Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: _Kalika_    27/06/2021    1 recensioni
三つの魂、一つの話
Three souls, one story.
*
**
Izou era sopravvissuto alla prima notte. E anzi, dalla seconda notte in poi si era perfino rilassato abbastanza da addormentarsi. Sembrava che Marco non fosse intenzionato a ucciderli. E se Izou non fosse stato così convinto di trovarsi di fronte a un nemico, avrebbe anche potuto trovarlo piacevole fin da subito.
*
Era guerra. Era scoppiata per davvero, alla fine. Lo aveva appena ritrovato ed era guerra.
*
«Koala, è complicato.»
«Ah certo, è complicato! Te lo dico io cosa è complicato! Hai pensato che fosse in punto di morte e hai voluto esaudire un suo desiderio, non è così? Hai pensato “Che sarà mai, tanto non dovrò più vederlo!” e invece no, è sopravvissuto, e adesso non vuoi neanche pensare di prenderti le tue responsabilità!»
**
*
Samurai! AU
*
*Questa fanfiction partecipa al WeekEnd of Pride 2021 indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images* (cap. 1)
*Questa fanfiction partecipa allo Yaoi&Yuri Weekend 2021, indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images* (cap. 2)
*Questa fanfiction partecipa al Crack&Sfiga Ship Day 2022, indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images* (cap. 3)
Genere: Angst, Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Barba nera, Izou, Koala, Marco
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
*Questa fanfiction partecipa al WeekEnd of Pride 2021 indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images*
 
 
Piccola nota iniziale: l'ambientazione è ispirata prevalentemente alla Novel "Mo Dao Zu Shi" dell'autrice cinese Mo Xiang Tong Xiu, tuttavia qui c'è un taglio tradizionale giapponese e non cinese. Ma anche se non la conoscete, non influenzerà la comprensione della storia! C'è solo da tenere presente che il territorio è diviso politicamente in "clan" che si differenziano per culture e metodi di combattimento. Per il resto, un po' di samurai, un po' di creature mitiche e un po' di guerra!

Buona lettura!

 
* Fantasma di Hiren: Hiren, 悲恋, significa letteralmente “amore triste”
** Kakumei: nome giapponese dell’Armata Rivoluzionaria in One Piece
*** Fushichou: 不死鳥, fenice

 


 

Mitsu no tamashii, hitotsu no hanashi

三つの魂、一つの話
 
 
 

A poco più di un centinaio di metri dallo stretto passaggio di Ebisu il gruppo di samurai rallentò il passo fino a fermarsi. Il frusciare dei kimono e il cozzare delle pesanti armature si arrestò lasciando spazio solo a un lieve chiacchiericcio.
«Cos’è successo?» Un giovane soldato in fondo al gruppo allungò il collo alla ricerca di qualche indizio circa l’insolito comportamento dei superiori. «Perché ci siamo fermati?»
«È la prima volta che passi per la Gola di Ebisu, vero?» Un samurai dall’aria più esperta lo tirò indietro mentre l’altro annuiva sorpreso. Alzò la testa, riempiendosi gli occhi del paesaggio attorno a lui. Un paesaggio piuttosto brullo, in realtà, poiché erano poche le piante che riuscivano a crescere su per le ripide pareti di quella gola. Tanto, tantissimo tempo prima un fiume doveva passare dove adesso stava pestando i piedi, e la vista doveva essere stata verdeggiante. Adesso, però, un passaggio del genere non trasmetteva altro che un senso di angustia.
«Il comandante sta pregando il Fantasma di Hiren*» qualcuno spiegò vicino a lui.
Il tempo di metabolizzare quelle parole che un brivido risalì per tutta la schiena del ragazzo. «Pregare un fantasma? I fantasmi si esorcizzano, non si pregano.» Non aveva mai sentito di una cosa simile. Era giovane ma non tanto giovane da non riconoscere le assurdità. E questa era tanto assurda quanto inammissibile. Se l’avesse sentito qualcuno del suo clan! L’avrebbero riportato diretto a casa e tanti saluti al suo viaggio per “fare esperienza e conoscere il mondo”. Ma nonostante se ne fosse andato dal suo villaggio proprio perché erano troppo chiusi di mente, l’idea di un pregare un fantasma era… troppo, troppo assurda! «Perché non lo combattiamo, invece?»
Il primo veterano alzò le spalle. «Perché non uccidi ogni ape che incontri, anche se può pungerti? Per il miele» si spostò di qualche passo e trascinò il ragazzo con sé per fargli vedere il comandante ancora inginocchiato in preghiera, due bastoncini di incenso accesi ai suoi piedi. «Il Fantasma di Hiren protegge dalle imboscate. E poi, si dice che sia maledetto a restare per sempre su questo mondo. Non esiste lama che possa dissolvere la sua anima.»
«Lo so che esistono anime dannate a restare per sempre su questo mondo. Dipende tutto dal modo in cui sono rimaste sulla terra dopo la morte, lo so, lo so… Ma un fantasma che protegge?» Scosse la testa trattenendo a malapena uno sbuffo. Come facevano a crederci tutti? «I fantasmi non proteggono.»
«Questo sì» intervenne il secondo veterano, con un tono abbastanza scontroso da far capire di averne abbastanza del tono indisponente del ragazzo. «L’ho visto all’opera, una volta. E ci sono diverse storie in circolazione sul suo conto. È affidabile.»
«Ma non ha alcun senso! I fantasmi sono le anime di chi ha lasciato rancori e ossessioni nella vita passata!» Non aveva certo passato l’adolescenza a studiare ed esorcizzare mostri per trovarsi  a pregare proprio uno di quelli che avrebbe dovuto distruggere!
«Le eccezioni esistono in ogni situazione.» Commentò con tono morbido il primo uomo. «La sua storia risale a due, forse trecento anni fa» Sembrava sul punto di raccontare tutto ciò che sapeva, e il ragazzo seppur scettico si mise all’ascolto. «Durante la guerra con i Kurozumi?»
«Mh» annuì l’altro «Si dice che durante la guerra il fantasma di Hiren abbia perso il suo amato in un’imboscata, e da allora ascolta chi richiede la sua protezione.»
«Quindi è un fantasma vendicativo» concluse il ragazzo «ma fa una buona azione. Be’, così… così ha senso. Non mi stupisco che neanche il suo clan l’abbia mai scacciato da questo mondo.»
Il secondo veterano li interruppe: «Anche se avesse voluto occuparsene, all’epoca il Clan Shirohige era troppo impegnato con il t–»
«Shirohige? Da quel che so, il fantasma di Hiren apparteneva al Clan Kozuki. Mentre il suo amato era uno Shirohige. Pur essendo di clan diversi, andavano spesso a caccia di fantasmi insieme.»
I due uomini si squadrarono senza traccia di particolare ostilità. La storia del Fantasma di Hiren era vecchia centinaia di anni e non era raro che ne fossero state tramandate versioni differenti. Stavano per abbandonare la questione quando si unì alla conversazione una quarta persona, che aveva ascoltato i loro discorsi fino a quel momento e a giudicare dal sorriso saputo sembrava trovare la controversia divertente.
«In un certo senso, avete ragione entrambi.» I tre uomini si voltarono e lui sembrò compiaciuto dell’attenzione riservatagli. Aveva una benda sull’occhio destro e continuò a giocarci per tutto il tempo che parlò. «O meglio, avreste potuto averla se la storia del Fantasma di Hiren non fosse stata così tragica.»
«Che cosa vuol dire? Conosci la storia?» Chiese subito il ragazzo, incuriosito dall’incipit enigmatico dell’altro.
«Non tutta» rispose con semplicità guardandolo con l’occhio buono «ma sembra che nel mio clan sia stata tramandata più precisa che nei vostri. Siete curiosi di ascoltarla? Chissà che mettendo insieme le varie versioni non si riesca a capire tutto. La storia inizia un po’ prima dell’inizio della guerra dei Kurozumi…»
 
 

«Non mi piace.»
Koala si voltò senza rispondere. Izou prese l’arco dall’albero a cui l’aveva appoggiato, si liberò dei capelli davanti al viso, prese la mira e tirò svogliato contro uno dei bersagli del campo d’allenamento del clan Kakumei**. Lanciò un’occhiata di striscio a Koala, poi tornò a puntare lo sguardo verso il cancello del patio.
Il capo clan Kakumei conversava in maniera distaccata ma cortese con Squardo, inviato dagli Shirohige in vece del loro capo clan. Al suo fianco, un ragazzo di quindici o sedici anni ascoltava attento la conversazione tamburellando tranquillamente con le dita sull’elsa della spada. Quando allungò una pigra occhiata dentro al patio, Izou lesto distolse lo sguardo e incoccò un’altra freccia.
«Non mi piace» ripeté con tono infastidito.
Questa volta Koala lo assecondò. «A me sembra una persona perbene.» Nascose le mani nelle lunghe maniche e si avvicinò ad Izou camminando lenta, la testa appena inclinata in una muta domanda, o forse solo con una punta di divertimento. Tutti e due si misero a fissare il ragazzo biondo che in quel momento stava annuendo mite a qualcosa detta dal capo clan Kakumei. Poi, forse sentendosi osservato, girò la testa giusto in tempo per vedere due paia di occhi che lo squadravano indecifrabili. Alzò un sopracciglio e, quasi sussultando, gli altri scostarono lo sguardo.
«Non parlavo di lui nello specifico, e lo sai.» Izou decise di ignorare il lieve sospiro dell’amica. «Ho sentito le voci. Il Clan Shirohige non è più affidabile come un tempo. E adesso che il loro capo clan è malato, inviano i loro discepoli a formare le Squadre d’Alleanza. Quanto ci scommetti che l’idea non è stata neanche del capo clan? Lo fanno solo per assicurarsi delle amicizie ma non hanno niente da offrire! Non mi piace, non mi piace per niente. Ahi, Koala! Fa male!» Cercò di liberarsi l’orecchio mentre Koala lo trascinava sempre più lontano dai due superiori e dal biondo, lontano da orecchie che potessero pensare male del suo sfogo.
«Sai quanto me che la situazione non è così semplice» lo rimproverò senza durezza «Hai sentito cosa stanno facendo i Kurozumi a nord? È normale che il Clan Shirohige cerchi di stringere alleanze. Ho sentito zio Dragon qualche tempo fa,» e scosse la testa pensierosa, abbassando la voce, «la guerra è alle porte. Qualche anno al massimo.»
Izou lo sapeva. Lo sapevano tutti. I comportamenti del Clan Kurozumi si facevano ogni giorno più insopportabili ed era solo questione di tempo prima che trovassero il pretesto per dichiarare guerra. Si sistemò l’arco con un gesto nervoso mentre Koala lo prendeva per le spalle e lo rigirava verso il capo clan Kakumei proprio mentre faceva segno di avvicinarsi. Iniziò a spingerlo nella direzione giusta e si alzò sulle punte per parlargli all’orecchio senza darlo a notare: «E poi, non possiamo certo fargliene una colpa se è uno Shirohige. Ci limiteremo a tenere gli occhi aperti e sperare che meriti la nostra fiducia.»
Tra i soliti inchini di cortesia, Dragon fece le presentazioni. Il nuovo arrivato si chiamava Marco e tutti si auguravano che si sarebbe facilmente integrato nel gruppo. Essendo uno dei figli del capo clan Shirohige, Koala lo avevano già incontrato in passato in una missione o nell’altra, ma non poteva certo dire di conoscerlo: tanto che il capo clan Kakumei fin da subito suggerì a tutti e tre di restare a Baltigo per conoscersi meglio, almeno fino a che non avrebbero ricevuto la loro prima missione. Poi, si sarebbero comportati come una normale Squadra d’Alleanza: si sarebbero spostati in base al luogo che chiedeva di loro, alternandosi tra il quartier generale dei Kozuki e dei Kakumei per riposarsi. Non degli Shirohige, specificò Squardo con una punta di altezzosità, poiché a Sphinx non c’erano problemi e dunque non c’era bisogno che degli estranei vi soggiornassero senza motivo. Inoltre la posizione geografica del territorio Shirohige era poco collegata al resto del continente, aggiunse Dragon nel tentativo di mitigare la situazione.
Il capo clan Kakumei non era estraneo alla diplomazia ma solitamente non lasciava correre offese del genere. Vedendo come avesse docilmente riappacificato i due fronti – Izou già aveva sulla lingua una sua personalissima rispostaccia – fu chiarissimo ai ragazzi quanto fosse importante appianare ogni incomprensione e garantire al meglio l’appoggio degli Shirohige, anche a costo di farsi scivolare addosso tali provocazioni. Era una novità, e Izou non poté che provare un moto di stizza nei confronti di un comportamento tanto passivo. Squadrò con astio il nuovo arrivato, nella cui espressione non riusciva però a trovare neanche una punta dell’altezzosità del suo superiore. Allora guardò Dragon che, finito di parlare, scambiò giusto un’occhiata con la fidata nipote prima di accomiatarsi insieme a Squardo.
Rimasti loro tre, Izou si concesse di osservare con attenzione il nuovo arrivato. Aveva soltanto una sacca sulla spalla, e indossava una casacca azzurra dall’aria comoda, stretta in vita ma lunga fino a metà coscia, e un paio di pantaloni più scuri come anche le scarpe. Se non si contavano le maniche corte e il taglio tipicamente maschile degli abiti, per certi versi gli ricordavano ciò che indossava Koala: prima ancora di chiederlo, seppe che era un esperto nel corpo a corpo come la sua amica. Quasi a confermarlo, l’istante dopo notò che non portava armi a eccezione di una katana il cui fodero – blu e giallo – teneva appeso alla cintura.
Ma dopo la rapida occhiata che faceva istintivamente a chiunque gli si presentasse davanti, Izou si accigliò. Non aveva mai visto una persona con i capelli tanto corti: riusciva a malapena a tenerli legati in un codino, che dalla nuca si sparava in tutte le direzioni. Izou sapeva che un’acconciatura tanto inusuale solitamente lo avrebbe incuriosito e basta, eppure il semplice fatto di essere l’acconciatura di uno Shirohige bastava a renderlo un motivo per diffidare di lui. Perché mai li aveva tanto corti? Era per differenziarsi dal resto del mondo, per far vedere come gli Shirohige fossero superiori? Neanche sapeva se il resto degli Shirohige li aveva corti come lui, in realtà. Squardo no. Ma tant’è.
E voleva quasi farglielo presente, che aveva dei capelli assurdi, ma guardandolo in volto trovò un’espressione che proprio non voleva saperne di essere antipatica o anche solo minimamente presuntuosa. E Izou poteva essere acido quanto voleva, ma persino lui sapeva che un’offesa così di punto in bianco era qualcosa privo di senso, nonché fuori luogo. Avrebbe aspettato l’occasione giusta per fargli capire quanto poco si fidasse di lui.
Intanto Koala aveva iniziato a parlare, a presentare Baltigo e il campo d’addestramento e tutte le informazioni necessarie a farlo sentire a suo agio, e camminando affianco a lei, abbassando lo sguardo alla sua testa che oscillava qua e là nell’indicare tutte le varie costruzioni – la staccava pur sempre di una spanna abbondante –, non riusciva a non chiedersi se fosse necessario trattare così bene il nuovo arrivato.
Nuovo arrivato che, però, sembrava voler apparire una brava persona a tutti i costi. E infatti dopo aver scambiato qualche parola con Koala si assicurò di non ignorare nessuno dei suoi compagni. «Sei del Clan Kozuki, giusto?» La sua voce era calma e gentile, e sembrava celasse una carica di energia pronta a uscire.
Izou spostò lo sguardo verso di lui, vedendolo che allungava il collo per superare senza difficoltà l’esigua altezza della testa di Koala. «L’ha appena detto il capo clan Kakumei. Non stavi ascoltando?» Ignorò stoicamente la gomitata che Koala gli rifilò al fianco.
«Sì che ascoltavo» incassò senza mutare l’espressione. «È che non ho mai visto un Kozuki prima d’ora. Conoscevo la vostra eleganza solo per sentito dire.» Mentre Izou inarcava un sopracciglio, Marco sembrò accennare un altro inchino prima di accorgersi di essere eccessivamente formale e limitarsi a un “Non vedo l’ora di lavorare con te”.
Era senza parole. Non lo stava prendendo in giro. “Conoscevo la vostra eleganza solo per sentito dire”? Chi, parlando del Clan Kozuki, avrebbe pensato alla loro eleganza prima del fatto che erano un clan nato dalla polvere, quasi un gruppo di banditi rispetto agli altri? Che per questo non aveva mai partecipato a una conferenza e, non fosse stato per i Kakumei, neanche a delle missioni a più clan?
Nessuno, nessuno avrebbe mai complimentato i Kozuki per la loro attuale eleganza senza fare in qualche modo riferimento alla povertà passata, che fosse con un commento, una risata di scherno o qualsiasi cosa che dicesse al mondo “Non montatevi la testa, solo perché avete un bel kimono non vuol dire che siate importanti quanto me!”. Nessuno. E se lui l’aveva fatto, ah!, che modo meschino di comprarsi la sua amicizia! Non sarebbe mai cascato per…
«Anche noi siamo incuriositi dal lavorare con uno Shirohige» Con un’occhiata d’avvertimento e un’altra gomitata, Koala prese le redini della situazione sorridendo amabilmente. Mai dal suo tono si sarebbe potuta intuire anche solo una briciola della diffidenza che in realtà provava. Perché la provava, no? Sicuramente la provava. Ma in quanto nipote del capo clan, sapeva come far uso della diplomazia. Ecco. «Beh, ci vorrà un po’ per ristabilire gli equilibri nella squadra» commentò infatti ad alta voce.
Marco sembrava non aspettare altro per domandare di più: «Vi conoscete da tanto? Tu e Izou.»
E alternava lo sguardo, su e giù, giù e su, da lui a Koala. Ma che aveva da fissare così?! Con quello sguardo penetrante poi, manco volesse strappargli l’anima! Gli faceva venire un brivido lungo la schiena… «Da quando siamo alti così» sorrideva Koala gesticolando con la mano «I Kozuki e i Kakumei sono alleati da diversi anni. Anche prima dei problemi a nord, sia il mio che il suo clan hanno ospitato più volte i discepoli dell’altro. Potrei dire che siamo cresciuti insieme.» E intanto la sua mano destra si fermò sulla manica di Izou, stringendo quel tanto che bastava per riportarlo in sé e tranquillizzarlo anche se Izou non era proprio sicuro che avesse percepito il suo nervosismo. Ma probabilmente sì, alla fine era di Koala che parlava. Ricambiò la stretta con finta distrazione e si mise invece a fissare Marco, pur avendo l’impressione che lo stesse già facendo da un bel po’ di tempo. Ma voleva rendere chiara la sua posizione.
«Altro che “potrei dire”, Koala. È così.» si accigliò senza distogliere lo sguardo, e intanto la strinse a sé. «Non so chi sia più importante tra te e Kiku.» E poco importava che Marco non conoscesse Kiku, perché sicuramente aveva recepito. Non si doveva azzardare a toccargli Koala.
«E Momo dove lo lasci?» Rise spigliata con una punta impercettibile di nervosismo, schiaffeggiandolo con affetto sul collo. «Poverino! Kiku e Momo sono i suoi fratelli, comunque, entrambi più piccoli. Poi c’è Denjiro che è più grande anche di Izou.» La sentì allargare il ghigno senza neanche guardarla. «Ma mentalmente, senza quella santa di Kiku sarebbero un branco di bambini di tre anni.»
«Koala!»
«Provaci a negarlo! Tanto prima o poi verrà a Kuri e li conoscerà di persona, che male c’è se lo preparo mentalmente?» Izou aprì la bocca indignato, ma poi la richiuse con un’ombra sugli occhi. Troppo presto. Era troppo presto per mettersi a discutere con Koala, non perché discutere con Koala fosse un problema visto che non era una vera discussione, ma perché farlo significava buttare via i suoi filtri ed era presto, troppo presto per farlo con uno sconosciuto che aveva la fortuna o sfortuna di lavorare insieme a loro. E anzi si sentiva nervoso, all’idea che sapesse già nomi, età, per poco cibo preferito dei suoi fratelli, delle persone a cui teneva più di ogni cosa al mondo. «Ma tornando a noi! Marco hai visto solo il campo d’addestramento, sicuramente morirai dalla voglia di vedere il resto di Baltigo!»
E la mano di Koala era di nuovo lì sulla sua manica, a trasmettergli quel senso di sicurezza che in quel momento proprio gli mancava e a garantirgli che forse, solo forse, abbassare la guardia non sarebbe stato fatale. E si fidava dell’istinto di Koala, si fidava eccome, ma i campanelli che gli trillavano in testa erano terribilmente difficili da ignorare. Poteva però scuotere la testa, almeno metaforicamente, e distrarsi.
Dopotutto di distrazioni, a Baltigo, ce n’erano tante. Il quartier generale del Clan Kakumei era come i suoi abitanti: colorato ma professionale. Tra un chiosco di polpette e un venditore ambulante di aquiloni, Koala salutava ufficiali e comandanti a destra e a manca, che riuscivano a non perdere l’aria autoritaria anche in mezzo a tanto frastuono. A Izou capitava spesso di pensare che Koala sarebbe stata un perfetto capo clan, o quantomeno un dignitoso ufficiale. C’era ancora tempo per tali ambizioni, lo sapeva, eppure non riusciva a pensare a una persona più adatta che potesse un giorno prendere il posto di Dragon. Non era certo il tipo da ammetterlo ad alta voce ma ammirava moltissimo le sue capacità di analisi e azione, e aveva l’impressione che la variopinta e articolata organizzazione dei Kakumei fosse il luogo ideale in cui le sue aspirazioni potessero trovare spazio. Ne era più convinto ogni volta che la vedeva discutere di un piano o una strategia nel bel mezzo del trambusto generale, con quell’abilità di focalizzarsi sulla missione senza perdere di vista il quadro d’insieme che tanto le invidiava ma di cui andava anche tanto fiero.
Beh, non che c’entrasse nulla, lui. Però la voglia di mostrare al mondo la sua migliore amica, metterla su un piedistallo – perché piccolina com’era, da terra non l’avrebbe vista nessuno – e gridare a tutti di ascoltarla, la voglia che tutti le recassero il dovuto rispetto era tanta. Così avrebbe potuto prendersi ciò che le spettava, che neanche lui sapeva cos’era ma sicuramente era qualcosa di grande.
Voleva esprimere i suoi pensieri ad alta voce, tanto per chiarire un altro po’ la gerarchia, ma guardando verso Marco lo vide molto preso a guardarsi intorno. Era probabilmente troppo interessato al nuovo ambiente per fare complicati ragionamenti su quanto Koala bene si inserisse nel contesto politico dei Kakumei, questo decise tra sé e sé mentre rinunciava al proposito. Per il momento. Anche perché Koala glielo avrebbe fatto capire da sola e senza neanche farlo apposta.
E poi era quasi divertente vederlo storcersi il collo per cercare di osservare ogni dettaglio di ogni angolo di Baltigo. Izou non era mai stato nel territorio del Clan Shirohige né desiderava andarci, ma non aveva dubbi che qualunque fosse il panorama che Marco poteva gustare ogni mattina, era molto diverso da Baltigo. Qualsiasi luogo era molto diverso da Baltigo, dopotutto.
Le mani infilate nelle maniche, lo sguardo severo e la mente persa in mille ragionamenti, cullato dal chiacchierare di Koala, ci mise un bel un po’ ad accorgersi – con orrore – che si stavano dirigendo verso i dormitori maschili dei discepoli. Si voltò verso Marco, e si ricordò che sì, era un maschio.
Le stanze dei dormitori degli ospiti avevano spazio per quattro futon. Izou condivideva la sua attuale stanza con Usopp e Shachi. Dunque, se non si ingannava, restava un futon libero.
Come sconvolto all’idea, si schiarì la gola per attirare l’attenzione di Koala. Quando catturò il suo sguardo, si limitò a muovere gli occhi a destra e a sinistra, occhieggiando prima il dormitorio, poi Marco, poi, in qualche modo, sé stesso, di nuovo il dormitorio e infine scosse piano la testa.
L’occhiata di Koala fu molto più semplice e chiara: “Assolutamente sì.”
Ah no no no! Già mal sopportava condividere la stanza con due quasi estranei, figuriamoci un terzo intruso spuntato da chissà dove!
“Mettilo da qualche altra parte!”
“Fuori discussione. È il modo migliore per conoscerlo meglio.”
“Ma certo! È anche il modo migliore per essere ammazzato nel sonno!”
Ma Koala sembrava non aver compreso l’ultima risposta, o di averla deliberatamente ignorata. Si voltò proprio mentre indicava a Marco la porta del dormitorio. «Dragon-sama ha suggerito di farvi condividere la stanza, così potrete conoscervi meglio.» A Izou non sfuggì affatto come avesse calcato il nome di suo zio. Un messaggio per lui. Forse. Probabilmente.
Era vero? Era una menzogna inventata sul momento? Izou era sicuro soltanto che non si sentiva affatto sicuro. Marco, intanto, era entrato e aveva posato nell’unico angolo libero il suo bagaglio. Si rialzò in piedi, guardò per qualche secondo fuori dalla finestra, poi si rigirò verso Koala e Izou: «E adesso, cosa dovremmo fare?»
 
 


Nei seguenti giorni, i tre avevano fatto quasi tutto insieme. Mangiato insieme, studiato insieme, lavorato insieme, meditato insieme. Izou era sopravvissuto alla prima notte. E anzi, dalla seconda notte in poi si era perfino rilassato tanto da addormentarsi. Sembrava che Marco non fosse intenzionato a ucciderli. E se Izou non fosse stato così convinto di trovarsi di fronte a un nemico, avrebbe anche potuto trovarlo piacevole fin da subito.
Non che dopo solo una settimana lo trovasse piacevole, eh! Anzi. Affatto. Semplicemente non era una minaccia, non di quelle che lo avrebbero fatto fuori alla prima occasione. Ma era presto, era troppo presto per deliberare qualsiasi cosa. Tolta la possibilità dell’assassinio, si spianava la strada dello spionaggio.
«Com’è il cibo a Kuri? Piccante come qui?»
Ecco appunto. Subito Izou alzò lo sguardo dalla pergamena – fingendo al contempo di essere stato distratto dalla lettura invece che dall’ennesima sfilza di paranoie mentali – mentre Marco, allontanandosi dalla finestra della loro camera a cui era affacciato fino a poco prima, finiva di mangiare uno spiedino di quelle che sembravano piccole palline di pane coperte di salsa rossa. E attendeva una risposta. Non era affatto la prima volta che faceva domande su di lui, su Koala, sui luoghi in cui vivevano. Cosa gliene importava? In che modo potevano essergli utili? Possibile che fosse davvero solo interessato a conoscerli?
Come quando aveva chiesto di spiegargli il funzionamento delle loro armi. Che non l’aveva mai visto, un flauto incantato? Utilizzare gli strumenti musicali per incanalare e indirizzare l’energia era uno dei metodi più famosi non solo tra i Kozuki ma in tutti i clan. Anche Koala integrava nel suo stile di combattimento i due piccoli tamburi che le aveva donato Dragon chissà quanto tempo prima. Esattamente come lui si alternava tra il tiro con l’arco e il flauto. «Il cibo…?» Borbottava intanto più a sé stesso che ad altri. Non riusciva proprio a vederla come un’informazione che potesse usare contro di lui. «È più semplice. Riso, oden, panini al vapore…» Marco restava immobile e Izou ebbe l’impressione che non fosse soddisfatto dalla risposta. Reprimendo una punta di fastidio allo stomaco, alzò gli occhi al soffitto come alla ricerca di qualche ricordo particolare. L’immagine di un grande calderone pieno di zuppa, con attorno i Foderi Rossi – la sua famiglia – impegnati a riempirsi le ciotole gli scaldò il cuore per un breve momento. «E tanta carne.» Concluse poi rinunciando a fornire altri dettagli, e annuì a sé stesso. Nessuno più di loro era esperto nella caccia.
«Mh, sembra forte» commentò solo Marco mentre si sedeva di fronte a lui, poggiando i gomiti sul tavolo e alternando lo sguardo da Izou alla pergamena. Allora Izou si ricordò della recita e gettò anche lui uno sguardo alle scritte, fingendo di cercare il punto in cui era stato interrotto. «Da me invece, tanto pesce. Solo pesce, in realtà» stirò le labbra in un sorriso «Viviamo sul mare.» Sembrava avesse finito di parlare, poi all’improvviso alzò le sopracciglia. «L’hai mai visto, il mare? So che Kuri è su una montagna, quindi…»
«Mai visto» confermò Izou srotolando un altro po’ dello scritto ma lasciando lo sguardo su di lui. «Com’è?» Pensava che sarebbe riuscito a fargli tante domande senza neanche rivelare qualcosa su di sé? Ah, povero illuso!
Rimase di stucco quando lo sguardo calmo di Marco sembrò illuminarsi. Non l’aveva mai visto così. «Ah, il mare… È la cosa più grande e potente del mondo.» Non che in una settimana avesse visto chissà che repertorio di espressioni, considerò tra sé e sé, ma quella passione proprio… «All’inizio sembra solo una distesa blu, poi più lo osservi più ti accorgi che in realtà ha mille colori, mille abitanti, mille modi di presentarsi agli altri. A volte è un’onda delicata che lascia solo un’impronta sulla sabbia, a volte è un abisso che inghiottisce tutto ciò che trova.»
«Mi piacerebbe vederlo» La risposta gli uscì dalle labbra senza volerlo. Si schiodò solo quando un angolo del cervello gli ricordò di guardare la pergamena, ma non lo ascoltò. Ormai non avrebbe avuto senso. Ma aveva appena abbassato la guardia di fronte a Marco, e se non poteva rimangiare ciò che aveva detto, poteva perlomeno sedersi più dritto e fingere indifferenza. Era pur sempre un estraneo, la persona che si trovava di fronte. Un estraneo con cui condivideva la camera da una settimana e con cui, salvo imprevisti, avrebbe condiviso camere e giornate e pasti per il resto della carriera. Ma pur sempre un estraneo.
Marco comunque sembrò non accorgersene e stirò appena il suo sorriso gentile, girando la testa verso la finestra. «Prima o poi dovete passare a Sphinx. Sia tu che Koala. Il mare… va visto almeno una volta nella vita.»
Oh sì, così avrai la scusa perfetta per darci in pasto ai… mostri marini. Esistono mostri marini, sì?
Ma non aveva neanche fatto in tempo a formulare il pensiero né a esprimerlo sotto forma di battuta sarcastica che la voce di Koala risuonò fuori dalla finestra. Sventolava una pergamena semi aperta e quando i ragazzi si affacciarono la lanciò nella loro direzione. «Pare che in un villaggio non molto lontano ci sia un fantasma vendicativo che sta causando problemi. La nostra prima caccia insieme!»
 
 


«Poi, due anni dopo…» «Aspetta, aspetta, come due anni dopo? E la loro prima caccia?»
Il veterano si grattò la benda sull’occhio. «Non ho mai saputo cosa sia successo in quella caccia.»
Il ragazzo sembrava molto deluso. Il secondo veterano borbottò qualcosa fra sé e sé, ma il giovane si rivolse ancora all’uomo con la benda. «Passano due anni senza niente di interessante?»
«Che sia successo o meno qualcosa di interessante, non lo so» alzò le spalle l’altro «e ho detto due anni come avrei potuto dire tre, o quattro. È tutto diviso in diversi racconti, se vogliamo chiamarli così. Quello che so, è che dal prossimo racconto in poi Izou si fida di Marco.»
«Ma come! E tutta quella diffidenza che fine ha fatto? Che senso ha raccontare una storia del genere senza spiegare come si evolvono i sentimenti delle persone?» Quando un paio di uomini dal gruppo lo scrutarono minacciosi, il ragazzo si accorse di aver alzato troppo la voce. L’uomo con la benda però sembrava non averci fatto caso e si passò la mano sul mento borbottando.
«Sono d’accordo con te. Ma non ho proprio idea di cosa…»
«Io credo di saperlo.» Il secondo veterano aveva ancora lo sguardo corrucciato come se fosse estremamente concentrato. «Nella versione che conosco, c’è la diffidenza di Izou per Marco. E c’è anche spiegato quando la diffidenza inizia a diminuire. Solo che…» Alzò un sopracciglio come se neanche lui credesse a ciò che stava per dire. «La storia che conosco è raccontata da Marco.»
I quattro rimasero in silenzio. Soltanto l’uomo con la benda sembrava aver capito la faccenda e sogghignava sotto i baffi. «Penso proprio che in seguito potrai raccontarci la tua versione» fece al secondo veterano «ma prima, lasciatemi terminare la mia.»
Nessuno ebbe da obiettare.
«Vi dicevo, due o tre anni dopo…»
 
 


«Secondo me dovresti tagliarli.» «Secondo te tutti dovrebbero tagliarli.»
«Beh, è vero.» Alzò il braccio per prendere tra le dita una ciocca di capelli corvini, solleticandoci gentilmente il naso di Izou. «Se non fossi rimasto incastrato proprio a causa dei capelli lunghi, non avresti avuto problemi. E adesso non avresti la metà destra corta la metà della sinistra.»
«Ah, non ricordarmelo!» Scosse la testa esasperato, arrancando passo dopo passo verso Kuri, e sentendo la risata di Koala si voltò alla sua sinistra. «Secondo te posso sistemarli acconciandoli in qualche modo?»
Lo sguardo critico di Koala bastò come risposta. «Devi tagliarli.»
Izou alzò la testa con un lamento disperato. Lo sapeva, lo sapeva che doveva tagliarli! Ma mica c’era il bisogno di dirlo così duramente! Rimase con lo sguardo puntato verso l’alto, ondeggiando a ritmo dei passi, un mugugno strascicato sulla labbra. Era primavera, e si lasciò incantare dalla chioma colorata e familiare dei ciliegi sotto cui stavano camminando. Era da un po’ che non tornavano a Kuri.
Come da abitudine, elencò le cose che voleva fare. Aveva proprio voglia di rivedere Kiku e Kin, di godersi una buona ciotola di oden e insegnare a Marco a cucinarlo una volta per tutte. Ne parlavano da tanto, ma non erano mai riusciti a metterlo in pratica: vuoi le tante soste a Baltigo, vuoi il numero crescente di missioni, sembrava non esserci mai un momento di riposo. Eppure, dal poco che aveva visto, gli era sembrato che a Marco piacesse molto Kuri. Forse perché era meno caotica di Kakumei, più vicina all’idea di “casa”, quella confortevole e gentile che sembra abbracciarti quando ci entri. Baltigo, beh… più che un abbraccio, di solito regalava un concentrato di adrenalina. Izou non era ancora stato a Sphinx ma sentiva che, nonostante una fosse sul mare e l’altra in montagna, qualcosa in comune con Kuri ce l’aveva.
Il rumore della Fushichou*** estratta dal fodero.
E poi, Marco doveva sicuramente essere bravo a cucinare. A cucinare per davvero, non a riscaldare le razioni che si portavano dietro in missione o a preparare un po’ di the. Aveva avuto questa impressione fin dall’inizio. Quasi dall’inizio. L’impressione iniziale era che fosse una spia senza cuore e indegna di fiducia o qualsivoglia confidenza, ma se quest’ultima era svanita nel corso del tempo, quella sulla cucina riusciva ancora a convincerlo. Forse cucinava per la famiglia? Gli aveva detto una volta di avere tanti fratelli, quindi…
Zac, zac, zac.
Il rumore di capelli sul filo di una spada.
«Che… che-che-che stai facendo???» Gli occhi sgranati al riconoscere il suono, Izou fece un salto di un metro e si portò la mano alla testa come gliel’avessero appena mozzata, salvo poi accorgersi che i capelli tagliati non erano i suoi. «Che stai facendo?!» Alzando in qualche modo la voce di un’altra ottava, fissò a bocca aperta Marco.
Zac zac zac, con pochi precisi tagli aveva accorciato la chioma bionda che, nonostante i suoi discorsi sulla presunta comodità di un taglio corto, aveva lasciato crescere negli ultimi anni e poteva quasi definirsi lunga. Poteva, appunto. Adesso gli arrivava a malapena al collo, lasciando dietro di sé una scia di ciocche paglierine.
«Non volevo che fossi l’unico a doverli tagliare.» Come fosse la cosa più naturale del mondo, Marco rinfoderò Fushichou, si ravvivò i capelli con le mani e, sollevato un sopracciglio, si voltò a guardare Izou ancora in stato di catalessi. «Sono tanto brutti?»
«No, mi piacciono, io…» Sentì le orecchie andare a fuoco. Cosa? Cosa aveva detto? Non aveva neanche bisogno di guardare Koala per sapere che stava trattenendo una risata con tutta sé stessa. E anche se non ne aveva bisogno la guardò lo stesso, e la ritrovò con gli occhi sgranati dal divertimento e un pollice in su. Incapace di elaborare oltre, il cervello di Izou tornò indietro. «Cosa hai fatto…!» Riuscì solo a ripetere senza parole.
Poi, spinto dal bisogno di aria nuova, mosse dei passi in avanti. Solo dopo si accorse che si stava muovendo in direzione di Marco e si impanicò. « poi con una spada!» allungò il braccio con foga. «Scommetto che sono tutti… ah, invece no.» Si era aspettato di trovarsi tra le dita ciocche irregolari e mal tagliate, invece non poteva che definirlo un bel taglio.
Marco si portò una mano dietro la nuca dimenticandosi che la mano di Izou era ancora lì. Quando lo loro dita si sfiorarono, entrambi riportarono le mani al loro posto. Izou trattenne il fiato mentre le sue dita pizzicavano come se le avesse strusciate sull’ortica. Ma forse era ingiusto come paragone, perché l’ortica faceva davvero, davvero male e invece quello che sentiva sulla mano era davvero, davvero… «Li ho sempre tagliati con la spada, sia a me che ai miei fratelli, quindi…»
«Oh! Tagliali anche a me!» Di nuovo, le parole gli uscirono dalle labbra prima che potesse controllarle. Come poteva sistemare? Veloce, Izou, veloce! «Cio-cioè! Così potrò vantarmi di essermi tagliato i capelli con una spada… due volte» concluse poi aggrottando le sopracciglia. Eh già. Era stata proprio la spada di Marco a liberare i suoi capelli sacrificandone metà.
Marco sorrise appena. «Certo»
E Izou, perdendosi in quel sorriso, non ebbe modo né motivo di aggiungere altro.
Quando arrivarono ai cancelli di Kuri, c’era una sorpresa ad attenderli. Appoggiato alla sua spada con l’aria cupa, Squardo osservò i tre ragazzi che entravano in città e fece cenno a Marco di avvicinarsi. Non appena lo riconobbero, sia Izou che Koala sembrarono rallentare il passo anche se Izou ebbe l’impulso di scappare. Squardo significava cattive notizie. Che fossero per lui o per Marco cambiava poco. Alla fine si limitarono a passargli accanto, salutandolo quel tanto che bastava per non risultare maleducati. Marco si fermò a parlarci.
Poco lontano da lì, trovarono Oden con le mani sui fianchi e un velo di preoccupazione nel perenne sorriso. Lo sguardo ancora rivolto verso il cancello come se fosse rimasto a lungo a riflettere.
«Che succede, Oden-sama?»
Oden alternò lo sguardo tra i due ragazzi. Alla fine si fermò su Izou. «Gli Shirohige stanno riprendendo i propri discepoli. Marco non può più restare a Kuri.»
Il terreno sembrò cedere sotto i piedi.
Marco tornava a Sphinx.
Da solo.
«Per… per quanto tempo?»
Non aveva davvero bisogno di una risposta, ed era certo che sentirselo confermare non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. E invece la situazione peggiorò ancora prima, quando lo sguardo di Oden si oscurò e Izou sentì la sua mano circondata dalla piccola e forte stretta di Koala.
«Mi dispiace, figliolo. Non è previsto un ritorno.»
 
 


Zac. Zac. Zac. La Fushichou tagliava rapida e precisa le ciocche corvine. A occhi chiusi, Izou si perse nel lieve solletico e solo per un attimo si dimenticò dei problemi.
«Un giorno vi porto a Sphinx» Aveva ormai imparato a riconoscere la tristezza nella sua voce. Gli si strinse il cuore.
«Mh. A vedere il mare.»
Zac. Zac. Zac.
«Per questo non mi dispiaceva l’idea di tornarci. Per portarti… portarvi lì.» Le sue mani si fermarono a carezzare una ciocca, pettinandola con le proprie dita. «Però, adesso…»
Non aveva bisogno di voltarsi per sapere che aveva lo sguardo rivolto verso il nulla. Allungò una mano e gli strinse debolmente il polso. Era così abituato ad averlo attorno… E quel solletico… «Però è casa tua, no?»
«Sì.»
Quel solletico che sentiva sempre quando lo sfiorava, quando sarebbe tornato? «Quindi ti farà piacere tornare anche se sarai da solo, no?»
Non rispose.
Izou non riuscì neanche a sospirare.
Zac. Zac. Zac.
«Kurohige ha preso il posto di papà, ormai.»
Annuì piano. Lo sguardo gli rimase sul pavimento. Ecco perché tanta fretta nel riprendere i discepoli. Cambio di capo, cambio di equilibri. Tanti saluti alle Squadre d’Alleanza. Tanti saluti ai rapporti indesiderati con altri clan. Anche se non era stato ufficializzato niente, Kurohige aveva già iniziato a muoversi. Che fosse una minaccia per l’Alleanza, o quantomeno una presenza instabile e confondente, si sapeva da anni.
Marco passò un’ultima volta le dita tra i capelli di Izou e glieli lasciò cadere davanti le spalle. Poi prese uno specchio e glielo passò. Quando si osservò e stirò un sorriso annuendo, l’altro prese un elastico e glieli legò. Riusciva a malapena a fare un codino. Non desiderava altro che le sue mani ancora su di lui.
«Quando sei arrivato, c’erano brutte voci sugli Shirohige» riprese dal nulla «e non mi fidavo di te.»
«Lo so.» Rispose semplicemente. Che lo sapesse, d’altronde, non era un segreto per nessuno. Ci erano voluto anni affinché i loro sentimenti mutassero per un’altra direzione. Quale fosse, ancora non era chiaro.
«E la situazione nel tuo Clan è andata sempre peggio. Pensi che in futuro potrebbe diventare un problema per l’Alleanza?»
E tornava ancora a toccarlo, e ancora non riusciva ad allontanare le sue mani dai suoi capelli, dalle sue spalle. «Sì.»
Poteva davvero permettere lasciarlo andare così? Mandato in un covo di lupi con la scusa di essere portato a casa?
«Pensi che in futuro potrò fidarmi di te?»
Un tocco leggerissimo. Sentì la fronte di Marco sfiorargli i capelli, il suo respiro sulla nuca. La sua voce gli solleticò le orecchie.
«…Sì.»
Bastò quello. Bastò quello per sospirare di sollievo anche mentre Marco se ne andava.
 
 


Il Grande Vertice dei Clan, più semplicemente detto Vertice, di solito era un evento grandioso. Esuberanti feste, parate, spettacoli teatrali di ogni cultura e tradizione, addirittura eventi di competizione sportiva per favorire le amicizie tra i clan. Con la tensione della guerra alle porte, però, il carattere dell’incontro era più orientato sul semplice incontro diplomatico. Gli organizzatori si erano limitati ad allestire soltanto uno degli eventi che solitamente accompagnavano la settimana di lunghe e complesse riunioni.
Non erano mancate lamentele per la perdita di tempo che una sfida di tiro con l’arco avrebbe comportato, ma il clan Foosha che ospitava il Vertice era stato irremovibile. I Kakumei, da sempre loro amici, non potevano trovarsi più d’accordo con loro: il Vertice era sempre stato motivo di festa, e un po’ di sana competizione non avrebbe fatto altro che rallegrare gli animi di tutti.
«Izou, Izou, hai visto Koala-chan? Non la trovo più!»
Izou non era esattamente dello stesso avviso. Non era mai stato un grande amante delle folle, specie se riunite per il solo motivo di celebrare un incontro che di pacifico aveva poco. Fosse stata una festa vera e propria, già l’avrebbe vista diversamente.
“L’importante è fare qualcosa tutti insieme, mostrare che siamo uniti!” Le spiegazioni di Koala erano assolutamente sensate, ma non riusciva a non guardare con fastidio la moltitudine di persone che entrava nella foresta al suono del fischio d’inizio.
Avrebbe volentieri fatto a meno di partecipare, ma era pur sempre uno tra i migliori arcieri Kozuki: non aveva molta scelta. Così si accostò alla sorella proprio mentre lei lo strattonava per la manica. «Sì, sì, ti ho sentito. L’ho intravista prima tra i discepoli dei Kakumei. Tranquilla, la incontreremo durante la gara.»
E già incoccava la prima freccia, pronto a colpire.
Gli obiettivi delle gare non erano normali bersagli, bensì i fantasmi e mostri presenti nell’area di caccia: un debole, forse inutile tentativo di ricordare che prima di combattere tra uomini, i clan erano nati per proteggere le persone dalle minacce sovrannaturali.
Izou scelse una strada a caso e iniziò a camminare inoltrandosi nel bosco. Ogni fantasma, un colpo; nonostante Kiku fosse più esperta nella scherma, il fratello aveva da sempre insistito affinché si allenasse anche nell’arco. Quando lavoravano insieme, i mostri di una semplice area di caccia non rappresentavano il benché minimo pericolo. Si misero a chiacchierare, e per forza di cose si trovarono a discutere dell’evento a cui stavano partecipando.
«Ho sentito che il capo clan Shirohige è venuto di persona al Vertice.»
Senza aver ancora sentito la presenza di un nemico, Izou incoccò una freccia. Sentiva lo sguardo della sorella fisso su di sé e scrutare la selva attorno a loro gli sembrò il metodo migliore per levarsi dall’impiccio di incrociare i suoi occhi.
«E allora?»
Ma chi prendeva in giro? Il pensiero di Izou era volato a Marco al solo sentire la parola “Shirohige”. Trattenne il fiato mentre Kiku accanto a lui soffocava una risata di scherno con il preciso intendo di imbarazzarlo. Ma non poteva essere più fuori strada di così.
Aveva perso il conto dei giorni, settimane anzi mesi che non vedeva Marco neanche di sfuggita. Gli Shirohige si erano come rintanati nei loro territori, uscendo il meno possibile e svolgendo missioni che richiedessero il minimo appoggio degli altri clan. Era preoccupato per lui, inutile negarlo. Anche tanto.
«Ma niente. Però deve essere una cosa buona per Marco, no?»
Ma se il capo clan si era rimesso abbastanza da partecipare a un incontro di tale importanza, allora forse la situazione era migliorata. Se era in forze, se era in grado di contrastare quel figlio ingrato che da anni ormai usurpava la sua posizione, se dei discepoli l’avevano accompagnato al Vertice, e adesso stavano partecipando alla gara…
Stava per rispondere quando un’ombra tra le fronde attirò la sua attenzione. Quando spostò l’arco nella sua direzione, era già sparita. «L’hai visto?»
«Sì» rispose subito la sorella, immobilizzandosi nella direzione del rumore. Rimasero in silenzio per qualche secondo coprendosi le spalle a vicenda, scrutando attentamente la boscaglia davanti a loro col fiato trattenuto. C’era solo silenzio.
«Non è più qui.» Concluse infine Kiku.
Abbassarono la guardia senza perdere l’espressione concentrata. Il silenzio continuava, fin troppo. Qualche istante dopo, fu rotto da un rumoroso frusciare alla loro sinistra. Passi umani. Indecisi se rialzare le armi, si rimisero in posizione di attacco. Insieme ai passi arrivarono delle voci.
«’di là!»
«’ete! Sbrigatevi!»
Un gruppo di cinque o sei persone saltò fuori di corsa dai cespugli. Sembravano sul punto di ignorare Izou e Kiku e di andare avanti, ma un tremendo boato fermò i movimenti di tutti. Era così vasto che sembrava avesse coperto tutto il cielo; ci misero un po’ a capire che proveniva dal confine della foresta, con ogni probabilità nella zona cittadina di Foosha.
I due gruppi si scambiarono occhiate con la stessa quantità di diffidenza e indecisione. Dal gruppo più numeroso avanzò una testa bionda che salutò Izou con un inchino informale: «Hai visto una strana ombra passare di qua?»
Prima ancora di dover associare un volto alla voce, a Izou si era bloccato il fiato. E quando spuntò dal gruppo di ragazzi, per poco non barcollò. Perché era Marco, era indubbiamente Marco. Ma aveva l’aria più stanca che gli avesse mai visto addosso, come se avesse passato gli ultimi mesi senza chiudere occhio. I capelli appena più lunghi, i vestiti comodi sporchi di terra, il volto tirato e pallido, neanche cercò di forzare un sorriso. L’arco appeso alle sue spalle sembrava fosse sul punto di travolgerlo. Ma era lì. Era vivo, in piedi, e si erano incontrati di nuovo.
«L’abbiamo visto prima del tuono» rispondeva intanto Kiku «Ma è stato velocissimo. Credo sia andato di là.» Non appena alzò il braccio, il gruppo si fiondò nella direzione indicata profondendosi in rapidi ringraziamenti. Solo Marco restò indietro, come avesse raggiunto la sua destinazione, e nessuno si preoccupò di chiamarlo con loro.
Invece, macinò lentamente qualche passo verso Izou e si arrestò solo quando fu accanto a lui. Izou ebbe l’impressione che lo avesse salutato, ma non era abbastanza concentrato per ascoltarlo. Si risvegliò al vedere un sorriso tiratissimo far capolino dalle sue labbra smorte, e diede fiato alla prima cosa che gli passò per la mente. «Cos’era quell’ombra?»
Marco sospirò e scosse la testa, portandosi indice e pollice a massaggiarsi le palpebre, quasi inciampando nei suoi stessi piedi mentre faceva un altro passo. Kami, che gli avevano fatto? Non era certo sul punto di svenire sul posto ma Izou resistette a malapena alla tentazione di offrirgli un braccio a cui poggiarsi. L’avrebbe considerato scortese? Era una domanda un po’ stupida da farsi, se ripensava a quante volte si erano sorretti a vicenda durante le loro missioni. Si avvicinò appena, tenendosi pronto all’evenienza mentre ascoltava la risposta di Marco con un solo orecchio.
«Non lo sappiamo. Uno dei discepoli aveva portato un indicatore di energia negativa, e quando quell’ombra è passata sopra di noi ha iniziato a trillare come impazzito. Che si tratti di una minaccia o di un bersaglio, sarebbe comunque una buona cosa catturarlo» si strofinò di nuovo gli occhi «…ma non ho le energie per una caccia così impegnativa.» «Va tutto bene?» Finalmente le corde vocali erano in sincrono con il cervello.
Marco si appoggiò al suo braccio. Quando gliel’aveva offerto? Non riuscì a rispondersi. Qualcosa si propagò in tutto il corpo proprio mentre sentiva Marco che premeva appena con le dita. Solletico. Un brivido. A malapena si accorse di star trattenendo il fiato. Quel tocco era così familiare…
Si girò a guardarlo ed era così vicino, scuoteva la testa ma non l’aveva davvero scossa, come insicuro di voler negare, le sopracciglia incurvate, la mano libera a mezz’aria, in procinto di minimizzare ma senza farlo per davvero... «È il clan che…»
Un altro boato interruppe la sua risposta. Il terreno tremò e a Izou sembrò che Marco gli stesse scivolando via dalle braccia, via di nuovo. Ma era sempre lì, e quando trovò stabilità il suo sguardo era cambiato. Stava succedendo qualcosa. E Izou se ne sarebbe anche altamente fregato perché Marco era tornato e avrebbe voluto molto più tempo per rendersene conto, perché per giorni e settimane e mesi era rimasto così a corto del suo viso e del suo sguardo e dei suoi capelli e della sua flemma che quasi non se li ricordava più, ma Marco si stava già voltando indietro e stava dicendo qualcosa, probabilmente non a lui ma era pur sempre qualcosa. E Kiku li stava guardando, lo stava guardando, e capì che doveva riprendersi quando la vide inoltrarsi tra gli alberi di corsa, lasciandoli indietro.
Un altro boato.
Il bosco sembrò fremere in risposta. Stormi di uccelli si levarono in volo, versi di tutti i tipi si unirono al frastuono insieme a un brulicare di passi, foglie spostate, ringhi, guaiti. Doveva svegliarsi, doveva riprendersi. Ma prima…
«Koala?» Chiese senza apparente logica. Marco si girò a guardarlo socchiudendo appena gli occhi, come alla ricerca di una spiegazione che però neanche Izou stesso sapeva darsi.
«Si starà dirigendo anche lei verso Foosha. Sicuramente sta bene.» E qualcosa nel suo stomaco si alleggerì. Lasciò andare quell’improvvisa e irrazionale paura, quella parola che aveva iniziato a squillargli in mente e che Marco, in qualche modo, aveva intuito. E lui neanche riusciva a capire se stava bene…
Finalmente scosse la testa. Marco al suo fianco si adattò al passo, ancora saldamente arpionato all’avambraccio. Per un istante, Izou si convinse che era come avevano sempre fatto. Come una qualsiasi caccia. Come una delle tante insieme.
Quasi a volerlo contraddire, un altro boato rimbombò in tutte le direzioni, facendo loro tremare le membra. In cielo apparve una macchia nera, troppo ferma e uniforme per essere una nuvola. Spostandosi in una zona priva di fronde a coprire la visuale, Izou riconobbe che era un simbolo. Il marchio dei Kurozumi, che cupo e imponente faceva uno strano contrasto con l’azzurro invernale del cielo.
«Che ci fanno i Kurozumi qui?» Il suo tono era in allerta, indeciso se tenere lo sguardo in su o guardarsi intorno, come se potessero attaccarli da un momento all’altro. «Non avevano rifiutato l’invito?»
La presa di Marco sembrò farsi ancora più solida. «Io invece avevo sentito che non li avevano neanche invitati» lo informò a denti stretti. Aumentò il passo.
Poi, non ci fu più bisogno di camminare. Una voce risuonò direttamente dal cielo.
«Vi siete divertiti abbastanza con i vostri incontri segreti?» Il tono nasale del capo clan Kurozumi, Orochi, raggiunse le orecchie di tutti. «Con le vostre rimpatriate, le vostre feste, il vostro appoggio fraterno? Mi fate ridere. Davvero, sono io a divertirmi. Cosa pensavate di ottenere con questa bella riunioncina? Credete davvero che bastino un paio di strette di mano per rendervi alleati? Adesso ci penso io! Visto che siete tanto convinti che basti fingersi felici per far andare tutto bene, ve lo faccio vedere io com’è il mondo degli adulti! Com’è il mondo in cui vivete! Porto finalmente grandi, grandissime notizie!»
Il cielo sembrò farsi ancora più nero, i boati si sovrapposero. Gli occhi puntati verso l’alto, tutti non potevano far altro che ascoltare. «Visto che non siete in grado di far altro che pugnalarvi a vicenda e fingere che vada tutto bene, avete bisogno di un capo. Avete bisogno di qualcuno che possa guidarvi! Che possa gestire i vostri beni, allevare i vostri bambini, consolare le vostre donne! Il Clan Kurozumi è pronto a impegnarsi in questo nobile scopo. Annuncio quindi, al cospetto di tutti i clan, che il qui presente capo clan Kurozumi Orochi si considera, da ora e per sempre, possessore di tutti i territori a sud del territorio Kurozumi! Chiunque si opporrà sta consegnando la sua dichiarazione di guerra, è chiaro. Ma mi sento magnanimo! Lo faccio per il vostro bene, dopotutto. Quindi, tutti i Clan che in questo momento mi dichiareranno fedeltà saranno trattati con rispetto! Vogliamo solo i vostri territori e le vostre ricchezze, non le vostre vite!»
Non appena finì di parlare, sembrò scoppiare il finimondo. Forse era il bosco o forse era solo la testa di Izou, dato che non c’erano altri samurai nei dintorni. Ma c’era fermento nell’aria, questo potevano sentirlo entrambi.
Un istante dopo, un marchio blu apparse nell’aria. Gli Apoo si erano schierati con i Kurozumi.
Poi uno verde. Uno viola.
Marco trattenne il fiato. Guardava il cielo come fosse la cosa più orribile dell’universo. Quanto avrebbe dovuto aspettare? Quanto ancora si sarebbe dovuto struggere l’anima prima di vedere la croce bianca degli Shirohige svettare lassù? Kurohige sarebbe davvero arrivato a tanto?
Rimasero col naso all’insù e il fiato sospeso, uno poggiato all’altro. Ogni rumore sembrava preannunciare la tragedia. La mano di Marco, prima poggiata sul braccio di Izou, scivolò lentamente fino al polso, poi sembrò sfiorare il suo palmo. Trattenendo il respiro, Izou lasciò che le loro dita sgusciassero l’une accanto alle altre.
Poi, un altro boato, e di nuovo il gracchiare di Orochi: «Bene, bene! Penso che il tempo sia scaduto!» Altri due marchi brillarono nel cielo al sentirlo, e lui rise. «Ci vedremo presto!»
E sparì. Sparì la voce, sparì il buio, sparirono i boati. La foresta piombò nel silenzio come se si fosse fermato il tempo.
Izou girò la testa e Marco stava ancora guardando in alto, la bocca schiusa, il respiro bloccato nel petto. Era guerra. Era scoppiata per davvero, alla fine. Lo aveva appena ritrovato ed era guerra.
Al solo pensarci, non fu più sicuro di essere un appiglio tanto stabile. Barcollò, e alla fine si ressero a vicenda. Marco si girò a guardarlo, gli occhi persi nel vuoto per un’eternità prima di mettere a fuoco. Izou poteva sentirlo tremare contro la sua stessa pelle. Cosa stava pensando? Gli girava la testa. Era preoccupato? Qualcosa gli batteva forte nel petto. O felice di non essere costretto a passare dalla parte del nemico?
Paura.
Lo stava guardando. Con un’espressione che Izou non ricordava più come decifrare, e le labbra ancora schiuse. Le richiuse e riaprì velocemente, intrappolandoci lo sguardo di Izou, poi quasi scattò nell’avvicinare le loro teste. Le dita gli solleticarono piano la guancia.
Izou sentì il suo respiro su di sé e sorpreso lasciò che un brivido gli corresse lungo la schiena. Ebbe l’istinto di chiamare il suo nome, ma dalle labbra gli uscì solo un sospiro sospeso. Voleva chiedergli così tante cose. Voleva sapere cosa aveva fatto in quei mesi, se gli era mancato. Voleva dirgli che a lui era mancato. Voleva sapere cosa avrebbero fatto d’ora in poi. Con la guerra. Con i clan. Con…
Ma era tanto vicino da vedere le sfumature dei suoi occhi che non aveva mai notato.
…All’inizio sembra solo una distesa blu, poi più lo osservi più ti accorgi che in realtà ha mille colori, mille abitanti, mille modi di presentarsi agli altri.
Era così, il mare? Se era così, voleva vederlo.
Marco rimase immobile lì, a un millimetro da lui, respirando su di lui. Poi chiuse gli occhi e premette tra loro le fronti con un sospiro. Nient’altro.
 
 


Il narratore si fermò. Prima che potesse spiegarsi, il ragazzo aveva già capito. «Adesso c’è un altro salto?» «Indovinato. Anche qui di almeno due o tre anni. Forse di più.»
«Non hai notizie più sicure?»
L’uomo ridacchiò vagamente imbarazzato. «Non è stato tramandato quasi nessun riferimento temporale. Ma posso dire con certezza che sono passati diversi anni per un motivo ben preciso.»
Tutti rimasero in attesa. Il primo veterano sembrava aver già capito e scosse piano la testa con uno sbuffo divertito.
«Dalla prossima scena Marco e Izou sono già una coppia.»
Il ragazzo non poteva credere alle sue orecchie. «Ma che razza di narratori hai nel tuo clan? Saltano tutte le cose più importanti!»
Il secondo veterano si accigliò. «Il novellino ha ragione. Io ho alcuni spezzoni della loro storia d’amore, anche se molto approssimati. Più che sugli eventi, la storia che conosco io…» scosse la testa come se fosse arrabbiato con chi gli aveva raccontato la storia «..sembra quasi un sogno. Conosco le emozioni di Marco, il modo in cui ha visto la guerra, l’amore… ma è tutto confuso. E ancora non ho capito chi dei due è il fantasma.»
«E-E poi non avevano potuto incontrarsi per mesi! Perché poi ci riescono?»
«Questo posso ipotizzarlo» scrollò le spalle il vecchio veterano «ma immagino che una volta iniziata la guerra, l’Alleanza abbia richiesto di riprendere le missioni a più clan. Per tenersi stretti, unirsi contro un nemico comune. È banale ma anche efficace.»
«Ma a Kurohige andava bene? Non che abbia capito cosa avesse in mente, ma non mi sembra il tipo da accettare una cosa del genere…»
L’occhio del veterano brillò interessato mentre scrutava il ragazzino: «Sei sveglio. Ovviamente non gli andava bene, e cercava di convincere i suoi a non collaborare. Ma c’era, naturalmente, chi non seguiva alla lettera.»
«Quindi Marco gli disobbediva?»
«Beh, direi di sì. Ma non lo so con precisione. Sicuramente era riuscito ad attirarsi l’antipatia di Kurohige.»
«Se Kurohige aveva ordinato di non collaborare con gli altri clan, Marco e la sua divisione non lo ascoltavano.» commentò all’improvviso e con sicurezza il primo veterano « Nel mio clan sono tramandate delle missioni svolte dalla Squadra nel periodo della guerra. Più che altro quelle utili a capire lo sviluppo tra Marco e Izou. Il loro primo bacio, cose così.» Schioccò la lingua divertito quando il ragazzo arcuò le sopracciglia, evidentemente interessato. «…anche se erano come una strana parentesi. A dire la verità, molte delle cose che hai detto le conosco da un altro punto di vista.»
«Anche tu da Marco? Certo che è strana questa-»
«No, da Koala.»
 
 


La voce allegra di Kiku trillò fuori dal tempio per avvisare dell’arrivo di Marco a Kuri. Izou sollevò la testa senza staccare le mani dalla posizione di preghiera. Quando Marco entrò e si sedette al suo fianco, accendendo un bastoncino d’incenso sull’altare, gli regalò un gran sorriso. «Non mi avevi detto che saresti passato.» Gli sussurrò all’orecchio, quasi temesse di infastidire gli antenati.
Mentre si rivoltava verso l’altare, Marco gli baciò di striscio l’angolo delle labbra. «Meno persone lo sanno, meglio è. E ho pensato di farti una sorpresa.»
Izou si accigliò appena all’udire la prima frase ma fece finta di niente. Si inchinò un’ultima volta, recitò lentamente una preghiera e si alzò in piedi, lisciandosi l’orlo del kimono mentre osservava Marco fare lo stesso e seguirlo. «Non è solo questo, vero?»
Quando si sentì stringere la mano, il suo cuore sussultò. «Niente di grave.» Stirò un sorriso leggero e incerto mentre camminava fuori dal tempio. Il sole era già tramontato, e si mossero sotto la luce delle lanterne appese agli alberi. «Ma, è probabile che starò fuori per mesi.» Izou vacillò.
Camminarono in silenzio fino alla sua stanza, mano nella mano. Alzò lo sguardo e si trovò a fissare le fronde dei ciliegi che giocavano con le ombre della notte. Era una visione molto diversa dagli alberi in fiore che lo avevano accompagnato nella strada verso Kuri sei anni prima, quando l’unica preoccupazione era l’acconciatura rovinata in missione. Quando, pochi minuti dopo, gli avrebbero portato via Marco e stravolto il mondo. Era diversa ma anche molto, troppo simile. Era difficile scrollarsi di dosso l’impressione che sarebbe finita allo stesso modo. Quindi si appigliò con tutte le sue forze alla mano di Marco, che lo trascinò nel loro mondo come aveva sempre saputo fare. Sarebbe andato tutto bene. Si spinse a forza queste parole nella gola mentre varcava la soglia della sua camera – della loro camera – e spezzava l’incantesimo.
Chiuse la porta e gli occhi, poggiando la testa sullo stipite. Sentì Marco fare qualche passo avanti e indietro. Quando mai aveva avuto bisogno di calpestare il nervosismo con tanta convinzione? «Che cosa ha fatto Kurohige?» Neanche aveva bisogno di sapere che era stato lui. Che cosa gli aveva ordinato? Cosa di così meschino da non poter essere evitato?
Un lievissimo sospiro rispose prima delle parole. Quando Marco parlò, a Izou sembrò che avesse ripetuto tutto nella mente più e più volte. Diretto, rapido, come al solito. Forse un po’ troppo. «Campo Onigashima. Ha mandato la mia divisione a occupare il presidio, fornire supporto, cose così. Dai tre ai sei mesi, ha detto.»
«Tutta la tua divisione?!»
Si era girato di scatto, e gli si era stretto il cuore. Mai come allora Marco gli era sembrato tanto ferito, le mani ad abbracciarsi da solo, la mascella contratta. Gli camminò incontro. «Tutti. Haruta, Vista, Ace… tutti lassù a nord. Ha visto che non ci siamo isolati come vuole lui, e quindi ci fa allontanare a forza.» Sembrò sciogliere un po’ le spalle quando Izou gliele coprì con le sue mani, carezzandogli tutto il braccio fino a tenergli le mani. «Sapevo che avrebbe fatto qualcosa, ma questo…»
Izou lo trascinò fino al futon, facendolo sedere. Aveva tante cose che gli stavano per uscire di bocca. Urla, lamentele, imprecazioni contro quell’uomo che proprio non ne voleva sapere di collaborare, neanche in piena guerra, neanche quando c’era un nemico proprio davanti agli occhi di tutti. Ma niente di ciò che gli passava per il cervello avrebbe cambiato qualcosa o risollevato la situazione, e anche se andava contro la sua stessa natura avrebbe fatto qualsiasi cosa per non peggiorare le cose. Compreso ingoiare tutto e starsene zitto. Però, sei mesi…!
E solo perché Marco e i suoi sottoposti avevano preferito l’efficienza ad una stupida, stupidissima regola senza senso!
«Vengo con te.» Quando alzò lo sguardo si accorse che Marco si era alzato di nuovo in piedi da chissà quanto. Le mani gli diventarono fredde.
Mentre macinava metri e metri nella stanza, sembrò considerare seriamente l’idea. Si fermò, si portò una mano sul mento, poi negò con un colpo secco. «No. Chissà cosa farebbe se lo scoprisse.» E come se non volesse neanche più pensarci, scosse la testa un’altra volta e si sdraiò accanto a lui sul futon trascinandoselo dietro. Prima che potesse fare altro, fu Izou ad avvolgerlo tra le sue braccia. Gli carezzò i capelli stringendoselo al petto.
«È una zona di confine, sarà pericoloso.» Il campo Onigashima era a nord, confinato con il territorio dei Kurozumi. Sarebbe bastata mezza giornata a piedi, forse anche meno, per incontrare un loro villaggio. E nonostante quella fosse una zona relativamente pacifica, non c’era motivo di credere che i nemici non fossero interessati a prendere possesso anche di quell’accampamento.
«È vero, ma è messa meglio di molte altre» come a tentare di consolarlo, Marco allungò la mano per carezzargli la testa mentre si puntellava sui gomiti. Gli sfilò il kanzashi dai capelli, passando le dita nella chioma corvina. «Sai che è una valle, no?» Aspettò che Izou annuisse confuso prima di continuare facendo un “due” con le dita e solleticarci il volto dell’altro. «Fino a pochi mesi fa, si pensava che ci fossero solo due entrate, una a nord e una a sud. La mia divisione arriverà da quella a sud.»
Il due si trasformò in tre e gli sfiorò la fronte in un buffetto. «Però, l’Alleanza ha scoperto una terza entrata; anzi, uscita. Sempre da sud, ma un po’ più a ovest.» Scese lungo gli zigomi, oscurandogli per un poco la visuale. «L’hanno chiamata, mi pare… la Gola di Ebisu.» Gli sfiorò le labbra, ci giocò leggero. «Certo passa vicino al confine prima di allontanarsi verso sud, ma è conosciuta soltanto dall’Alleanza. È una bella garanzia.»
Sorrise, e si allungò per baciarlo. Izou posò le mani sulla sua schiena e lo tirò a sé. Le labbra gli solleticarono e non riuscì a cacciare indietro un sorriso. Però, sei mesi… «Qualche volta, però» biascicò piano quando gli lasciò un po’ d’aria «ti passo a trovare.»
Marco rise contro le sue labbra. «Promettimi di non metterti in pericolo.» Lo sovrastò lentamente, sedendosi a cavalcioni per chinarsi meglio su di lui. Izou annuì appena, allungando le mani alla ricerca del suo viso, e lo tirò a sé mentre lasciava che gli sciogliesse la cintura. Quando sentì le sue mani che gli scostavano dolcemente i lembi del kimono, carezzandogli le clavicole, le coprì con le proprie. «E tu promettimi» sussurrò riallacciando gli sguardi «che quando tornerai, mi porterai a vedere il mare.»
«Anche se Kurohige inventerà qualche regola per cacciare gli estranei?»
A Izou brillarono gli occhi. Basta negatività. Trattenne il fiato, si morse le labbra e aspettò che Marco scendesse a baciargli il collo prima di parlare di nuovo: «In tal caso, sarò costretto a diventare uno Shirohige per entrare.»
Lo sentì fermarsi contro di lui col fiato sospeso, come elaborando le parole. Quando alzò lo sguardo e sorrise, sentì il suo stesso corpo sciogliersi e tremare sotto la sua presa. Lo osservò rapito schiudere appena le labbra. «Shirohige Izou suona proprio bene. Anche se non consiglierei di vivere a Sphinx.» Si sciolse a sua volta la cintura mentre Izou, sotto di lui, si coprì il volto con un braccio. Aveva un sorriso tanto grande da sentire gli zigomi fare male.
«Marco»
«Mh?»
«Vorresti davvero?»
Un altro bacio, un altro lembo di pelle scoperto. Un primo gemito.
«Davvero.»
 
 


Gli abiti dei Kurozumi erano scuri e comodi. Erano tutto ciò che ci si aspettava di indossare in missione e, se non fosse stato per l’odio che provava nei confronti di quel clan che metteva in pericolo le loro vite un giorno sì e l’altro pure, Izou gliene avrebbe reso atto. Sentiva ancora la pungente nostalgia dei suoi kimono decorati a spicchi di luna, ma nel giro di quasi due mesi si era ormai abituato all’abbigliamento a tinta unita di quell’odioso clan.
Adesso che li aveva provati capiva perché Marco e Koala indossavano sempre abiti del genere. Beh, non che dopo anni e anni di allenamento trovasse il suo kimono fastidioso: era un’eternità che non si ritrovava con i movimenti bloccati – come Koala sosteneva che le sarebbe successo in continuazione se avesse indossato gli abiti dei Kozuki. Ma era solo questione d’abitudine, in fondo! E Koala sarebbe stata stupenda con un bel kimono addosso. Ancora non riusciva a capacitarsi di come neanche Kiku fosse mai riuscita a convincerla a provarne uno. Poi era lui, quello testardo!
E parlando del diavolo, alzando lo sguardo vide Koala e Vigaro camminare verso di lui, anche loro nelle scure tenute Kurozumi. «Il gruppo parte tra un’ora. Ci spostiamo a sud ovest.»
Era sempre così. Per i nuovi arrivati non c’erano informazioni, soltanto ordini. Già che sapessero la direzione era premura rara. Con chi si muovevano, per quanti giorni e chilometri, perché, si scoprivano tutti a suon di domande e indiscrezioni nel bel mezzo della missione.
Un’ora dopo, erano tutti in cammino. Erano una ventina di persone e trasportavano alcuni carri pieni di viveri ed armi. Oltre a Koala e Vigaro, Izou conosceva soltanto Puzzle. Tutti entrati nel territorio dei Kurozumi nella stessa missione sotto copertura. A forza di chiedere in giro, riuscì a capire che stavano portando risorse a una truppa vicino al confine. Si stava per accontentare delle poche informazioni ricevute, ma quando si voltò verso Koala la trovò con un’espressione ghiacciata e lo sguardo a terra. Era troppo lontana per raggiungerla. Si erano sempre accordati sul non farsi vedere tutti insieme dato che socializzare troppo avrebbe solo portato sospetti, quindi Izou non poté far altro che combattere la voglia di macinare quella decina di metri, limitandosi a sperare di riuscire ad attirare la sua attenzione fissandola.
Che fosse perché davvero era riuscita a richiamarla o perché si era stancata di guardare il terreno, dopo un po’ alzò la testa e cercò con gli occhi l’amico. L’espressione che si scambiarono sembrò più pesante dei viveri che stavano trasportando. Con un cenno del mento, Koala indicò il Kurozumi accanto a Izou: “Chiedigli più informazioni.
Le possibili risposte gli passarono in mente una dopo l’altra. Avevano ucciso qualcuno di importante? Mentre sgobbavano alla ricerca di informazioni, era avvenuto qualche colpo di stato dall’altra parte del confine?? Si girò e simulò il tono più calmo e confidente che riuscisse a fare, sopprimendo a forza il tremore in tutti i suoi arti: «Ehi amico, ma tu lo sai come mai c’è bisogno di portare queste provviste?»
Quello gli lanciò solo un’occhiata prima di rispondere. «Te l’ho già detto, servono all’esercito a sud. Si stanno preparando per l’assalto a Onigashima, non hanno mica tempo di pensare al cibo! Penso proprio che dovremo fare avanti e indietro per tutta la settimana, visto che attaccheranno alla prossima luna piena…» Il resto della frase si perse in un mormorio confuso. Tutto a un tratto, era difficile respirare. Faticò ad alzare la testa e girarsi alla ricerca di Koala con cui riuscì solo a scambiare un altro sguardo. Vigaro e Puzzle camminavano davanti a loro e dalle andature forzate Izou poteva intuire che avessero ottenuto anche loro la notizia dell’assalto.
Per loro, però, era un assalto come tanti. Ottieni l’informazione, fai in modo di comunicarla all’esterno, e torni a lavoro sperando che l’Alleanza riesca a limitare i danni. Ma adesso? Izou poteva davvero semplicemente avvertire del pericolo e lasciare stare? E si trovava a così breve distanza da Onigashima! Con un buon passo, avrebbe potuto raggiungerlo in tre giorni. Gli bruciavano le mani.
Un cavallo gli sfrecciò accanto. Con sguardo perso lo vide proseguire fino alla testa della fila. Si arrestò accanto al capitano della spedizione e gli consegnò un messaggio.
Forse, se fosse riuscito a sfruttare un momento di distrazione, avrebbe potuto rubare il cavallo e partire al galoppo. Così, ci avrebbe messo ancora meno!
Il capitano sembrò urlare qualcosa alla truppa, ma Izou lo ignorò.
L’assalto sarebbe stato tra una settimana, quindi aveva tempo. Aveva tempo per avvertirlo! Si girò di nuovo verso Koala per farle capire il suo piano, ma trovò uno spazio vuoto nel punto in cui stava prima. Con un’occhiata più attenta, gli sembrò di notare un’ombra a terra. Allungò il collo un po’ confuso.
Poi, qualcosa di freddo e doloroso gli trapassò l’addome.
Un rantolo gli sfuggì dal petto. Al freddo si sostituì del calore fastidioso che sembrava bruciargli le viscere. Con un secondo colpo le gambe cedettero. Si ritrovò riversato contro il carretto. Si girò, e l’uomo con cui stava conversando fino a poco fa aveva già frustato il braccio all’indietro per caricare un altro affondo. Sentì urlare, riconobbe la voce di Vigaro ma non ebbe il tempo di preoccuparsene. Nei pochi istanti che separavano il colpo del nemico, prese una decisione disperata e tirò davanti a sé il flauto, unica arma oltre all’arco. La spada si infranse contro il legno e Izou evitò il colpo a spese della sua arma. Con una stretta al cuore gettò via quelli che ormai non erano altro che pezzi di legno. Come altro avrebbe potuto usarlo, se a malapena riusciva a prendere fiato?
Le gambe bruciavano senza pietà ma riuscì a saltare in avanti, il cervello che lavorava furiosamente. Cosa aveva urlato il comandante poco fa? Si girò, si girò, e mentre perdeva l’equilibrio la situazione gli fu chiara. La copertura era saltata.
Con uno sguardo cercò di capire le condizione degli altri. Puzzle era a terra. Vigaro non si vedeva da nessuna parte. Sentì il lamento di una voce familiare e arrancò in quella direzione. Prima ancora che potesse raggiungerla, vide Koala strisciare da sotto il carretto e tirarsi in piedi con una gamba insanguinata. Sembrò passare un’eternità prima che tra un colpo e l’altro riuscisse ad affiancarsi a lei.
«Come l’hanno saputo?» Riuscì solo a biascicare, ma non udì risposta.
Erano troppi. Ad ogni colpo che infliggeva, ne riceveva quattro. Koala gli aveva passato uno dei suoi coltelli da lancio, e per un attimo la situazione gli sembrò migliorata rispetto a quando, non avendo armi a corto raggio, non poteva fare altro che schivare gli attacchi. Riuscì a ferire all’addome un nemico, e lo vide cadere a terra con la coda dell’occhio mentre si girava e affondava al viso del prossimo. Qualcuno gli bloccò il polso destro e prima che riuscisse a liberarsi sentì un altro bruciore esplodergli sul petto, poi qualcosa di pesante bloccargli il respiro. Indietreggiò come un forsennato, la vista che si riempiva di pallini neri.
Un rumore dietro di lui lo fece girare. Vide Koala a terra e sentì il cuore sprofondargli nel petto. Con un ultimo guizzo si accorse della mano piegata in maniera innaturale, con pollice e mignolo piegati sul palmo: uno dei loro segnali. Aveva ragione. L’unico modo per salvarsi era fingersi sconfitti.
Non sapevano cosa avrebbero fatto ai loro presunti cadaveri, ma se avessero continuato a combattere sarebbero morti sicuramente. Prima ancora che potesse buttarsi a terra, qualcuno lo afferrò per la testa. Era già tutto nero.
Caldo, caldo su tutto il petto. L’aria non entrava più. Provò a urlare, ma non ci riuscì. Provò a muoversi, ma il mondo girò e la testa sbattè fortissimo. Provò a portarsi le mani alla gola, ma c’era solo caldo. Caldo liquido ovunque ma sembrava già fare freddo, molto più freddo.
Onigashima.
Devo andare ad Onigashima. Devo avvertire Marco.
Devo salvarlo, e portarlo via da Onigashima.
Per farlo, doveva prima alzarsi.
Alzarmi e respirare.
Ma la gola era coperta di sangue.
Devo vedere il mare!
 
Ma era tutto nero.
 
 



Il gruppo di samurai stava riprendendo a camminare. Il veterano si sistemò la benda sull’occhio e fece una breve pausa mentre riprendevano il ritmo. C’era un silenzio triste e composto. Dopo aver ascoltato per un po’ il vento che ululava tra i meandri della gola, il ragazzo raggiunse il più anziano senza alzare lo sguardo da terra. «Quindi, il fantasma è uno Shirohige?»
Anche il secondo veterano sembrava concordare. La loro era solo una conferma.
Dopo un po’ di silenzio, l’uomo con la benda accennò un sorriso malinconico: «Non correte alle conclusioni. Uno Shirohige, dite…»
Non aggiunse altro per un po’. L’atmosfera era troppo tesa per insistere, ma non ce ne fu bisogno: «Da questo momento in poi, la storia è un po’ confusa.»
Intervenne subito il primo veterano con un’energia che il ragazzo proprio non riusciva a condividere. «La parte che conosco meglio, invece, comincia proprio da qui. Vi avevo detto che conosco le vicende raccontate da Koala, no? Posso continuare io.»
L’uomo con la benda lasciò la parola. E avendo l’impressione di aver intravisto un’elegante ombra nella notte, sorrise.
 
 






***Angolo dell’Autrice*** Questa storia in origine doveva essere una one shot. Poi ho deciso di dividerlo il due capitoli. Poi, in preda alla disperazione, ho deciso di dividerlo ancora di più – perché non avevo tempo per scrivere in tempo tutto ciò che avevo programmato.
E paradossalmente, il titolo è ispirato alla divisione in tre capitoli. La traduzione infatti è: Tre anime, una storia. Anch’esso modificato più e più volte. Anche dopo la pubblicazione. Ma è un buon segno, no? Vuol dire che tengo molto alla storia e continuo a modificarla per migliorarla, no? Boh.
Spero di non impigrirmi troppo e far fare a questa storia la fine di tutte le altre long, ossia buttate nel dimenticatoio. Mi piace molto l’idea di questa Ff quindi voglio finirla davvero anche se sarà impegnativo.
Questa volta l’angolino dei ringraziamenti va agli Oka che mi hanno sopportata scrivere ogni tre minuti nonostante stessimo in vacanza tutti insieme. Mi avete dato tante idee!
Beh, non ho altro da dire e il tempo sta per scadere! Come al solito vi invito a lasciare una recensione se la storia vi è piaciuta o se avete qualche commento/critica da fare!
A presto,
Kalika
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: _Kalika_