed ogni
tanto qualche olifante.
“L’ultima volta che ha suonato è stato
quando Gunilla ha capito chi fosse
la spia” aveva bisbigliato funereo Fred, ricordando forse
qualcosa di
spiacevole.
Jason non aveva idea chi fossero le due persone a cui loro si stavano
riferendo[15].
Il suo pesante, ombroso e grave dell’Olifante aveva
continuato a riempire l’ambiente.
“Sì, ma questo allarme vuol dire che i confini del
Valhalla sono stati violati[16].
Qualcuno che non ha il promesso di essere qui, è
entrato” aveva raccontato Astrid.
“Tecnicamente qualcuno che Odino non si aspettava. Qualche
settimana fa è
entrato Big Boy[17]
ma non è suonato l’Olifante, ma quando
mille-trecento anni fa un’anima da Helheim
ha tento di entrare qui, dovevate sentire che tuoni” aveva
raccontato Mel.
“Ragazzi, è Stellan” aveva dichiarato
Jason.
Doveva essere Stellan, l’elfo giardiniere
di Gerd.
Astrid aveva annuito, “Se l’Olifante sta ancora
suonando vuol dire solo una
cosa” aveva cominciato a dire, “Non lo hanno ancora
trovato”.
[1]
Pluto è
un dio greco (con maggiore culto in Samotracia), dio della ricchezza e
dell’abbondanza, spesso rappresentato con Eirene, la pace. I
romani lo hanno
erroneamente accorpato ad Ade, creando Plutone. Però si
Pluto è un dio greco,
che ha per figlio un romano che ai suoi tempi ha fatto parte
del Campo di Giove e che
gira con un variago. Strano? BIZANTINO.
(Momento meme, questo personaggio è fratello di Hazel,
quanto lo è Nico, ma non è fratello di Nico)
[2]
Cuore
[3]
Padre
[4]
Il padre
di Astrid deve chiamarsi Einar, perché Astrid più
volte ha dichiarato di chiamarsi
Einardottir, inoltre anche Thrud lo chiama Einar, prima di infilare
Jason in
lavatrice.
[5]
Nelle
scorse note avevo parlato di una differenza tra la mia Freydis e quella
di
Riordan, in 9 FROM THE NINES, Freydis appare vecchia, però,
ecco, visto che
abbiamo delle comodissime Mele di Idunn.
[6]
Letteralmente M*nchia in latino, Thumelicus è un germano
molto strano.
[7]
Se avete
letto la saga di Magnus Chase, questa storia la conoscete benissimo e
sapete
dove è la spada. Se no, be, il primo libro si chiama La
Spada dell’Estate ed io
potrei avervi lasciato un indizio/spoiler da qualche parte nei capitoli
precedenti. Fischietta.
[8]
Teoria
piuttosto accreditata (che se non sbaglio è sostenuta da
Snorri stesso) vede
nei Vanir, gli dèi della terra/stagioni/roba-naif il
pantheon originale
norreno, mentre gli Asi (che anche mitologicamente emigrando, seguendo
Odino)
come dei guerrieri venuti assieme ai popoli indoeuropei (Se non
sbaglio: Thor
carissimo, ha la stessa radice indoeuropea di altri due dei molto
fulminosi, il
nostro amico Zeus e l’ormai sempre citato Perun). Non vorrei dire
una castroneria, ma mi
pare che i germani fossero molto più devoti agli Asi che hai
vani, ma insomma
castroneria probabilmente.
[9]
Come
sempre la mitologia Norrena non ha sempre posti fissi. Comunque,
l’unione di
Gerd con Feyr, ho trovato in alcune versioni, viene interpretato come
l’estate
che riscalda i campi, o una cosa simile.
[10]
Strofa
10 della Volupsa. I dvergar sono fantocci di terra. In
realtà su i dvergar è
piuttosto dibattuta la questione, cioè cosa sono e chi li ha
creati veramente
(Bugge interpreta l’azione legata ai Nani – in
questo caso anche la versione di
Jason).
[11]
Allora,
ennesimo riferimento al personaggio sinistro di cui parlava Guinilla.
Di lui
non ne parleremo in questa storia, tranquilli. Solo che a me piace fare
gli
intrecci e contestualizzare le cose.
[12] Váli
ha promesso di non lavarsi le mani
ne pettinarsi fino a che non avesse adempiuto ai suoi propositi
(Vendicare Bald)
per questo nello scorso capitolo mi ero riferito a lui come
“Lo spettinato”.
Cioè, tecnicamente Bald si è
“vendicato” ma, ecco, sì, la persona con
cui si è
vendicato è tipo la punta dell’Iceberg della
questione.
[13]
Elli è
la Dea della Vecchiaia.
[14]
O buon
uomo! (Addirittura, coniugato correttamente in vocativo –
grazie
all’autorevolissima fonte di Wikipedia).
[15]
Guinilla è un personaggio di Magnus Chase (per farla molto
breve, la Loro
Clarisse) e il tipo che ha beccato è un riferimento al
'Famoso figlio di Loki' (nel capitolo su Vàlii
c’è un riferimento,
così come in un'altra nota).
[16]
Questa
cosa non è presente in Magnus Chase e la sto inventando di
sana pianta. Yeah.
[17]
Questo
è un riferimento a 9 FROM THE NINES WORD. BIGBOY
è un personaggio di Magnus
Chase (e che PERSONAGGIO <3 potrebbe, tipo, essere il
mio preferito. Tipo.)
che ovviamente non vive nel Valhalla e che potrebbe guardarlo
solo con il
bincolo.