Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Maryfiore    24/11/2021    3 recensioni
Hanji Zoë è una che di parole ne usa troppe, e non sempre quelle giuste.
Levi Ackerman è uno che di parole ne usa poche, decisamente troppo poche per farsi comprendere.
Chiamare le cose con il loro nome è difficile. Distunguere tra affetto, compassione, stima e amore è difficile.
E alla fine succede che le parole giuste rimangono non dette, o dette troppo tardi.
*
Dal testo:
- Sei un bugiardo, Levi. Un bugiardo e un egoista - gli disse, camminando verso la porta con la tazza tra le mani.
Arrivata sulla soglia, si voltò per guardarlo negl'occhi.
- Ma sono contenta che tu sia vivo oggi. -
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Petra Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Hanji aveva la brutta abitudine di parlare sempre, anche nei momenti meno opportuni.

Parlava perfino mentre dormiva.

E parlava anche adesso. Con Levi che la sovrastava e il letto che cigolava seguendo il ritmo dei loro corpi, entrambi nel bel mezzo di un amplesso.

- "Il mare non esiste" dicevamo - esalò con voce ansimante, - E invece indovina un po'? Siamo su un isola. Ah... un'isola! Hai idea di cos'è un'isola? -

- No - soffiò lui in risposta.

- Siamo circondati dal mare. Mare a destra, mare a sinistra, mare ovunque ci giriamo... ah... mmh... T-Te ne rendi conto? -

Solitamente Levi le avrebbe ringhiato contro e si sarebbe avventato sulla quella dannatissima bocca per farla stare zitta. Ma quelli erano giorni complicati... soprattutto per Hanji.
In quei giorni i libri rinvenuti nella cantina erano stati esaminati in ogni singola parola, letti e riletti, ricontrollati da cima a fondo, e avevano portato ad una nuova valanga di verità inconcepibili che li aveva investiti tutti.

- Quel ragazzo aveva ragione - disse, artigliandogli le spalle.

- Se io fossi Armin, a quest'ora vorrei essere a correre in giro per le strade a sbattere in faccia a tutti le cartine di Grisha Jaeger. "Il mare no esiste!" Ah sì? Guarda un po' qua! Eccolo qui il tuo mare! Che non esiste! -

Mentre parlava Hanji aveva l'occhio fisso al soffitto, immersa uno stato meditativo che poco si addiceva alle circostanze, e che si portava dietro da quando era uscita dal suo ufficio affiancata dai suoi collaboratori, con la fatidica triade di libri tra le mani.

Levi le spostò i capelli umidi dalla fronte e rimase ad ascoltarla, senza cessare i suoi lenti movimenti.

- I giganti sono umani. Abbiamo ucciso umani. Ho sperimentato su umani, Levi. -

Le posizionò un braccio dietro le spalle per avvicinarla a sé.

- Erano poco più che giocattoli per me. Sciocchi topi da laboratorio... Padri o madri di famiglia. Fratelli, sorelle, amici... Magari esiste ancora qualcuno, là fuori, che sta aspettando il loro ritorno. -

L'ultima parola sfumò in un gemito quando Levi le chiuse le labbra attorno alla clavicola.
In risposta Hanji incrociò le caviglie dentro la sua schiena, per fargli anche segno che non era del tutto estraniata da quella camera da letto.

- Forse siamo davvero i demoni tremendi che ci accusano di essere. -

Qui Levi si prese la libertà di zittirla con un bacio aggressivo. La parola "demoni" gli faceva fluire il sangue al cervello; lo faceva sentire come se denigrasse tutte le loro sofferenze. Come se fossero loro i colpevoli di tutta quella storia e non le vittime.

Hanji sollevò il busto e ricambiò mordendogli una spalla.

Proseguirono così per un po', scaricando le loro tensioni l'una sul corpo dell'altro, lasciandosi impronte di lividi e graffi sulla pelle, aggiunti alle loro già numerose ferite preesistenti.

Finché lei non parlò di nuovo.

- A-Aspetta - gli disse tornando con la testa reclinata sul materasso. - Devi sentire questa... Lo sai come si chiama la nostra isola? -

- Perché? Ha un nome? -

- Già. Non immaginerai mai... -

La bruna s'interuppe di nuovo nel bel mezzo della frase, distratta dal familiare formicolio che aveva comiciato a crescerle all'altezza dell'addome.

- Il mondo così come lo conoscevamo è una bugia. È quasi come la rivoluzione copernicana. Vedi, in passato c'era questo tizio, Copernico, che... -

- Non divagare. Come si chiama? -

- C-Cosa? -

- L'isola. Qual'è il nome? -

Hanji era divisa tra lo sforzo per riprendere il filo del discorso e l'impellente desiderio di rilasciare il piacere accumulatosi nel bassoventre.
E a giudicare dal respiro di Levi, anche lui era nella stessa situazione.

- Hanji - provò a richiamarla.

- Mmh... -

- Ti ricordo - le parlò con voce roca all'orecchio, - che sono stato a sorbirmi le tue argomentazioni per due ore. Ora non puoi semplicemente lasciare il tutto in sospeso. -

- Preferiresti che lasciassi in sospeso qualcos'altro? - fu la sua risposta sfacciata.

Accompagnò quelle parole con una rotazione provocante dei fianchi.

Levi non sapeva se essere divertito o infastidito, comunque concordava sul fatto che la cosa si stava protraendo un po' troppo. Erano entrambi così vicini al limite che portare avanti un dialogo sensato in quelle condizioni era diventato impossibile.
Senza preavviso incrementò l'intensità delle spinte procurando una serie di reazioni vocali da parte di Hanji, alla quale bastarono pochi secondi per inarcare la schiena verso l'alto e abbandonarsi al rilascio. Levi si ubriacò dell'estasi nella sua voce e la seguì subito dopo, con un gemito gutturale sfuggito dal profondo della gola.

Collassò su di lei, sentendo le ossa affilate del suo bacino scavargli lo stomaco sotto il suo peso.
Mentre si prendeva del tempo per ristabilizzare il respiro, Hanji aveva già ricominciato a dare fiato alla bocca.

Tra un ansito e l'altro Levi riuscì a distinguere la parola "Paradis".

Paradis.

Il corvino spalancò gli occhi per l'incredulità. Si spostò di lato sul materasso e guardò Hanji con espressione seria.

- Cosa hai detto? -

- Paradis - ripeté, - Si chiama così. È il nome della nostra isola. -

- Paradis? -

- Paradis! Che c'è, non ci senti? -

- Abbiamo vissuto per anni in un luogo che credevamo essere un inferno... e la nostra isola si chiama Paradis? -

Hanji si girò su un fianco.
- Te lo dico io Levi - cominciò, raddrizzandosi gli occhiali sul naso, - Lì sopra c'è qualcuno a cui stiamo antipatici. Qualcuno di annoiato, che si sente particolarmente simpatico, che ci sta facendo questi brutti scherzi e ora se la sta spassando alla grande. -

Per una volta Levi non potè che concordare con lei. Era come se tutte le forze dell'universo si fossero improvvisamente unite contro di loro. Non si sarebbe stupito se il mattino seguente qualcuno gli avesse detto che il globo aveva cominciato a girare al contrario.

- Levi? - Hanji aprì le braccia verso di lui. - Vieni qui. -

Levi le venne incontro trovando posto con la tempia sul suo sterno.

- Siamo tutto ciò che ci rimane, adesso - gli disse.

- Sì. -

- Dobbiamo tenerci stretti. -

- Sì... -

- Sono contenta che tu sia vivo oggi. -

Levi la strinse forte.

- Anch'io. -

*

- Ricordami di nuovo perché siamo qui- sospirò spazientito Levi, mentre seguiva Hanji per le scale dei dormitori.

La risposta risoluta che ricevette fu la stessa che lo aveva lasciato sconcertato mezz'ora prima.

- Perché voglio dar loro la buonanotte. -

Quasi a voler dar prova dell'inequivocabilità della sua decisione, la bruna accelerò il passo, costringendolo a fare lo stesso.

- Hanji, noi non siamo i loro tutori, siamo i loro superiori. E loro non hanno cinque anni! -

- Hai ragione. -

Hanji si fermò sul pianerottolo.

- Non siamo i loro tutori e loro non hanno cinque anni. Ma sono giovani: più giovani di quanto ci fa comodo ricordare. Sono confusi e frastornati tanto quanto noi e hanno bisogno di un contatto umano. Quindi, se posso fare qualcosa per loro come augurargli la buonanotte, allora andrò ad auguragli la buonanotte! -

Levi meditò se dire qualcosa. Alla fine decretò che non c'era niente da dire e si accodò al suo Comandante, che aveva già ripreso a salire le scale.

- Inoltre - gridò dal piano di sopra, - questa non è una notte qualsiasi. Lo sai perché? -

Il corvino rimase in silenzio, sicuro che si sarebbe risposta da sola.

- Perché domani si va a vedere il mare!-

Già, pensò.

Il giorno dopo il Capitano Ackerman, il Comandante Zoë e gli ultimi membri del 104esimo Corpo cadetti sarebbero partiti in esplorazione ai confini dell'isola e - se le cartine del dottor Jaeger erano esatte - avrebbero visto il mare con i loro occhi.
La notizia aveva contribuito a risollevare l'atmosfera generale e a rendere i ragazzi più partecipativi.
Lo stesso era accaduto per Hanji. La missione aveva riacceso il lei quella brama di scoperta e quell'entusiasmo che gli eventi della ripresa di Shingashina avevano soppresso.
Levi era lieto di vederla di nuovo così, anche se ciò voleva dire andare ad augurare la buonanotte a quei mocciosi.

Dopo un'altra rampa di scale Levi raggiunse Hanji sul piano dove i ragazzi della loro squadra avrebbero trascorso la notte. Il chiacchiericcio sommesso che trapelava nel corridoio faceva intuire che fossero tutti ancora svegli.

- Allora. Prima dai ragazzi o dalle ragazze? -

- Prima i maschi - scelse Levi. -Togliamoci questo dente. -

Hanji approvò e avanzò verso la prima porta sulla destra, poi alzò una mano e fece la sua classica bussata.
Ci fu un momentaneo accavallarsi di voci all'interno, finché non si udì qualcuno gridare "Avanti".

La bruna spinse la porta ed entrò in tutta tranquillità.

Nonostante i ragazzi fossero tutti in tenuta da notte, li trovarono - come c'era da aspettarsi- ancora in piedi.
Armin era palesemente quello più sveglio di tutti: camminava in giro per la stanza, gesticolava animatamente e parlava con un assonnato Jean, che aveva l'aria di chi non ne poteva più di starlo a sentire.
Connie osservava la scena e se la rideva. Di tanto in tanto si divertiva a fare qualche domanda al biondo solo per allungare il brodo apposta, e godersi la faccia sempre più disperata dell'amico.
L'unico ad essere di fatto nel letto era Eren. Stava in posizione supina e fissava il nulla, lasciandosi scivolare addosso le parole dei compagni. Silenzioso e distaccato, immerso fino alla testa nei suoi pensieri, come accadeva spesso ultimamente. Quel suo atteggiamento un po' preoccupava Hanji, ma allo stesso tempo avrebbe pagato per anche uno solo dei suoi pensieri. Conosceva quello sguardo ed era sicura che qualunque cosa stesse passando per la testa di quel ragazzo fosse qualcosa di grosso.

Un tocco di Levi sulla spalla le ricordò che, per quanto avrebbe voluto strappare Eren dal letto, portarlo nel suo ufficio e costringerlo a vuotare il sacco, non era quello il motivo per cui era lì.

Non ora, si disse. Non questa sera.

Ringraziò Levi con un sorriso e si schiarì la voce per attirare l'attenzione. I ragazzi sollevarono confusamente le teste verso di lei e, non appena la riconobbero, si sbrigarono a scattare sull'attenti e a portarsi la mano sul cuore.

Hanji guardò divertita Connie, che stava cercando di sistemarsi la maglia nei pantaloni con la mano libera.

- Forse avresti dovuto annunciarti prima - le fece notare Levi.

- Be', loro avrebbero dovuto chiedere "Chi è?" - gli sussurrò di rimando. - Okay, non importa... -

Parlando ai ragazzi disse: - Riposo. Per favore, state comodi. -

- È per caso successo qualcosa Comandante? - domandò allertato Jean.

- Un'emergenza? -

- Cambiamenti nel programma di domani? -

- Dobbiamo rivestirci? -

Hanji protese la mani e fece segno di calmarsi. - No, no, niente di tutto questo. Sono solo venuta per vedere come state. -

- Oh. -

Calò un silenzio imbarazzante.
Levi si coprì gli occhi con una mano.

- Dunque - riprese allegra Hanji, - Come state? -

Ci fu un rapido scambio di sguardi, poi Jean prese parola.

- In tutta sincerità Comandante, abbiamo visto tempi migliori. -

Il sorriso di Hanji si smorzò in un'espressione di ameraggiata consapevolezza.

- Certo... capisco. -

Doveva improvvisare. Era brava a improvvisare, perché diavolo era così tesa? Dov'era finita tutta la sicurezza di poco fa?
Si girò a guardare Levi con la coda dell'occhio. Era ancora accanto a lei. Con lo sguardo la invitava a continuare.
Hanji diede un colpo di tosse preparatorio, dopodiché si voltò per fronteggiare di nuovo il suo piccolo pubblico.

- Sentite - cominciò, - so che è stata dura per tutti in questi tempi. Quando siamo partiti tutti baldanzosi alla riconquista di Shingashina, nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare la piega che avrebbero preso le nostre vite. Da allora abbiamo tutti, nessuno escluso, perso molto di più di quanto abbiamo guadagnato; alcuni di noi hanno perfino guadagnato qualcosa che non avrebbero mai voluto. -

Il suo sguardo andò intenzionalmente ad Armin. La sua mano invece strinse il ciondolo di giada che portava al collo.

- Vorrei poter dire che le cose andranno meglio, ma... non lo so. -

Prese un bel respiro e poi riprese.

- La verità è che ci sono ancora molte cose che non sappiamo. Ma domani... domani sarà un nuovo, piccolo, importante passo. Domani, per una volta, noi esseri umani... anzi - ,si corresse, - noi eldiani, oltrepasseremo le Mura in un modo del tutto diverso, mentale, e porteremo un piede avanti, sulla spiaggia, magari! Ed è un po' grazie ad ognuno di voi che siamo arrivati fin qui. Dunque: grazie - disse, - Grazie per essere rimasti. -

Distese le dita delle mani e le infilò nelle tasche verdi del completo da ufficiale.

- Tutto qui. -

Non ci furono risposte, né commenti. Ma ognuno di loro chiuse la mano destra a pungo e la strinse sul cuore.

E ciò valse più di qualunque cosa avrebbero potuto dire.

Li guardò uno ad uno, poi si soffermò sul giovane Arlert per ultimo.

- Ehi, Armin. -

- Sissignora! - rispose prontamente.

- Come ti senti? -

- Un po' emozionato. -

Un po' ? - borbottò Jean, abbastanza forte da farsi sentire.

Armin non ci badò.

- Non so se riuscirò a dormire stanotte - ammise.

A quel punto Jean non si fece più problemi a protestare apertamente. - Oh no, bello mio, tu stanotte ti tappi la bocca e dormi, chiaro? Altrimenti prendo una spranga e ti faccio dormire io! -

Hanji rise di gusto. - Ha ragione! Domani ci aspettano molte ore di viaggio. Fossi in voi porterei anche un cuscino per la sella, non so se mi spiego. -

- D'accordo, può bastare - decretò Levi, tirandola per la giacca prima che facesse altri commenti del genere.

- Ehi... no! Aspetta! Non ho detto la cosa più importante. -

Si liberò dalla stretta del corvino e guardò un'ultima volta i ragazzi.

- Buonanotte a tutti. Riposate bene - disse finalmente.

Ci fu un coro disordinato di "buonanotte anche a lei" da parte di tutti. Tutti tranne Eren, che sembrava trovarsi con la mente miglia e miglia lontano da lì.

- Eren - lo chiamò.

Quest'ultimo alzò gli occhi verdi e infossati versi di lei. Il contatto visivo le provocò una strisciante sensazione di inquietudine, come se un serpente le si stesse arrampicando lungo la spina dorsale. Levi poteva dire quello voleva, ma per lei ciò che stava accadendo a Eren non aveva niente a che fare con una banale crisi adolescenziale.

Non stasera, rammendò a se stessa.

Lo guardò e gli sorrise, esattamente come aveva fatto con gli altri tre.

- Buonanotte - gli disse.

Lui la fissò intensamente per un lasso breve, successivamente abbassò il mento e le rispose con un muto cenno del capo.

Hanji ricambiò e si voltò per lasciare definitivamente la camera.

La stanza delle ragazze era decisamente più silenziosa e - notò Hanji con una nota di dispiacere - meno affollata. Quasi vuota, in realtà.

Mikasa era ancora vestita di tutto punto con la divisa ed era impegnata a sistemare gli abiti per il giorno dopo su una sedia, sia suoi che di Sasha. Questa invece era rannicchiata comodamente sotto le coperte, intenta a mangiare qualcosa che probabilmente non avrebbe dovuto, e che si sbrigò a nascondere sotto il cuscino al suo ingresso.

Questa volta Levi rimase qualche metro distante dalla soglia per discrezione. Ascoltò Hanji ripetere per sommi capi lo stesso discorso di prima, con l'unica eccezione di lasciarsi andare a dei piccoli gesti fisici. La vide accarezzare gentilmente un braccio a Mikasa e scompigliare giocosamente i capelli a Sasha.

- Vi auguro la buonanotte e i migliori sogni possibili - disse, prima di chiudersi anche la seconda porta alle spalle.

Solo quando furono entrambi soli in corridoio la vide rilassare la postura.

- Grazie per avermi accompagnata - gli disse mentre scendevano le scale.

- Non l'ho fatto senza compenso, sappilo. -

Hanji atterrò sul pianerottolo e si girò a guardarlo con un misto di sorpresa e interesse. - Oh, ma davvero? - domandò ammiccante. - Non dirmi che vuoi anche tu il bacio della buonanotte? -

Levi la guardò, immobile e statuario sulle scale, con il viso imperscrutabile.

Per poi esordire con un aulico: - Vaffanculo Hanji. -

*

- È straordinario - sussurrò senza fiato, ammirando le onde del mare infrangersi sulla scogliera.

Lo sguardo che risplendeva estasiato.

- Non riesco a smettere di guardarlo. -

La cosa più assurda era che invece lui non riusciva a smettere di guardare lei.

*

Poche cose spaventavano sul serio Hanji Zoë. Prima fra tutte l'ignoranza, poi il silenzio, a seguire l'oscurità... e infine la morte.

Non la sua.

- A-Andrà tutto bene, Levi... tranquillo. Sono qui, ci sono. So... so cucire, lo facevo da bambina. Ci sono. -

Il panno rosso di sangue tamponava il suo viso, e Hanji sentiva il dolore di quegli squarci come se fossero i propri.
E aveva paura.

- Ehi, d-dammi un segno che sei ancora qui anche tu. Sbatti gli occhi se mi senti, anzi no... non è una buona idea - sussurrò esaminando le condizioni poco rassicuranti dell'occhio destro.

In quel momento Hanji avrebbe tanto voluto essere un medico. Pensò che in teoria avrebbe potuto esserlo, si trattava sempre di scienza dopotutto... Se avesse impiegato maggiormente il suo tempo e le sue energie nello studio approfondito dell'anatomia umana invece che di quella dei giganti, forse avrebbe potuto fare del bene a molte più persone.

- Sai cosa? Non muovere niente, sta fermo. Solo... continua a respirare, okay?-

Gli controllò il polso per l'ennesima volta. Le pulsazioni erano deboli.

Aveva paura.

- Sta fermo. Non ti muovere, eh. Non ti muovere... non muoverti. -

Le mani le tremavano.

- Non muoverti, dannazione, non muoverti... - sussurrò.

L'ago minacciava di scapparle dalla mano sudata da un momento all'altro.

- F-Farà un po' male - lo avvertì. Anche se probabilmente aveva perso i sensi e non poteva sentirla. Visto quello che si stava apprestando a fare, sperava davvero fosse così.

Sentì le ossa delle dita scoccare attorno alla presa.

C'era troppo silenzio: aveva bisogno di parlare. Sì... parlare l'avrebbe aiutata. Aveva bisogno di concentrarsi su altro, qualcosa che le tenesse la mente ancorata alla ragione.

- Sai - cominciò, - la prima volta che ho fatto una cosa del genere avevo nove anni. -

Funzionò. Le sue mani erano ferme, svelte e lavoravano autonomamente come una macchina; come se non facessero parte del resto del corpo.

- A quei tempi mi facevo male spesso: ruzzolavo, inciampavo e cadevo su ostacoli che non riuscivo a mettere a fuoco. La mia miopia era piuttosto avanzata, ma i miei genitori non avevano un granché di soldi, e non volevano spendere per un paio di occhiali.
Un giorno un teppistello mi fece lo sgambetto e io caddi con un ginocchio dritto, dritto su una mezza bottiglia di vetro rotta. Lì per lì andai nel panico, non tanto per la scheggia di vetro che mi spuntava dal ginocchio, quanto per quello che mi aspettava a casa se mi fossi presentata in quel modo.

Così pensai bene di provvedere da sola. Chiesi in prestito un ago e un rocchetto a una vecchia signora, mi sedetti su un muretto, estrassi la scheggia con le unghie e mi ricucii il taglio da me. Faceva un male cane, ma non mi fermai o persi la concentrazione nemmeno per un secondo, anzi, più andavo avanti più ci prendevo gusto, addirittura. Ne uscì una bella sutura sgangherata, con più punti del necessario e color verde pistacchio.
Inutile dire che non avevo neanche sciacquato il taglio e che si infettò dopo meno di un giorno... Però ero così orgogliosa del mio operato che non appena arrivai a casa corsi a farlo vedere ai miei. Dissi una cosa del tipo "Visto che brava? Ho fatto il danno e l'ho aggiustato da sola."

Mio padre mi guardò come se fossi l'incarnazione del demonio, mentre secondo me mia madre era più orripilata dal fatto che avessi cucito in modo così obbrobbrioso, piuttosto che dalla ferita in sé.
Alla fine della giornata la sgridata la presi comunque, perché - come ho già detto- la ferita si era infettata e dovettero pagare un medico. -

Giunta sulla sommità della fronte, Hanji distese l'ultimo tratto di filo e tagliò.
Si allontanò per esaminare il risultato.

- Comunque, non volermene, ma credo che il tuo occhio destro sia andato - disse mentre si sfilava il mantello e lo stendeva con attenzione sul torso nudo di lui.

- Ecco fatto. Niente più sangue... - esalò.

Si asciugò la fronte con un braccio e crollò a terra accanto a lui, lasciando che il suo corpo scaricasse tutta la tensione degli ultimi minuti. Era stremata e i suoi arti erano dolorosamente freddi. Il vento tra le foglie le sussurra all'orecchio una nenia soporifera.
Sentiva che avrebbe potuto morire dalla stanchezza, ma forzò immediatamente le palpebre aperte quando percepì l'ombra di un un movimento alla sua sinistra.

Levi aveva la testa girata verso di lei e gli occhi semiaperti.

- ... Levi? -

Hanji si alzò sui gomiti e si trascinò più vicina a lui.

- Sei sveglio - constatò, e una lacrima di sollievo le sfuggì dall'occhio sano.

- Soldato più forte dei miei stivali! M-Mi sei quasi morto adosso... -

Sollevò un braccio sul suo torace e lo tirò in un goffo, debole abbraccio.

Lo vide dischiudere le labbra e gonfiare il petto d'aria.

- Non parlare - lo ammonì, - ti sanguina la bocca se lo fai. -

Levi chiuse gli occhi e la bocca, e per una attimo Hanji pensò che fosse ricaduto nel sonno. Ma poi lo sentì struggersi in mugolii spezzati nello sforzo di pronunciare le parole.

- No, no, no! Hai sentito quello che ho detto? - ribadì ansiosa.

- Ma... -

- Cosa? Cosa c'è? -

- Ma... dre. -

Hanji trasalì.

- Madre... grazie. -

Restò ferma. Pietrificata. Ad ascoltare le fievoli parole che uscivano dalle sue labbra.

- I... sabel, Farlan... mi dispiace. -

Non sapeva come comportarsi. Levi stava chiaramente delirando, eppure si sentiva inspiegabilmente colpevole a stare lì ad ascoltarlo. Si sentiva come se non avesse dovuto trovarsi lì; come se l'universo l'avesse messa nel posto sbagliato.

- Petra... mi dispiace. -

Hanji strinse i denti e decise, dato che non poteva sentire la sua voce, di offrirgli conforto nell'unico altro modo possibile. Lentamente spostò una mano verso il basso per trovare quella destra di lui, aggirò le dita mozzate e distese il palmo contro il suo, scorrendo il pollice sul dorso. Mentre quella lista di nomi andava avanti come una litania.

- Erwin... mi dispiace. -

Un istante di silenzio seguì l'ultimo nome, poi all'improvviso uno spasmo percorse la mano di Levi e Hanji lo sentì parlare di nuovo.

- Han... ji. -

- Sono qui - gli sussurrò.

- Grazie. -

- Sì - un sorriso le stirò le labbra, - sono contenta che tu sia... -

- Ti amo. -

Il respiro le si mozzò in gola.

Grazie.

Avrebbe potuto fermarsi al grazie e nulla sarebbe successo, nulla sarebbe cambiato. Ma non lo aveva fatto. Non lo aveva fatto e questo cambiava tutto.
Hanji si rimproverò. Si diede della stupida, ricordandosi che stava delirando; che con ogni probabilità non intendeva davvero quello aveva detto. Eppure... Levi la stava guardando. L'occhio destro dall'iride lattea e sbiadita - lacrimante per lo sforzo di tenerlo aperto - e l'occhio sinistro, del suo consueto azzurro metallico, erano entrambi aperti e fissi su di lei. E tradivano una lucidità innegabile.

- Ti amo... Hanji - disse di nuovo.

E per un istante Hanji ebbe la presunzione di pensare di trovarsi, in realtà, nel posto giusto. Pensò che fosse proprio quello il suo posto giusto, a fianco a lui.
Per un istante si lasciò andare: sollevò la testa, si curvò su di lui e poggiò le labbra sulle sue.
Sentiva i punti di sutura premere contro il labbro inferiore, e la pressione, seppur lieve, causò una fuoriuscita di sangue.
Hanji inumidì la zona lesa con la lingua per raccoglierne le traccie, sentendo il sapore metallico invaderle la bocca.

- Quindi adesso possiamo chiamare le cose con il loro nome? - gli sussurrò scostandosi dal suo volto.

Tuttavia Levi aveva già richiuso gli occhi, perdendo di nuovo conoscenza e abbandonando le sue parole nel silenzio della foresta.

Hanji sospirò stancamente. Si rimboccò le maniche e cominciò con cura ad avvolgergli le bende intorno al capo.
Quando ebbe finito si issò a sedere e avvicinò il fucile al suo fianco, preparandosi a vegliare per la notte. Non poteva cedere alla stanchezza, dunque decise che avrebbe analizzato logicamente la situazione ad alta voce per mantenersi operativa.

- Sei l'unico sopravvissuto. Questo vuol dire che tutti gli altri sono stati trasformati - iniziò. - È perché sei un Ackerman, non è vero? -

La testa le pulsava e fu costretta ad appoggiarla sulle ginocchia.

- Che cosa facciamo adesso? Da soli non abbiamo possibilità di fermare Zeke, tutto ciò che possiamo fare è sperare in Armin o nel Comandante Pixis - constatò, - Anche se Eren avesse tradito Zeke, gli Jaegeristi potrebbero usare il fluido spinale per prendere il controllo dell'isola, e a noi non resterà che fare i fuggitivi per tutta la vita. -

Si fermò a riflettere su quest'ultima possibilità.

- Nonostante si è sempre creduto di fare la cosa giusta, all'improvviso le cose cambiano e... i giusti si ritrovano chiusi in cella. -

Girò la testa sulle ginocchia per osservare il modo rassicurante in cui il petto di Levi si sollevava e abbassava.

- Forse dovremmo semplicemente lasciare tutto e vivere qui insieme... che ne dici, Levi? -

Nel momento esatto in cui la proposta lasciò le sue labbra, Hanji capì che c'era in essa qualcosa di tremendamente sbagliato. Perché qualcuno... qualcosa stava chiamando il suo nome. La voce trascendeva la terra e l'aria e rimbombava sinistra nella sua testa.

Ma era ancora troppo presto per sapere bene cosa fosse.

*

L'ansia dilagava tra i membri del loro gruppo assortito riuniti sul porto, tra vecchi e nuovi compagni.

Si controllavano le attrezzature e ci si scambiavano dubbi e preoccupazioni riguardo l'esito di quella che tutti speravano essere l'ultima battaglia.
Hanji aveva distribuito pacche sulle spalle e incoraggiamenti e scherzato con Pieck.
Il tutto con un luminoso sorriso forzato sulle labbra.

Sentiva che era ora.

Se lo sentiva addosso come una malattia, fin dentro le ossa, in ogni suo respiro, in ogni singola contrazione del suo cuore ancora battente.
Il suo essere era calamitato da una forza incontrastabile, infinitamente più grande di lei, verso un percorso pretracciato.

Il che aveva condotto ad una nuova, aspra presa di coscienza: non era mai stata libera.

Ironico, visto che aveva passato quasi tutta la sua vita con lo stemma delle ali della libertà sulla schiena.
Le tornò in mente la prima reazione di Levi riguardo al nome di Paradis per la loro isola, e pensò che tutta la loro storia poteva considerarsi un'ironia.

Tuttavia, riflettè, nulla le impediva di smettere di respirare in quel preciso momento; di afferrarsi la gola con le mani e soffocarsi da sola. Aveva ancora possibilità di scelta nel presente. Forse non poteva cambiare ciò che aveva davanti, ma poteva ancora fermarsi, puntare i piedi a terra e rifiutarsi di proseguire.

Poteva. Ma non voleva.

Ed era quella per lei la differenza che contava davvero.

La sensazione si stava facendo più forte. Era questione di ore ormai, forse addirittura di minuti.

La stava chiamando.

E quando la morte ti chiama, Hanji, tu rispondi:

- Shinzo wo Sasageyo... - sussurrò a se stessa.

Non era la sua morte quella che temeva.

*

Il boato della Marcia scuoteva la terra.

La mano di Levi era stretta sul nodo del mantello di Hanji, all'altezza del suo cuore.

- Shinzo wo Sasageyo. -

Offri il tuo cuore.

Sì.

- È la prima volta che te lo sento dire! -

Sapevano entrambi che sarebbe stata anche l'ultima.

*

C'era rumore fuori.

Le grida e i pianti dei ragazzi si univano al fracasso del motore dell'idrovolante.

Le gambe di Levi erano troppo deboli per reggerlo in piedi a lungo, così se ne stava seduto in disparte.

C'era rumore fuori, ma dentro di lui regnava il silenzio.

La sua anima sanguinava e faceva male. Faceva così male...
Il dolore lo dilaniava, lo straziava, gli strappava le pareti del cuore e con il suo pungiglione iniettava veleno in ciò rimaneva.

Eppure Levi sapeva che era giusto così, che le cose non sarebbero potute, né dovute andare in modo diverso.

Era tutto perfettamente giusto, e allo stesso tempo così sbagliato.

La sua risata, le sfumature dell'iride, l'odore della sua pelle, gli spigoli delle sue ossa, le increspature delle sue cicatrici, il modo in cui i loro corpi inospitali trovavano sempre il modo di combaciare, come se fossero da sempre complementari...
Era tutto ancora lì, impresso nei suoi sensi.

Probabilmente il tempo gli avrebbe portato via anche quello e lui avrebbe dimenticato.

Con questi pensieri, Levi si ritrovò, per la prima volta, a volere, pretendere, e non solo sperare, che esistesse un dopo.
Perché il pensiero che l'esistenza di Hanji fosse stata semplicemente cancellata da ogni luogo e ogni tempo, gli pareva inaccettabile. Così come il pensiero che non ci fosse alcun modo per poterla vedere di nuovo.

Quindi decise di non dirle addio.
Decise, piuttosto, di lasciarle un saluto e una promessa.

- Ci vediamo... Hanji. -

*

- Ci vediamo... Hanji. -

- Dio, no! Spero proprio di non vederti per ancora molto, molto tempo.
Spero di non vederti fino a quando non avrai almeno tutti i capelli striati di grigio e di bianco.

Spero invece che tu veda la fine di questa guerra.

Spero che tu veda quei ragazzi crescere e diventare adulti.

Spero che ci sia qualcuno a tenerti compagnia nella tua vecchiaia, e che tu non ti senta solo neanche per un secondo della tua vita.

Spero questo e molto altro per te.

Ti amo, Levi.

Ma per il momento...

Sono semplicemente contenta che tu sia vivo oggi. -

   
 
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