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Autore: Gaia Bessie    09/12/2021    0 recensioni
Nella Hogwarts dei Carrow, Daphne e Astoria Greengrass devono fare i conti con crescenti episodi di bullismo ai loro danni, alcuni incentivati dal loro stesso fratello.
[Fred/Astoria, Daphne/OC | Mini Long di tre capitoli | Incest, Tematiche delicate | Partecipa al "Calendario dell'avvento" indetto da Cora Line sul Forum Ferisce più la penna | L'ultimo capitolo partecipa al contest "Someone new" indetto da Severa Crouch sul Forum Ferisce più la penna]
[3:Nato al contrario]: Il veleno che gli cola tra i denti – non biscia, vipera: Alexandre morde, squarcia e avvelena tutto ciò che tocca. Anche coloro che dice di amare.
Soprattutto loro, soprattutto lei.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Fred Weasley, Nuovo personaggio | Coppie: Astoria/Fred
Note: What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Riassunto delle puntate precedenti (per la giudice del contest):
Hogwarts è in mano ai Carrow, quando iniziano a girare tra gli studenti disegni pornografici di Daphne Greengrass. La piccola Astoria, dopo aver confessato alla sorella che il probabile autore dei disegni è il gemello di Daphne, Alexandre, subisce una serie di atti di bullismo che la portano a scappare dal castello con Fred Weasley.

 

Cuore Amaro



3.
Nato al contrario
 
[Vipera – Alexandre]
 
Mani, radici, sole sulla schiena
Parole, pioggia che mi disseta
A volte mi sveglio la sera
E strappo pensieri di seta
(…)
Quella che ho dentro è una notte lontana
Quella di chi non sa tornare a casa
Sotto una lacrima che bagna tutta la città
Strada di arterie che ritorna da me
Ma il mio cuore è amaro
(Gaia, Cuore Amaro)
 
 
Astoria sparisce in una nuvola di fumo, Daphne è sempre più incrinata – ma, quando sua madre gli scrive per sapere cosa stia accadendo alle sue figlie, Alexandre risponde laconicamente e con una metaforica scrollata di spalle: le ragazze sono strane, scrive a sua madre, non penso di essere in grado di capirle abbastanza.
Astoria scrive a sua madre poche righe, le chiede di non cercarla: sarà più al sicuro insieme al suo cuore, miracolosamente intonso, che vicino ai suoi fratelli – tu non hai idea di quel che sta succedendo ad Hogwarts, mamma.
Daphne continua a piangere nel sonno, finché non è costretta a svegliarsi per rannicchiarsi al suo fianco, dove sa che lui non tollererebbe nemmeno il rumore silenzioso delle lacrime che le segnano il volto. Alexandre non l’abbraccia mai, ma non la manda via quando gli nasconde il viso nell’incavo della spalla, intrecciando le gambe con le sue.
L’ha imparata a memoria, Daphne – dalla forma del naso di profilo alla voglia che nasconde sotto i vestiti, la percepisce con chiarezza disarmante: e, quando ne traccia il viso con tratti d’inchiostro precisissimi, la somiglianza è impressionante. Lo sanno tutti, che è stato lui – anche lei.
Anche lei lo sa e anche lei s’è dimostrata complice: Daphne ha pianto tutte le sue lacrime ma, a differenza di Astoria, ha chinato il capo e ha sopportato. Ed è per questo che, la sua gemella, rimarrà sempre la sua sorella preferita: non sa come raccapezzarsi, Alexandre, nella silenziosa ribellione di Astoria, nell’odio che gli ha riversato contro e, sul finire, sul grande affronto che ha fatto al loro sangue.
In giro si dice che la minore dei Greengrass sia fuggita tra le braccia di Fred Weasley, ma Alexandre nega ogni cosa: dice che, se solamente fosse vero, Astoria l’avrebbe già strangolata con le sue mani. E iniziano a circolare sempre più bigliettini, appesi sui muri, nascosti nelle tasche dei Serpeverde – sempre Daphne, Astoria mai.
Sempre Daphne violata, ritratta in un momento in cui nessuno dovrebbe vederla mai (di certo, gli ha detto Astoria l’unica volta in cui ha avuto il coraggio di accusarlo, non lui): il corpo nudo di Daphne Greengrass se lo immagina con chiarezza tutta Hogwarts. Meno chiaro, comunque, dei suoi occhi pieni di lacrime quando scopre l’ennesimo disegno nascosto sotto i piatti della colazione Sala Grande.
Non gli domanda mai il perché.
Daphne sa che è lui a ritrarla seduta in grembo a Zabini, a letto abbracciata con lui, con la lingua di Nott in gola, con – non  dice mai una parola, non lo guarda nemmeno e, quando alla sera si intrufola nel suo letto, è solamente silenziosa e spezzata.
È il motivo per cui Alexandre pensa che, alla fine di ogni disegno, Daphne se la meriti, quell’umiliazione, che se la meriti come meriterebbe uno schiaffo in pieno volto ogni volta che la sorprende a piangersi sulle ginocchia, chiusa nel bagno di Mirtilla Malcontenta, con il naso rosso nascosto in un foulard di seta – strappato.
E lui, che le ha strappato al medesimo modo ogni brandello di innocenza e serenità, la guarda cercare di ricostruirsi (e non trovare i pezzi).
Poi, un giorno, Daphne salta la prima ora – di tutti i suoi compagni, solamente Blaise Zabini pare leggermente impensierito, solamente Pansy Parkinson sbuffa e la va a cercare dietro richiesta della professoressa McGranitt.
Daphne non si trova da nessuna parte: il professor Carrow sottrae cinque punti a Serpeverde e promette che userà la Greengrass rimanente come cavia per la maledizione Imperius, quando finalmente si degnerà di ricomparire.
Alexandre ride, un’ombra di preoccupazione gli sbiadisce il viso quando Daphne, al termine della seconda ora, ancora non è comparsa. Così, va a cercarla e la trova, accasciata nel bagno delle ragazze vicino all’aula di Trasfigurazione – le vene tagliate come uno stoico, un sorriso sereno sul volto.
«Non ti permettere» le sibila. «Tu morirai quando io te lo permetterò, mi riesci a sentire?».
Le posa due dita sul collo, vicino all’ombra di un livido sbiadito di quella volta in cui le ha stretto la gola fino a farle mancare l’aria (non ha pianto – buffo, che non sappia piangere quando ne ha reale motivo), e sente il cuore pulsare, mancare un battito, ma resistere.
Quando la porta in infermeria, Madama Chips la guarda con gli occhi spalancati (non guardi, agisca!) e gli dice di farla stendere su un lettino: Daphne ha il colore delle lenzuola, bianca come un fiocco di neve e i polsi che sgocciolano sangue.
«Nemmeno lo hai saputo fare bene» le sussurra all’orecchio. «Non ti salverebbe, morire, perché riuscirei a trovarti anche all’inferno».
Daphne mugola qualcosa, mentre Madama Chips le versa dritta in gola un’ampolla di Pozione Rimpolpasangue, volta il capo con gli occhi socchiusi e lo guarda da sotto le ciglia: Alexandre, sorridendo all’infermiera, le posa un bacio sulla fronte.
Non estrae il veleno dalle zanne – come la vipera, le striscia accanto, supplicando Madama di permettergli di rimanere con sua sorella: abbiamo perso da poco Astoria, non voglio lasciare sola anche Daphne. Madama Chips si dimostra comprensiva, Alexandre si stende di fianco alla sorella, cingendole i fianchi con il braccio.
«Non me ne andrò mai dalla tua vita» le sussurra, sistemandole i capelli dietro le orecchie. «Ogni vena e ogni arteria mi riporterebbe da te e, da qualche parte in fondo a quel tuo cuore traditore, lo sai anche tu».
Daphne gli stringe la mano, come una bimba, serrando il palmo contro il suo pollice – Alexandre ride, posandole le labbra sull’incavo del collo, mordicchiandola leggermente (che il veleno la ustioni?).
Astoria potrà esser fuggita, ma tu mai – non te lo dimenticare, Daphne, che io e te ci apparteniamo.
Lo facciamo per davvero?
Sì, per davvero – prova a scappare, se ne hai il coraggio: t’inseguirei anche tra i fantasmi e, prendendoti, ti toglierei la vita per viverla io.
Daphne sospira, una lacrima le macchia il viso.
Lo faccio perché ti amo, anche se non lo capisci.
 
***
 
Daphne si riprende – la sua mente rimane segnata, inevitabilmente: quando viene nel suo letto, è un automa. Sotto di lui, a malapena riesce a respirare e, una volta, il fiato le si blocca in gola con un sibilo strozzato e termina con un pianto silenzioso (non aveva mai osato piangere, non davanti a lui).
Alexandre sorride, trionfante, ma è trionfo che dura solamente una manciata di secondi e poco di più: l’ha desiderato così tanto, spezzarla, che quando ci riesce non trova la maniera adatta per goderne. È una gioia inutile – la gente inizia a smettere di ridere di sua sorella: Daphne non ci prova nemmeno più, a reagire, e come fantasma scivola per i corridoi (e i bambini del primo anno ne hanno paura) senza dire una parola.
Non ciarlano più battute – nemmeno il giorno in cui si presenta con l’ombra di un morso sulla gola nessuno dice mezza parola.
Finché, un giorno, Alexandre scopra di aver sfiorato la vittoria e, nonostante tutto, di aver perso ogni cosa: è il giorno in cui sua madre gli scrive una lettera che odora di trionfo già fuori dalla busta color crema, in cui gli comunica la grande notizia.
Blaise Zabini s’è pentito della propria esistenza e ha spedito una lunga lettera a Silena Greengrass e un anello con lo stemma di famiglia: ha chiesto in sposa Daphne, dicendo che le darà quell’amore che pensa che lei non crede di meritare (ovvero nessuno, pensa Alexandre con il veleno che gli cola dai canini come sangue rappreso).
Ha chiesto il permesso alla madre della sposa – Silena, che sa che Daphne non otterrebbe proposta migliore nemmeno se il rampollo dei Malfoy si innamorasse di lei, ha detto di sì e ha lasciato ad Alex il compito di dirlo alla sposa recalcitrante.
E Alexandre riferisce, con un sorriso scaltro sul volto: Zabini ha detto che vorrebbe sposarti, mamma ha detto di sì – dirai di no, non è vero?
Daphne ride. Lo guarda e ride, si cava quel suono via come un dolore dal cuore e, quando finalmente si ferma per riprendere fiato, ha gli occhi lucidi di lacrime.
«Certo che lo sposerò» gli dice, facendolo sobbalzare. «Pensi che potrei mai ambire a niente di meglio?».
Alexandre serra i denti, masticando il sangue della guancia che s’è morso e una manciata di dura insoddisfazione.
«Non hai spazio per amare un’altra persona» le dice, con calma innaturale. «Ci potrai provare, amerai sempre me di più».
Lei non risponde, lui le prende il viso tra le mani, stringendo forte – ha un sorriso che inquieta.
«Non è vero?» sibila, scandendo bene le parole.
Daphne gli sospira tra le dita, ma non c’è dolcezza nel suo sguardo quando alza gli occhi verso quelli di suo fratello – c’è qualcosa di Astoria, quella determinazione dolorosamente insensata che, sul finire, ha causato una crepa nel cuore della minore dei Greengrass. Ma, a differenza della sorella, Daphne non ha un Fred Weasley a permetterle di fuggire.
«Vorrei che tu sapessi cosa significa amare qualcuno» sussurra, alzando una mano per sfiorargli le nocche. «Ma non lo puoi sapere, Alex, tu… sei un miscuglio di rabbia e sentimenti sbagliati, tu non mi ami».
Lo fa ridere – quando, incurante del fatto che si trovino nel bel mezzo del corridoio che porta all’aula di Incantesimi, si china per strapparle un bacio dalle labbra (e un morso che riapre una vecchia crepa, facendola sobbalzare per il dolore).
«Certo che non ti amo» sussurra, passandole una mano tra i capelli, esponendole la carne tenera del collo. «Io ti voglio per me, ma non ti amerò mai: chi potrebbe mai farlo?».
Lei non sa rispondere, lui scivola con le labbra sul suo collo, facendole spalancare gli occhi in una protesta che non ha il coraggio di esternare (mai).
«E non pensare che Blaise Zabini potrebbe amarti, non lo pensare mai» le sussurra, succhiando quella porzione scoperta di pelle. «Cosa pensi che dirà, quando scoprirà come sei fatta?».
«Come sono fatta?».
Incerta, lei, sotto il dolore che i denti di Alexandre le incidono sulla pelle – lo vedranno tutti, pensa lui, che appartieni a qualcuno e che non è Blaise Zabini: non amore, ripete, appartenenza. E tu mi appartieni dal momento in cui hai scelto di venire al mondo pochi istanti dopo di me.
«Sei fatta al contrario, Daph» le sussurra lui, con dolcezza strana, velenosa. «Le persone che dovresti amare le detesti e, quelle che dovresti odiare…1».
Alexandre ride, scostandosi per contemplare la propria opera – il collo di Daphne, marchiato a fuoco e che porta il suo nome e cognome sopra: le ha messo un collare e lei non se ne è nemmeno resa conto.
«Io non ti amo».
«Nemmeno io» mente lui, calmo. «Ma, se non posso averti io, di certo non ti avrà Blaise Zabini: mi sono preso le tue prime volte e le seconde, le terze… vuoi che non sappia prendermi anche tutto quel che tieni ancora per te?».
Lei non nega – ma, quando sente dei passi infrangere la quiete del corridoio, lo spinge via, facendolo ridere.
Alexandre si lecca le labbra, dove si è ancorato il suo profumo e glielo dice dolcemente: pensi che non sappiano tutti quanti che mi appartieni?
Blaise Zabini borbotta un saluto e si forza un sorriso, cercando di non occhieggiare il collo arrossato della propria promessa sposa (una promessa già infranta, pare): finché morte non li separi, pensa Alex distrattamente, ma lui è ben più forte della morte.
«Buongiorno, Zabini» commenta educatamente. «Ti affido mia sorella, penso proprio che oggi salterò la prima ora: penso di avere mal di testa, sì».
Si mette le mani nelle tasche dei pantaloni, allontanandosi a grandi passi – Daphne rimane ad ascoltare quel suono, con aria stordita, e nemmeno presta attenzione al sussurro che Blaise le dedica (dolcemente, ma a che serve la dolcezza quando si è redento due giorni fa?).
Dimmi una parola e io ti porto via di qui – non sei Fred Weasley, Blaise, e io non sono Astoria: le cose che dovrei amare le detesto.
E quelle che dovrei odiare…
 
***
 
Si domanda perché sia nato senza sentimenti, lui, e tutta quella dolorosa emotività sia invece fluita dentro Daphne – Alexandre è vipera in un campo di grano e, quando succhia la linfa vitale di un papavero, la sua risposta la conosce già: per amare bisogna avere paura di perdere qualcuno e lui, che comunque non sa perdere, non teme per la vita di nessuno. Nemmeno per la sua.
Non ha rispetto, non ha devozione – la vita che non ha richiesto e, per questo, la rimodella come se non gli appartenesse più: scopre Daphne a sgattaiolare verso il letto di Blaise e, prima ancora che lo schiaffo le segni un confine (invalicabile) nella mente, lei sta già piangendo e giurando che non è come pensa.
«Tu non lo puoi toccare» sibila Alexandre, con rabbia. «Quando lo capirai che questo matrimonio si farà quando e solamente quando io non sarò più in grado di intendere? Preferirei saperti morta, piuttosto che nel letto di Zabini».
Daphne abbassa il capo, si guarda i piedi e si domanda se, alla fine di tutto, non possano tremarle anche quelli – perché lei danza sopra il terreno e non sa starci in piedi, ferma: nemmeno quando Alexandre le mette le mani sulle spalle, come se volesse spingerla dentro il pavimento, riesce a smettere di oscillare su sé stessa.
«Non sfidare chi è più forte di te, Daphne» sussurra Alexandre, velenoso. «Pensa alla fine di nostra sorella – pensi che la vorrà mai più qualcuno, dopo che si è macchiata con un Traditore?».
Lei prende un respiro profondo e non osa dirgli, sinceramente non osa farlo, che almeno Astoria è libera.
Alexandre, quasi come fosse in grado di leggerle i pensieri, ride in un suono che fende in due l’aria.
«Vorresti essere come lei e non ti biasimo» commenta, dolcemente. «Anche io preferirei essere chiunque altro, piuttosto che te».
Lei incassa il colpo ma, con somma insoddisfazione di Alex, non si scompone più di tanto – ha fatto sua sorella a pezzi così tante volte che, adesso che è tutta polvere e mille rimpianti, non rimane altro da fare che disegnare sulla sabbia un volto sempre nuovo. La scultura originaria è storia passata e, quando Alexandre prova a ricostruirla per distruggerla nuovamente, di Daphne Greengrass non rimane assolutamente niente (nemmeno quella polvere sabbiosa su cui disegnare).
«E allora lasciami andare, Alex» sussurra Daphne, in un soffio. «Se non hai bisogno di tenermi con te, lasciami andare».
Lui ride – un suono che gli crea una crepa tra i pensieri, lì dove tiene rinchiusa Daphne: non la lascerà mai andare e lei, da qualche parte in quel suo cuore che le racconta solamente bugie, lo sa perfino lei.
Alexandre la prende per il polso, torcendoglielo leggermente, facendola sussultare – pare perso nei suoi pensieri, non dice una parola.
Lasciami andare, Alex – ma, quando Daphne glielo ripete dolcemente, la sua presa su di lei si fa più ferrea.
«Non ti lascerò mai andare» le promette. «Mai».
Era esattamente quel che temevo, pare voler dire lei, ma non ne ha il coraggio.
 
***
 
Alexandre diviene inquietudine – non inquieto, perché essere inquieto vorrebbe dire una pecca in un’anima perfetta, ma diviene la sua stessa inquietudine: quando cammina, per i corridoi di Hogwarts, ha i passi che segnano il ritmo convulso dei suoi pensieri scombinati.
Qualche volta, pensa ad Astoria – e desiderio di semplice e dolcissima vendetta l’assale: sua sorella è riuscita a fuggire, integra, non è più tornata. Qualche volta, scrive a Daphne lettere che non le arriveranno mai (lui riesce a rubarle tutte prima che lei riesca ad accorgersene) in cui la incita a fuggir via da lui, anche senza un Fred Weasley a proteggerla, di prendere e andar via: la Francia è un bel miraggio, Daph, ci credi anche tu?
Altre volte, il pensiero si slarga e avviluppa Daphne, soffocandola: ed è quando semplicemente la vorrebbe morta al suo fianco – insondabile, con gli occhi chiusi: Alexandre non desidera la morte ma, quando osserva Daphne guardare Blaise Zabini come se avesse la facoltà di salvarla, un po’ sì. Desidera rinchiuderla in un luogo di orrori bianchi e neri da dove non sarebbe in grado di fuggire (non lo è mai stata).
Astoria, poi, un giorno manda una cartolina. Non a Daphne, a lui: è una fotografia di un campo di grano, senza alcun riferimento spazio-temporale, punteggiato da mille papaveri tutti rossi: al centro, seduta tra le spighe, sua sorella sorride. Gli spacca l’anima, con quel sorriso, gli fa venire voglia di trovarla tra quei fiori (un po’ sbiaditi) e ricolorarli in lacrime e sangue.
Ma Astoria sorride, in quella foto a malapena mossa dalla magia, i capelli le accarezzano il volto: sorride, non lo faceva da un po’ – Alexandre vuole prenderlo, quel sorriso, accartocciarlo come una speranza in frantumi e gettarla via.
Non è invidia, si dice, è frustrazione: è che Astoria è sempre stata troppo libera per cadergli nello spazio tra le dita e a lui, di afferrarla come goccia di tempesta, non è riuscito mai. Daphne è diversa.
Daphne è quel giorno lontano, lontanissimo, che poi scopre essere il giorno prima di ieri e che è annaffiato di caffè come i biscotti del tiramisù: è un cuore amaro che lui ha morso, senza scrupoli o rimorsi, per scoprirsi con il volto impiastricciato di liquido nerastro (senza zucchero, per favore).
E l’ha presa, dal giorno in cui sono entrati insieme nel mondo: l’ha presa per sé, non l’ha abbandonata mai.
Qualche volta, quando la luna cala dietro una nube e lui è tutto grigio e mal illuminato, Alexandre deve domandarselo: come avrebbe potuto essere diverso da ciò che è?
Perché lui, prima di tutto, è.
Il fiato che si appanna sul vetro quando sbircia alla finestra e trova Daphne seduta in cortile, in mezzo a un precoce nevischio che si inizia a sciogliere, il viso nascosto nelle ginocchia e il corpo che è tutto un tremito o un singhiozzo.
È.
Astoria con un sorriso che s’infrangerà sul suo bel viso, il giorno in cui toccherà a lui portarla via da Fred Weasley per darla in moglie al primo damerino Purosangue disposto a pagarla tanti Galeoni quanto pesa (e, allora, toccherà farla ingrassare un po’).
È.
Il veleno che gli cola tra i denti – non biscia, vipera: Alexandre morde, squarcia e avvelena tutto ciò che tocca. Anche coloro che dice di amare.
Soprattutto loro, soprattutto lei.
Ha sempre pensato che il cuore di Daphne, morsicato per reciderle le arterie, sapesse di caffè senza zucchero. Ma, leccandosi una goccia di sangue che esce da un dito ferito dal contatto con il bordo della fotografia di sua sorella, deve ricredersi – lui sa essere ben più amaro.
Ma, nonostante questa consapevolezza e il piacere momentaneo di quelle fantasie, non c’è niente da fare: l’inquietudine permane e ha il nome di Blaise Zabini.
Nel vetro appannato della finestra, lo vede avvicinarsi a Daphne, sfiorarle la spalla con la punta delle dita – e lo sa. Debole, la mente di Zabini, debole la sua carne di traditore: Blaise le sta domandando scusa per tutte le volte in cui ha passato in giro i disegni che la ritraevano, in cui li ha guardati e ha riso di lei. E Daphne, che è sciocca come la peggiore delle sciocche, si farà incantare da quel sorriso e da una manciata di belle parole.
Alexandre si morde il labbro, incurante del dolore dei canini che scavano dei solchi in esso, e corre giù per le scale, saltando i gradini – mia, si trova a sussurrare ai quadri che lo guardano sgomentati, lei è mia.
Non amore, dice a sé stesso, appartenenza: perché Daphne Greengrass e lui hanno condiviso il grembo materno per nove mesi, in simbiosi, ed è ovvietà che lei gli appartenga come un oggetto, un valore aggiunto, la bacchetta che tiene in mano pronto a puntarla contro Blaise Zabini.
Quando i suoi piedi impattano la neve, hanno una cadenza precisa e suona orribilmente simile alla risata di Astoria.
«Zabini» la voce gli esce più calma di quel che pensasse e, per questo, sorride. «Ti chiederei di allontanarti da mia sorella, se non ti è di troppo disturbo».
Blaise apre la bocca, ma Alexandre scuote il capo – guarda sua sorella, quietamente, il veleno che gli cola dai denti e sgocciola sul mento.
«Daphne, alzati» sibila, altero. «Devo parlarti».
Lei fa per eseguire, come un automa, ma la mano di Blaise sulla spalla la frena, facendole spalancare gli occhi.
«Non te lo permetto, Zabini, mi dispiace ma non posso proprio» gli rivolge la bacchetta contro. «Stupeficium!».
Non si rende nemmeno conto che sua sorella si è frapposta tra Blaise e l’incantesimo, ricevendo in petto lo Schiantesimo come un abbraccio o una pugnalata a quel suo cuore amaro – Daphne sviene nel terreno fangoso, ma Alexandre la guarda con sdegno.
Daphne è sempre stata un giorno lontano – che ormai è passato.
Daphne ha sempre avuto un cuore amaro, amarissimo – ma, quando Alexandre si china per morderne un brandello, si trova la lingua cosparsa da pallini di zucchero.
 
***
 
Alexandre torna a casa per Natale, Daphne sceglie di rimanere a Hogwarts – Astoria non dà cenno d’esser ancora viva: manda un generico biglietto di auguri a sua madre, dice che il posto dove si trova è sicuramente più sicuro di Hogwarts. Ripete: porta via Daphne da lì, se la ami almeno un po’.
Silena Greengrass non si dà pena di prendere sul serio sua figlia, ma canticchia canzoni di Natale di fronte ai doni che porge al proprio unico figlio maschio: immagino che Astoria sia nella fase di ribellione, tu che dici?
Alex scrolla le spalle, si taglia una fetta di torta alla zucca e ride, con la bocca sporca di crema – anche Daphne, credo.
Passa le ore a fantasticare: cos’è che starà facendo, sua sorella, al sicuro tra le mura di Hogwarts? E quel pensiero lo tormenta, gli spolpa le ossa in sussurri, se lo mastica e lo sputa sul piatto della torta, insieme ai canditi che ha scartato sdegnosamente con il dorso della forchetta.
E, la sera si sveglia avviluppato da quei pensieri di seta (strappati) – Alexandre smette di dormire, alla vigilia e non riprende più.
Duri cerchi gli si scavano sotto gli occhi, il sonno gli altera la mente ma non cede, non lo fa mai: pensa a Daphne che finalmente dorme sogni tranquilli tra le braccia di Zabini e quel pensiero lo tormenta, lo ossessione.
Le manda lettere su lettere, minacce, suppliche travestite da ordini, dichiarazioni d’amore – non riceve risposta. Forse, si dice, sua sorella è così spezzata da aver perso la capacità di scrivere.
Forse, si dice, è Zabini che le impedisce di prender piuma e pergamena per rispondere a quel lamento disperato – comunque, risposte non ne arrivano.
Alla sera, Alexandre si siede al proprio scrittoio e passa la notte a scrivere lettere deliranti: non sa che Daphne, quando le legge sotto le coperte, è sempre più spaventata.
Riceve un bigliettino, per la fine dell’anno, firmato Astoria Greengrass e con uno scarabocchio al margine sinistro (perché sei così?) – lasciala in pace, Alex.
Alexandre le risponde con un testo in rima baciata e un post scriptum in prosa tagliente, scarabocchiato all’alba e con un pizzico di sonno che deforma le parole: forse sono io, quello fatto al contrario – le cose giuste da fare le detesto, mentre quelle sbagliate…
Non riceve risposta, ma immagina lo sdegno che avrà calpestato i lineamenti della sua sorellina, nel leggere la risposta.
Si siede alla scrivania che tramonta, si alza che l’alba mastica la notte in rosa cipria: non dorme, non dorme proprio mai.
Sai Ria, è così netto e definito, nella mia mente, è tutto dolorosamente chiaro – non temere per Daphne: io e lei ci apparteniamo e andrò a prendermela appena ne avrò la possibilità. Ha il mio nome scritto sulla schiena, lei è ancora mia.
Prende piuma e inchiostro, se la scarabocchia su pergamena: Daphne con il suo nome graffiato sulla schiena (e quanto ha urlato, quando gliel’ha inciso sulla carne) e la bocca socchiusa mentre lo chiama.
Alexandre.
Apre il portagioie di sua madre e prende una pillola verde. La inghiotte senz’acqua.
 
***
 
Un colpo di tosse.
E poi, non riesce più a smettere – sua madre lo porta al San Mungo ma, quando una Medimaga si avvicina a lui, spalanca gli occhi e inizia a far domande.
Paranoia?
Insonnia?
È dimagrita?
Silena Greengrass annuisce, preoccupata, e inizia a ciarlare con la Medimaga: sa, è cambiata da quando sua sorella minore è scappata di casa. Credo che a scuola abbia avuto dei problemi con dei compagni e, allora, se n’è andata.
Ma va avanti da prima, sa? Non vuole nemmeno che la chiami per nome e io… – Madre!
Alexandre osserva la Medimaga mentre controlla lo stato dei suoi polmoni, gli chiede di tossire e, nel mentre, continua ad annuire distrattamente.
«Da quand’è che fai uso di polvere di corno di unicorno?» domanda, calma. «Penso che tu sappia che è allucinogena, Daphne, e se assunta per un lungo periodo può causare…».
Alexandre si stringe la testa tra le mani, ansimando leggermente – i capelli, più lunghi di quanto li ricordava, gli sfiorano le scapole in un sussurro.
«Mi chiamo Alexandre» sibila. «Non mi confonda con quell’essere abietto che è mia sorella».
La Medimaga gli rivolge un’occhiata piena di scuse.
«Allucinazioni. Insonnia. Paranoia» mormora. «E, nel peggiore dei casi, un disturbo di personalità multipla».
A Daphne si spalancano gli occhi (e la bocca, in un grido muto) – pensa ai disegni, a tutte le volte che si è svegliata con le mani sporche d’inchiostro, allo sdegno di Astoria. Come aveva detto?
Ti ci getti da sola, in tutta questa merda.
«Non dica stronzate» sibila, stringendo i pugni. «Io sono Alexandre, Alex, io…».
Sua madre scuote il capo, con aria stanca – Alexandre è il nome del gemello di Daphne: è nato pochi minuti prima di lei e, se fosse vissuto…
«No!» urla lei, fino a squarciarsi la gola. «Io so chi sono! Io so chi sono, Alexandre, chiedete a chiunque, io sono lui!».
La Medimaga sospira, le chiede di stendersi.
«Manderemo via Alexandre, Daphne, non ti preoccupare» sussurra, calma. «Starai meglio e, quando ti sarai disintossicata, potrai condurre una vita relativamente normale e…».
Lei scuote il capo, chiede ad alta voce un’ultima pillola – è che questa realtà non la so sopportare, mamma.
«Penso che abbia iniziato dopo la morte di suo padre» sussurra Silena Greengrass, a disagio. «Herbert è stato ucciso dai Mangiamorte, l’anno scorso e mia figlia non è più la stessa da allora».
Daphne alza lo sguardo, si sfiora la schiena con la punta delle dita (ci sarà per davvero, il suo nome scritto lì sopra?) e glielo dice: tua figlia è morta, mamma. Io sono tuo figlio.
Si guarda allo specchio, le trema l’occhio sinistro in un tic insensato, la rende fragilissima persino al suo sguardo.
Lascia perdere, Daphne, permettiti di andare avanti: ti ci sei gettata da sola, in tutta questa merda.
 
***
 
Alexandre sa di un giorno lontano e di un cuore che spreme gocce di caffè ma non lo zucchero: ha una scia di lentiggini che le deforma la schiena in una costellazione, forse l’Orsa Maggiore o forse quella Minore, o in un sorriso o nell’unica traccia del suo nome – d’estate scrive poesie, d’inverno l’ispirazione viene meno e allora non scrive affatto. È tutto un buffo bipolarismo, lui, tutto un aggrapparsi agli spigoli della vita per farli penetrare nella carne. Un po’ più in fondo, avanti: fa meno male di quel che avevo pensato, lo sai?
Lo so, Alex, lo so.
Alex è una persona di un disordine raro, semina le proprie cose tutte in giro per casa e non c’è verso di fargliele raccogliere: Astoria strillava e si lamentava in continuazione di non trovare una maglia o una giacca, prima di fuggire via da lui in una nuvola di minacce e malcontento (non torna più e, se tornerà, chissà se lui sarà in grado di accorgersene).
Alex è. Il suo primo pensiero al mattino, quando apre gli occhi e allunga la mano sul copriletto appena scompigliato per scoprire che se n’è già andato – lo trova seduto alla scrivania con le mani macchiate d’inchiostro, una lettera in rima baciata e un disegno che raffigura lui e Daphne avvinghiati sopra le coperte, come fossero la stessa persona.
È anche il suo ultimo pensiero alla sera, quando lo scopre e lo copre con il suo corpo e l’unico rumore che si sente è quello dei suoi sospiri (possiamo, Daph, possiamo): e qualsivoglia negazione è così piccola ed esitante che, alla fine, non conta più niente. Vorrebbe entrargli nella mente per scoprire cosa vi nasconde dentro, a volte.
Altre volte, quei pensieri vorrebbe diluirli insieme all’inchiostro verde smeraldo con cui disegna quelle poesie su pergamena e disegna i volti di Daphne su pergamena, rendendole sempre giustizia.
Alexandre sa. Di un caffè senza zucchero e di vita infranta, rovinata – e Daphne, alla fine dei giochi, ha la consapevolezza d’esser stata lei la causa della sua medesima frangibilità.
Daphne e Alexandre condividono un cuore – quando lei chiude gli occhi, si rende conto che le hanno sempre mentito, che lui c’è, esiste ancora.
Ne sente i battiti sotto la punta delle dita, il suo nome inciso nella carne e quell’amore malato incagliato nella testa come un’ossessione.
Alexandre le rimane dentro, nonostante tutto, e non riesce a scacciarlo: allora esiste, mormora quando le domandano se stia bene, io lo sento ancora.
Come un secondo cuore che batte accanto al suo – amaro. Amarissimo.

 

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