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Autore: Sakuminitan    21/12/2021    6 recensioni
La vita di una ragazza alta poco meno di un pollice nell'Italia dei nostri giorni, tra quotidianità e desiderio di realizzare sé stessi.
Mise da parte il 'piumone', e giratasi di lato appoggiò i piedi direttamente sul 'pavimento'. Quello che per lei era un piumone è per noi solo un batuffolo quadrato di cotone, e quello che per lei era un pavimento è per noi la superficie fredda e legnosa di una scrivania. Camminò seccata, a passi veloci, in direzione della sorgente di quel frastuono infernale. Quella che si trovava davanti era un'enorme piattaforma rettangolare, giacente a pancia in su, nera ai bordi e dotata di una superficie scura e riflettente nel mezzo; la musica sembrava provenire da una piccola grata su uno dei bordi. In poche parole, era un telefonino.
(dal prologo)
Genere: Introspettivo, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.

 

Sotto quel mobile, Marina si trovava in compagnia del suo amico ragno. Benché questi non fossero noti come ottimi animali da compagnia al pari di un cane o di un gatto, era il massimo cui lei poteva aspirare: piccolo al punto da non rischiare di venir mangiata (le arrivava a malapena al ginocchio, a lei che era alta quattro centimetri e mezzo), e andava fatta di necessità virtù, quindi non ci si poteva lamentare troppo. In ogni caso, qualsiasi fosse la ragione che l'aveva portata a interessarsi a lui, ormai ci si era affezionata per davvero: e quando questo sembrò muoversi per andarle a mostrare la ragnatela che aveva costruito, Marina lo seguì senza batter ciglio.

«Sembra molto bella» commentò parlandogli come se potesse capirlo. Nel buio sotto al mobile appariva quasi invisibile, lì fra il muro e la base del frigorifero che stava di fronte a loro; luccicava fievolmente in risposta alla poca luce che filtrava. D'un tratto si sentì fermata, come se qualcuno le avesse di colpo afferrato un braccio. La ragnatela era ben più estesa di quanto sembrasse, e giungeva fino al pavimento dove uno dei fili le si era attaccato alla manica destra. Ora non voleva più andar via; e quando lo toccò con l'altra mano per poterlo staccare finì incollata pure quella.

Il ragno sembrava guardarla, o comunque restava fisso a puntare col corpo nella sua direzione, a circa mezzo centimetro da lei. La guardava dimenarsi per cercare di liberare la mano, e non faceva nulla per aiutarla. Non che Marina se lo aspettasse, perché sapeva bene—a dispetto di ciò che in cuor suo sperava—che un da un ragno non ci si può aspettare quel che si aspetta da un cane; ma la sua immobile staticità (fermo a osservarla quasi come ad aspettare che s'intrappolasse del tutto) stava cominciando a inquietarla. Cominciò ad avvicinarsi a lei a piccoli passettini quando ormai tutto il suo braccio era immobilizzato, e con la zampa toccò incerto la seta come a chiedersi in che modo avrebbe portato al centro della ragnatela una preda grande più del doppio rispetto al suo corpo.

Marina intanto continuava a divincolarsi, ma più lo faceva e più scopriva fili sempre più sottili e sempre più invisibili che ora iniziavano a restringerle i movimenti anche su altre parti del corpo. Ormai non riusciva più a muoversi da lì. «Ehi!» gridò «Aiutami! Tirami fuori da qui!» si rivolse al ragno quando si rese conto di essere al corto di altre opzioni, ma questo ovviamente non cambiò per nulla il proprio atteggiamento. Marina ebbe difficoltà anche soltanto a credere a ciò che le stava succedendo. Era vero che fin dall'inizio si era affidata al fatto di esser troppo grande perché lui la vedesse come un insetto qualunque da mangiare, ma più che a quello credeva che ormai le fosse riconoscente per la compagnia che gli dava; credeva che la vedesse come una sua pari, o come un criceto vede la sua padroncina. Ora si sentiva stupida per aver trattato quel ragno come qualcosa di diverso da ciò che era: un ragno. Si arrabbiò, e grugnendo in preda alla delusione mise tutta la forza che aveva nelle sue braccia: ma anche questo si rivelò infruttuoso, e lasciandosi andare in avanti si rese conto che ormai non era più libera neppure di cadere per terra. Non aveva alcuna speranza di liberarsi da quella ragnatela, e nessuno della sua famiglia sapeva dove si trovasse al momento. Temette quasi che quella fosse la fine per lei: ma all'improvviso un'ombra calò dalla sua sinistra, oscurando la luce del lampadario della cucina che giungeva fin sotto il mobile. E con un enorme boato vide avvicinarsi a lei le gigantesche setole di una scopa.

 

«Ce l'hai fatta?» Luca chiese distrattamente, quasi come frase di circostanza, mentre faceva colazione e vedeva la madre tentare di disfare la ragnatela che aveva appena notato. Questa s'interruppe, e ritrasse indietro la scopa.

«No, devo mettermi in ginocchio» rispose, e facendo così si mise nella posizione migliore per poter usare la scopa in orizzontale e spingerla il più lontano possibile sotto il mobile.

 

Lì sotto, intanto, era il caos. Marina urlava col cuore in gola mentre la scopa si avvicinava a lei, e si fermò giusto a qualche millimetro dal suo volto prima di essere insperatamente ritratta indietro. Durante quegli istanti la micro-ragazza riuscì a vedere quanto fossero grandi quelle setole più di quanto non avesse mai avuto l'opportunità di fare in tutta la sua vita—ciascuna di queste era più lunga di lei, e anche i batuffoli di polvere intrappolati lì in mezzo potevano rivaleggiarla in grandezza. Ora restava lì, ancora invischiata nella seta, inerme e terrorizzata da ciò che sentiva: aveva capito che la scopa sarebbe tornata fra pochi secondi, ma stavolta non si sarebbe fermata. Dietro di lei il ragno si era già dileguato; e se pure lui nella sua limitata capacità di comprendere si era reso conto del pericolo incombente, non c'era possibilità che Marina, anche nella migliore delle ipotesi, ne uscisse illesa e senza alcun graffio.

«Mamma! Mamma!» urlava comunque nella speranza che lei la sentisse, e nel mentre girava la faccia di lato: l'ultima cosa che voleva era che una di quelle setole le si conficcasse in un occhio e l'accecasse. Il rombo ritornò, e di nuovo l'oscurità calò davanti a lei. La scopa giunse come un treno, impattò su di lei, la staccò da tutti i fili della ragnatela e coprì la sua vocina con disarmante facilità. Le setole attutirono il colpo, ma Marina sbatté comunque violentemente contro la base in plastica della scopa; e lì, circondata da pelucchi in plastica alti come alberi e polvere da ogni lato, si ritrovò confusa, dolorante e nuovamente bloccata. Stavolta non riusciva a muoversi non perché qualcosa la trattenesse, ma per il dolore causatole dalla botta che aveva preso in pieno con la faccia e con il petto; e in ogni caso si ritrovava in quella che sembrava una giungla fitta e polverosa che si muoveva a una velocità inumana trascinandola con sé, e da cui difficilmente sarebbe riuscita a scappare senza rischi dato che in quelle condizioni era impossibile orientarsi. Le girava anche la testa per via di tutto il movimento cui era sottoposta, visto che la madre stava sbattendo ripetutamente la scopa contro il muro per togliere quanto più poteva della ragnatela; e la piccola ragazza pregava che quelle setole non perdessero mai d'elasticità, perché se queste si fossero fatte del tutto da parte e la base della scopa avesse sbattuto direttamente contro il muro allora neppure lei avrebbe scommesso sulla sua sopravvivenza. Si raccolse su sé stessa, appallottolandosi in posizione fetale attorno a una delle setole cui si aggrappò con tutta la forza che aveva in corpo, e piangendo sperò che la madre smettesse immediatamente di fare quel che stava facendo e che si accorgesse finalmente di lei.

Il primo dei suoi due desideri le fu realizzato quasi subito. Dopo cinque o sei colpi la scopa si fermò, e la madre la ritrasse con un movimento fluido e veloce per gettare tutto ciò che aveva catturato nella paletta che reggeva in mano. Marina nemmeno se ne accorse, e istintivamente si tenne aggrappata a quella setola evitando così di finirci dentro; ma così la donna continuò a non accorgersi di lei, e non sospettando affatto che sua figlia si trovasse nascosta e intrappolata nella sua scopa si diresse verso il cestino della cucina. Svuotò prima la paletta che conteneva la maggior parte dei frammenti di ragnatela e poi, con la faccia girata verso la porta della stanza, scosse la scopa per far cadere dentro la pattumiera tutta la polvere che aveva catturato. Con essa cadde anche Marina, e quando il coperchio si chiuse si trovò immersa nella più totale oscurità. Il suo ultimo grido fu coperto dalle parole della madre.

«Ma Marina ancora non è arrivata?» si chiese preoccupata guardando la porta della cucina, dal momento che la figlia pareva essere insolitamente in ritardo.

   
 
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