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Autore: Futeki    05/12/2021    9 recensioni
Quando Neville Paciock fa una scoperta rilevante nell'ambito dell'Erbologia, Pansy Parkinson va a casa sua per intervistarlo.
Dal testo: "«Allora», iniziò lei, e la Penna Prendiappunti si sollevò dal taccuino su cui si era pigramente adagiata nell’attesa, «le sue recenti pubblicazioni sui fiori della Mimbulus Mimbletonia le hanno garantito una certa notorietà, signor Paciock. Vuole lasciarmi un commento?»
L’uomo ridacchiò. «Pansy, abbiamo frequentato la stessa scuola per sette anni, potresti chiamarmi per nome, invece di essere tanto formale.»
"
[Storia nominata nelle categorie Miglior regia e Miglior primo piano agli Oscar della Penna 2023 indetti sul forum Ferisce più la penna.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Neville Paciock, Pansy Parkinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Under the green, Slytherin light'
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A Mati,

nella speranza di averti regalato una storia

in cui questi due personaggi sono rappresentati

nel modo in cui mi hai insegnato ad amarli.

Buon compleanno, cupcake.

 

 

L’intervista

 

Ti ricordi com’era l’adolescenza, Pansy?

Quando quelli intorno a te convivevano con il peso di sentirsi sempre fuori posto e tu solo con l’ingenua certezza che non lo saresti mai stata?

Te lo ricordi il momento in cui hai smesso di ritenerti intoccabile e hai cominciato a pensare che potessi essere tu il problema?

 

Il soffitto alto faceva sembrare la cucina più grande di quanto non fosse. Lo spazio era poco e le piante disposte nel cono di luce solare nei pressi delle finestre ne occupavano una buona parte. Neville Paciock, nei suoi abiti comodi, le dava le spalle mentre trafficava ai fornelli.

Pansy era consapevole di essere fuori posto in quel luogo accogliente e disordinato. Se ne stava su una sedia di legno che dubitava avrebbe retto un peso maggiore del suo, le gambe accavallate in una posa rilassata, la punta dello stivale che oscillava tradendo una certa impazienza. Teneva le mani nelle tasche di un cappotto grigio che la copriva dal mento fino a metà coscia e lo sguardo ostinatamente puntato contro la schiena del padrone di casa.

«Vogliamo tornare all’intervista?», domandò irritata.

Lui non rispose, impegnato com’era nella preparazione di un tè che lei non aveva chiesto né voluto – non finché lui non aveva immerso un sacchetto pieno di Merlino-solo-sapeva-cosa nell’acqua bollente, riempiendo l’aria di un odore irresistibile, che aveva frantumato ogni suo proposito di rifiutare quella cortesia indesiderata.

«Ecco qua», dichiarò l’uomo, porgendole la tazza fumante.

Pansy la guardò, ma non accennò a toccarla. «Grazie», disse meccanicamente, la reazione istintiva dovuta a un’educazione che, purtroppo o per fortuna, era radicata in lei.

 

Ti sembrava un gioco, da piccola, il proposito di mantenere un’apparenza impeccabile.

Ti ricordi quando è stato, Pansy, che hai capito che le formalità e i valori erano concezioni diverse di cosa fosse la nobiltà?

Ti è appartenuta quella del sangue, e quale altra?

Chi avrebbe potuto riconoscere il valore di ciò che eri, al di là di ciò che sembravi?

Chi, se neanche tu?

 

«Allora», iniziò lei, e la Penna Prendiappunti si sollevò dal taccuino su cui si era pigramente adagiata nell’attesa, «le sue recenti pubblicazioni sui fiori della Mimbulus Mimbletonia le hanno garantito una certa notorietà, signor Paciock. Vuole lasciarmi un commento?»

L’uomo ridacchiò. «Pansy, abbiamo frequentato la stessa scuola per sette anni, potresti chiamarmi per nome.»

Lei si irrigidì e, mentre pensava di sfuggita che smettere le formalità sarebbe stato più faticoso che mantenerle, le venne in mente che no, non avevano frequentato la stessa scuola per tutti e sette gli anni, perché durante l’ultimo lei aveva vissuto come una privilegiata, mentre lui si era battuto per ideali che lei non aveva neanche compreso, non finché qualcun altro non aveva vinto quella guerra anche per lei.

«Neville», scandì lei con calma. «Vuoi parlarmi della tua scoperta?»

Le era seduto di fronte e la scrutava con un misto di curiosità e placida rassegnazione, senza tradire alcuna traccia di fastidio per il suo atteggiamento leggermente ostile. «La prima volta che ho visto una Mimbulus Mimbletonia è stata quando mio zio me l’ha regalata per il mio quindicesimo compleanno. Mi hanno sempre affascinato le piante che riescono a sviluppare meccanismi di difesa efficaci senza essere letali.»

Pansy inarcò un sopracciglio. «Senza dubbio una difesa letale è più efficace di una che non lo è.»

Neville sorrise, quasi soddisfatto della sua interruzione. «Ma, di fronte a un pericolo tanto grande, in pochi si arrischierebbero ad avvicinarsi. Una pianta che ha bisogno di altre creature viventi per svilupparsi non può permettersi di essere troppo pericolosa. Questo, però, l’ho capito soltanto molti anni dopo. D’altra parte, da ragazzini ci sentiamo tutti più a nostro agio nel riconoscere il valore della forza e dell’indipendenza, non trovi?»

 

Quando mai hai capito, Pansy, la differenza tra l’indipendenza e la superiorità?

Ricordi un momento in cui ti sei resa conto di aver perseguito la meno nobile tra le due?

A un certo punto avevi iniziato a pensare di essere responsabile della tua stessa solitudine,

e forse era proprio così.

Ma hai mai riconosciuto, nello sprezzo per gli altri, il riflesso di quello per te stessa?

 

La Penna Prendiappunti continuava a scrivere instancabile sul taccuino, e per la prima volta Pansy desiderò di aver portato con sé una piuma classica, così da avere una ragione valida per distogliere lo sguardo da lui. Pensò di gettare un’occhiata alle parole appuntate per magia, ma non riuscì ad assecondare quell’impulso, intrappolata dall’analisi gentile ma ferma di un paio di iridi scure fisse su di lei.

«Come ci sei arrivato?», gli domandò, nel tono più professionale possibile.

«Ho iniziato a chiedermi perché fosse fatta esattamente com’è», replicò lui tranquillamente. «Perché bolle e non spine? Perché Puzzalinfa e non veleno?»

«E?»

Neville abbassò gli occhi sulla tazza che giaceva intonsa davanti a lei. «Non ti piace il tè?»

Pansy seguì il suo sguardo e tornò improvvisamente consapevole del profumo che avvolgeva la stanza. Estrasse la mano destra dal cappotto e prese il manico tra le dita. «Grazie», ripeté, senza riuscire a fermarsi. Si diede mentalmente dell’idiota per come doveva apparire a disagio, quindi si irritò e lasciò la tazza per riportare la mano al sicuro nella tasca del cappotto.

«In un ambiente favorevole, con la giusta luce, un terreno sufficientemente ricco e un elevato numero di insetti, la Mimbletonia può metabolizzare il polline di altri fiori per produrre i propri», spiegò finalmente. «Sbocciano in primavera e durano soltanto qualche settimana, ma una volta deterioratosi il primo fiore, altri nascono dai residui dei suoi petali. È un ciclo virtuoso potenzialmente infinito, la pianta continua a dare fiori per il resto della sua vita.»

Per sua fortuna, la Penna Prendiappunti proseguì instancabile nel suo lavoro. Pansy, invece, realizzò che se avesse avuto tra le mani una piuma avrebbe smesso di scrivere, incantata dall’immagine che lui aveva saputo raccontarle con poche parole.

 

Ma quanto era facile scalfire il tuo finto distacco, Pansy?

Quante crepe attraversavano quella corazza che non aveva niente a che fare con la forza ma solo con un cinismo distruttivo?

E quanta fragilità c’era nel disprezzo che hai provato per te stessa nelle occasioni in cui a penetrare quegli spazi erano sentimenti di cui avevi paura?

 

«Dimmi un po’ della tua vita.»

Il brusco cambio di argomento lo sorprese. «Come?», domandò sbattendo le palpebre.

Pansy abbassò gli occhi sul lavoro impeccabile della propria Penna. «È tutto molto affascinante, ma devo assicurarmi l’attenzione anche di quella considerevole parte di lettori a cui l’Erbologia non interessa affatto. C’è una donna nella tua vita? Qualcuna con cui condividi o vorresti condividere i tuoi recenti successi?» Alzò finalmente lo sguardo su di lui e gli rivolse un sorriso sarcastico, mentre accennava con il capo all’indirizzo del taccuino. «Il pubblico vuole sapere.»

L’espressione di Neville rimase gentile, ma un rossore sulle sue orecchie tradì un leggero imbarazzo. «Nessuna donna.»

«Uomo?», proseguì lei, con distacco professionale.

«Neanche.»

La colpì la tranquillità con cui le stava permettendo di scavare nella sua vita privata nonostante la cosa lo mettesse evidentemente a disagio. Cercò di non tradire la propria ammirazione e si mantenne impassibile.

«Ci sarà pure qualcuno interessato a un giovane e brillante eroe della Seconda Guerra Magica.»

Neville scoppiò a ridere. Fu la prima reazione non perfettamente composta che le concesse, ed era genuina al punto che anche a Pansy strappò un sorriso. «Non mi sento un eroe.»

«Be’», replicò lei, inarcando un sopracciglio. «È quello che sei. È così che ti vedono tutti.»

 

Non ti sei mai pentita delle scelte che hai fatto, e allora da dove viene la sensazione di essere in difetto?

È forse colpa di un sollievo a cui non hai diritto, dal momento in cui non hai mai saputo neanche sperare nel futuro migliore per tutti?

È per una gratitudine che non sai neanche esternare, che provi vergogna?

 

«Che importa come ti vedono gli altri?», ribatté Neville, poi indicò una Mimbulus Mimbletonia sul davanzale della finestra, bitorzoluta e piena di bolle nel suo vaso di terracotta. «Chiunque la vedesse adesso direbbe che è una brutta pianta. Eppure, coperta di fiori, è uno spettacolo meraviglioso.»

Pansy rimase in silenzio, quindi lui proseguì.

«Il valore delle apparenze è ben poca cosa. Ma io la conosco, so com’è davvero, e per me è bellissima sempre, anche adesso.»

«E cos’ha di bello, adesso?»

Il suo sguardo rimase su di lei, ma l’espressione che assunse era ben oltre la stanza in cui si trovavano. «È contorta perché segue ragioni che altre piante non comprendono. È schiva e sempre pronta a difendersi, si prende cura di sé nell’unico modo che conosce, con un aspetto poco rassicurante e una sostanza maleodorante che scoraggia chiunque la avvicini. Ma è una pianta buona, che non farebbe mai del male a nessuno.»

Pansy fece un mezzo sorriso. «Le piante possono essere buone?»

«Certo», ribatté lui convinto. «Alcune lo sono più di altre. Non esistono piante cattive, però.»

La Penna continuava a prendere appunti e Pansy pensò per un istante che forse stava imprimendo su carta una conversazione che avrebbe dovuto rimanere tra loro. Poi si riscosse e rammentò di essere lì soltanto per lavoro.

«Ne parli come fossero persone.»

«Sotto certi aspetti le piante somigliano alle persone più di quanto crediamo.»

«Esistono persone cattive, però.»

«Sì», concesse Neville. «Ma sono rare.»

Pansy sospirò e si sforzò di trovare una domanda intelligente da fargli per riportare l’intervista sui temi che aveva deciso in precedenza.

Lui la anticipò: «Anche le persone, come le piante, non sono sempre ben rappresentate dalla propria esteriorità.»

Lei inarcò un sopracciglio, diffidente nei confronti della piega che aveva preso il discorso.

«Ad esempio, tu hai tagliato i capelli, rispetto a quando andavamo a scuola», proseguì lui, sorprendendola. «Ma sono certo che sei sempre la stessa persona.»

Pansy strinse i pugni nelle tasche del cappotto, per impedirsi di sfiorare le ciocche corte che le incorniciavano il viso o la pelle scoperta della nuca. «Io non sono la stessa di allora.»

 

Hai cercato di cambiare spesso, ma mai per le ragioni giuste.

Quante volte hai ricominciato da zero, Pansy?

E quante volte sei andata oltre il primo passo?

E che senso ha mai avuto un primo passo, se non andava in nessuna nuova direzione?

E se tagliare i capelli è stato un atto di ribellione nei confronti di te stessa, quanto c’era di diverso nella nuova te, rispetto alla versione precedente che già si odiava?

 

«Ti chiedo scusa, non volevo essere invadente», disse lui, con una sincerità tale che lei non poté fare a meno di credergli. «È solo che ci conosciamo da quando eravamo ragazzini e a me pare di avere di fronte sempre la stessa persona, mentre tu sembri di tutt’altro avviso.»

«Perché in verità non ci siamo mai conosciuti», replicò lei secca.

Neville appoggiò la schiena contro la sedia. «Allora come mai sei qui?»

«Devo scrivere un articolo per la Gazzetta del Profeta.»

«Non il genere di articolo di cui ti occupi di solito.»

«Volevo fare colpo sulla redazione del giornale.»

«Perché?», domandò curioso. «Sei brava. Ti è già riconosciuto.»

Lei si sforzò di non reagire a quel complimento così spontaneo da farla arrossire. «Voglio dimostrare di poter trattare temi che vanno oltre la cronaca rosa.»

«E a chi vuoi dimostrarlo?»

Lei strinse le labbra per un istante prima di rispondere. «Non sono io l’oggetto dell’intervista.»

«No», concesse lui, incrociando le braccia sul tavolo davanti a sé. «Ma sono curioso.»

Lei sostenne il suo sguardo e gli offrì qualche secondo per ritirare la domanda o cambiare argomento, ma lui non lo fece.

«A me stessa», rispose alla fine.

Neville annuì. «Questo è quello che sei tu», disse tranquillo. «Oltre l’apparenza contorta e piena di bolle.»

 

Dove sta l’indipendenza nel compiere scelte che hanno l’unica ragione di essere quelle più osteggiate dalla tua famiglia?

Hai mai amato quel lavoro per cui hai combattuto?

Hai mai creduto di poterlo fare per il semplice desiderio di seguire una passione?

 

Pansy rise. «Mi hai paragonato a una Mimbulus Mimbletonia? Molto lusinghiero. Finora avevo ricevuto soltanto riferimenti a fiori invernali dai colori accesi.»

«Pansè», disse subito lui. «La Viola del Pensiero. Il suo nome ti dona molto, è una bellissima pianta da fiore dalla forza straordinaria.»

Lei non riuscì a impedirsi di abbassare lo sguardo, quindi mascherò il gesto con una finta occhiata al taccuino, su cui la Penna aveva, fortunatamente, smesso di prendere appunti.

«Io credo che valga la pena conoscerti oltre le apparenze», dichiarò Neville, spingendola ad alzare nuovamente gli occhi su di lui. «Questo è il motivo del paragone con la Mimbletonia

Pansy rimase ancora in silenzio, quindi lui indicò la tazza ancora davanti a lei. «Avresti dovuto assaggiarlo finché era caldo», la rimproverò bonariamente. «L’infuso conteneva petali tritati dei fiori della Mimbletonia. Il sapore è buono quanto l’odore.»

«Oh», si lasciò sfuggire Pansy. «Mi dispiace.»

Neville fece un gesto noncurante con la mano. «Se vuoi posso preparartene un altro», si offrì con un sorriso gentile.

Lei arrossì e scosse la testa. «È meglio che vada», dichiarò afferrando la Penna, che si ribellò tra le sue dita, e il taccuino. «Grazie per la tua ospitalità.»

Neville sospirò, ma non cercò di trattenerla, e quando lei si alzò subito la imitò per accompagnarla.

 

Quante volte sei scappata, Pansy?

Quanta paura hai avuto, nella tua esistenza – della gioia, del dolore, della morte, della vita?

Quante carezze hai cercato solo per rifuggirle quando vi scoprivi dietro qualcosa oltre il semplice desiderio?

 

Uscì mentre lui le teneva aperta la porta, le mani strette nelle tasche del cappotto e la testa dritta, nonostante lo sforzo continuo di evitare il suo sguardo. L’aria fuori dalla casa era fredda in un modo che non aveva niente a che fare con la temperatura.

«Pansy

 

L’hai odiato, quel nome indice di fragilità

a cui alla fine hai sempre risposto.

 

«Sì?»

 

L’hai odiato, quel tremito indice di fragilità,

in cui alla fine hai sempre sperato.

 

«Ti va di rivederci, qualche volta?»

 

Ti sei odiata, con tutte le tue fragilità,

ma alla fine le hai sempre sconfitte.

 

«Sì.»

 

 

 

 

 

 

Note

Questa storia nasce come regalo per Mati, alias VigilanzaCostante, e trae spunto da alcuni dei suoi headcanon su questi personaggi, primo su tutti il lavoro di Pansy come giornalista.

L’idea di Neville che scopre alcune proprietà della Mimbulus Mimbletonia nasce dalla sua passione canon per l’Erbologia, ma il fatto che questa pianta possa sviluppare dei fiori nel modo descritto è di mia invenzione. Al contrario, l’origine del nome Pansy, a cui Neville fa riferimento nel corso della storia, è reale, come lo sono le caratteristiche della Viola del Pensiero da lui descritte.

Per quanto riguarda il titolo, l’intervista in questione è ovviamente quella di Pansy a Neville, ma richiama anche le domande che Pansy rivolge a se stessa, nelle parti allineate a destra che rappresentano i suoi conflitti interiori, quindi la sua introspezione.

È la prima volta che scrivo su questo pairing, ma spero che questa piccola storia sia comunque gradita, a Mati innanzitutto, ma anche a chiunque sia arrivato a leggere fin qui.

Un abbraccio virtuale!

Futeki

 

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[Questa storia è stata betata da Legar per la challenge "La Penna del Beta" indetta sul forum Ferisce più la penna.]

   
 
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