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Autore: Darty    27/11/2021    11 recensioni
“Tutti gli amori felici si somigliano; ogni amore infelice è invece difficile a modo suo. In casa De Jarjayes tutto era sottosopra” (e spero che L.S. non se ne abbia a male)
Oscar ed Andrè e la loro “storia terrena” appartengono a Riyoko Ikeda ed un po’ anche a Tadao Nagahama e Osamu Dezaki. Questa fanfiction non ha scopo di lucro, ma terapeutico sì...
I versi di David Bowie sono solo suoi: dell’immortale Duca Bianco.
Si incomincia con il Cavaliere Nero. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fluff, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Paris or maybe hell – I’m waiting
Clutches of sad remains
Waits for Aladdin Sane – you’ll make it
Who’ll love Aladdin Sane
Millions weep a fountain,
just in case of sunrise
 
 
 
“L’occasione era bella. Volli sperare anch’io. Puntai in alto. Una stella o l’occhio (il gelo) di Dio?” (*)
(*) Giorgio Caproni, L’Occasione.
 
“ Bene, avvicinatevi, qui”

Oscar ed André si erano avvicinati all’altare, dove Goethe si era diretto.

“Vi dicevo che il Conte di Saint-Germain ha conosciuto il principe di Sansevero, Raimondo di Sangro. E’ avvenuto intorno al 1761, poco dopo che il Conte fu esiliato dalla Francia, con l’accusa di essere una spia. Dapprima si rifugiò all’Aia e ad Amsterdam e poi venne qui, a Naples, dove soggiornò per qualche mese, sotto falsa identità. Come tutti noi del resto.”

Il tedesco si accertò che fossero ancora soli. Poi continuò:
“Il Principe Raimondo di Sangro, invece, era stato iniziato alla Massoneria nella vostra natia Francia, nella Loggia del duca di Villeroy. Nel 1750, quando aveva quarant’anni divenne gran maestro della Massoneria napoletana. Ma l’anno dopo l’abbandonò. Forse. Di certo abbandonare i fratelli non è mai una scelta felice.”

Alzò lo sguardo Goethe; indicando le statue intorno a sé proseguì:
“Apparentemente tutti questi marmi rappresentano avi e familiari del Principe; in realtà questa cappella descrive un percorso iniziatico. Siete stati accolti dalla statua di un guardiano che esce dalla tomba; la sua spada è sguainata, per impedire ai profani di entrare, ma anche per accogliere simbolicamente il nuovo adepto. Tutte le altre opere ne illustrano il cammino massonico verso la conoscenza.”

Oscar ed André si erano soffermati a guardare le statue ai lati dell’altare.

“Se avessimo più tempo potrei narrarvi di ogni simbolo inciso in questi marmi”, aggiunse. “Per ora vi basti sapere che le statue ai lati di questo altare rappresentano più di quello che mostrano.
La Pudicizia non è solo una donna coperta da un velo: è l’allegoria della sapienza, tangibile ma nascosta; ed è anche la dea Iside. La dea mater.
Il Disinganno rappresenta un uomo che si libera da una rete, ma è posto su una bibbia aperta: è l’uomo che si affranca dal peccato e dalle false verità con l’aiuto della ragione, per raggiungere l’autentica conoscenza, quella esoterica.”

Si era spostato dietro l’altare Goethe, mentre Oscar e André erano rimasti, immoti e vicini, la prima alla sinistra del secondo.

Li guardò e sorrise beffardo Goethe e poi esclamò: “La scenografia è perfetta, il ruolo mi si addice... certo siete entrambe vestiti da uomini... comunque ... potrei quasi congiungervi in matrimonio: vi dichiaro marito e moglie, può baciare la sposa, Monsieur André!”

Spalancò la bocca dalla sorpresa André.

Sgranò gli occhi Oscar e poi abbassò lo sguardo, arrossendo appena. Fu un attimo. Risoluta tornò a fissare il tedesco “Vi ho già detto che qui non siamo a teatro e che non abbiamo tempo da perdere, Herr  von Goethe!”

“Va bene, va bene, come volete ... dunque dov’ero rimasto .. ah sì, dicevo che si conobbero, il Principe ed il Conte.
Entrambe erano esperti alchimisti.
Il  Principe nel proprio palazzo disponeva di un laboratorio e di una fornace con cui  produceva  gemme artificiali. Trovò il metodo di imitare le vere pietre preziose, dalle quali le sue gemme non potevano distinguersi: pietre dure, come il diaspro verde o  sanguigno e l’agata, ma anche  lapislazzuli ed ametiste.
Ed il Conte faceva esperimenti della stessa natura al Castello di Chambord, che il vostro compianto re Luigi XV gli aveva concesso, promettendogli «la più ricca e rara delle scoperte mai compiute».

Si rammentò Oscar che quel re aveva quasi condannato a morte André, il suo André.  Ingiustamente. Iniquamente. Non lo compiangeva affatto quel re.

Gli sovvenne ad André che Oscar aveva rischiato di morire tanti anni prima, davanti a quel re, per due volte, per la ferita al braccio e perché aveva offerto la propria vita in cambio della sua; al posto della vita di un servo... E lui aveva giurato che avrebbe fatto altrettanto, che avrebbe dato la sua vita per lei. E gli sovvenne anche che allora .... già l’amava ...

“Ma quello che, si suppone, insieme sottrassero alla Massoneria, è più prezioso di qualche vetro colorato”, seguitò Goethe. “Avete mai sentito parlare del Lume perpetuo? Potete immaginare  quale progresso potrebbe rappresentare per la scienza e per la vita un tale prodigio?”

Si guardarono interdetti Oscar e André. Un lieve rossore le imporporava ancora le guance, notò André.

“Conoscendo il Duca, immagino che per ora vi abbia lasciato all’oscuro di molte informazioni.  Per indicarvi cosa il Conte abbia sottratto ai fratelli massoni, vi avrà fornito solo istruzioni cifrate. La chiave per decriptarle vi arriverà a tempo debito.”

Annui André, che fra i documenti consegnati dal  Duca, custodiva con cura una serie di lettere sigillate da aprire a tappe prestabilite.

“Dunque dicevo ...  non mi stupirei se l’oggetto del furto fosse quello”, chiosò Goethe “Che poi di furto vero e proprio non si trattò. Il Principe imprudentemente rese nota la sua “invenzione” nel 1765, ma morì nel 1771 senza condividere la natura di quell’artifizio che generava una luce perpetua che bruciava senza estinguersi, per mesi e mesi. Avrebbe voluto esporre il Cristo Velato nella cripta, illuminandolo con quelle luci perpetue.”

“Allora”, intervenne Oscar, “ci state dicendo che il Conte di Saint-Germain avrebbe sottratto alla massoneria il segreto per produrre queste luci perpetue e l’avrebbe ceduto al Principe?”

“Più o meno”, rispose Goethe “Saint-Germain si impossessò di un archetipo, di  un prototipo, che poi Saint-Germain e Raimondo di Sangro perfezionarono assieme. Poi il Conte proseguì nei suoi viaggi, mentre il Principe restò a Naples, ma si espose troppo.”

“Ovvero?”, chiese André.

“Ad alta voce si dice che morì a causa delle esalazioni prodotte dai suoi esperimenti alchemici. Si sussurra invece che fu assassinato, in un maldestro tentativo di carpirne i segreti. E’ successo ormai diciassette anni fa. Da allora i fratelli Massoni cercano di rintracciare il Conte, unico depositario rimasto del segreto del Lume perpetuo”

“E voi, in tutto questo cosa c’entrate Herr von Goethe, credevo foste solo uno scrittore”, precisò sarcastica Oscar.

“Nessuno scrittore è solo uno scrittore” rispose piccato Goethe “Io sono riuscito ad accertare che tre anni orsono il Conte ha simulato la sua morte: la sua tomba, ad Eckenforde, sul Mar Baltico, è vuota.”

Era impensierita e corrucciata Oscar, mentre André scrutava il tedesco domandandosi se fosse sincero o si prendesse gioco di loro. O se fosse completamente pazzo.

“Ho scoperto che ora il Conte di Saint-Germain si trova alla corte del Sultano Abdül Hamid I.”  Proseguì Goethe: “dovrebbe avere almeno settantacinque anni, ma è ancora vivo e pare godere di un’ottima salute e dell’aspetto invidiabile di un quarantenne”.  

André fissò irritato il tedesco: “Suvvia Herr von Goethe, non crederete di impressionarci: questa leggenda dell’eterna giovinezza, del fatto che Saint-Germain si trasferisse di corte in corte perché nessuno si avvedesse che il suo aspetto non invecchiava ...insomma  se ne chiacchera ancora a Versailles. E’ una favoletta per anime semplici, da raccontare nelle fredde notti invernali.”

“Mio giovane amico, pensate pure quello che volete, ma non dovrete cercare un settantenne, alla corte del Sultano. Quanto a me, mi sono molto impressionato invece. Sto persino scrivendo un dramma in versi; chissà se lo finirò mai, ma ho già il titolo: Faust.

Oh.... magari mi sto sbagliando ed il Duca sta bramando l’elisir di eterna giovinezza!”

“ Herr von Goethe”, sibilò Oscar, i pugni stretti e le braccia tese lungo i fianchi, gli occhi azzurri sottili come lame: “Se ci state mentendo pregate Iddio che io non riesca a ritrovarvi, giammai!”

“Ebbene”, rispose Goethe, come se nulla fosse  “Non credo che la destinazione di Costantinopoli sia casuale. Se è il lume eterno, il santo graal di questa recherche, qui nella Cappella c’è l’indizio decisivo: qualcosa che il Principe di San Severo fece aggiungere  nel 1767: ecco. Venite!”

Si erano spostati sulla porta laterale dove tradusse un’iscrizione: << Chiunque tu sia, o viandante ... Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei defunti, e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati >>.

Erano sprofondati nel silenzio al tacer di quelle parole.

Poi Goethe li aveva condotti sotto la statua dello Zelo della Religione, scolpita nello stesso anno, in cui spiccava la figura di un vegliardo che portava in una mano un lume. La luce della Verità che con il piede schiacciava le serpi dell’eresia?  Forse. Con uno strano ghigno il tedesco aveva letto le parole incise: “Et apud Costantinopolim ego”.

“A Costantinopoli la vostra missione è cercare il Conte, che si nasconde sotto mentite spoglie. Come vi ho già detto lo troverete alla corte del Sultano Abdül Hamid I, ed è il più fidato Consigliere della sua amata madre, Rabi'a Semi Sultana. Ora si fa chiamare Leopoldo Giorgio Rákóczi.

Se vi presenterete a nome della defunta moglie del Principe di Sansevero, Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona, non potrà non ricevervi.”

Dopo di che uscirono alla luce.

Il sole brillava alto e sorprendentemente caldo su Naples.

Sotto quel cielo pareva che le alchimie, i misteri esoterici, le dottrine occulte e tutti gli arcani evocati dalle parole di Goethe si squagliassero come neve, sotto i raggi carezzevoli del sole.

Anche il tedesco parve trasformarsi.

Non era più l’ambiguo e scontroso Johann Philipp Möller.

Non era più l’altero e cinico Johann Wolfgang von Goethe.

Sembrava un non più giovane Werther. Malinconico e triste.

Sorrise mesto ai due francesi e disse: “Forse posso fare qualcosa per voi. Ma siate sinceri, raccontatemi la vostra storia. Ricordatevi: sono uno scrittore, mi nutro di emozioni.”
* * *
Davanti al mare di Naples, seduti sugli scogli, Oscar raccontò la sua storia. Che era anche quella di André.

I pescatori tiravano le reti sulla spiaggia, i gabbiani garrivano forte, volavano bassi, in tondo, intorno ai gozzi. Il mare luccicava.

André, che il suo sguardo innamorato non riusciva più a celare, ascoltava la sua Oscar ed ogni tanto interveniva, per precisare,  il più delle volte per schernirsi e per magnificarla.

Della contessa Du Barry. Di quella volta che alla Corte di Versailles un pesante lampadario era precipitato sulle loro teste e lui l’aveva tratta in salvo, avvolgendola come in un bozzolo mentre rotolavano giù dalle scale. “Non feci nulla di straordinario. Te ne eri accorta anche tu Oscar”.

Dello scandalo della collana. Di quella volta che a Saverne lei invocò, con l’ultimo respiro che le restava,  il suo aiuto. I muri erano spessi e lui era lontano. Ma lui accorse in suo aiuto ed anche quella volta l’avvolse in un abbraccio, per proteggerla dall’esplosione.  “Solo un caso, Oscar, un fortunato caso.

Di quella volta che i panni del Cavaliere nero li aveva indossati lui, al posto suo. Ed era stato ferito all’occhio, al posto suo. “Te lo ripeto Oscar, sono contento che sia successo a me e non a te Oscar....davvero, e poi sono guarito, no?”.

Lui, Lei.

Li ascoltava e li guardava un po’ intenerito, il tedesco. Che il racconto era quello di una vita straordinaria per una donna. Allevata come un uomo, come un militare. Orgogliosa ed impavida. Generosa e leale. Ma irrimediabilmente ingenua.

Ed era anche il racconto di un ragazzo, diventato uomo, cresciuto con i nobili, educato come un aristocratico, ma pur sempre nato servo. Ma che come servo non si era mai comportato, non perché non fosse fedele e ligio al dovere, ma perché quella nei confronti della sua nobile padrona non era fedeltà, era devozione.

E l’uomo devoto è pari al suo Dio. Non vi è mai sottomesso.

Eppure quei due si comportavano come fratelli. Non come amanti.

Eppure tutto in loro, nel modo in cui Oscar parlava di André, nel modo in cui André  guardava Oscar,  perfino i silenzi fra di loro, urlavano al mondo che quello era un amore vero, profondo ed irrinunciabile. Ma inconfessato.

Aveva ascoltato con disgusto del ricatto del Duca d’Orleans, il tedesco, anche se qualcosa gli sfuggiva. Non poteva essere che il Duca non avesse previsto un modo per annientare quella donna colonnello al suo rientro dalla missione. E percepiva che anche André si tormentasse per quello.

Poi offrì loro il suo aiuto. Avrebbe fatto recapitare clandestinamente al Generale de Jarjayes ed al Conte Hans Axel von Fersen una lettera da parte loro.

In cuor suo si ripromise di rassicurare il Duca sulla riuscita del suo incarico e cercato di capirne qualche segreto. Per aiutarli. Perché sperava che per una volta un amore che la società ripudiava non dovesse sublimarsi in qualcos’altro, ma fiorire. Rigoglioso.

Era quasi il tramonto quando si alzarono da quegli scogli, un po’ indolenziti. Una lieve brezza si era sollevata, Oscar tremò per il freddo ed André se ne avvide. Le porse il mantello. Lo poggiò lieve sulle sue spalle. Come sempre. E come sempre lei accennò un sorriso, grata di quella premura. Le loro dita si sfiorarono ed Oscar ne percepì il tepore.  Indugiarono quelle dita, strette sul mantello che avvolgeva le spalle di Oscar.

Si salutarono i tre.

L’indomani, il 26 marzo 1787,  la Misticque era salpata. All’alba André aveva consegnato a Goethe due lettere sigillate.

Anche Goethe, diretto a Palermo, sarebbe partito per nave, tre giorni dopo.

Nel cuore serbava una storia, e quella storia gli bruciava nel petto.

Emozioni.

Ne era dipendente ormai.

Socchiuse gli occhi. Distolse lo sguardo dalla Misticque che si allontanava dal golfo di Naples e sul suo taccuino scrisse:

MEFISTOFELE: Ti ho trasportato attraverso spazi sterminati, ti ho mostrato molti regni del mondo… e la loro gloria. Ti ho fatto conoscere l’amore ma nulla ancora ti ha saziato. Davvero, il tuo cuore non è mai contento giù tra gli uomini! Ma allora, insaziato come sei, non ti piace proprio nulla su questa nostra terra?

FAUST: Eppure – sì. Una cosa grande ora mi attira. (*)
 (*) Goethe, Faust
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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