Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: _Kalika_    21/11/2021    1 recensioni
三つの魂、一つの話
Three souls, one story.
*
**
Izou era sopravvissuto alla prima notte. E anzi, dalla seconda notte in poi si era perfino rilassato abbastanza da addormentarsi. Sembrava che Marco non fosse intenzionato a ucciderli. E se Izou non fosse stato così convinto di trovarsi di fronte a un nemico, avrebbe anche potuto trovarlo piacevole fin da subito.
*
Era guerra. Era scoppiata per davvero, alla fine. Lo aveva appena ritrovato ed era guerra.
*
«Koala, è complicato.»
«Ah certo, è complicato! Te lo dico io cosa è complicato! Hai pensato che fosse in punto di morte e hai voluto esaudire un suo desiderio, non è così? Hai pensato “Che sarà mai, tanto non dovrò più vederlo!” e invece no, è sopravvissuto, e adesso non vuoi neanche pensare di prenderti le tue responsabilità!»
**
*
Samurai! AU
*
*Questa fanfiction partecipa al WeekEnd of Pride 2021 indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images* (cap. 1)
*Questa fanfiction partecipa allo Yaoi&Yuri Weekend 2021, indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images* (cap. 2)
*Questa fanfiction partecipa al Crack&Sfiga Ship Day 2022, indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images* (cap. 3)
Genere: Angst, Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Barba nera, Izou, Koala, Marco
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Banner-Y-Y-Ridimensionato
*Questa fanfiction partecipa allo Yaoi&Yuri Weekend 2021, indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images*
 
 
***Avviso ai lettori: a fine agosto ho modificato il testo del primo capitolo. Non ci sono grandi cambiamenti per quanto riguarda gli avvenimenti, ma ho curato di più le emozioni e le relazioni tra i personaggi, aggiungendo piccole scene e riflessioni. Quindi se l'avete letto prima del 26/08, vi consiglio caldamente di tornare indietro!


*maniche: con maniche, intendo speciali maniche lunghe e larghe degli abiti cinesi/giapponesi che contengono delle tasche al suo interno! Quindi si usavano per trasportare diversi tipi di oggetti.
 



 
Mitsu no tamashii, hitotsu no hanashi

三つの魂、一つの



 
Aveva ripreso la marcia nella gola di Ebisu ma il chiacchiericcio tra i quattro uomini non si era interrotto.
Se il giovane samurai era ancora pensieroso per il finale enigmatico della prima parte della storia, l’uomo con la benda sembrava invece divertito e interessato più che mai. Aspettò giusto che cominciassero a marciare dentro la gola di Ebisu per riprendere a parlare con energia.
«Dunque, ricapitolando! Tu…» si voltò verso il primo veterano che si era interessato alla discussione, scrutandolo con sguardo luminoso «tu sai qualche cosa dal punto di vista di Koala. E tu…» si voltò verso il secondo, facendo strusciare rumorosamente i tacchi sulla terra mentre faceva qualche passo all’indietro «sai qualcosa dal punto di vista di Marco. E tu…» si girò verso il ragazzo al suo fianco, che si trovò un dito puntato sulla fronte «tu non sai niente!»
«Ehi!»
«Io» riprese ignorando la lamentela «ho raccontato fino all’assalto dei Kurozumi nei confronti di Koala, Izou, Puzzle e Vigaro che erano sotto copertura in un campo nemico. Ora tocca a te!» Allungò la mano verso il primo veterano, che seppur divertito dall’improvvisa carica di energia del samurai si sentiva un po’ a disagio.
Ma bastò lo sguardo curioso del ragazzo per smettere di esitare. «Lo farò, ma devo avvisarvi… la storia ci è stata tramandata in maniera un po’ strana.»
«Strana in che senso?»
Alzò le spalle mentre lanciava uno sguardo alle pareti della gola: «L’ordine degli eventi è... particolare. A volte non c’è alcun collegamento tra una scena e la successiva. Be’, un senso ce l’ha, però…» Si fermò, come se avesse detto troppo.
«Mhh…» il ragazzo sembrò riflettere sulla gravità della situazione. «Non potrà essere peggio del vecchio che ha saltato tutto! Come si sono fidati l’uno dell’altro, come si sono innamorati, come si sono dichiarati… Qualcosa di queste la sai, vero?»
«Mah, più o meno…»
«Oh, bando alle ciance!» L’uomo con la benda rise e diede una pacca sulla spalla al primo veterano. «Coerente o no, non ci interessa purché cominci a raccontare! Ho aspettato fin troppo!»
«Va bene. Come vi dicevo, neanche il primo racconto comincia dall’assalto a Izou e Koala…»
 
 
 

«...certo che sono triste. Che domande fai?» Izou restò in silenzio mentre Koala tratteneva un sospiro. Per un attimo sembrò sul punto di aggiungere un altro bastoncino d’incenso al nuovo altare, ma si trattenne. Neanche Koala, dopotutto, era intenzionata a restare là dentro ancora a lungo. La sala degli antenati non le era mai sembrata così asfissiante.
Erano seduti da tanto tempo ma aveva ancora sulla pelle quel tremendo e fulmineo brivido che l’aveva travolta poche ore dopo il suo ritorno a Baltigo. Anche se forse l’agitazione che aveva dentro non era affatto sua.
«Sono triste, ma so anche che sono cose che succedono» Perché la scossa, per lei, era stata davvero velocissima. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata, quella notizia. Ciò che le palpitava davvero dentro al cuore erano quei passi affrettati che aveva sentito fuori dal tempio, la veemenza con cui aveva spalancato la porta, la preoccupazione con cui le aveva chiesto, e continuava a chiederle, se stesse bene. «Tyger… papà… faceva un lavoro pericoloso. Come noi.»
Inclinò appena la testa e non si stupì di sentire lo sguardo di Izou su di sé. E Izou non l’avrebbe mai giudicata ma non poteva certo fermare i suoi pensieri e Koala lo conosceva troppo bene per non sapere che, per lui, quell’affermazione era un qualcosa di inconcepibile.
Era inconcepibile quell’affermazione come lo era l’idea di perdere un membro della sua famiglia. Forse perché si era praticamente appena formata, la sua famiglia. Quanto tempo era passato dalla fondazione del clan Kozuki, quattro, cinque anni? Erano nati quasi per miracolo perché ci avevano creduto, si erano cercati e trovati e creati da soli, e avevano lottato con le unghie e con i denti per la vita e per il clan. Come potevano anche solo pensare di perdere qualcuno?
Nonostante ciò Koala non evitò di girare la testa, guardarlo negli occhi: «È normale.»
E le venne voglia di carezzargli la testa quando lo vide arricciare le labbra, gli occhi un po’ lucidi. Tyger, in fondo, aveva cresciuto anche lui. «Non è normale.»
Voleva rispondergli ma non ne aveva le forze. Si alzò in piedi, studiando un’ultima volta l’effigie tanto familiare. Marco la seguì a ruota e solo sentendolo muoversi Koala si ricordò della sua presenza. Si girò verso di lui, per ringraziarlo almeno con lo sguardo del sostegno, e lo vide che fissava Izou quasi corrucciato. Izou che aveva appena finito di alzarsi, e subito si rivolse a lui e riprese la discussione. Non parlò, in realtà, né gli chiese niente, ma non serviva per capire che voleva sapere la sua opinione.
Marco si accigliò ancora di più, aprendo cauto la bocca. «Le missioni stanno diventando più pericolose. Certe volte, è solo questione di tempo.» E mentre finiva la frase già era chiaro che non stava più rispondendo a Izou, quanto più a sé stesso. Come se stesse ripassando una nozione risaputa, un dato di fatto su cui aveva potuto riflettere a lungo. Tanto che Izou ammutolì e camminò a testa bassa fino alla porta del tempio.
Uscirono che il sole era già calato e le strade illuminate dalle lanterne. «Sono stanca. Vado a dormire» annunciò semplicemente Koala regalando ai ragazzi un sorriso un po’ tirato. Poi si voltò e scomparve tra le ombre.
Quando sentì Marco muoversi, Izou lo seguì senza badare alla direzione. Avevano camminato fianco a fianco fin dal ritorno a Baltigo di qualche ora prima. Anche fosse stato sul punto di crollare dalla stanchezza, non riusciva a contemplare l’idea di staccarsi da lui per… per fare cosa, poi? Era tutto intontito. Quindi continuò a seguirlo. La strada si fece più polverosa, sui margini aumentarono le piante a mano a mano che passeggiavano lungo il limitare di Baltigo.
«Lo conoscevi bene?» La voce di Marco lo fece risvegliare. Aveva ancora in mente lo sguardo e le parole di poco prima, così simili a quelle di Koala con cui era tanto in disaccordo, e un brivido gli correva su tutta la schiena. Eppure non riusciva a immaginare di poter litigare con lui, o andarsene, camminare o andare a dormire senza assicurarsi che gli restasse accanto.
«Tyger era un compagno d’armi di papà, un suo amico. Quando è nato il nostro clan, passava spesso a trovarci. Era tipo… tipo uno zio. Aveva…» Si bloccò con un sorriso, ma sentì gli occhi che gli si riempivano di lacrime.
«Scusa» subito riempì il silenzio, Marco, non appena lo vide così, e gli posò una mano sul braccio.
«No, no» si passò veloce una mano sulla faccia, tirando su col naso e sbuffando una risata «È che…» Si era preoccupato solo per Koala, fino a quel momento. Le lacrime che stava per versare prima, nel tempio, erano più di dispiacere per lei che di tristezza vera e propria. Era stato addolorato per lei, perché Tyger era suo padre, ma era bastato poco per… «È che m-mi sono accorto che... manca anche a me» E abbassò lo sguardo, ripulendosi il viso da una lacrima.
Marco non rispose, ma Izou poteva immaginare che espressione avesse. Tranquilla, un po’ adombrata, ma forse anche appena sorridente. Fece qualche passo qua e là, guardandosi attorno, e quando notò un muretto ci si sedette con un altro sbuffo. Marco gli si mise accanto, seduto anche lui, facendo sfiorare le spalle.
E rimasero in silenzio, perché difficilmente Marco avrebbe parlato se non fosse stato Izou a cominciare. Rimasero in silenzio finché non divenne troppo opprimente, almeno quanto la frequenza con cui tirava su col naso e si asciugava il viso. «Non stare lì in silenzio» borbottò allora con una voce più tremula di quanto si aspettasse.
Non staccò gli occhi lucidi dalle punte delle sue scarpe mentre lo diceva, e sentì Marco al suo fianco muoversi un po’. Lo sentì prendere fiato ma poi non parlò. Allora si voltò a guardarlo e lo vide aprire appena le labbra, guardando il vuoto. Poi le richiuse. Infine addolcì lo sguardo e rilassò le spalle, ammettendo con semplicità: «Non lo capisco. Cosa hai detto prima.»
Non poteva dire di non aspettarselo. Si asciugò un’altra lacrima, inclinando appena la testa. «Lo so che capita spesso» chiarì piano piano. «Che è un lavoro pericoloso, che spesso neanche si arriva all’età di Tyger… però è comunque troppo presto.»
Sentiva, sapeva che stava riflettendo su quelle parole. E che cercava di trattenere un’espressione corrucciata – e forse l’aveva trattenuta davvero, ma a Izou non serviva per sapere a cosa stesse pensando. «Non eri… pronto?» Decise infine di chiedere con un tono di gentile conferma che nascondeva una punta di incredulità e forse un pizzico ancor più leggero di compassione. Lo vide ciondolare i piedi a destra e a sinistra finché non li scontrò delicato contro i suoi.
E Marco aveva afferrato esattamente il punto della questione, così Izou annuì, si asciugò di nuovo il viso e si preparò a spiegare: «Non ero pronto perché non volevo esserlo. Né in questo caso, né mai.» E sapeva che Marco stava per chiedergli perché, che motivo avesse una scelta del genere, e un ricordo gli tornò in mente quasi a rispondergli. «Ty… Tyger ci aveva promesso che al ritorno ci avrebbe fatto un altro tatuaggio» Sentì la gola che si chiudeva per le lacrime ma in qualche modo si stava distraendo, in qualche modo poteva continuare a parlare. «Sai quel sole che ha Koala sulla schiena? Gliel’ha fatto Tyger. A me la luna. Però volevamo farne un altro, tutti insieme. Capisci che…» Gli scappò un singhiozzo dalla gola, e stava per girarsi a guardarlo ma seppe all’istante che non sarebbe riuscito a finire il discorso e allora strinse gli occhi e il cuore «Capisci che, anche per una cosa piccola e stupida come questa, era troppo presto?»
Voleva guardarlo. Qualcosa gli stava urlando di girarsi e guardarlo e neanche sapeva il perché. Ma sapeva che se l’avesse fatto qualcosa si sarebbe spezzato e allora continuò a chiudersi, portò le mani a torturarsi l’un l’altra. E sarebbe rimasto così se non avesse sentito la sua voce pacata alla ricerca di conferme, pacata sì ma incredula. «È sempre troppo presto…?» Non era una domanda né un’affermazione, forse era entrambe. Ma si perse tra le lacrime quando nel campo visivo di Izou apparì la mano di Marco e quella soltanto, che scioglieva l’intreccio delle sue dita e le confortava piano piano, gentilissimo.
Lo sentiva vicinissimo e gli venne quasi da ridere mentre annuiva, e sputava due ultime parole tra i denti stretti prima che la gola si bloccasse per sempre: «Stupido… vero…?»
Un’altra grossa lacrima gli rotolò sulla guancia e andò a strofinarla via con una mano, l’altra abbandonata alla presa di Marco come a un faro, così gentile e naturale che lo fece tremare tutta un’altra volta mentre sorrideva triste e inclinava la testa verso di lui: «Sì, un po’.»
E sbuffarono insieme una risata amara, e un sospiro. «Però anche molto bello. Con il tuo dolore stai… onorando la sua vita. È coraggioso. Vorrei…» Si interruppe, neanche troppo bruscamente, in un affievolirsi di voce che con un diniego di testa decideva che era troppo presto. Mosse un po’ le gambe, sbattendo i talloni sul muretto, strofinando il pollice della sua mano contro il dorso di quella di Izou.
E rimase un po’ così, a riflettere, e Izou non lo sentì sussultare neanche quando poggiò la fronte sulla sua spalla. E piano piano, con solo i loro respiri a rompere l’oscurità, sentiva che il cuore iniziava a guarire.

 
 

Si svegliò di soprassalto, come non le capitava da tempo. Le bastò un secondo per sentire l’odore di pericolo e mettersi in allerta, e un altro affinché il corpo le ricordasse la scomodità della terra su cui era sdraiata, il dolore lancinante alla gamba, la puzza di sangue che la copriva. Rimase stesa a terra, la bocca spalancata a prendere fiato, stordita dalle troppe informazioni, e si concentrò sullo sbattere gli occhi. Aveva la vista appannata. Ma anche senza mettere a fuoco poteva vedere che era buio, molto buio. Con lo sguardo puntato verso il cielo, le era difficile distinguere le chiome degli alberi dalle nuvole. Ma le nuvole dovevano esserci sicuramente, perché la luna non si vedeva da nessuna parte.
Era stata svegliata da un solletico sul volto e qualche squittio insistente, subito affievolito non appena aveva cercato di mettersi seduta. Cercato, appunto, perché qualcosa la costringeva a terra. Andò a tentoni per capire cosa la bloccasse. Era una persona: gli sfiorò la testa, sentendo dei capelli lunghi e fini, e tastando il colletto riconobbe il tessuto delle divise Kurozumi. Lo conosceva troppo bene per avere bisogno di indagare oltre. Lo prese per le spalle e lo spostò fino a liberarsi lo spazio necessario a mettersi seduta, posando la sua testa sulla gamba che non urlava di dolore. Prese fiato, sentendosi ancora stordita, una mano a reggersi la fronte.
Non riusciva a ricordare bene come fosse finita per terra. Si guardò intorno, e vide i conigli che l’avevano svegliata saltellare lungo il sentiero, il musetto tenuto per terra lungo le tracce delle ruote di un carro.
Il carro.
Era finita sotto a uno dei carri, giusto? Adesso, però, ne restava solo la scia.
Chissà da quanto tempo li avevano lasciati lì. A giudicare da quanto era alta la luna, era rimasta incosciente per diverse ore. I ricordi stavano tornando a poco a poco ma sentiva che erano ancora troppo confusi, e preferì concentrarsi sul peso sulle sue gambe. «Ehi» Picchiettò sulla sua testa per svegliarlo, cercando di sedersi più dritta e avvicinandosi per cercare di distinguere meglio la sua figura. Fu costretta a ritirarsi per l’odore intenso di sangue, una mano sul naso.
«Ehi, Izou» con voce ovattata lo scosse più decisa mentre la mente già tornava alla questione principale. Erano stati scoperti. Come l’avevano saputo? Chi li aveva traditi? Non c’erano molte persone a conoscenza della missione esclusi i capi clan dell’Alleanza. Qualche funzionario dei clan coinvolti, parenti stretti… Possibile che fosse trapelata l’informazione? O addirittura che fossero nati dei sospetti tra i Kurozumi? Le veniva difficile anche solo considerarlo. Erano sempre stati attenti…
Eppure erano stati scoperti e questo era un dato di fatto, altrimenti non sarebbero stati abbandonati nel bosco in piena notte, dopo quell’aggressione che di casuale aveva poco. Anche se quasi le veniva da ridere al pensiero. Possibile che non avessero neanche controllato loro il respiro, una volta sconfitti? Quanto erano incompetenti quei Kurozumi per averli lasciati in vita, e anzi non solo in vita ma con delle informazioni preziosissime sul loro prossimo attacco?
Si stava perdendo qualcosa. Ma gli stimoli erano troppi e il suo cervello si bloccò all’accorgersi che i conigli avevano smesso di saltare. Strinse gli occhi e li vide radunati in uno stesso punto, il naso per terra e le code all’insù: quando uno di loro si spostò, Koala riuscì a notare delle piccole sagome scure. Sembravano provviste cadute dai carri. Che i Kurozumi se ne fossero andati tanto di fretta da non preoccuparsi di riprendersi la merce caduta? Beh, non che avessero esattamente penuria di cibo…
Un brivido la scosse all’improvviso. Aveva troppe cose per la testa. Le contò: curare sé stessa, curare Izou, cercare Puzzle e Vigaro e se necessario curare anche loro, andare a Onigashima. Andare a Onigashima per avvertirli, perché anche se erano stanchi e malridotti erano gli unici a sapere che nel giro di una settimana i Kurozumi avrebbero attaccato. Ma prima di tutto doveva valutare le condizioni del gruppo, mangiare, se necessario dividersi.
E già non le piaceva il fatto che non si fosse ancora svegliato. Pian piano ricordava gli avvenimenti delle ultime ore e sapeva benissimo che Izou aveva subito ben più colpi di lei. Forse aveva bisogno di cure urgenti? Non era affatto sicura di essere in grado di trasportarlo fino ad un luogo sicuro. A malapena sapeva se era in grado di camminare lei stessa.
«Izou, svegliati» Con un tremito nella voce lo scosse di nuovo. Non rispose, e allora con una foga che non le apparteneva fece scivolare la mano lungo la schiena alla ricerca di neanche lei sapeva cosa. Alla fine il respiro si fermò insieme alla sua mano.
Uno strappo sull’abito.
Ecco la ferita! Cercando di non muoverlo, Koala si chinò per cercare di capire la gravità della lesione. Sarebbe stato in grado di muoversi e raggiungere Onigashima? O meglio, raggiungerlo in tempo, e senza danni permanenti? Perché non aveva dubbi che, non appena svegliato, sarebbe partito alla volta di Marco a prescindere dalle sue condizioni. Come Koala, d’altronde.
Il buio non le faceva vedere quasi nulla, ma sentì che aveva recuperato abbastanza energie. Frugò confusamente nelle maniche* e ne tirò fuori bende, erbe e pomate che posò alla rinfusa attorno a sé fino a che non pescò ciò che cercava: strinse il rettangolo di carta di riso fittamente scritto tra le dita, si concentrò, e al suo comando una fiammella fece capolino dall’amuleto.
Finalmente esaminò la ferita: era profonda, dai bordi slabbrati, anche se non sanguinava più. Ci versò sopra del disinfettante prima di pulire la parte raggrumata dalle formiche che ci erano rimaste intrappolate dentro. Poi si fermò a riflettere. Le erano capitate tante volte situazioni del genere, ma l’odore del sangue era tanto forte da stordirla. Sembrava che provenisse non solo dalla ferita, ma da ogni angolo del bosco. Fissò intensamente lo squarcio, lo bendò rapidamente e si fermò.
«Devo girarti» decise infine parlando direttamente all’amico, come a scusarsi del dolore che gli avrebbe causato. Afferrò saldamente le sue spalle e lo fece sdraiare sulla schiena, gli occhi strizzati per lo sforzo.
La gamba le mandò una fitta tremenda proprio mentre si muoveva e si girò a controllarla, i denti stretti per il dolore, quasi sul punto di rinunciare alla manovra. Era incrostata di sangue e sporca di terra ma non sembrava profonda, e dopo Izou sarebbe stata la prima cosa a cui si sarebbe dedicata. Anche perché altrimenti di andare a Onigashima non se ne parlava.
Finalmente Izou si stese sulla schiena e Koala ne approfittò per versarsi del disinfettante sulla gamba. Il bruciore intenso le sembrò solletico rispetto al dolore che provava fino all’istante prima. Si girò verso Izou.
Rimase ferma per un po’, non capendo cosa stesse guardando. Gli sembrò di avere davanti una semplice pozza di sangue, o un cumulo di scarti macellati. Era un’indistinta macchia di nero e rosso. La puzza di sangue e mucosa proruppe a forza nelle narici e non saltò via solo perché troppo agghiacciata per farlo.
Cosa stava guardando? Erano di Izou i vestiti ridotti a brandelli, gli squarci sul petto, gli occhi spalancati e vuoti? Era sua quella gola martoriata, se gola si poteva ancora chiamare quell’ammasso di tendini e pelle esposta al freddo assassino della notte?
Era lui. Era Izou, era innegabilmente Izou e non rispondeva, non si muoveva, non respirava.
E Koala rabbrividì. E stava ancora fissando quell’orrida scena che il vento sembrò urlarle contro, e faceva freddo, e caldo, e poi ancora freddo che sembrava le stesse congelando le ossa. E voleva fuggire da lì, e si trascinò lontano da Izou, quasi calciando quel corpo inerme che non era, non poteva!, essere  morto, e un passo, un altro e tutta la gamba urlava al posto suo, e la terra le riempiva la faccia e le lacrime.
Morto! Izou!
Era difficile respirare. Rimase sdraiata con il mento per terra per tantissimo tempo, sentendo soltanto la sua gola che si affannava alla ricerca di aria con sibili e singhiozzi orrendi a sentirsi.
Sentì altre lacrime riempirle gli occhi e le ricacciò indietro con forza, scuotendo la testa e prendendosela tra le braccia come se stesse per scoppiare. Avrebbe voluto agitarsi, sbattere i piedi come una bambina, ma tutto il corpo le faceva ancora malissimo e non osava spostarsi di un centimetro. Soltanto un grido disumano le ferì la gola, più e più volte, come un animale ferito al cuore.
A un certo punto, probabilmente, perse i sensi, perché quando riaprì gli occhi era terribilmente assonnata. Ma quando le tornarono di nuovo in mente le sensazioni e il dolore di poco prima, capì che non poteva più permettersi di starsene in quelle condizioni.
L’aveva già fatto. L’aveva fatto tante, tantissime volte. Scoprire che un alleato era rimasto ucciso in guerra e semplicemente andare avanti. Riconoscere i suoi sforzi, il suo lavoro, ringraziare la sua anima, e poi andare avanti. Mettere da parte il dolore fino a che non avesse avuto tempo per piangere. L’aveva fatto anche con Tyger. Poteva farlo con…
Allora respirò, prese grossi respiri fino a che qualcosa di simile alla calma le tornò in corpo. Si alzò sulla gamba buona, recuperò un bastone. Poi zoppicando superò Izou, il labbro che le tremava, e si accostò alle scie delle ruote dei carri. Un coniglietto le zampettò accanto mentre esaminava la zona, senza fretta, e rinveniva le sagome di altri due uomini a qualche metro di distanza. Si inginocchiò accanto a Puzzle, steso supino, e fece ciò che per Izou aveva ritenuto superfluo. Guardò il torace alla ricerca di movimento, accostò l’orecchio al suo volto per sentire il respiro, gli prese il polso. E constatò che Puzzle, così come Izou, non respirava, non aveva battito, e cominciava a presentare i primi segni di rigor mortis.
Si alzò con una freddezza tanto rigorosa da non considerarla sua e ripeté le stesse azioni con il corpo di Vigaro pochi passi più avanti.
Allora qualcosa vacillò.
Era sola. Era completamente sola nel bosco, con i cadaveri di tre suoi alleati tra cui il suo più caro amico, suo fratello e confidente.
E le bastò lanciare un altro sguardo a quel corpo martoriato per sapere che qualcosa dentro di lei stava per spezzarsi. E non doveva, non poteva permetterlo. Non poteva! Doveva restare calma, calma, fare il punto della situazione come l’avrebbe fatto insieme a loro, decidere le priorità! E la priorità non era lasciarsi prendere dall’emozione.
Il loro era un lavoro pericoloso. Prima o poi sarebbe successo comunque. Se lo ripeté all’infinito mettendo a tacere qualsiasi altra cosa, qualsiasi altro pensiero – perché non era giusto, non poteva essere giusto che succedesse così presto! – e cercò un altro bastone, e si mosse come priva di anima, scavando, scavando, prima una, poi due, poi tre buche e non sapeva quanto tempo fosse passato ma era esausta e piena di sudore e dolore e fame e lacrime.
Ed era passata tutta la notte e il sole cominciava a sorgere quando due tumuli erano già stati coperti, e mancava Izou, e allora si accorse che si era dimenticata di medicarsi la gamba e non riuscì neanche a chiedersi come avesse potuto dimenticarlo perché sapeva che il disinfettante e gli unguenti e le garze li aveva lasciati tutti lì, accanto a lui, e lei semplicemente non l’aveva guardato per tutta la notte e il solo pensiero di avvicinarsi le faceva bloccare tutto il corpo.
Ma non c’era tempo, non era il momento delle emozioni, e quando non ebbe più alternative si avvicinò e lo trascinò nella terra, e con lui le parve di buttare un pezzetto della sua anima. Avrebbe voluto guardarlo in volto per cercare qualcosa di familiare, un sorriso o un’espressione, e invece non riusciva più a riconoscerlo. E si faceva ribrezzo perché non poteva piangere neanche per questo, non c’era tempo per farlo, e invece Izou da lei meritava tutto il dolore del mondo.
Quindi lo coprì, pregò, in fretta, con una sola lacrima, si slegò i capelli e gli regalò quel nastro che le aveva sempre invidiato che era una cosa stupidissima e senza senso, ma le sembrava proprio ingiusto continuare a portarlo con sé. Poi si buttò a terra accanto ai medicinali e si disinfettò la gamba, la pulì dalla terra e dal sangue, la steccò perché anche se l’emorragia era finita da un pezzo continuava a farle un male atroce e il motivo doveva essere una frattura.
Quando si alzò, scoprì che decidere cosa fare portava con sé un silenzio insopportabile. Onigashima. «Ho tempo fino alla luna piena» parlò a sé stessa, al bosco, al sole che stava sorgendo. La ascoltò, in realtà, soltanto un coniglio che non l’aveva mai lasciata. «quindi, otto – no, sette giorni. Sette giorni a partire da ora.» Il punto della situazione. Doveva fare il punto della situazione, dimenticare tutto e concentrarsi solo su quello. «Anzi, tra sette giorni ci sarà l’assalto quindi devo arrivare prima.»
Alzò la mano libera dal bastone verso il sole che faceva capolino all’orizzonte, timido tra le fronde degli alberi. «Il sole sorge a est» allungò il braccio con il bastone nella direzione opposta «e Onigashima è a ovest, circa. Forse sud ovest. Non lo so, non ci sono mai stata. Cosa conosco di questa zona?»
E si fermò perché le sembrò di non sapere niente, niente che le fosse utile. Izou, al contrario, sì che conosceva la zona. Se l’era studiata più volte, aveva cercato in continuazione i collegamenti con Onigashima. Lui sì che avrebbe saputo come arrivarci!
Quello con cui si colpì il viso non fu uno schiaffo forte. Non quanto avrebbe voluto, comunque, ma abbastanza per riportarla alla realtà. Perché la zona l’aveva studiata anche lei. Perché c’erano altre priorità e perché se proprio non era riuscita a salvare la sua vita, allora ne avrebbe salvate altre e non si sarebbe data pace fino a che non sarebbe arrivata a quel maledetto accampamento. E come prima cosa avrebbe tirato Marco fuori di lì, o Izou non gliel’avrebbe mai perdonato.
«Onigashima è a sud ovest» Ricominciò sicura, concentrandosi per portare alla memoria la mappa del territorio. «Non più di tre giorni di viaggio in condizioni normali.» Si guardò la gamba, ben sapendo di fare niente più che un’azzardata scommessa «In queste condizioni, quattro o cinque giorni muovendomi direttamente verso sud ovest. Se avessi provviste» Aggiunse poi all’equazione. Lanciò uno sguardo al cibo che aveva radunato in un unico punto.
«Cibo, ne ho un per un paio di giorni a stento. Acqua zero.» E mentre lo diceva, quasi a rispondere alla suggestione, sentì la gola secca. Valutò di smettere di parlare ad alta voce, ma capì subito che non ci sarebbe riuscita senza impazzire.
«A sud…» e poiché aveva lo sguardo rivolto al nord, fece perno sul piede buono e ruotò fino a scrutare la direzione giusta, come se il nuovo quadro di arbusti davanti a lei potesse suggerirle qualcosa. «A sud c’è il fiume Jaya. Scende, scende, scende a sud… poi va… dove va? Non è troppo a sud?» Jaya proseguiva più a sud di Onigashima prima di confluire a ovest e avvicinarsi all’accampamento, eppure le sembrava il percorso migliore. Perché?
Sapeva di sapere il motivo. E sapeva anche chi gliel’aveva detto, ma l’ultima cosa che voleva fare era ricordarlo. Eppure doveva capire, e lasciò che la mente vagasse alla spiegazione preoccupata ma speranzosa di qualche mese prima, perché Onigashima era al confine ma era difficile entrare, perché si poteva passare solo da… «A sud c’è l’entrata!» Ecco perché!
«Onigashima è a sud ovest di qui, ma è una valle e l’entrata è a sud.» Qualcosa trillò nel suo cervello ma sapeva di non avere le energie per indagare. Sapeva solo che Jaya andava a sud e poi a ovest, e che seguendolo prima o poi sarebbe finita sulla strada che portava a Onigashima.
Poteva farlo.
E ripetendo il piano più e più volte, perché non sapeva proprio come altro riempire il silenzio, raccolse le provviste in un fagotto. Poi alzò la testa, lanciò uno sguardo alle tre tombe e cominciò a marciare verso sud.
 
 


Il samurai rimase in silenzio dopo aver raccontato quel frammento. Sembrava indeciso se continuare, come lo era stato all’inizio della storia. Il ragazzo gli saltellò dietro impaziente, frenato giusto dalla tristezza di sapere che Izou era morto per davvero. «Non dirmi che adesso c’è un altro passaggio senza senso.»
Come colto in flagrante, incassò la testa tra le spalle: «Il passaggio c’è, ma è brevissimo. Il prossimo racconto di solito viene tramandato come un sogno di Koala, anche se…» sbuffò tra sé e sé sotto lo sguardo degli ascoltatori «Be’, che ve lo dico a fare. Tanto adesso lo sentite.»
«Non viene saltato tutto il viaggio di Koala, vero?» Incrociando le braccia, il secondo veterano lo squadrò scettico. Eppure si capiva che molte cose quadravano con la sua versione.
«No, il viaggio c’è. Il sogno avviene dopo la prima giornata di cammino, quando ancora non ha raggiunto il fiume.»
L’uomo con la benda prese la parola, il sogghigno onnipresente. «E allora cosa aspetti? Racconta, racconta!»
 
 


«Devono essere queste le rovine di cui parlava.» I passi dei tre ragazzi rimbombarono appena quando entrarono nel tempio ormai ridotto a un cumulo di mura sporche. Accesero una fiammella e percorsero la breve navata tra le tombe impolverate fino a trovarsi sotto un cono di luce. Parte del tetto era marcito, lasciando un ampio buco attraverso cui il sole illuminava direttamente la parete opposta alla porta e rivelava sui muri disegni incrostati e quelli che un tempo, quando non erano rotti, dovevano essere stati bellissimi mosaici.
Izou schioccò la lingua e il suono rimbombò più volte. «Carino»
Koala lo vide accostarsi all’angolo più vicino all’entrata e buttare per terra i rami che aveva raccolto durante il viaggio di andata, cominciando ad allestire un falò. Il sindaco del villaggio aveva detto che la creatura aveva ritmi molto irregolari, quindi era meglio prepararsi fin da subito a passare lì più di una giornata.
Marco si avvicinò a dargli una mano e Koala neanche si stupì di vedere Izou voltarsi verso di lui con un sorriso stupidissimo sulle labbra. Quasi non pareva vero a lei che Marco fosse lì con loro come ai vecchi tempi, figuriamoci Izou. Lo sentì borbottare allegro. «Sarà bello passare qualche giorno fuori, lontano dalla guerra.»
Poi si sedette accanto al fuoco e Marco lo imitò. Da come aveva mosso le spalle e abbassato la testa, capì che aveva detto qualcosa. La curiosità mosse le sue gambe mentre Izou gli rispondeva tirandogli una manica.
«Non dirlo neanche per scherzo! Non ha proprio alcuna importanza!»
Si avvicinò, restando in piedi, mentre Izou alzava lo sguardo, distratto dal rumore dei suoi passi, e la guardava a occhi spalancati: «Koala, hai sentito? Diglielo anche tu!»
Fece appena in tempo ad aprire la bocca per dirgli che no, non aveva affatto sentito, che l’attenzione di Izou si era di nuovo spostata e già blaterava: «Inoltre, questa non è una missione da sottovalutare. Neanche un drappello di dieci soldati è riuscito a ucciderlo. Non è affatto noiosa né banale!»
Ah, ecco il problema. Dal momento che le uniche missioni a più clan a cui partecipavano gli Shirohige erano tutto ciò che non aveva strettamente a che fare con la guerra, Marco temeva che preferissero spendere il loro tempo dove la loro presenza era più utile.
Vide distrattamente Marco alzare le spalle con un’espressione non convinta, fissando Izou in volto: «Sarà, ma spero che in futuro potremo fare qualcosa di più importante.»
Riuscì quasi a sentirle, Koala, le guance di Izou che si gonfiavano di indignazione mentre si avvicinava un altro po’ a Marco. «Ma questa è importante, Marco! Quando ci ricapita di uccidere un drago?!»
«Non è un drago»
«È quasi un drago e non è questo il punto! Qualsiasi missione è importante se posso farla con te!» Eccola, la lingua senza freni che ormai conoscevano fin troppo bene. Quelle parole non filtrate che potevano ferire, ridere o emozionare senza distinzione o preavviso alcuno, e di cui spesso neanche si rendeva conto. Quelle parole che probabilmente accanto a Marco ancora frenava un po’, o che avrebbe frenato se ci fosse stato ancora abituato.
E non rimase a guardarlo balbettare, né guardò Marco che mostrava per una volta una punta di sorpresa e poi si avvicinava, forse per parlare, non lo sapeva, sapeva solo che la cosa migliore da fare era uscire dal tempio e lasciarli soli.
Con la mano che seguiva il profilo del tempio, fece tutto il possibile per non scoppiare a ridere per la nuova uscita di Izou. Oh, dai! “Qualsiasi missione è importante se posso farla con te”? Non aveva mai sentito qualcosa di così sdolcinato e ridicolo uscire dalla sua bocca!
E la cosa divertente era che Marco si sarebbe fatto rapire anche da questa, come si era fatto rapire da tutte quelle frasi e quei sorrisi che a volte Izou neanche sapeva di regalargli.
Era stato bello e divertente vedere i loro sentimenti evolversi fino a dove erano adesso. Che l’iniziale antipatia di Izou per Marco sarebbe scomparsa, l'aveva saputo fin da subito: ma chi l’avrebbe mai detto che avrebbe trovato in quello sguardo flemmatico non solo un amico, ma addirittura una ragione di vita?
E anzi che aveva provato a negarlo, eccome se ci aveva provato. Con sé stesso e con Koala. Ma alla fine con lei non c’era neanche mai stata una confessione ufficiale, un “mi piace Marco”, perché Koala era Koala e probabilmente l’aveva capito anche prima che lo facesse Izou. E da allora era stata là, a ridere del suo imbarazzo, appoggiarlo nelle sue passioni e consolarlo quando entrava nella sua stanza come se gli mancasse un pezzo di anima, perché Marco era via da giorni e settimane e mesi e chissà quando gli Shirohige gliel’avrebbero riportato.
E quando si erano ritrovati, era scoppiata la guerra. E adesso si trovavano là, uniti proprio dalla guerra che portava così tanto trambusto che nessuno avrebbe badato a una missione a più clan per sconfiggere un drago che tanto drago non era ma restava sempre parecchio insidioso. E se avevano solo quel poco tempo a disposizione, allora Koala voleva che lo sfruttassero appieno, se non per chiarirsi almeno per parlare, o stare in silenzio, sfiorarsi e sorridere come facevano da anni e come meritavano di continuare a fare.
Aveva già fatto un intero giro delle rovine e intendeva farne un altro, e un altro ancora fino a che fosse servito, ma un tremore scosse l’aria e quando alzò la testa, Koala si trovò a chiedersi cosa avessero fatto quei due nelle vite passate per essere tanto sfortunati. Perché il mostro stava arrivando, e l’attacco non si poteva più rimandare.
 
 


Fu un risveglio meno traumatico di quanto avesse pronosticato la sera prima. Qualcosa gli toccava ripetutamente il viso, umido e caldo, e quando aprì gli occhi si trovò di nuovo il muso di un coniglio ad annusarla. Cominciava a provare simpatia per quelle bestioline.
Non appena provò a muoversi, il freddo le congelò le membra. Le ceneri del fuoco accanto a cui si era addormentata si erano raffreddate da chissà quante ore. Poi subentrò il dolore alla gamba che in un istante le fece ricordare tutto ciò che aveva fatto e che doveva fare. Era cominciato il terzo giorno di marcia, e nel giro di poche ore avrebbe trovato il fiume. Se aveva fatto bene i calcoli. Altrimenti, poteva dire addio a tutto il piano. Come aveva fatto le mattine precedenti si legò una striscia di vestito attorno al polpaccio sano, disinfettò la ferita che a eccezione del colorito sembrava iniziare a richiudersi e riassestò la stecca sulla gamba. Gonfiore e rossore si erano ormai diffusi fin sopra il ginocchio ma non poteva far altro che cospargere tutto di unguento.
Si alzò in piedi sul bastone, anzi sui bastoni da quando le era diventato impossibile anche solo poggiare il piede sinistro, e riprese la strada verso sud. Cibo, non ne aveva più: si accontentò della frutta trovata lungo il cammino, a malapena preoccupandosi di spolverarla sui vestiti.
Più camminava, più le veniva da ridere pensando a tutte le regole di sopravvivenza che stava infrangendo: non si era preoccupata di trovare un rifugio, né si era permessa di perdere tempo per rifornirsi, magari cacciare qualche animale più sostanzioso di un paio di lamponi, meno che mai aveva seguito la regola di stare fermi in uno stesso luogo, segnalare la propria posizione, attendere i soccorsi e, kami, non sforzare quella maledetta gamba.
Ma sapeva anche di non aver avuto alternative perché comunque nessuno sarebbe mai venuto a salvarla, non in territorio nemico e senza neanche sapere della sua scomparsa. Se proprio doveva morire, tanto valeva farlo camminando nella direzione giusta.
Così continuava a zoppicare verso sud, orientandosi con il sole e parlando a sé stessa e a quel coniglietto che continuava a seguirla da chissà quanto. Per un momento valutò di cucinarlo, ma probabilmente non avrebbe neanche avuto le forze di catturarlo.
Alla ricerca di pensieri con cui distrarsi, si mise a riflettere su quei sogni che continuava a fare fin da quando si era svegliata nella foresta. Non li ricordava bene, ma abbastanza per sapere che non erano affatto sogni: erano ricordi di tanti anni prima, ricordi che neanche sapeva di avere. C’era qualcosa di strano in ciò che vedeva e sentiva, ma ogni volta che cercava di capire cosa si ritrovava in un vicolo cieco.
Allora sbuffava, scrollava le spalle e continuava ad avanzare.
Dopo un paio d’ore di cammino si sedette alla base di un tronco per riposare. Si tolse il panno dal polpaccio e ne valutò le condizioni: aveva raccolto la rugiada delle pianticelle accanto a cui aveva camminato, e più di così proprio non poteva ottenere. Se lo strizzò in bocca, cercando di non far cadere neanche una goccia. Poi chiuse gli occhi, sospirò e riprese la marcia.
Dopo un’altra ora, il paesaggio cominciò a cambiare. Apparve del muschio, aumentarono gli animali, e nel giro di qualche minuto sentì il rumore inconfondibile della corrente.
Attenti, attenti! Sta arrivando!»
«Chi ha parlato?!» Si voltò di scatto senza badare a quanto fosse irriconoscibile la sua stessa voce, guardandosi intorno, ma le risposero soltanto i passi agitati del coniglio. Eppure era sicura di aver sentito qualcosa!
Ma il bosco restava immobile. Si affrettò a raggiungere il fiume, quasi saltellando sulla gamba buona. Quando lo vide, per poco non gli corse attorno. Acqua! Tantissima acqua, limpida e freschissima! Buttò i bastoni ai lati e si inginocchiò sulla riva, immergendo prima le mani, le braccia, poi il volto in quello specchio che aveva appena sancito la sua salvezza. Bevve, e quando prese aria si scoprì sorridente.
E le si affievolì subito, quel sorriso, ma non poteva ancora permettersi di crollare, non poteva concedersi di sapere perché si sentiva così male.
«Come è potuto apparire così all’improvviso?!»
Spade sguaiate, tamburi, passi sulla terra.
Ebbe l’impressione che il fiume stesse parlando e allora si sciacquò di nuovo il viso senza badare agli schizzi sui vestiti, bevve di nuovo, tossì. E si pietrificò quando un ringhio minaccioso risuonò a pochi metri da lei, davanti, dal fiume.
«Non avevano detto che era soltanto uno?!»
Aveva il corpo lungo e sinuoso con una coda che sfiorava la superficie dell’acqua ondeggiando a destra e sinistra, a sinistra e destra, e bastava quello per sembrare minaccioso. Non aveva ali, almeno quelle no, ma compensava con le fauci enormi e affilate, la pelle coperta di squame, le zampe che non riusciva a vedere, perché stavano sott’acqua, ma che avevano artigli pronti a tranciarla. Lo sapeva con la certezza più assoluta perché l’aveva già incontrata, quella creatura, ed era esattamente così.
In un batter d’occhio, erano circondati. Almeno quattro di quei draghi – non lo erano, ma Koala non faceva affatto fatica a chiamarli così – li circondavano da tutte le parti. Due sulla porta del tempio, uno era addirittura entrato da dove il tetto era bucato, sollevando polvere e detriti ovunque, e si sentivano troppi passi e ruggiti perché ce ne fosse soltanto uno che correva lungo il perimetro della chiesa. Alla faccia dell’incostanza, questi sembravano più organizzati di un esercito!
Gli occhi acquosi, coperti da una spessa membrana per resistere alla corrente, stavano scrutando lo spazio dove fino a pochi secondi prima stava allegramente sguazzando Koala, valutando la presenza di prede appetitose.
La testa si muoveva a piccoli scatti, come aizzata da qualsiasi rumore proveniente dal bosco, dal fiume, dal vento. Ma poi tornava a concentrarsi sulle gocce che plic, plic, plic, cadevano regolari dal suo volto, e sul ritmo affannato del respiro, forse anche su quella preghiera che stava recitando solo nella mente, ma chissà, forse era udibile a una creatura come lui.
Il primo mostro cominciò ad avvicinarsi dall’entrata del tempio, zampettando rapido verso Koala che era l’ultima arrivata e aveva appena finito di impugnare le armi. Lei non aspettò che si avvicinasse e rispose battendo con forza sulla pelle dei tamburi, generando abbastanza energia da farlo fermare e tentennare, scuotendo la testa.
Tutti gli altri sembrarono allertarsi alla reazione dell’alleato, si mossero nervosamente sul posto. Quelli all’entrata cominciarono a dimenare la testa, come allungando il collo per vedere meglio. Si fissarono sul fuoco del falò, poi sul cono di luce del tetto rotto, sorvolando su tutte le zone d’ombra.
Izou batté le mani una volta. Tutte le teste si girarono all’unisono. Come se si fossero letti nel pensiero, Marco a pochi passi da lui mosse vistosamente le braccia senza fare alcun rumore. Nessuna reazione.
Senza esitazione, Koala saltò e atterrò sulla schiena del mostro più vicino, che iniziò a dimenarsi indemoniato. «Ottimo udito, vista praticamente zero»
La mano le scivolò sul fango con un ciaf che di naturale aveva poco e quando lo vide scattare verso di lei capì che cercare di recuperare i bastoni e correre non sarebbe servito a nulla. Un istante ed era già arrivato alla riva, due istanti e correva sul fango, tre istanti e le stava davanti, le fauci spalancate pronte a prendersi la gamba. Koala arretrava strisciando sulla terra, la gamba ferita stesa trascinata di peso dalle braccia che andavano, andavano, ma già bruciavano dallo sforzo e dalla stanchezza e scivolavano sul fango ed erano passati quattro istanti ed era già troppo tardi, stava già chiudendo la bocca sulla sua carne. Chiuse gli occhi, trattenne un grido tra i denti.
Poi qualcosa saltò davanti a lei e la mandibola del mostro trovò altro pasto, come arrivato dal nulla, morbido e peloso come era stato fin dall’inizio del viaggio. Il drago indietreggiò di un passo, spaesato, e masticò di buon gusto la carne tenera del coniglio. Koala rimase a fissarlo senza capire mentre deglutiva con rumori gorgoglianti, voltava di lato la testa enorme e sputava i resti delle ossa dopo aver masticato per bene. E restava lì, tra Koala sconvolta e i suoi bastoni, senza accennare a levarsi e anzi non appena finito il pasto tornò a scrutare Koala. Perché quel coniglietto gli aveva appena stuzzicato l’appetito.
Impugnò per bene il pugnale e cercò di conficcarlo con forza tra le scaglie del drago, senza riuscirci. «La corazza è dura per davvero, questa ce l’hanno raccontata per bene» confermò mentre sentiva movimenti alle sue spalle e saltava giù dalla groppa del mostro per tornare dai ragazzi.
«Allora dobbiamo davvero mirare in bocca?»
E osservarono la doppia fila di sciabole che quasi luccicava alla luce del sole, che sembrava impenetrabile tanto quanto la corazza.
«Come gliela apriamo?»
Quasi a rispondere, fu Marco ad avvicinarsi al mostro con passo felpato. Raramente le sue abilità di acrobata erano risultate tanto utili. Si avvicinò da dietro all’animale che si mosse a disagio, senza capire da dove provenisse il pericolo, e in un istante tirò da una tasca una corda e la mise sotto la fila superiore dei denti, tirando forte verso l’alto e bloccando con un piede il corpo che si dimenava.
Ma era ancora confuso e Koala non intendeva perdere l’occasione. Prese il tamburo legato alla cinta e lo colpì con tutta la forza che le restava, indirizzando l’energia verso il drago. In altri tempi, sarebbe bastato a stordirlo per almeno un minuto. L’effetto in quel momento fu misero, ma si accontentò: lo vide fermarsi, barcollare appena sulle zampe, e allora fece perno sul ginocchio buono e si lanciò in avanti, esitando giusto il tempo di munirsi di pugnale.
Provò rapidamente a colpire di nuovo il tamburo per fargli aprire la bocca ma non funzionò e allora prese le fauci con la mano sinistra e tirò verso l’alto il più possibile, ignorando il bruciore sui palmi, fino a che non riuscì a liberare uno spazio abbastanza grande. Conficcò la mano destra nella bocca e colpì alla rinfusa, senza neanche sapere se stava pugnalando davvero il palato.
Poi il mostro chiuse la bocca e sentì il dolore irradiarle tutto il corpo, e neanche si accorse dell’urlo disumano che le usciva di bocca. Prese con la sinistra l’altro pugnale dalla cinta, l’ultimo che le era rimasto, e gridando prese a colpire il muso della bestia, e gli occhi, le orecchie, il naso e poi passò direttamente ai denti, ai riccioli delle labbra che sembravano tanto delicati. Ma non aveva effetto e allora mise tutta la forza nel braccio destro e lo alzò, sempre di più, fino a che tutta la bocca e i denti e si alzarono e le fauci si aprirono, poco, poco ma abbastanza per vedere dove il labbro superiore si univa all’inferiore e allora colpì in quel punto, partendo da dentro, dalle gengive, fino a che sembrò che avesse la bocca di un coccodrillo da tanto gliel’aveva allungata.
Allora anche il mostro urlò di dolore, scivolò in acqua e lasciò la presa e Koala slittò all’indietro, furente, con il corpo che era un solo tremito e gli occhi rossi e lucidi e il fiato grosso ma bastò un istante a ricordarsi che forse il mostro già non poteva più vederla, e doveva stare zitta, e pensare a un piano perché non era finita.
 Alzò lo sguardo e Izou aveva già la freccia incoccata, il tempo di guardarsi negli occhi e l’aveva lanciata dritta verso la sua gola.
Colpito.
Non morì, ma iniziò ad agitarsi e a lanciare orrendi versi dalla bocca, tanto che gli altri mostri risposero e si avvicinarono in sincrono, costringendo i ragazzi a indietreggiare verso la parte di tempio illuminata dove li attendeva un altro mostro.
Non morì ma almeno si poteva colpire e saperlo era un grande passo in avanti.
«Abbiamo affrontato di peggio» sentenziò Izou e vide i compagni annuire.
L’istante dopo, ogni angolo del pavimento e delle mura era stato colpito da una freccia e il rumore ancora rimbombava per tutte le pareti.
Ma controllare il fiato non le era possibile, non in quel momento, e neanche l’acqua e il fango e il sangue che gocciolavano dappertutto e la facevano scivolare. Infatti il drago la vide di nuovo, la puntò, e stava per colpire di nuovo quando un altro rumore spuntò alla sua sinistra. Un tenero calpestare di rametti e fango, uno squittio, e il mostro già aveva deciso di gustarsi una preda sicura prima della sua più grossa conquista.
Così Koala lo vide di nuovo, il coniglietto tra le sue fauci, con la differenza che era stato il mostro a buttarsi sulla preda e non il contrario. E le stava mostrando le spalle e allora qualcosa scattò nella sua mente. Gattonò fino all’acqua e si lanciò sul dorso, bloccandolo, tenendosi stretta come meglio poteva a quelle scaglie dure che non sarebbe mai riuscita a perforare.
Il mostro si dimenava come un coccodrillo e lei gli mise una mano tra le fauci e tirò, come aveva già fatto e rifatto, tirò con forza fino a fargliele aprire, e mentre tirava sentì il coniglio ancora pieno di spasmi e l’assalì un’ondata di nausea ma continuò a tirare fino a che fu abbastanza, e le sembrò di metterci un'eternità. Ma all’improvviso rimbombò uno scoppio nella bocca e il mostro smise per un attimo di agitarsi, lasciandosi trasportare dalla corrente. Koala sentì freddo, forse era il fiume ma sembrava qualcosa di diverso, ma non era il momento di preoccuparsene e continuò a tirare, e finalmente riuscì a conficcare nel palato il pugnale e allora si concentrò e lo caricò di energia, e lo colpì ancora, e ancora, e ancora. Sentiva che le forze la stavano abbandonando ma il mostro si muoveva ancora e allora doveva continuare, pugnalare, colpire, lacerare, fino a distruggergli la bocca. Era scivolata dalla groppa e si teneva al suo muso e continuava a colpirlo, e all’improvviso lo sentì riscuotersi e seppe che era finita. Lo vide spalancare la bocca su di lei e chiuse gli occhi.
Izou non ricordava tutto il combattimento, ma ricordava che era stato duro. Ricordava che Marco era accanto a lui, pronto ad attaccare il mostro sotto il tetto rotto, quando all’improvviso la sua figura si era coperta d’ombra. Aveva alzato lo sguardo e ne aveva visto un altro, caduto dal tetto, che si fiondava su di lui.
E neanche ci aveva pensato mentre gli era corso incontro e lo aveva spinto via, e l’istante dopo una forza imponente gli aveva schiacciato tutti gli arti.
Aveva sentito un grido ma non era mai riuscito a capire di chi fosse stato, forse suo. Non lo aveva capito perché intanto c’era stato un dolore assurdo, lancinante, tanto forte che neanche sapeva chi o cosa lo avesse colpito. E poi aveva aperto gli occhi e si era ritrovato il drago sopra di lui, con tutto il corpo e le zampe ad ancorarlo al terreno ed era certo che quello che aveva tra le fauci era tessuto e sangue, e forse anche un po’ di capelli.
Poi il collo era esploso di dolore e anche il petto e la spalla destra, e un rumore zampillante gli aveva riempito le orecchie insieme a un altro grido, o forse un ruggito, o forse no era un grido perché questa volta era sicuramente suo.
Provò a tossire ma aveva il torace schiacciato e si agitò, perché non poteva tossire e neanche respirare e stava soffocando, stava soffocando, poi dopo tantissimo tempo qualcosa lo liberò e l’aria tornò nei suoi polmoni insieme al sangue, le vertigini, un dolore ancora più forte che non credeva fosse in grado di provare.
Chiuse gli occhi e sentì di nuovo freddo, e l’istante dopo una luce le balenò oltre le palpebre. E quando aprì gli occhi la gola di quel mostro era bruciata, distrutta, e non si muoveva più e quasi ancora fumava.
Quando lasciò la presa da quel corpo lo vide allontanarsi con la corrente, ancora immobile, ancora morto, e per un po’ anche lei si lasciò trasportare fino a che non si impigliò a dei rami che si affacciavano sul corso d’acqua. E stava diventando tutto nero allora riallacciò il pugnale alla cintura e allungò le mani gelate e sanguinanti per aggrapparsi alla riva del fiume, alle radici e ai rami, e tirò come fosse l’unica cosa possibile in quel momento. Tirò e si trascinò fuori dal fiume, con il corpo che già non le rispondeva più, e sapeva solo di avere fame e freddo e che non era sicuro addormentarsi vicino a un fiume ma non riusciva più a muoversi, non ce la faceva proprio. Era stanchissima.
La vista era tutto uno sfondo nero e mentre si addormentava le sembrò di sentire qualcosa di morbido e caldo carezzarle il viso, e uno squittio cullare il suo sonno.
Poi c’era Marco che lo guardava dall’alto e gli parlava ma non riusciva proprio a sentirlo. Avrebbe voluto che restasse lì a guardarlo per sempre ma se ne andava, poi tornava, poi se ne andava, e sapeva che gli stava gridando ma non capiva, non capiva, sapeva solo che faceva tutto male ed era stanco e anche Marco sembrava più stanco ogni volta che si affacciava.
Aspettò tantissimo, così, sdraiato, con la testa di Marco che ogni tanto faceva capolino e quasi gli strappava un sorriso, poi gli faceva male tutto il fianco destro e allora si girò sul sinistro, e sputò un po’ di sangue, e finalmente respirava meglio. Però era sempre più stanco e sentiva sempre di meno, e Marco lo vedeva pochissimo ormai.
Aveva tanta voglia di chiudere gli occhi ma rimase sveglio ad aspettare, a concentrarsi a respirare e far vagare gli occhi a destra, a sinistra, in alto e in basso alla ricerca di un ciuffo biondo e uno sguardo contratto.
Poi finalmente apparve e rimase lì. Aveva una tempia sanguinante e i vestiti tutti sbrindellati, e guarda era arrivata anche Koala, tutta spettinata e con quella faccia preoccupata. Che stavano dicendo?
Ahi, gli faceva male quando lo spostavano così. Provò a dirglielo ma non ci riuscì, sputò solo sangue. Sentì una carezza e si perse in quella mentre un nuovo bruciore lo prendeva in tutto il corpo. Riconobbe gli unguenti per trattare le ferite, il sentore delle garze sulla pelle.
Poi vide Marco che si avvicinava e gli stringeva forte la mano, e si ritrovò di nuovo a pancia in su. Lo guardò confuso e poi guardò Koala che teneva in una mano un pugnale e nell’altra una fiamma, e sentì la paura farlo tremare tutto.
Il rumore zampillante arrivò di nuovo, alla sua destra, e quando abbassò lo sguardo vide che il sangue non aveva smesso un attimo di scappare via, tutti i vestiti e la pelle e il pavimento erano rossi ed era abbastanza esperto per sapere cosa significasse quello zampillare. E non aveva ancora finito di pensarlo che Koala aveva poggiato il pugnale incandescente sul suo petto e faceva male, malissimo, e anche questa volta sapeva che a gridare era stato lui.
Sentì qualcosa entrargli in bocca e si accorse che era tessuto, premette forte e ci soffocò dentro tutto il grido, e la gola gli bruciava da morire ma non poteva smettere, non riusciva a smettere di gridare perché era troppo forte, sentiva il petto esplodere e poi anche il collo, le braccia, tutta la pancia e agitava le gambe alla rinfusa anche se non gli rispondevano del tutto e sentiva delle mani tenerlo forte per le spalle, la fronte, per cercare di fermarlo e non peggiorare tutto.
Alla fine si sentì stanco, stanchissimo, e si lasciò cadere immobile. Ma il dolore continuava e sentiva che a breve sarebbe svenuto perché non poteva, non riusciva a sopportare una cosa del genere.
Lasciò che qualcosa – qualcuno – gli levasse la stoffa di bocca, poi si fece scivolare un liquido lungo la gola, tossendo debolmente non appena sentì il bruciore tornare consistente.
Faceva freddo.
«’esta cosciente, Izou, per favore» all'improvviso tornò a sentire. Sentiva il respiro di Marco direttamente su di lui, come quella volta che stavano nel bosco ed era scoppiata la guerra, e sentiva anche il suo cuore battere forte fortissimo e se non avesse avuto la vista tanto sfocata, probabilmente avrebbe visto anche i suoi occhi proprio come quella volta.
«Resta cosciente!» E Marco alzava la testa, a guardare non sapeva cosa, e continuava a urlare con urgenza: «Koala! Koala!» E non l’aveva mai visto così disperato mentre Koala gli rispondeva qualcosa ma era troppo lontana per farsi sentire da Izou.
«S-Sto…?»
Morendo?
La parola gli rimbombò in testa e non riuscì neanche a finire la frase ma non serviva, e vide Marco che sgranava gli occhi e sondava tutto il suo corpo e cominciava a scuotere la testa, ancora e ancora, poi quella testa la poggiò proprio accanto a lui e ci mise un po’ a capire che lo stava abbracciando, e stava piangendo. E qualcosa si spezzò mentre lo sentiva singhiozzare e sentì tutto il suo corpo agitarsi, e tremare, e qualche monosillabo gli uscì dalle labbra senza poterlo controllare e cercò la sua mano prima di accorgersi che la stava ancora stringendo, allora rimase lì immobile perché voleva averlo ancora più vicino ma proprio non sapeva come.
Quando tornò nella sua visuale non riuscì a far altro che alzare la mano sinistra e cercare un lembo del suo vestito, e tirare, fino ad averlo sempre più vicino. Poi sentì che Marco gli carezzava i capelli e il viso e gli fece un po’ male ma andava benissimo, perché era accanto a lui. Cominciava a fare un po’ troppo freddo e rabbrividì, anche se forse non era affatto la prima volta che lo faceva, e cercò di guardare di nuovo Marco ma stava diventando tutto nero.
Alzò di nuovo la mano, perché più di così non poteva fare, e lo cercò, e trovò il viso proprio sopra al suo, come in attesa. Sentì qualche lacrima e un sospiro, poi il freddo sembrò dissiparsi mentre qualcosa gli sfiorava le labbra, e poi non lo sfioravano più, premevano e tremavano e sembravano volessero regalargli vita nuova.
Marco lo stava baciando e fu l’ultima cosa che riuscì a pensare prima che diventasse tutto nero.
 
 



Il narratore fece un’altra pausa. Neanche si stupì di non sentire nessun grido entusiasta alle sue spalle. Si girò, e il ragazzo rifletteva a testa bassa, il volto corrucciato.
«Sei rimasto deluso?»
Alzò il volto e anche le sopracciglia. «Mh? Deluso no. Però speravo che il loro primo bacio avesse… no, insomma, che tutta la storia fosse un po’ meno pesante.»
«Stiamo raccontando la storia di un fantasma.» Lo interruppe il secondo veterano a braccia conserte. «Non dirmi che ti aspettavi un lieto fine.»
«No, sì, quello lo so, però… è, è che la storia era cominciata molto più leggera! E adesso invece il loro primo bacio è così… anche se so che Izou non è morto in quel momento, mi sembra comunque triste. Pensate cosa deve aver provato Marco in quel momento… Non vi fa impressione?»
Il veterano si strinse nelle spalle, un sorriso malinconico in faccia: «Nel mio clan è una storia famosa. A forza di sentirla, ci fai l’abitudine.»
«Voi però…?»
Il secondo veterano contrasse le labbra. «Rispetto a ciò che…»
«Io l’ho apprezzata molto» lo interruppe il samurai con la benda. «Mi è sembrato di sentire il dolore di Izou ancora di più di quando è morto.»
«Forse perché quando si muore, si smette di sentire dolore?»
«Beh, ha senso, ragazzo! Ma noi di certo non possiamo saperlo… Piuttosto, perché non riprendi a raccontare?»
Il samurai sospirò. «La prossima scena sembra essere ancora più separata dalle altre. Soprattutto perché non ho alcun riscontro dell’avvenimento nel tuo racconto.»
La benda si spostò insieme al sopracciglio alzato: «Oh? Questo sì che è interessante. Prego, continua pure…»
 
 



Le parole di Izou continuavano a rimbombarle in testa. Non era possibile! Non aveva assolutamente senso! Non dopo tutto quello che avevano passato! Marciò a passo veloce, verso il dormitorio maschile. Non sapeva se stava lì ma tanto valeva tentare.
Doveva sicuramente esserci una spiegazione. Dopo tutti quegli anni, non l’avrebbe mai preso in giro così. Non Marco! Non era possibile! Che cosa aveva in mente?
Sfrecciò attraverso il portico e si fermò alle finestre del dormitorio, chiamandolo ad alta voce. Aspettò che scendesse e si fece seguire, e quasi voleva urlargli contro per il modo con cui si comportava, per la disinvoltura con cui camminava per Baltigo come se gli appartenesse. Perché era così, dannazione! Dopo tanti anni che si alternava tra Baltigo e Kuri, era diventata casa sua! E lui si comportava così!
Lo portò in un luogo isolato, e finalmente si girò ad affrontarlo. Le bastò guardarlo negli occhi per vedere che c’era qualcosa che non andava.
Stava per parlare ma lui la precedette: «Tra poco me ne andrò da Baltigo. Per favore, saluta Izou da parte mia.»
«Ah certo, bella idea!» Non si era ripromessa di mantenere la calma? Sì, sì che l’aveva fatto, ma non aveva certo immaginato una sfacciataggine del genere! «Geniale! Anzi, no, sai che facciamo? Non gli dico niente e tu non ti fai più sentire. Tanto mica sei importante per Izou, no?! Che cambia se lo saluti o meno, giusto?!»
«Che cosa…»
«È perfettamente normale non passarlo a trovare dopo che ha quasi rischiato la vita, vero? Dopotutto, mica c’è scritto da qualche parte che bisogna preoccuparsi per i propri compagni!»
Lo vide, il volto adombrato, e sapeva che probabilmente aveva qualcosa da dire, e anche qualcosa di razionale, ma il cuore le batteva troppo forte nel petto per farle anche solo pensare di fermarsi. «Ci porti in missione in mezzo al nulla, ci metti in pericolo, lo baci ­– evita quell’espressione, certo che l’ho visto, ero a due metri da voi! E dopo che non è più in pericolo di vita che fai? Scappi a casa? E quando torni qui neanche passi a salutarlo? Ma a che razza di gioco stai giocando, Marco??»
Dopo tante difficoltà che aveva affrontato, Marco non doveva esserne un’altra! Meritava di essere felice, non di essere preso in giro in questo modo! Non riusciva neanche a immaginare cosa stava provando in quel momento. Quando l’ultimo ricordo che aveva era Marco che lo baciava, e poi da quando si era risvegliato nell’infermeria di Baltigo era passate due settimane senza un messaggio, una visita, niente da parte sua.
«Koala, è complicato.»
«Ah certo, è complicato! Te lo dico io cosa è complicato. Hai pensato che Izou fosse in punto di morte e hai voluto esaudire un suo desiderio, non è così? Hai pensato “Che sarà mai baciarlo, tanto non dovrò più vederlo!” e invece no, è sopravvissuto, e adesso non vuoi neanche pensare di prenderti le tue responsabilità!» Mentre lo diceva, sapeva che era sbagliato. Sapeva che il Marco che conosceva non avrebbe mai fatto una cosa del genere, e che quei mesi passati a Sphinx non avrebbero mai potuto cambiarlo a tal punto.
Però non aveva potuto fermarsi perché un fondo di verità c’era, perché l’aveva pensato davvero che sarebbe morto, l’avevano pensato entrambi quando avevano visto tutto quel sangue e quelle ferite che sembravano impossibili da chiudersi, e quel colorito che si faceva più pallido a ogni secondo.
E infatti Marco sembrava colpito, non colpevole perché non lo ero, chiaramente non aveva fatto davvero ciò che gli aveva sputato contro, ma era colpito e triste e ci mise un po’ a ritrovare l’animo necessario a risponderle: «Non è così.»
«E allora perché?!» Ed era una supplica, non una domanda, perché davvero non riusciva, non riusciva a capirne il motivo. Sapeva solo che Izou era in un letto dell’infermeria e aveva aspettato Marco per due settimane e l’ultima volta che Koala l’aveva visitato le era sembrato che avesse perso le speranze. E stava soffrendo moltissimo. E non meritava tutto ciò.
Lo vide abbassare lo sguardo, riflettere sulle parole che avrebbe detto. «Sta diventando troppo pericoloso.»
Non si aspettava una risposta del genere. «Cosa, la guerra? Non dirmi che non lo sapevi. Ma proprio per questo, non puoi lasciartelo sfuggire neanche per un istante…»
«No, è… è una questione diversa.» Rialzò gli occhi ed era combattutissimo. «Non posso dirti perché. Puoi solo fidarti.»
Koala si abbracciò da sola, sentendo un brivido partire da quello sguardo. Kami, cosa diavolo stava succedendo negli Shirohige? «Non…» Non sapeva cosa dire. Ma l’immagine di Izou seduto su quel letto dell’infermeria le balenò in mente e non riuscì a rifletterci più di tanto. «Non puoi deciderlo da solo. Non dopo ciò che hai fatto. Hai… delle responsabilità.»
E già indietreggiava perché non sapeva più cosa dire, e temeva che se Marco avesse insistito l’avrebbe vinta. Si fermò solo un istante, ricordatasi una cosa. «Izou… ci ha messo davvero tanto ad accettarsi. Non è sempre stato l’Izou che conosci. Non si è mai lasciato andare così liberamente con qualcuno come con te, non ha mai cambiato la sua opinione su qualcuno in maniera così radicale. E adesso che l’ha fatto, non puoi fargli pensare che abbia sbagliato. Anzi… Devi…» Si ritrovò a fare di nuovo un passo verso Marco che la fissava intenso «Devi dimostrargli che non ha sbagliato. Glielo devi. Non hai alcun diritto di tradire la sua fiducia. Qualsiasi cosa stia succedendo, non puoi più pensare che riguardi soltanto te stesso. Ci siamo tutti dentro, non è così?»
 
 


Il samurai con la benda si grattò il mento pensieroso, le sopracciglia entrambe sollevate. «Interessante… molto interessante… Non sapevo proprio niente di questa controversia… non è stata tutta rose e fiori allora, eh?»
Il ragazzo sbuffò: «A questo punto della storia era ovvio! Il novanta per cento della storia gira intorno al sangue, alla guerra e ai tradimenti!»
I veterano ridacchiarono. «Erano altri tempi. La guerra finiva per influenzare un po’ tutto.»
«Sì, ma a tal punto? Che gli costava andare a salutare Izou… Quanto grave doveva essere la situazione a Sphinx per fargli cambiare idea così di punto in bianco dopo che ci aveva passato qualche giorno?»
«Ragazzo» lo interruppe l’uomo con la benda con un tono improvvisamente più serio «l’hai mai studiata la guerra contro i Kurozumi? Come puoi non ricordare che gli Sh-»
«Io voglio sapere cosa succede a Koala nel bosco» li interruppe il secondo veterano con sguardo contratto. «Ci sono stati troppi salti, ci stiamo allontanando dalla trama principale»
««Hai ragione» sospirò in risposta «La lezione di storia la rimandiamo a più tardi. Ma non è colpa del nostro amico se la storia è stata tramandata così, eh!»
«Sarà, ma voglio saperlo.»
«Dì la verità, vuoi che finisca in fretta così puoi raccontare la tua parte, vero? Sai qualcosa che noi non sappiamo?»
E da come si irrigidì, capirono tutti la risposta.
«La faccenda sembra ancora più interessante»
«Dai, dai, continua, così capiamo tutto!»
«Come volete. La storia in effetti riprende con Koala…»
 
 

Aveva dormito solo poche ore. Quando si svegliò era circa mezzogiorno e il coniglietto era ancora inspiegabilmente lì, a zampettare nei dintorni e strofinarsi il naso sulla pelle di Koala.

Dopo aver bendato alla meglio anche i morsi sul braccio – gentile offerta del mostro da poco ucciso – e aver trovato altri due bastoni della giusta lunghezza riprese la marcia costeggiando il fiume. Era ancora più malmessa di prima, ma la corrente del fiume le dava energia: sapeva che seguendola prima o poi sarebbe sicuramente arrivata a destinazione. Doveva solo proseguire verso ovest. Aveva allungato la strada di parecchio e probabilmente avrebbe impiegato tutti e quattro i giorni che le rimanevano per raggiungere la meta, ma non aveva avuto alternative.
Valutò di costruire una zattera con cui navigare il fiume, ma accantonò subito l’idea. Non sapeva quanto tempo ci sarebbe voluto. In più, non aveva neanche la certezza che il fiume Jaya fosse facilmente navigabile. Nelle sue condizioni, poi! No, no. Meglio camminare, anche se ogni passo le costava una fatica immensa. Ma adesso non aveva più sete ed era anche più facile trovare piante e radici commestibili. Non appena fosse calata la sera, avrebbe anche potuto darsi una lavata prima di dormire. Il fiume aveva semplificato tutto.
Così continuò a camminare e per passare il tempo si mise a riflettere sull’ennesimo sogno. Ricordava bene quella pesante discussione. Ancora non sapeva i motivi che avevano spinto Marco ad agire così, a cercare di allontanarsi da lei e da Izou subito dopo quello scontro con i draghi, subito dopo che Izou si era guadagnato la sua migliore cicatrice. Subito dopo che Izou aveva rischiato di…
Scosse la testa. Quello che era importante, quello su cui poteva concentrarsi era il mistero dietro le motivazioni di Marco.
Perché sapeva che un motivo doveva esserci. Aveva passato quasi un anno nel territorio degli Shirohige, poi era scoppiata la guerra che si susseguiva da cinque lunghissimi anni. Anche dopo l’inizio della guerra gli Shirohige avevano il divieto di collaborare con altri clan, ma Marco e la sua divisione avevano cominciato a raggirare gli ordini e gli ordini, e proprio in quel periodo avevano dovuto occuparsi di quella che era stata una delle missioni più pericolose della loro vita. Anzi, no, forse più pericolose no. Perché insomma, quei draghi non erano particolarmente difficili da uccidere: era stata più colpa della distrazione, anzi della sfortuna, perché come potevano prevedere che ne sarebbe cascato un altro dal tetto? Quando aveva sentito quell’urlo straziante non era riuscita a credere ai suoi occhi. E quell’ammasso di scaglie che gli aveva quasi strappato la spalla a morsi? Non sarebbe mai riuscita a dimenticarlo. Se Marco non fosse riuscito a toglierglielo di dosso, chissà che fine avrebbe fatto…
Scosse la testa quando si accorse che si era persa in troppi pensieri. Qual era il suo obiettivo? Ah, sì. Dopo quella missione, non appena erano arrivati a Baltigo con una velocità che aveva del miracoloso, Marco era stato richiamato a Sphinx prima ancora che potesse levarsi di dosso gli abiti sporchi di sangue. Quindi era partito con mille richieste di aggiornamenti circa le condizioni di Izou. Una settimana.
Era rimasto a Sphinx ad una settimana.
E quando era tornato, sembrava essersi dimenticato di aver lasciato a Baltigo un Izou a un passo dalla morte.
«Chissà cos’era successo a Sphinx…» Cosa di così grave da fargli pensare che rinunciare ai suoi desideri, che reprimere i suoi sentimenti ricambiati fosse la soluzione migliore? Chissà se Izou lo aveva mai saputo. «Me l’avresti detto?» Chiese ad alta voce. Mentre parlava inciampò in qualcosa che le tagliò la strada, e per poco non ruzzolò a terra. «Ehi, attento…!» Vedendo che non si spostava, si chinò per dare una pacca al coniglietto, levandolo dalla sua traiettoria. Freddo.
 
Due mani intrecciate strettissime. «Cosa è successo, Marco?»
Tanto silenzio. Lunghissimo.
Una carezza. Si morse il labbro e scosse la testa piano.
«Non mi avrai svegliato per stare in silenzio così…»
«Izou…»
Bastò quel tono miserabilissimo per farlo tremare di paura.
«…non posso spiegarti... nel dettaglio…» Scuoteva ancora la testa «Però è pericoloso.»
Un’altra carezza, uno sguardo incredulo. «Lo so. Me l’hai detto quando mi hai tagliato i capelli, ricordi? Tanti anni fa.» Si sentiva stanchissimo. Però si fece forza e si tirò seduto, si lasciò scivolare tra le sue braccia sapendo che lo avrebbero preso.
Marco sussurrava, forse tremava. «No, è davvero pericoloso. Non voglio che tu abbia niente a che fare con… con…»
«Con cosa? Con te?» E rise, non sapeva neanche lui se divertito o no. «Lo sai che è impossibile.»
Una testa contro l’altra, un sospiro. «E poi me l’hai promesso. Che posso fidarmi di te.»
«Allora fidati di me e dimenticami.»
«No, non così.» Gli sfiorò il naso, sorrise. «Tanto prima o poi succederà lo stesso, no?»
«No. Sarà troppo presto.»
Izou rideva.
«Non sarà sempre troppo presto?»
Non era un sogno.
Né qualcuno che parlava nel bosco.
Era stata una visione, un’allucinazione, poteva chiamarla come voleva ma era stata tremendamente reale.
E capì cos’è che non andava in tutti i sogni che aveva fatto.
Non era solo il suo punto di vista.
Non vedeva solo ciò che aveva provato e vissuto lei, ma sempre e inevitabilmente anche ciò che provava Izou.
Aveva visto Izou, le sue memorie, le sue emozioni. Il suo dolore e le sue passioni.
Abbassò lo sguardo sul coniglietto, e seppe di non star immaginandosi l’alone chiaro che usciva dal suo corpo, si univa come una nuvoletta di fumo proprio davanti ai suoi occhi, prendeva una forma mai vista ma che sapeva di conoscere come un fratello. E si muoveva come se potesse parlare, come se avesse una bocca e un volto e un cuore, quando non era altro che una debole nube di energia, un’anima che non se n’era andata e che l’aveva seguita fin dal suo primo risveglio nella foresta, l’aveva guidata e protetta e… kami…
«Izou…?»
E si muoveva come una fiammella, come se volesse dire sì, sì!, con una testa che non aveva, e all’improvviso divenne ancora più sfocata perché nei suoi occhi c’erano solo lacrime.
«Che cosa hai fatto…?»
E l’anima ondeggiò, come prendesse la rincorsa, e l’attraversò tutta facendole passare un brivido ghiacciato.
 
Buio.
Solo buio e silenzio, nessuna sensazione, nessuna emozione.
Poi, in alto, una luce debolissima.
E all’improvviso, un flusso di pensieri.
Devo andare ad Onigashima. Devo avvertire Marco.
Cos’è… Marco?
No… chi è?
Devo salvarlo, e portarlo via da Onigashima.
Onigashima.
Marco?
Devo alzarmi e respirare.
Impossibile.
O forse…
C’è della terra.
Nero. Nero. Nero.
Del vento, del sangue, un cadavere.
Dove vuoi andare?
A Onigashima.
 E cosa vuoi fare?
Salvare…
Marco.
Lo sai che, se fallirai, non potrai più tornare?
 
Lo sai che la luce lassù non resterà sempre accesa per te?
Devo vedere il mare!
 
 
«I fantasmi sono le anime di chi lascia un rancore o un rimpianto nella vita terrena.» Neanche sapeva a chi stava parlando mentre lasciava che un paio di lacrime le bagnassero il viso. Il cervello le urlava di continuare a camminare ma non riusciva a muovere un altro passo.
Kami, cosa aveva fatto…
«È questo il tuo rimpianto? Non poter salvare Marco con le tue stesse mani?»
Le faceva male il cuore. Quella fiammella di luce ondeggiava, ballava, con un velo di malinconia che attutiva tutti i suoi movimenti. E non poteva parlare né toccarla, ma lo sentiva lì come se in carne e ossa.
«Izou sei un fantasma…»
Aveva preferito macchiarsi di un peccato indicibile, dannarsi l’anima pur di assicurarsi che Marco fosse al sicuro. Ma perché? «Se fallisci, resterai per sempre su questa terra… Guarda come sei debole!»
Allungò una mano verso la debole luce e la attraversò, dissipandola in un attimo. «Cosa pensi di fare così?» Perché gli stava urlando contro? Cosa poteva cambiare ormai? Niente! Ma non poteva averlo fatto davvero! Non solo rinunciare alla reincarnazione era un peccato gravissimo, ma anche tremendamente pericoloso!
Stava lì a fissare il vuoto con altre urla sulle labbra, non sapeva neanche se arrabbiata o semplicemente sconvolta, e sentì che lo spettro le girava attorno. «Lo capisco cosa vuoi dire! Ma guarda come sono messa!» E mosse un passo in avanti senza aspettarlo, barcollando sui bastoni. Kami, si era condannato a una vita maledetta dal karma e se ne stava lì come se non fosse successo niente! Lo salveremo insieme un corno! «Non so neanche se ci arriverò in tempo! Come hai potuto metterti in tale pericolo anche dopo essere morto?! Perché l’hai fatto?? È così…?» E si fermò, perché sapeva già la risposta.
Sì, era così importante salvare Marco.
Non gli andava bene aspettare e sperare nella prossima vita di incontrarlo di nuovo. Non gli importava neanche di ciò che gli sarebbe successo. Voleva solo salvarlo. Salvare la sua anima ma soprattutto salvare Marco, tutto ciò che aveva fatto e ciò che era stato fino a quel momento. Anche mettendo a rischio il suo futuro.
Koala si scoprì senza altro da dire. Impugnò il bastone più forte e abbassò la testa, riprendendo la marcia.
«E allora andiamo.»  
 
 
«Poi, dopo quattro giorni, arrivarono a un ponte, e–»
«Aspetta» Il secondo veterano lo interruppe improvvisamente. «Stai dimenticando una cosa importante.»
«Mh? Non sto dimenticando niente.»
Il ragazzo non stava più nella pelle. Sentiva che il secondo veterano aveva qualche notizia strepitosa, e non vedeva l’ora di saperla. «Oooh, sai come sono andate le cose tra Marco e Izou dopo che Marco si è allontanato? Voglio saperlo, voglio saperlo!»
«Non penso che…»
«Mi sembra che tu abbia molta voglia di raccontare la tua versione» lo squadrò l’uomo con la benda senza nascondere la sua curiosità. «Facciamo così: raccontaci giusto un pezzettino, vuoi? Poi» e si rivolse all’uomo che aveva parlato fino a quel momento «tu finirai la tua storia, e poi sentiremo il resto della versione che sembra tanto interessante!»
«Oh, sì, mi sembra geniale!»
«E poi, trarrò le mie conclusioni» concluse il vecchio con allegria. «Sì, mi sembra davvero geniale!»
 
 


Quando mancavano solo due giorni, la notte Izou si librò in volo e raggiunse Onigashima. Era debole: non poteva comunicare, non aveva consistenza, e probabilmente neanche era visibile a chi non aveva avuto molti contatti con lui. Onigashima di notte era tranquilla.
Pochi samurai facevano la guardia alle porte e altri giravano per le tende.
Marco riposava.
Avrebbe voluto carezzarlo, ma non c’erano animali nelle vicinanze da possedere.
Avrebbe voluto parlargli, ma non c’era modo che lo sentisse.
Avrebbe voluto baciarlo, e poi urlargli di scappare di lì.
Invece volò al suo fianco, ascoltò il suo respiro tranquillo, semplicemente lo guardò. E sfiorò il suo volto con le sue membra inesistenti di fantasma.
  
 
Scostò la tenda, entrando nella stanza che puzzava di fumo e alcol.
«Allora, Marco! Mio caro Marco!»
Kurohige lo accolse con un sorriso sdentato, aprendo le braccia come in un immaginario abbraccio. Era stravaccato sulla poltrona e Marco prese posto su una sedia a debita distanza.
«Allora, allora, Marco! Hai appena conosciuto i tuoi compagni della Squadra d’Alleanza?»
«Sì»
«E dimmi, dimmi, come ti sembrano? Raccontami tutto, dai: di me ti puoi fidare!»
«Sembrano simpatici e competenti.»
«E questa è la cosa più importante. Bravo, bravo. Vuoi da bere?» Gli indicò uno scaffale pieno di alcolici, a cui Marco rispose con un sopracciglio alzato. «Ho sedici anni.»
«Giusto, giusto. Me lo dimentico sempre. È che sembri così maturo! Dovevi vedermi alla tua età. Su, allora, non beviamo, hai ragione!»
E intanto lo squadrava con occhi porcini, sogghignava. «Ma parliamo di cose importanti, Marco. Sai che Orochi non ama aspettare. Comincia pure: cosa hai scoperto su Kozuki e Kakumei?»
 






***Angolo dell'autrice***
Non pensavo che ci avrei messo tanto ad aggiornare ma meglio tardi che mai, no?
E ho già scritto qualche scena del prossimo capitolo. Non vedo l'ora di finirlo!
Spero solo che questa storia piaccia a qualcuno perché le Marco/Izou, come sempre, sono sottovalutatissime. Questa Ff ha un posto speciale nel mio cuore perché anche se è nata così un po' per caso ha avuto uno sviluppo complicatissimo, un continuo scrivere e cancellare e progettare che ancora non è finito, anzi!
E insomma, visto il tanto lavoro che ci ho messo per costruire la trama, mi dispiacerebbe che passi inosservata solo per il difetto che ha personaggi poco conosciuti.
Ma va beh, me la sono scelta io questa strada quando ho deciso di dedicarmi alle crack ship.
Confido in Oda Sensei che ultimamente sta dando un po' di spazio a Izou. Allora al prossimo capitolo, e come sempre vi invito a lasciare una recensioncina se la storia vi ha interessato!

Kalika
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: _Kalika_