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Autore: Nikita Danaan    22/11/2021    0 recensioni
Todoroki Shoto è un noto supereroe di Tokyo conosciuto con lo pseudonimo di Tosho. Ma anche un ragazzo dedito al dovere e alla giustizia come lui, dal passato travagliato, ogni tanto ha bisogno di fermarsi e respirare, specialmente grazie a un suo giovane fan molto speciale.
[Accenni alla coppia Jiro x Denki, però la coppia centrale è la TodoDeku]
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Shouto Todoroki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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In effetti Izuku non si era completamente sbagliato. Quella sera nel locale vi era anche Tosho, però come civile. Non aveva alcuna intenzione di seguirlo inizialmente, o meglio si voleva autoconvincere di ciò, tuttavia il desiderio di conoscere più a fondo il ragazzo dai capelli verdi lo aveva spinto a vestirsi meglio che poteva, perché dopotutto in cuor suo sperava di trovare il coraggio di parlargli e magari corteggiarlo, anche se non sapeva come fare.
Cercando consigli su Internet e guardando video su YouTube, aveva capito che doveva procurarsi una camicia bianca – cosa che aveva già fortunatamente – tenendo i primi due bottoni slacciati, dei fiori – purtroppo a quell’ora le fiorerie erano tutte chiuse, e se li avesse presi prima avendo zero pollice verde, complici anche i suoi poteri, li avrebbe uccisi all’istante – mentre per quanto riguardava il comportamento doveva catturare la sua attenzione, dimostrandosi affabile ma senza esporsi troppo o dichiararsi subito, essere sé stesso avendo fiducia in sé così da farsi notare e fare colpo su di lui e tanto altro che non aveva avuto la forza di leggere, preso dall’ansia.
Anche se i consigli che aveva trovato erano declinati al femminile, sperava con tutto il cuore che WikiHow* lo aiutasse davvero e che non fosse invece un sito farlocco. Tuttavia gli sarebbe piaciuto conoscere chi aveva scritto quell’articolo: le situazioni ipotetiche descritte dal sito erano troppo idilliache e aveva imparato a sue spese che la vita era tutto fuorché idilliaca.
Solo su una cosa si sentiva di concordare con WikiHow: “sii realista. Essere realisti è importante quando si tratta di conquistare il ragazzo che ti piace. Se da un lato dovresti essere abbastanza sicura di te da avere la sensazione di poter conquistare qualsiasi ragazzo, dall’altro a volte capita che due persone semplicemente non sono compatibili o non scatta la scintilla. Se il ragazzo che ti piace semplicemente non è interessato a te, è meglio passare a qualcun altro che possa essere un po’ più coinvolto”.
“Se hai cercato di far funzionare le cose con un ragazzo che sembra impegnato, distante, o semplicemente non molto ricettivo, potrebbe essere giunto il momento di continuare la tua vita guardando verso obiettivi migliori e più grandi”.
Aveva riletto quel paragrafo un’infinità di volte, talmente tante da ricordarlo a memoria.
Per quanto una minuscola parte di lui sperasse con tutto il cuore che Izuku lo ricambiasse, dall’altro cercava di non farsi troppe illusioni. Forse nemmeno gli piacevano i ragazzi.
Ma allo stesso tempo si ricordò di ciò che gli aveva sempre insegnato sua madre: “Meglio provare e soffrire, che vivere nel rimpianto di non averci provato soffrendo il doppio”.
Decise di seguire il suo consiglio. Si sarebbe impegnato e avrebbe tentato. Tanto Izuku non l’aveva mai visto nei suoi panni da civile, quindi se fosse andata male avrebbe potuto salvare in un qualche modo la faccia.
O almeno così cercava di auto persuadersi.
 
Finita la serata, Il gruppetto si apprestò ad uscire dal locale. Denki ridacchiava abbracciato a Jiro, che lo sorreggeva tenendogli una mano sulla spalla seppur si sforzasse di farsi vedere scocciata. Momo si stiracchiò, tirando le braccia dietro la schiena inarcata in avanti e scrocchiando le dita “Siamo stati bravi”.
“Bravi? Siamo stati fottutamente stratosferici. Io ero una cazzo di bomba stasera!” esclamò Bakugo, il quale, per rimarcare il concetto, impugnò le sue bacchette e finse di picchiare l’aria.
“Siete stati grandiosi! Avete coinvolto persino Iida!” si aggiunse Uraraka indicando con il pollice l’amico, che annuì. Sembrava meno rigido rispetto all’inizio della serata.
Notando i suoi occhi lucidi, Izuku poté dedurre che Denki era riuscito a convincerlo in qualche modo a bere. In tutto questo Tokoyami era in disparte a fumarsi una sigaretta.
“Bene, vi accompagno a casa, ragazzi. Nel furgoncino dove teniamo l’attrezzatura e gli strumenti c’è posto per tutti”.
“Momo, sei meravigliosa! Se non amassi già Kyoka ti sposerei ora” esclamò Denki, beccandosi un pizzicotto sul braccio da una esasperata, ma dalle guance leggermente rosate, Jiro. Era raro vederla in imbarazzo, ma Denki riusciva anche in quello.
Anche gli altri ringraziarono la ragazza per la proposta e accettarono volentieri – persino Bakugo borbottò un “Grazie”.
Solo Izuku indietreggiò dal gruppetto scuotendo le mani “No, ti ringrazio, Momo. Preferisco andare a piedi”.
“Deku, sei sicuro?” domandò preoccupata Uraraka. La sua amica a volte sapeva essere più apprensiva di sua madre, ma le voleva bene anche per quello. Però quella sera avrebbe preferito che lo lasciasse andare senza dire nulla. A quanto pare tale speranza era utopica.
“Izuku, non fare complimenti. Ci stiamo tutti e non siamo neanche schiacciati come sardine” insistette Momo con il suo solito tono gentile.
“Midoriya, girare di notte la sera da soli è pericoloso” rincarò la dose Iida, muovendo il braccio in maniera meccanica. Ogni tanto aveva quel tic nervoso.
Izuku tentò di insistere “Ragazzi, abito a venti minuti da qui. Inoltre, camminare fa bene. Prendo una bella boccata d’aria fresca…”.
“Aria inquinata…” commentò con tono grave Jiro.
“…Inquinamento acustico, luminoso e atmosferico, smog…” aggiunse Tokoyami cupamente. Poi si ricordò nella sigaretta che aveva in mano, così tirò fuori dalla tasca un piccolo posacenere portatile e la spense. Si disse che doveva assolutamente cercare di smettere di fumare, ma gli altri non gli diedero molta importanza.
“…E brutta gente. Dai, Deku, camminerai un’altra volta!” riprovò Uraraka.
Izuku avrebbe voluto urlare, ma il suo buon cuore gli teneva a freno la lingua. Voleva stare da solo. Doveva cercare di fare chiarezza su ciò che provava per Tosho.
In quel momento invidiò Kacchan per il suo essere senza peli sulla lingua. Come se fosse stato evocato, il batterista prese la parola “E lasciatelo stare! Non è un fottuto poppante e voi non siete la sua cazzo di balia. Se il Nerd di merda vuole farsi ammazzare e venire ritrovato morto in un merdosissimo vicolo, privo dei fottuti organi interni, è stata una sua cazzo di scelta”.
“Bakugo, non ti ci mettere anche tu per una volta…” lo pregò Uraraka.
Si voltò a guardarla “Faccia rotonda, è inutile. Sai che è un testone di merda se si impegna” disse indicando Izuku con il mento. Dopo si girò verso di lui e ghignò “Apprezzo il fatto che tu stia tirando fuori le palle, Deku”.
Una frase del genere detta da Kacchan era il migliore dei complimenti.
Izuku gli sorrise, ringraziandolo mentalmente. Se l’avesse fatto ad alta voce si sarebbe scavato la fossa da solo e avrebbe potuto dire tranquillamente addio al suo piano.
“Almeno però avvisaci quando arrivi a casa” gli disse Momo, apprensiva. “Rimani nelle vie illuminate, non parlare con gli sconosciuti e non accettare nulla di offerto da loro” rincarò la dose Iida.
“Va bene, ragazzi” rispose Izuku, accondiscendente.
Così si separarono, Jiro gli fece un cenno con il mento, Tokoyami con il capo a mo’ di saluto e Denki gli batté il pugno sul petto e poi lo indicò facendo con l’indice e il medio il gesto del due. Uraraka si limitò solo a guardarlo in maniera eloquente.
Era contento di avere degli amici che si preoccupassero per lui dimostrando di tenerci a lui, tuttavia si allontanò in fretta da loro perché aveva bisogno di pensare, ripromettendosi però di scrivergli subito e in particolare di chiamare Uraraka appena arrivato a casa.
Avrebbe voluto confidarsi con gli amici, specialmente con l’amica, la quale inoltre sapeva del suo orientamento sessuale già da tempo – l’unica oltre a sua mamma – però quella era una situazione diversa. Gli era già capitato alcune volte di infatuarsi di ragazzi, i quali non avrebbero mai ricambiato sia perché etero sia perché lui non si era mai fatto avanti per codardia.
Con Tosho sentiva qualcosa in più. Non le classiche farfalle nello stomaco, ma bestie inferocite, come se una mega farfalla geneticamente modificata le avesse morse e le avesse trasformate in superfarfalle.
Ok, leggeva senza dubbio troppi fumetti…
Comunque Kacchan si sbagliava. Lui non stava tirando fuori le palle; la verità era che era terrorizzato, però necessitava di stare da solo e riflettere, analizzando tutti i possibili scenari – la stragrande maggioranza degni di un film post apocalittico – in cui si dichiarava a Tosho.
Prima di tutto doveva trovare il coraggio, qualità che non era tra quelle predilette per descriverlo. La frase di Kacchan era sempre lì, ad incombere su di lui come la lama di una scure.
Poi, se anche fosse riuscito a trovarlo, non era mica scontato che lo ricambiasse.
Eh no, facile così la vita! Quelli erano senza dubbio gli svantaggi di vivere in una società etero normativa e binaria.
Nei multiversi più catastrofici Tosho finiva per guardarlo disgustato, odiarlo o addirittura insultarlo.
Il ragazzo scosse la testa con forza. Non voleva vivere in un multiverso come quell’ultimo, ma purtroppo non riusciva proprio ad essere ottimista, complice la sua indole ansiosa e il fatto che rimuginasse troppo sulle cose, spesso senza agire concretamente.
Perso dal suo turbinio di paturnie e afflitto dal patema d’animo, non si accorse di essere andato a sbattere contro qualcuno.
Il problema fu quando se ne rese conto. Alzò lo sguardo pronto a scusarsi quando i suoi occhi inquadrarono una massa di due metri, larga come un armadio, che si stagliava davanti a lui.
Fu in quel momento che desiderò fortissimo avere la velocità di Iida nel correre.
Inoltre, preso dalle sue elucubrazioni, non aveva realizzato che avesse iniziato a piovere.
Il colosso si girò. Sembrava parecchio irritato “Guarda dove cazzo vai!”.
“M-mi dispiace, non l’avevo vista” cercò di allontanarsi, ma tentare di superare quell’uomo era come circumnavigare l’Africa. 
“Ah, prima mi vieni addosso poi mi dai del lei!”.
Senza preavviso lo afferrò per il bavero della maglia. “Ti insegno io come funziona in questo quartiere, moccioso”.
Izuku si insultò in ogni lingua possibile, inventandone anche.
Perché non aveva ascoltato gli altri? Poteva riflettere anche a casa sui suoi sentimenti, se proprio non volevo farsi scoprire sul furgone dai suoi amici. Era stato un idiota…
Colosso fece per tirargli un pugno. Lui chiuse gli occhi, strizzando con forza le palpebre.
In un impeto disperato urlò “Tosho aiutami, ti prego!”.
 
Shoto si maledisse. Uscì da quel locale ad un orario indefinito, probabilmente intorno all’una di notte, tuttavia ciò non aveva alcuna importanza.
La sua maggiore preoccupazione in quel momento era che non fosse riuscito ad avvicinarsi a Izuku. Ogni volta che provava ad avanzare, veniva trattenuto e non solo dalla folla di gente; quella avrebbe potuto facilmente scansarla se avesse voluto.
Il punto era che ogni volta che era nelle vicinanze di Izuku sentiva un peso, come un masso attaccato alla caviglia e un’inspiegabile morsa che lo stritolava all’altezza dello stomaco.
Non riusciva nemmeno ad aprire la bocca, eppure quando era Tosho non si sentiva così. Per l’esattezza, avvertiva sempre una sensazione di agitazione sottopelle, ma al confronto era più contenuta e vi era sempre quel dolce calore nel petto che lo scaldava. Per certi versi, la maschera che indossava come eroe lo proteggeva: gli permetteva di esporsi il giusto, evitando di essere ferito. In fondo lo sapeva già, dopotutto il diventare un eroe era nato da un desiderio di affrontare quell’essere, quindi era comprensibile che si sentisse più sicuro come Tosho.
D’altro canto, quando era Shoto, si sentiva più vulnerabile. Temeva che qualcuno potesse scorgere tutte le sue debolezze e fragilità.
Ma aveva fatto una prova! Si era aperto in parte con Izuku ed egli aveva cercato di confortarlo. L’unica persona che l’avesse mai confortato nella sua vita era stata sua madre, però quando era più piccolo. Crescendo aveva dovuto farsi forza da solo per non soccombere. Da quel punto di vista, forse Izuku aveva potuto vedere un lato che non aveva mai mostrato a nessuno.
Mentre camminava sotto la pioggia – nemmeno si era reso conto che avesse iniziato a piovere – la sua mente ritornò al sorriso di Izuku, che l’aveva fissato per tutta la sera. Sembrava così felice mentre era abbracciato alla sua amica. Si stava autoconvincendo da quando li aveva visti che doveva per forza essere solo un’amica. Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere al suo posto, ovvero avvinghiato a lui, in modo da poter osservare più da vicino quel sorriso luminoso come il sole in un mezzogiorno d’estate, contare ogni efelide sulle guance lisce e rosate, stringerlo a sé e promettergli di proteggerlo per sempre.
Forse non era destino che stessero insieme. Lui forse non meritava una storia d’amore. Forse non meritava di essere felice.
Un grido disperato squarciò la notte “Tosho aiutami, ti prego!”.
Quella voce…
Non perse neanche tempo a trasformarsi. Si lanciò, correndo come un forsennato, verso la direzione da cui aveva udito provenire l’urlo.
Forse non sarebbero potuti stare insieme nel senso romantico del termine, ma l’avrebbe salvato a qualunque costo.
 
Ormai la pioggia cadeva sempre più fitta. Dopo che Colosso l’aveva picchiato sul naso, l’aveva buttato per terra in una pozzanghera.
Era riuscito a gridare aiuto, ma l’altro l’aveva subito messo a tacere dandogli una ginocchiata nello stomaco.
Il naso pulsava, le costole gli facevano male. A tentoni cercò di toccare il suolo bagnato alla ricerca del telefono, che aveva sentito scivolare fuori dalla tasca dei pantaloni nella colluttazione con il terreno. Tuttavia la fretta, la paura e la pioggia che gli appiccicava i capelli davanti agli occhi non erano di grande aiuto.
Il telefono iniziò proprio in quel momento a suonare.
La voce gutturale del suo aguzzino gli fece tendere tutti i muscoli “Bene bene, cosa abbiamo qui?”.
Lo sentì chinarsi al suolo con tutta calma. Si stava comportando come un gatto che si diverte a giocare con il topolino prima di divorarlo.
Intuì che stava osservando il telefono, per poi sentirlo subito dopo sghignazzare, gettarlo per terra e distruggerlo con un piede. Il suono del cellulare che veniva infranto era lo stesso suono che Izuku sentì nella sua mente.
Chiuse gli occhi e si preparò all’inevitabile e nuovo dolore.
Ma non successe più nulla.
Nessun colpo. Nessun insulto. Sentiva solo il rumore di piedi che scivolavano nell’acqua, braccia che colpivano altra carne e imprecazioni.
Allora Tosho era davvero venuto a salvarlo! Sapeva che era lui, sentiva che era lui.
Izuku voleva piangere dalla gioia, infatti probabilmente pianse, ma a causa della pioggia non se ne rese del tutto conto.
Non capì più niente, forse perché si estraniò dalla realtà. Il rumore di pugni, calci e svariati improperi erano l’unica cosa che in un qualche modo riusciva a captare. Non sentiva più la pioggia e il dolore che il suo corpo provava era talmente acuto che a tratti lo annullava completamente. Era quasi come se non fosse davvero lì.
Solo quando sentì Colosso allontanarsi gridando “Fottiti, merdoso!”, tirò mentalmente – e forse anche fisicamente – un sospiro di sollievo.
Era lì, inerte, gettato in una pozzanghera come una vecchia bambola di pezza.
Era distrutto, voleva solo andare a casa, ma d’un tratto sentì una voce gentile chiamarlo “Ora è tutto finito. Puoi stare tranquillo”.
Si senti come se la sua coscienza ritornasse dentro il suo corpo.
Shoto, nel mentre, ringraziò il sé stesso del passato per aver preso lezioni di arti marziali. Infatti era riuscito ad affrontare quel verme schifoso – l’aveva odiato quasi più di lui! – usando le tecniche di difesa personale, imparate prima della sua carriera da eroe, in primis per proteggersi e proteggere la madre, poi affinate per diventare un hero.  
Anche se comunque un minimo era ricorso al suo quirk, in particolare per ustionargli la mano quando l’aveva afferrato per il collo e per congelargli le dita.
Ritornò alla realtà. La priorità in quel momento era Izuku.
Il ragazzo accettò la mano che il suo sconosciuto salvatore gli stava porgendo. L’afferrò saldamente e l’altro l’aiutò a tirarsi su, usando comunque della delicatezza, tuttavia mise male il piede, scivolando sul terreno bagnato e gli finì addosso.
Izuku fece per scansarsi. “Scusami tanto!” esclamò. Ma Shoto lo tenne stretto a sé, guardandolo in volto. Gli scostò i capelli da davanti agli occhi beandosi delle sue ciglia nere e folte, rese ancora più lunghe dalle gocce di pioggia, le guance rosse e piene di quelle adorabili lentiggini e le labbra piene e lievemente dischiuse.
Nonostante avvertì una stretta al cuore appena vide il suo grazioso naso tumefatto, Shoto non resisteva più. Desiderava baciarlo con ogni fibra del suo corpo, ma non voleva costringerlo contro la sua volontà. Inoltre in quel momento era solo uno sconosciuto per lui, quindi avrebbe finito per spaventarlo ancora di più.
Si limitò solamente a togliergli con il dorso della mano un po’ del sangue che sgorgava dalle narici. Si maledisse di non avere un fazzoletto, poi realizzò che seppure l’avesse avuto con quel diluvio sarebbe contato ben poco.
Izuku si aggrappò alla camicia fradicia dell’altro, ignorando per un attimo il dolore pulsante del naso e allo stomaco e disse senza neanche pensare “Tosho sei tu, vero?”.
Shoto venne percorso da un fremito. Come aveva fatto a riconoscerlo?
Sarebbe stato imprudente rivelarsi a lui, ma Izuku continuò sorridendo lievemente “Lo sapevo. Sapevo che saresti venuto a salvarmi”.
Poi aumentò l’ampiezza del suo sorriso, sempre tenendo gli occhi chiusi, poiché venivano sempre colpiti dalla pioggia, esclamando entusiasta “Sei il mio eroe!”.
A Shoto gli si strinse il cuore. Izuku lo ammirava, su questo non aveva dubbi, ma addirittura sperare che lo amasse…
Sì – ammise tra sé e sé – lui si era innamorato di Midoriya Izuku.
Shoto allentò la presa sulle spalle del ragazzo e fece per staccarsi, quando una sua ultima frase lo bloccò. “In parte anche per questo sono innamorato di te”.
L’eroe rimase scioccato da queste sue parole.
“Io…” iniziò a parlare l’altro, stringendosi maggiormente al corpo di Shoto. “…è fin da quando sono piccolo che ti ammiro. Ricordo ancora la tua prima missione, per la quale sei finito in televisione. “Da grande voglio essere come lui!”, pensai”.
Shoto si immaginò un piccolo Izuku che fissava il televisore con gli occhi che brillavano di gioia e un sorriso luminoso quanto quello che aveva ammirato tutta la sera nel locale e anche quella precedente a casa di Izuku. Tale visione gli fece provare un moto di tenerezza verso quel ragazzo.
“Ma poi, crescendo, mi sono reso conto che non tutti possono diventare dei supereroi. Solo delle persone speciali avrebbero potuto compiere tale ruolo e io non sono speciale. Non ho particolari abilità. Tu invece sei speciale, lo sei eccome! Quindi rinunciai a quell’idea, ma non ne sono triste” si affrettò a precisare per non far pensare a Tosho che quello fosse un suo sogno infranto.
“Alla fine ho trovato qualcosa che mi piace, grazie ai fumetti: il disegno. Infatti vorrei disegnare un fumetto a tema supereroi. Un fumetto su di te”. Nel dire quell’ultima frase si lasciò scappare una risatina imbarazzata. “Sono un tuo grande fan da sempre…”.
Shoto non riuscì più a trattenersi. Anche se aveva parlato con voce nasale e spesso si era impappinato durante il discorso a causa dell’imbarazzo e del dolore, quella dichiarazione era troppo per lui. Strinse maggiormente tra le sue braccia il ragazzo e posò le proprie labbra sulle sue.
Izuku, dapprima colto alla sprovvista, non si oppose a quel contatto, ma anzi lo approfondì, portando le sue dita a stringergli i capelli.
La pioggia continuava a battere su di loro, intenti a scambiarsi un bacio carico di passione. Essendo il primo bacio di entrambi, le lingue dei due si stavano scoprendo, ma i loro corpi, avvinghiati l’uno all’altro, si cercavano, si volevano, si desideravano sempre di più.
Dopo un tempo imprecisato, Izuku si staccò per riprendere fiato dalla bocca, poi portò le mani sopra le sue guance “Voglio vederti, Tosho”.
Shoto fece lo stesso a sua volta con quelle dell’altro e le accarezzò. Parevano due pesche mature. Avvicinò le labbra al suo orecchio e sussurrò “Chiamami Shoto”.
Izuku era sconvolto. Gli aveva rivelato come si chiamava!
Preso dall’euforia, gli saltò al collo e gli disse “Sono felice che tu mi abbia voluto dire il tuo vero nome”.
Shoto ricambiò la stretta e rispose “Voglio che tu lo pronunci ogni giorno a partire da adesso e ricordati. Tu sei speciale. Per me sei speciale”.
Izuku sorrise e alzò la testa verso l’alto. La pioggia si era leggermente calmata, tanto che riusciva a scorgere quegli occhi spaiati che lo avevano stregato proprio quel giorno quando Tosho – si corresse, Shoto – fermò il ladro che gli aveva rubato lo zaino.
“Sarà fatto” e suggellarono questa promessa con un altro bacio, il quale sarebbe stato solo uno dei moltissimi altri che si sarebbero dati in futuro.  
 
Angolo dell’autrice
*WikiHow: l’articolo citato è questo https://www.wikihow.it/Conquistare-il-Ragazzo-che-Vuoi. La parte sull’essere realisti è copiata e incollata paro paro. Penso di aver tagliato giusto una frase perché superflua.
Spero che tutti voi conosciate WikiHow, se non fosse così: prego, non c’è di che. L’ho scelto perché l’idea di Todoroki che usa internet, in particolare WikiHow, per cercare aiuto su come rimorchiare è una cosa che mi fa volare nell’iperuranio. Ci scusiamo per il trash, ma neanche più di tanto. Ho bisogno di “trash sano” nella mia vita (sì, WikiHow per me è trash sano).
Ecco qua la seconda e ultima parte!

Penso di avervi detto tutto.
Spero che questa storia vi sia piaciuta. Se voleste lasciarmi una recensione, ve ne sarei grata!
Alla prossima
Nikita

P.S. Gli amici saranno chiamati uno per uno da Izuku. Uraraka avrà una chiamata speciale (tramite il telefono di casa di Izuku), che durerà tutta la notte in cui Izuku gli racconterà per filo e per segno tutto, anche le sue seghe mentali, e canterà le lodi del suo fidanzato (che si premurerà di comprargli anche un telefono nuovo)! Ovviamente sarà curato e si rimetterà.


 
   
 
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