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Autore: striscia_04    21/12/2021    3 recensioni
“Fanfiction partecipante al Christmas Countdown 2021, indetto dal forum FairyPiece-Fanfiction&Images”
Natale è il periodo più magico e lieto dell'anno. Ma il Natale non è solo canzoni, banchetti, regali e decorazioni; è anche un periodo da trascorrere con la propria famiglia o con le persone a cui si vuole bene.
Non tutte le famiglie, però, sono sempre allegre e felici, e spesso le rimpatriate possono portare a litigi o incomprensioni.
Scopriamo come trascorrono il Natale, gli ormai adulti membri di Fairy tail e come, soprattutto, lo trascorrono i loro figli, tra canzoni, regali, mercatini e piste di pattinaggio.
Genere: Drammatico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuova generazione, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giorno: 21 dicembre
N. pallina: 1
SITUAZIONE: A rovina per sbaglio gli addobbi natalizi (es. l’albero, le lucine ecc.) che B ha preparato con tanta cura.
PROMPT: Neve

Lo aveva fatto! Non sapeva bene come, quando e soprattutto perché, ma l’aveva fatto!
E vedere un piccolo sorriso solcargli il volto le fece saltare ancor più i nervi. Avvertì un formicolio all’altezza del braccio sinistro, poi esso si diramò in tutto il suo corpo, infine gli coprì un lato della faccia. Percepì distintamente il calore abbandonare quella parte del suo fisico, ma non ci fece caso: provava ogni giorno quella sensazione e soprattutto la furia che gli era montata in corpo era tale, che anche se esso fosse stato congelato avrebbe comunque avvertito quel fastidioso calore.
Vide gli occhi della minuta figura spalancarsi e fu felice di aver sortito l’effetto sperato, poi il suo sguardo tornò sul pavimento dove era riverso, completamente zuppo un vecchio e grande abete. L’albero teneva attaccati ai suoi rami delle appendici di forma sferica di vario colore, e dei fili metallici ornati da piccole lampadine erano rilegate intorno al busto della pianta.
Sarebbe stato uno splendido albero di Natale, se solo non si fosse trovato riverso sul pavimento, completamente fradicio, con le palline mezze incrinate ed altre proprio distrutte e le lucine di plastica ormai irrimediabilmente spente.
Sulla grande pianta troneggiava una piccola rimembranza scura, che senza alcuna logica fluttuava nell’aria e da cui ricadeva un piccolo alluvione.
La nuvoletta continuava a far scrosciare acqua sulla pianta non accennando minimamente a fermarsi e imperturbabile sembrava divertirsi a martoriare quell’ormai distrutto abete.
“CHE CAZZO STAI FACENDO!” urlò furiosa, mentre il lato sinistro del suo corpo veniva completamente circondato da una macchia nera, e il suo grande occhio azzurro cielo diventava una piccola pupilla color notte, con uno strano simbolo dipinto al suo interno.
L’altro non rispose, non si scompose neanche all’insulto appena ricevuto, rimase indifferente, - come suo solito-, e attese la sfuriata.
Non scorgendo più sul volto del fratello minore il benché minimo segno di preoccupazione la ragazza percepì la furia crescere implacabile nel suo animo. In concomitanza la temperatura nella stanza si fece glaciale, al punto che mobili come il tavolo in legno e il divano vennero ricoperti da un ampio strato di brina.
“Quegli addobbi facevano schifo. Anche se non avessi creato quella cosa involontariamente avrei voluto spaccarli lo stesso.” rispose freddo il bambino dai corti capelli azzurri.
“Io giuro che questa è la volta buona che ti ammazzo!” gridò furiosa la ragazza, mentre portava le mani al lato del busto, e poggiando il pugno chiuso sul palmo aperto creava una gigantesca spada di ghiaccio.
Impugnata l’arma si preparò a saltare addosso al ragazzino, che vedendo la mal parata comprese che era meglio darsela a gambe. Ma l’altra fu più rapida di lui e con un balzo gli arrivò davanti, pronta a sfracellargli l’arma di ghiaccio sulla testa.
Stava per colpirlo quando la spada prese a sciogliersi e si tramutò in una cascata d’acqua che ricadde un po’ sul pavimento e un po' sulla testa del ragazzino.
La pozzanghera che venne a formarsi si sollevò in aria e in un attimo andò a posizionarsi dal lato opposto della stanza. Qui si rimpicciolì, tramutandosi in una piccola sfera acquatica e rimase sospesa sopra il palmo aperto di un terzo individuo.
“Sayla, Rin la mamma vi ha già detto che non vuole vedervi combattere tra di voi, almeno dentro casa.” disse serio il ragazzo, anche se nella sua voce non si avvertiva il minimo segno di ostilità.
“Storm, da quanto sei qui?” chiese la ragazza, mentre la macchia oscura sì rimpiccioliva, permettendo alla sua pelle di riottenere il suo normale colorito.
“Da circa cinque secondi. E non mi piace che tu attacchi Rin.”
“Ho i miei motivi, questo qui ha…”, “Non so cosa abbia fatto, ma questo non giustifica il fatto che stavi per fargli molto male. E poi Sayla, scusa se te lo dico, ma non potresti metterti almeno i pantaloni? Siamo anche d’inverno, rischi di prenderti un malanno.”
Solo in quel momento, abbassando lo sguardo sul proprio petto la ragazzina si rese conto di essere in canottiera e che la parte sotto del suo corpo era coperta solo dalle mutande.
“KYAAAA! MA QUANDO E’ SUCCESSO?! DOVE SONO I MIEI VESTITI?!” si mise ad urlare correndo a destra e a manca nel salone, alla disperata ricerca di un paio di pantaloni, mentre Rin era caduto a terra e si teneva la pancia ridendo a crepa pelle.
“Ah ah ah! Che scema! Sei proprio una scostumata!”
La ragazza stava per abbandonare la ricerca per picchiare suo fratello, ma fu anticipata da una mano, che afferrato il lobo destro dell’orecchio del turchino lo cominciò a tirare.
“Ahi, ahi, ma cosa…”
Voltandosi il piccolo si ritrovò davanti il volto accigliato della madre, che lo guardava con rimprovero.
“Rin-sama, quante volte Juvia ti ha detto di non prendere in giro tua sorella per il suo problema?! E guarda come hai ridotto il salotto!” disse la donna, prima di portare una mano sulla nuvoletta temporalesca, che scomparve all’istante.
Poi dirigendosi verso sua figlia gli porse una maglietta, un paio di pantaloni, un giacchetto invernale, un paio di guanti, un cappello, una sciarpa e delle cuffie da inverno.
“Grazie mamma, ma credo che indosserò solo la maglietta e i pantaloni.” disse la ragazzina.
“Si può sapere cosa è successo qui dentro?” chiese una voce, appartenente ad un quinto individuo appena arrivato in sala.
“Oh, Ideki-sama, scusa ti abbiamo disturbato?” chiese Juvia.
“Tranquilla zia, stavo solo guardando la lacrima TV. Piuttosto, cosa è successo qui dentro? Sembra sia scoppiata una tempesta al chiuso.” disse il giovane ragazzo, dai lunghi capelli fuxia appuntiti, mentre le sue grandi iridi scarlatte, formate da tre cerchietti concentrici, si poggiavano sull’albero di Natale.
“Prova a chiederlo a questo idiota!” urlò Sayla, che ancora semi nuda indicò il fratellino, il quale in tutta risposta gli lanciò un’occhiataccia.
“Tsk, ma stai zitta pervertita. Te l’ho già detto che è stato un incidente. E tu occhi a spirale fatti i cazzi tuoi, che non centri nulla!” rispose adirato il ragazzino, ma questa volta Sayla era pronta e non si fece sfuggire l’occasione di colpirlo in faccia con un pugno, talmente forte che lo fece cadere a terra.
“Sayla-sama!” urlò la madre raggiungendo Rin sul pavimento per aiutarlo ad alzarsi, ma il piccolo la spinse via con una mano, mentre con l’altra si teneva la guancia ferita su cui era ben visibile un ematoma.
“Così impari a rispondere con educazione a chi ti sta intorno!” tuonò la turchina, “E ti serva da lezione, così la prossima volta ci penserai due volte prima di rovinare i miei addobbi!” rincarò la dose, quasi pronta a partire nuovamente all’attacco.
Dal canto suo Rin prese a squadrarla con rabbia, neanche il dolore del colpo era servito a intimorirlo, anzi adesso sì che sembrava pronto a battersi, peggio di un leone tenuto troppo tempo in gabbia.
“Fatela finita voi due!” disse Storm andando a posizionarsi tra i due litiganti.
Poi voltandosi verso il suo fratellino gli disse: “Chiedi scusa a Sayla per quello che le hai fatto. Poi ti aiuterò a rimettere a posto.”
Ma ottenne solo come risposta un calcio negli stinchi, che in realtà non gli procurò alcun dolore. Fu però, l’espressione carica d’odio che gli lanciò il fratello a farlo indietreggiare inconsciamente.
“Fottiti, schifoso idiota! Non ho bisogno del tuo aiuto!” gridò il turchino e prima che qualcun altro potesse dire o fare qualcosa imboccò la porta della stanza e a corsa uscì dall’abitazione scomparendo all’esterno.
“Rin! Rin, torna qui!” urlò Storm, ma a nulla valsero i suoi richiami, il bambino ormai era scomparso nella fitta coltre di neve che ricopriva il giardino e tutte le vie della città.
“Provo a seguirlo.” disse Ideki uscendo dalla casa e scomparendo a sua volta in un vicolo della strada, lasciando il resto della famiglia Fullbuster in soggiorno.
“Quell’idiota, ma appena torna lo riempio di botte!” cominciò ad inveire Sayla.
“Chi è che vuoi picchiare?” chiese un uomo spuntando dal corridoio che dava sulla porta di casa.
“Quell’imbecille di mio fratello!”, “Cos’ha fatto questa volta?”
“Puoi constatare tu stesso papà.” rispose la ragazzina indicando l’albero.
“Quella piccola peste non imparerà mai a comportarsi bene!” disse Gray, più sconsolato che arrabbiato, mentre afferrava la pianta e la sollevava.
“Su cerchiamo di stare calmi.” intervenne Storm, “Rin ha chiaramente detto di non averlo fatto apposta.”
“Si, Storm-sama ha ragione, Rin-sama ha semplicemente perso il controllo della sua magia.” disse Juvia.
“Questa scusa sta diventando ripetitiva.” si lamentò Gray, “E soprattutto, per questo motivo siete sempre disposti a dargliela vinta.” rincarò la dose Sayla.
“Juvia sa come ci si sente a non poter controllare la pioggia, Rin-sama sta solo affrontando un brutto momento, ma se lo attacchiamo e lo puniamo non riusciremo ad aiutarlo.”
“La mamma ha ragione. Dobbiamo solo cercare di essere pazienti. Appena Ideki lo avrà portato a casa gli faremo rimettere a posto l’albero.”
“Questo non si può aggiustare.” disse Gray sollevando di peso la pianta, che per lo sforzo si spezzò in due.
“Ecco lo sapevo!” tuonò Sayla, “Adesso come facciamo?”
“Stai calma sorellina. Aspettiamo che quei due tornino poi io e Ideki andremo a comprare un nuovo albero e delle decorazioni al mercatino. Vedrai che per questa sera l’albero sarà come nuovo.”
“Va bene. Ma deve essere quello scemo a rimetterle a posto. Io e la mamma non possiamo, dobbiamo preparare il cibo per la festa della gilda.”
“Tranquilla, mi assicurerò che Rin rimedi al suo errore.” disse suo padre, prima di imboccare nuovamente il corridoio e sparire in un’altra stanza.
 
Doveva riconoscere che non era stata un’idea geniale mettersi ad inseguire suo cugino sotto la neve, con indosso solo una maglietta ed un paio di calzoni.
Non aveva mai sofferto molto il freddo, tutti dicevano perché la sua temperatura corporea era più alta di quella delle normali persone. Altri, invece, sostenevano che grazie agli allenamenti di suo padre era ormai abituato alle temperature polari.
Ciò nonostante, quel pomeriggio faceva particolarmente freddo e scalare una collina innevata, dove la temperatura era anche più bassa che in altre zone, non era proprio semplice.
Si portò le mani alla bocca iniziando a sfregarsele con furia, mentre le richiudeva a cono e ci soffiava dentro.
Spero che non sia andato troppo lontano.”
Si guardò intorno alla disperata ricerca di un qualche segno, che potesse indicargli la strada da seguire, ma non trovò niente. Intanto il freddo aumentava e la leggera nevicata si tramutò ben presto in una tormenta.
“Dannazione! Fra tutti i momenti in cui poteva mettersi a nevicare!”
Eppure, quel paesaggio, per quanto ostile ed inospitale gli riportava alla mente molti ricordi della sua infanzia.
Su un monte completamente bianco come quello suo padre lo aveva condotto, quando aveva deciso di iniziarlo all’apprendimento della magia dell’Ice Mike.
Dire che ne era stato felice sminuiva molto l’emozione provata in quel momento. La possibilità di imparare la stessa magia del genitore gli era parsa fantastica. Non vedeva l’ora di poter creare ogni sorta di oggetto o animale con il ghiaccio. Di poter apprendere una magia d’attacco, di vantarsi con i suoi cugini di aver imparato la loro stessa abilità.
Ma quelle erano state solo le assurde fantasie di un bambino di sei anni.
La realtà si era dimostrata ben più crudele!
Per giorni, mesi, anni si era impegnato sotto la supervisione di suo padre nell’apprendere quella magia e nel riuscire a resistere alle temperature più fredde.
E se bene o male la seconda parte gli fosse riuscita molto bene, anzi ci aveva impiegato solo la metà del tempo, rispetto a Sayla o Storm; la prima era risultata semplicemente impossibile!
Non riusciva a creare niente con il ghiaccio!
Non perché non avesse fantasia, anzi era una delle sue doti migliori. Il problema stava nel fatto, che ogni qual volta tentava di creare un oggetto di ghiaccio esso compariva, ma dopo pochi secondi si scioglieva diventando acqua.
Preoccupati i suoi genitori lo avevano pure portato a visitare da molti medici e tutti avevano riscontrato una particolare anomalia nella sua struttura corporea.
Il suo corpo produceva in automatico una quantità di calore superiore a quella di un normale essere umano. Nell’istante in cui tentava di applicarsi in una magia, il cui elemento era completamente opposto alla natura del suo corpo, esso rispondeva a quel modo.
In sostanza: il suo corpo era troppo caldo e questo influiva sull’uso della magia del ghiaccio, portando le sue creazioni a sciogliersi.
Tremenda per lui era stata tale rivelazione!
Non poteva imparare la magia di suo padre, perché non era in grado di gestirla. Il suo stesso corpo gli era nemico.
Le cose dopo tale rivelazione erano pure peggiorate, aveva tentato di allenarsi con suo zio Gray e con i suoi cugini, aveva pure tentato di imparare la magia dell’acqua, ma essa appena fuoriusciva dal suo corpo evaporava.
Il rapporto con suo padre, per quanto quest’ultimo non volesse farlo notare, stava pian piano andando in crisi.
Loro due non avevano mai avuto molto in comune, non per questo non tenevano l’uno all’altro, ma suo padre era anche diventato il Master di Lamia Scale e questo nuovo titolo lo aveva sobbarcato di molto più lavoro.
Passavano insieme pochissimo tempo e anche il periodo di allenamento, che prima aveva costituito il loro unico momento di relazione si era interrotto.
Ma il peggio era arrivato dopo, sua madre era deceduta a causa di un incidente domestico!
La casa aveva preso fuoco un pomeriggio mentre lui era a scuola, di lei era stato ritrovato solo il cadavere carbonizzato.
Se quella notizia non era bastata a distruggerlo completamente, ci pensò la decisione successiva di suo padre a dargli il colpo di grazia.
Senza un’apparente ragione, un giorno di primavera gli comunicò che doveva andarsene a vivere con i suoi zii per un certo periodo di tempo. Gli disse solo che doveva proseguire una ricerca molto importante e che lui doveva andarsene, perché sarebbe potuto finire nei guai.
Ne seguì una tremenda lite, ma alla fine la decisione era già stata presa e lui si ritrovò cacciato dalla sua gilda, senza più una madre, con un padre a cui il suo destino sembrava non importare.
Ci vollero anni per superare il trauma, periodo che passò ad autocommiserarsi e a deprimersi. Poi i suoi zii lo convinsero ad entrare a Fairy Tail e la sua vita tornò ad avere un che di normale.
Alla gilda si fece molti amici come: Drake, Emma, Nashi, Star, Reiki. Si trovò pure un rivale, ovvero Gale. E soprattutto grazie all’aiuto di suo zio Natsu e ad un vecchio libro apprese una nuova forma di magia del fuoco: la magia del God Slayer del fuoco!
All’inizio non fu molto entusiasta della cosa, sua madre c’era morta divorata dalle fiamme, ma comprese che se voleva migliorare e non voleva rimanere in dietro, doveva assolutamente imparare un tipo di magia elementale.
Anche il rapporto con suo padre migliorò con il passare degli anni, riuscirono a passare del tempo insieme e finalmente a parlare.
Gli confessò di non riuscire ad andare avanti senza sua madre, che la scelta di mandarlo via era stata la più dolorosa e difficile della sua vita, ma era stato costretto a farlo, perché doveva dare la caccia ad una persona, che avrebbe potuto fare del male anche a lui.
Insomma, alla fine riuscirono a riconciliarsi e promisero di passare più tempo insieme. Proprio quello stesso Natale, infatti, tutta la gilda di Lamia Scale sarebbe venuta a festeggiarlo a Fairy Tail, e lui non vedeva l’ora.
Un brivido gli percorse la schiena e subito dopo seguì uno starnuto.
Era rimasto troppo tempo a contemplare fermo il paesaggio, rischiava di non riuscire a trovare Rin e di ammalarsi.
Riprese a percorrere il sentiero innevato, fin quando non scorse in lontananza, proprio in cima alla collina una gigantesca nube nera, da essa cadevano centinaia di fiocchi di neve.
Quando fu a pochi metri dalla massa nuvolosa, scorse tra la tempesta una piccola figura.
“Rin!” chiamò, ma non si udì alcuna risposta, “Rin, sono Ideki fammi entrare. Possiamo parlarne.”
Una folata di vento lo investì in pieno facendogli colare il naso, ma subito dopo la tempesta che aveva di fronte scomparve.
Al centro della coltre di neve sedeva un ragazzino, che rimaneva immobile fissandolo con fastidio.
Come cazzo fa a stare qui fuori a torso nudo?” si chiese il rosato, fissando allibito il corpo del bimbo coperto solo da un paio di pantaloni corti.
“Rin, dai non fare quella faccia. Adesso torniamo a casa e poi fai pace con Sayla e Storm.”
“Hanno mandato te a farmi la predica?”
“Nessuno mi ha mandato a rimproverarti sono venuto da solo.”
“Perché?”
“Volevo semplicemente aiutarti.”
“Non mi sembra di avertelo chiesto. Ora sparisci.”
“Non fin quando non deciderai di scendere e tornare a casa. Devi riparare ai danni che hai procurato.”
“Non ho proprio nulla da aggiustare. Se quegli stupidi addobbi non reggono un po' di pioggia non è colpa mia.”
“Non credo sia normale, che la pioggia cada dentro casa e allaghi il salotto.”
Si pentì subito di quanto detto, perché vide lo sguardo del bambino rattristarsi, ma fu una frazione di secondo e subito dopo il suo volto tornò a mostrare la classica espressione infastidita.
“Se non ti piace la pioggia nessuno ti obbliga a rimanere a casa mia.”
“Sai sarebbe scortese rifiutare l’invito degli zii.”
“Questo non giustifica il fatto che sei uno scroccone abusivo, che vive in casa nostra da anni.”
“Non mi sembra che questa cosa ti abbia mai dato fastidio.”
“Solo perché non dico le cose non significa che non le pensi.”
“Pensa quello che ti pare, ma adesso scendiamo e torniamo a casa.”
“È deprimente vero?” chiese Rin, e un sorrisetto gli solcò il viso.
“Cosa?” chiese Ideki, non apprezzando per niente il tono usato.
“Nulla. Stavo solo pensando che dev’essere deprimente ritrovarsi a vivere in una casa estranea, perché non chiedi allo zio Lyon di riportarti a casa tua. D’altronde vi rivedrete tra tre giorni.”
“Mio padre è molto impegnato in questo periodo.” rispose il ragazzo, ma dall’espressione infastidita, Rin comprese di aver fatto centro.
Si sollevò in piedi e sempre ghignando si avvicinò al cugino: “Tuo padre ha sempre troppo da fare, dovresti chiedergli di prendersi una pausa.”
“Sai, non è che sono tutti come lo zio Gray, che non ha quasi mai nulla da fare, se non le normali missioni. Il lavoro di Master è molto faticoso.” rispose Ideki sfoggiando un sorriso finto quanto quello di Rin.
“Certo, ma almeno mio padre ci tiene a me. Sai mi sono sempre chiesto perché lo zio dopo la morte di sua moglie ti abbia mandato qui. Sembra proprio volesse sbarazzarsi di te.” il suo sorriso si allargò ulteriormente, ma Ideki non si scompose.
“Te lo ripeto aveva molto da fare…”
“Cosa, con esattezza? Il lavoro era così importante da allontanare suo figlio?! Quando ti sveglierai cugino, davvero credi ancora alle sue balle? È ovvio che non ti volesse più tra i piedi.”
“E perché non mi avrebbe voluto?” chiese il ragazzo, a cui i capelli si stavano leggermente alzando sopra la testa e una vena pulsante aveva iniziato a formarsi sulla sua fronte.
“Doveva essere imbarazzante avere un figlio, che non sapesse usare la sua magia.”
“Questo dovrei dirlo io, Rin!” disse Ideki, ghignando sadico al mutamento di espressione apparso sulla faccia del ragazzino.
“Almeno io la mia magia per quanto diversa la so controllare.” rincarò la dose.
“Si. Dev’essere bellissimo usare lo stesso tipo di elemento che ha portato alla morte di tua madre.”
“Cosa c’entra questo?”
“C’entra eccome. Non è mai stato appurato come sia morta la zia Meredy, tutti lo hanno sempre definito un incidente e forse lo è stato…”
“Rin, dove vuoi andare a parare?”
“Niente trovo solo deprimente, che tua madre abbia deciso di lasciare questo mondo così presto. E mi dispiace che i tuoi genitori abbiano preferito morire o abbandonarti. D’altra parte, la zia Meredy lo ha sempre detto, che solo starti vicino le metteva addosso una tale ansia…”
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso, Ideki lo afferrò per le spalle e lo sollevò leggermente da terra. I loro volti erano a pochi centimetri di distanza, e il turchino poté specchiarsi nei suoi giganteschi occhi color sangue, ancor più dilatati a causa della rabbia.
Non azzardarti mai più a parlare di mia madre.” sibilò il rosato e nell’istante in cui sollevò il braccio sinistro Rin chiuse gli occhi aspettandosi un colpo.
Ideki, invece, gli poggiò la mano sulla testa e lo rimise a terra. Quando il bimbo riaprì gli occhi il volto del ragazzo era tornato calmo.
“Non ho voglia di litigare. Torniamo a casa.” disse mogio il rosato, e tenendolo saldamente per un braccio prese a trascinarlo di peso.
“Io non voglio andarci a casa! Mollami! Lasciami!” urlò furioso il ragazzino divincolandosi nella remota possibilità di riuscire a liberarsi.
La presa del cugino, però, era troppo forte e lui non riusciva a far scivolare il suo braccio oltre la sua mano.
“Vuoi lasciarmi andare razza di idiota con le pigne al posto del cervello!” riprese ad inveire piantando i piedi per terra, che però scivolarono sulla neve.
“Se non hai voglia di camminare, ti porto io.” rispose ironico il maggiore, prima di voltarsi e afferrare il piccolo da sotto le ascelle per poi riprendere il suo cammino.
“Prendi questo e quest’altro!” urlava il marmocchio tentando inutilmente di colpirlo con pugni e calci, che anche andando a buon fine non danneggiavano minimamente il rosato.
“La pianti per favore? Non rendere la cosa ancora più difficil… AHO!” urlò di dolore sentendo qualcosa perforargli la carne, e abbassando lo sguardo vide il ragazzino attaccato al suo braccio, con i denti piantati nella sua carne.
La presa si allentò e Rin riuscì a liberarsi e toccata terra si mise a correre il più in fretta possibile.
“Torna subito qui!”
“Va a quel paese!”
“Dannato ragazzino, appena ti metto le mani addosso ti faccio vedere io.” si lamentò il ragazzo prendendo a succhiare quel poco sangue che gli era uscito dal morso.
In un balzo raggiunse il turchino, e subito lo atterrò bloccandolo al suolo.
“Piantala di fare i capricci!”
“Sta zitto! Io faccio quello che mi pare!” gli urlò contro l’altro tentando di liberarsi dalla presa.
Sgusciando riuscì a liberare il braccio sinistro e piantò un pugno nell’inguine del ragazzo, che per il dolore cadde a terra.
“AAAHHIIIOOO! Scemo c-cosa t-ti p-passa per la t-testa?” farfugliò Ideki, piegandosi in due, mentre si portava le mani sui gioielli di famiglia.
Approfittandone Rin si rimise a correre, cercando di allontanarsi il più possibile giunse ad una sporgenza e prese ad arrampicarsi, ma prima che potesse raggiungerne la cima, un paio di mani lo afferrarono e lo trascinarono nuovamente a terra.
“P-preso, f-finalmente. E a-adesso fa il bravo, che ti riporto a casa.”
Rin però non sembrava intenzionato a stare fermo, e Ideki ne aveva abbastanza delle sue assurde trovate. In un momento di rabbia lo fece ricadere a terra e gli piantò un calcio nello stomaco, che lo sollevò da terra.
Ricadde con un piccolo tonfo, e il rosato comprese la gravità della sua azione solo dopo averlo visto dimenarsi a terra, tenendosi la pancia con le mani, mentre sputava fiotti di saliva.
“R-Rin. M-Mi dispiace, s-scusa. Ho perso la testa.” si avvicinò poggiando un braccio sull’esile corpicino, ma l’altro gli si avvinghiò alla maglietta e saltandogli addosso lo fece ruzzolare per terra, prendendo a colpirlo sulla faccia.
Ancora sotto shock Ideki rimase immobile facendosi tartassare la faccia dai piccoli pugni, che non gli procuravano altro che un leggero fastidio. All’ennesimo colpo, stanco di subire si drizzò a sedere e spinse il ragazzino a terra.
“Visto che non vuoi darmi retta, scendi quando ti pare.”
“Finalmente lo hai capito che devi lasciarmi in pace.” rispose acido il bambino.
“Non prendertela con me quando ti verrà il raffreddore.”
“Figurati se mi sento male per così poco. Non sono un’incompetente come te.”
“Già, sei solo un moccioso presuntuoso, dalla lingua lunga, capace solo di far piovere tutti i giorni.” rispose l’altro, prima di voltarsi ed imboccare il sentiero.
Rin rimase a fissarlo, il sorriso sul suo volto era scomparso, e la sua faccia era contratta in una smorfia rabbiosa. Partì a corsa verso il più grande, avvinghiandosi alla sua schiena. Quest’ultimo non aspettandosi tale reazione non riuscì a difendersi e cadde a terra.
Rotolarono un paio di volte l’uno sull’altro, quando Ideki si ritrovò nuovamente su di lui e Rin comprese di non avere più le forze per riuscire a liberarsi, prese a muoversi divincolando le braccia e spostando la testa da un lato all’altro.
Fu in quel momento che scorse, poggiato a pochi centimetri dal suo braccio sinistro un qualcosa di grigio, che stonava con il classico colore della neve.
Veloce senza farsi notare afferrò l’oggetto, esso si dimostrò alquanto duro e spigoloso, ma non ci fu il tempo per comprendere cosa effettivamente fosse.
Facendo appello alle poche energie rimaste, riuscì a liberarsi e sollevata la mano piantò l’oggetto contundente contro la tempia del cugino.
La pietra dalla punta particolarmente acuminata perforò la pelle della testa del ragazzo, che sentendo il colpo improvviso allentò la presa e, spalancando la bocca per il dolore, gridò. Sollevò una mano e se la portò alla testa, dopo aver lanciato via la roccia con una manata.
Non servì lo sguardo sorpreso e spaventato di Rin a fargli intendere la gravità della ferita, avvertì solo qualcosa di caldo colargli giù lungo il lato della fronte, poi riportandosi la mano davanti agli occhi si ritrovò il palmo impregnato di sangue.
Chiuse la mano, disgustato dalla vista del liquido rosso, poi i suoi occhi ricaddero sulla piccola figura e la sua faccia si contrasse in una smorfia.
“Tu, piccolo…” sentì la temperatura del proprio corpo aumentare, al punto che la neve intorno a lui prese ad evaporare facendolo ricadere sul terreno sassoso sottostante.
Il suo corpo venne completamente circondato da un muro di fiamme nere, mentre Rin lo fissava con la bocca spalancata e gli occhi dilatati.
Ideki sollevò una mano e un fascio di fiamme partì contro il bambino, che paralizzato rimase ad attendere l’attacco.
Il colpo lo superò, mancandolo di striscio e si disperse alle sue spalle producendo un forte boato. Lentamente, ancora tremante il turchino si voltò, e i suoi occhi si spalancarono ulteriormente alla vista di tutta quella distruzione: l’intera area circostante era ricoperta da un ampio strato di fiamme nere, che continuavano a bruciare gli alberi, a sciogliere la neve e non si fermavano nemmeno di fronte alle rocce, arrivando a ridurle in frammenti.
“Spero che come avvertimento ti sia bastato.” tuonò Ideki facendolo voltare di scatto.
Il suo corpo era tornato normale e le fiamme si erano spente, ma i suoi grandi occhi rossi squadravano ancora con cattiveria il bambino.
“M-Mi dispiace.” farfugliò quest’ultimo.
Il rosato, però, ancora furioso non gli prestò attenzione, lo superò e prese a correre giù per il sentiero.
Dannazione! Guarda a che punto mi ha portato! Cazzo, mi fa male la testa! Meglio lasciarlo da solo, se rimango lì rischio di perdere la testa e fargli veramente male.
Sconsolato e frustrato si incamminò verso casa.
“Mi sa che la chiacchierata non è finita molto bene.”
Sollevò la testa e si ritrovò davanti la figura di Storm, che gli sorrideva mesto.
“Non vuole parlare con nessuno.”, “Quello te lo ha fatto lui?” chiese il figlio di Gray indicando la ferita alla testa che ancora non voleva saperne di smettere di sanguinare.
“È stato un incidente, non voleva farmi male.”
“Tu, invece?”
“Io cosa?”, “Gli hai fatto qualcosa?”
A quella domanda abbassò la testa, si vergognava di dover rispondere delle sue azioni. Ma non lo aveva fatto a posta, Rin lo aveva portato allo sfinimento e in fondo lo aveva solo un po' spaventato e gli aveva dato un calcio, non era nulla di grave.
“Forse ho un po' esagerato, mi dispiace.”
“Tranquillo.” gli rispose l’altro mettendogli una mano sulla spalla, “Mio fratello è fatto così. Farebbe finire la pazienza a chiunque.”
“Cosa facciamo? Lo lasciamo la sopra?”
“Di quello non devi preoccuparti, la mamma ha detto che ci andrà a parlare lei. Noi intanto andiamo al mercato a comprare un nuovo albero e delle nuove decorazioni. Ma prima fatti medicare quella ferita.”
“D’accordo.” disse sorridente seguendo il cugino in una delle strade della città.
“Sayla ha smaltito la rabbia?”, “Ci sta pensando papà a fargliela passare. Una o due ore di allenamento insieme e le tornerà subito il sorriso.”
“Speriamo.”
 
La pioggia cadeva fitta sopra la sua testa, ma lui non se ne curò. Oramai era abituato a fare i conti con quel fenomeno atmosferico e tutti i problemi che gli causava.
Non che odiasse la pioggia, anzi, gli piaceva molto ritrovarsi completamente zuppo sotto una cascata d’acqua, lo faceva sentire in sincronia con il suo elemento e lo rendeva più sicuro di sé. Tante volte durante giornate di pioggia era riuscito a battere Nash durante le loro solite risse. Senza di essa non riusciva proprio ad attivare il suo elemento, sembrava volesse manifestarsi solo quando cadeva l’acqua dal cielo.
Questo era uno dei motivi per cui amava quel fenomeno, rappresentava per lui un momento in cui si sentiva veramente forte! Lui era forte quando pioveva, il suo corpo si unificava all’acqua ed essa cambiava forma a suo piacimento.
Quando il cielo era sereno non riusciva neanche a muovere il liquido contenuto in un bicchiere.
Strinse i pugni, portandosi la testa vicino alle ginocchia, mentre cercava di far smettere il dolore al petto. Quello stupido di Ideki c’era andato giù pesante, ma alla fine ad averla spuntata era stato lui.
Fanculo suo cugino, fanculo sua sorella, fanculo tutti!
Scosse la testa cercando di far smettere il prurito agli occhi. Sapeva bene cosa volesse significare e non aveva alcuna voglia di provare quella sensazione. La rabbia per lo scontro appena avuto era ancora troppa, l’adrenalina non aveva ancora abbandonato il suo corpo.
Aveva vinto lui! Ideki era scappato con la coda tra le gambe e la testa sanguinante. Lui si era dimostrato più forte e tenace!
E allora perché? Perché nonostante avesse messo in fuga il suo avversario, nonostante si fosse dimostrato superiore, nonostante la pioggia che continuava a cadere dovesse procurargli un buon umore… perché non riusciva a fermare le lacrime?!
Doveva essere felice! Sayla non sarebbe venuta a tormentarlo e se anche fosse venuta l’avrebbe accolta come merita. Non gli importava di quello che avrebbero detto i suoi genitori, loro erano bravi solo a parole. Quel rompiscatole di suo cugino se n’era appena andato, e lui non era certo preoccupato per quello che gli aveva fatto! Figuriamoci se si metteva a frignare come un bambino alla vista di qualche macchia di sangue!
Come a farlo a posta una goccia più grande delle altre gli appannò il bulbo oculare sinistro, costringendolo a strofinarselo.
Doveva essere preoccupato per quello che avrebbe pensato di lui la sua famiglia?
Da quando gli importava?! Loro non riuscivano mai a capirlo!
Non era colpa sua se pioveva sempre! Non era colpa sua se la pioggia gli piaceva!
Perché cavolo sua madre continuava a raccontargli di come l’incontro con suo padre avesse dissipato le nubi che attorniavano il suo animo?
A lui quelle nuvole temporalesche piacevano! Non voleva che sparissero!
Quelle erano l’unico modo che aveva per poter essere come tutti i suoi compagni di gilda!
Come avrebbe potuto affrontare Nash o Blake se la pioggia avesse smesso di cadere? Era l’unico meccanismo che conosceva per poter usare la sua magia. Se quelle nuvole fossero sparite si sarebbe ritrovato, come anni prima, impossibilitato ad usare il suo potere.
Come avrebbe fatto un giorno a battere Storm e a rinfacciargli tutta la sua stupida perfezione?
Lui sarebbe stato migliore di suo fratello! Non sarebbe rimasto per sempre la sua ombra! Avrebbe superato sia lui sia Sayla, e sarebbe diventato il più forte!
Se considerava questa possibilità, cosa gli importava se tutti quelli che lo conoscevano gli stavano lontani o non lo invitavano alle feste di compleanno.
Chi se ne fregava se i suoi compagni di classe lo definivano un Ameotoko. Lui era più forte di loro, non aveva bisogno della loro compagnia! L’unica cosa che contava era mantenere intatte le nuvole nel suo cuore!
“La mamma è un’idiota. Pensa che liberandomi dalla pioggia sarò veramente felice, ma che me ne faccio del sole se non posso più usare la magia?!”
Un altro lacrimone gli rigò il viso, ma non ci fece caso perché esso si fuse subito dopo con l’acqua piovana che gli inzuppava la faccia.
Non voleva rinunciare alla possibilità di essere un mago! Mai e poi mai avrebbe voluto tornare a non poter lanciare incantesimi.
In quel periodo tutti i suoi familiari gli sorridevano cercando di incoraggiarlo con parole vuote come:
Vedrai che presto ci riuscirai anche tu.”, “Un po' di allenamento e imparerai a controllare l’acqua e il ghiaccio.”, “Vedrai, crescendo diventerai più bravo perfino dei tuoi fratelli.”
Una marea di stronzate, dette solo per incoraggiarlo e illuderlo. Non era mai riuscito ad imparare la magia del ghiaccio, ci aveva provato innumerevoli volte e non era servito a nulla. Quella dell’acqua era stata anche peggio, più volte aveva tentato di trasformare il suo corpo in una pozza, ma niente.
E ancora tutti ad incoraggiarlo, mentre sotto sotto sé la ridevano di tutti i suoi fallimenti.
I suoi fratelli andavano avanti, Storm aveva undici anni e già sapeva controllare alla perfezione la magia della mamma, era pure diventato un mago di classe S a soli sette anni! Il risultato migliore raggiunto da chiunque, negli ultimi decenni.
Tutti erano stati contenti, avevano gioito, si erano complimentati. Per lui quella promozione di suo fratello era parsa come una pugnalata al cuore.
Non solo non era in grado di usare la magia, ma addirittura il suo obbiettivo si allontanava sempre di più e lui non era assolutamente in grado di stargli dietro.
Poi fu il turno di Sayla, che in un batter d’occhio apprese la magia del Devil Slayer del ghiaccio e anche lei si allontanò di nuovo.
Quando Ideki venne a vivere da loro, si sentì sollevato nel constatare che non era l’unico fallimento come mago. Sorrise nel vedere suo cugino fallire miseramente nell’apprendere la magia del ghiaccio e poi quella dell’acqua.
Ma la sua gioia si tramutò in invidia e rabbia, quando seppe che il ragazzo aveva appreso un’antica magia. Una magia completamente diversa da quella tipica della loro famiglia, ma comunque un tipo di magia potentissimo.
Ormai ci stava rinunciando, era quasi deciso a lasciare la gilda; quando, un giorno d’autunno, di ritorno da scuola non si mise a piovere.
Aveva scordato l’ombrello a casa, ma decise di non attendere lo smettere della pioggia e partì a corsa verso casa.
Fu in quel momento che maledicendosi per non essersi portato un ombrello, qualcosa comparve a coprirgli la testa.
La sua sorpresa fu immensa quando sollevando il capo si rese conto di aver creato con l’acqua piovana una specie di riparo.
Da lì partì il suo duro allenamento, ogni volta che pioveva usciva fuori e si allenava ad imparare ad usare la magia dell’acqua e ogni qual volta la pioggia si interrompeva anche la sua magia smetteva di funzionare.
Desiderò che piovesse sempre, che non smettesse mai, che la possibilità di allenarsi si presentasse sempre. Alla fine, riuscì a far piovere.
Non riusciva a controllarla, ma non gli importava. Aveva capito che ogni qual volta provava una strana sensazione di fastidio agli occhi e un tremendo vuoto al petto essa compariva e inondava, anche per ore il territorio circostante.
Nessuno fu felice di questa sua nuova abilità, in molti gli chiesero di smetterla, i suoi genitori cercarono di ‘aiutarlo a stare meglio’, ma lui non si fece condizionare.
Se a loro, questa sua capacità, non piaceva non era un suo problema. Che si mettessero il cuore in pace, lui non si sarebbe fermato!
E la pioggia, anzi quella che poco prima era pioggia, e che ora si era trasformata in una tempesta di neve, continuava a cadere e a cadere, sempre più fitta, al punto che fu quasi tentato di tornarsene a casa. Ma sapeva bene che anche al chiuso non sarebbe scomparsa. Doveva solo smettere di piangere, non ne aveva alcun motivo. Doveva solo tornare ad essere felice di poter far piovere o nevicare ininterrottamente.
Non doveva pensare a cosa gli aveva detto sua sorella quella mattina, non doveva importargli quello che suo cugino era venuto a fare lì.
Lui non aveva alcun bisogno della loro compassione o dei loro rimproveri.
La pioggia gli piaceva e questo lo aveva sempre saputo, e allora perché non riusciva a smettere di piangere?
Perché desiderava nel profondo del suo cuore che qualcuno salisse su quel monte e lo trascinasse giù, che gli dicesse che anche lui era importante, che gli voleva bene e che non aveva bisogno di distinguersi dagli altri?
Perché aveva bisogno di far piovere per farsi notare dagli altri? Perché se si fosse fermato nessuno lo avrebbe più guardato? Perché lo avrebbe semplicemente classificato come il terzo genito della famiglia Fullbuster? Anzi lo avrebbero etichettato come il fallimento della famiglia Fullbuster!
Dopo due risultati tanto soddisfacenti come Storm e Sayla, lui si era dimostrato la nota fuori dal coro, l’ultima ruota del carro, il prodotto fallato.
Eppure, cosa aveva di diverso dai suoi fratelli? Cosa aveva di diverso dagli altri maghi della gilda? Perché doveva piovere sempre per far sì che fosse in grado di usare la magia come gli altri?
Perché continuava ad illudersi che tutto andava bene? Che la pioggia gli piaceva? Che apprezzava ritrovarsi zuppo dalla testa ai piedi?
Quel suo stupido orgoglio, perché non voleva fargli ammettere quello che sapeva da anni: lui odiava da sempre la pioggia!
Voleva solo essere come gli altri, ma per quale motivo per raggiungere tale scopo doveva soffrire tanto?
Per quale motivo più provava ad assomigliare ai suoi compagni più si sentiva emarginato?
Perché non poteva semplicemente ammettere che le parole di sua madre erano vere: ogni volta che pioveva sentiva un vuoto al posto del petto, gli occhi gli bruciavano, le lacrime scendevano e un nodo gli si formava all’altezza dello stomaco.
“Stupida Sayla, stupida festa di Natale e stupido albero! È solo colpa vostra!”
Chiuse gli occhi e si portò la testa tra le gambe, mentre i ricordi di qualche ora prima riaffioravano alla mente:
Era seduto sul divano a guardare l’albero di Natale, che il giorno prima sua sorella e sua madre avevano addobbato. Più lo guardava più si chiedeva che cosa ci fosse da essere felici nel ricoprirlo di palline colorate.
A lui sembrava solo una vecchia pianta, resa ancora più brutta da tutte quelle decorazioni.
In realtà non gli piaceva la festa in sé, la trovava stupida e poco realistica. Non aveva mai creduto a Babbo Natale a differenza di quello stupido di Nash, ma non gli aveva mai svelato la verità. In realtà voleva farlo, anche solo per ripicca, per tutte le volte in cui avevano fatto a botte, solo per vedere la sua reazione; ma sua madre lo aveva avvertito, se avesse osato fare una cosa simile sarebbe rimasto in punizione per un anno intero.
Così si era semplicemente accontentato di prenderlo in giro, quando non c’era. Anche se questo gli toglieva gran parte della soddisfazione.
Ma che poteva farci se lui non sopportava quella stupida festa?!
Come biasimarlo? Tutto quel sentimentalismo, tutti quei suoi coetanei che si eccitavano per qualche stupido regalo trovato sotto l’albero la sera prima. Tutti quei giocattoli inutili e fatti solo per tenere occupati i bambini più stupidi e ingenui.
Lui non aveva mai avuto bisogno di queste cose. Voleva solo poter controllare la sua magia, ma quando lo aveva chiesto a Babbo Natale, -anzi aveva finto di chiederlo a quel vecchio immaginario, rivolgendosi nella sua letterina a suo padre e sua madre-, il risultato era stato uno stupido pupazzetto in legno, che non rispecchiava per nulla la sua richiesta, e una stupida scusa:
“Mi dispiace tesoro Babbo Natale non ha potuto realizzare il tuo desiderio, ma guarda che bel giocattolo ti ha portato.” gli aveva detto sua madre tutta sorridente porgendogli il bambolotto.
Lui se lo era rigirato un paio di volte tra le mani, poi quando nessuno lo guardava lo aveva gettato nel caminetto e lo aveva guardato fin quando la sua figura non era scomparsa mischiandosi con il resto della cenere.
Non aveva provato alcun rimorso nel farlo, e dopo quella volta non aveva più voluto alcun regalo di Natale e aveva pure smesso di festeggiarlo.
Se solo quelle stupide decorazioni non fossero state appese alla casa ogni anno, si sarebbe facilmente dimenticato di quell’ennesima delusione.
“Ti piace il mio albero?” gli aveva chiesto sua sorella, ridestandolo dai suoi pensieri.
Era rimasto muto tornando a guardare la pianta, poi aveva sorriso: “Mi piace così tanto che mi fa venir voglia di vomitare.”
“Ma come osi!” aveva urlato Sayla e lui aveva sorriso con ancor più convinzione.
“Perché ti lamenti? Ti ho appena detto che mi piace.”
“Va a quel paese.”, “Sei sempre la solita maleducata. Se volevi che ti dicessi che non mi piace bastava chiedere: guardarlo mi fa bruciare gli occhi, e solo al pensiero che ci avete messo un pomeriggio intero per montare quell’obbrobrio mi fa sbellicare dalle risate. Povero Babbo Natale speriamo che non lo scambi per una pattumiera e lasci lì sotto i regali.”
“A te che importa?! Uno che è sulla lista dei cattivi non ha diritto ai regali.”
“Sulla lista dei cattivi? Guarda che ti sbagli, io non ricevo regali perché non ne ho bisogno. Non sono un rimbecillito come te e Storm, che alla vostra età credete ancora a Babbo Natale. Io dei suoi stupidi regali, come di questa festa non me ne faccio niente!”
“E’ un tuo problema.”
“Già, ma spero che presto qualcuno si renda conto dell’inutilità di questa festività e l’abolisca.”
“A tutti piacerebbe non avere più niente a che fare con quello che non apprezziamo. Guarda noi, che tutti i giorni dobbiamo sopportare te e la tua stupida pioggia.”
“Oh, che tristezza. Mi dispiace tanto arrecarvi tutto questo disturbo, ma come hai detto te: è un vostro problema!” gli aveva risposto acido.
“Speriamo allora che Babbo Natale esaudisca il mio desiderio.”
“Di che parli?”
“Oh, nulla d’importante. Ho solo chiesto come regalo di Natale, che smettesse di piovere, e che finalmente smettessi di darti tante arie. Spero proprio si realizzi, non vedo l’ora di vederti impossibilitato ad usare la magia.”
Dolore!
Aveva provato un dolore tremendo a sentire quelle parole. Istintivamente si era portato una mano al petto, cercando di farlo smettere.
Non poteva credere a quello che sua sorella aveva appena detto.
Quella schifosa sperava di liberarsi finalmente di lui! Temeva la sua forza nascente. Era ricorsa ad un espediente tanto ridicolo, quanto assurdo per dirgli che lo avrebbe lasciato indietro, che lo avrebbe superato, che lo avrebbe riportato a quella situazione iniziale di impotenza.
Una nuvoletta scura era comparsa in salotto e un fulmine era partito da essa colpendo in pieno l’albero di Natale, che subito aveva preso fuoco. Esso si era spento in un attimo a causa della pioggia, che non aveva più smesso, nemmeno dopo che la pianta era caduta sul pavimento…
Un’altra lacrima gli solcò il viso e un tuono lo fece sobbalzare. Sollevò la testa verso il cielo e vide la nube ancor più grande e nera di poco prima, continuare ad espandersi per tutto il cielo fino quasi a raggiungere la città.
Se io non posso avere un Natale felice, perché gli altri se lo meritano?” sorrise a tale pensiero e in corrispondenza la nuvola crebbe ancora e la pioggia aumentò. La temperatura calò ancora ed essa si congelò all’istante.
Ciò che cadde sulla testa di Rin, però, non fu neve ma grandine. Lui però non se ne curò ed ignorando il dolore di quei piccoli e fitti frammenti di ghiaccio, tornò a nascondere la testa tra le gambe.
“RIN-SAMA! TESORO, DOVE SEI?”
L’urlo gli fece alzare la testa e a pochi metri di distanza, con la grandine a coprirle la visuale distinse la figura di sua madre. Che nonostante la tempesta continuava a venire avanti.
Quando fu a pochi centimetri di distanza da lui, si inginocchiò e con fatica gli si trascinò vicino: “Rin-sama, su fai il bravo, torna a casa con Juvia.”
“Mamma? Cosa ci fai qui?”
“Juvia è venuta a prenderti. Su ferma la grandinata, prima che arrivi in città e faccia danni.”
Il volto del bambino si incupì e il vento prese a soffiare con forza, procurando un brivido alla donna.
“Lasciatemi in pace! Non sono io che devo smetterla di far piovere, siete VOI che dovete smetterla di chiedermelo.”
“Rin-sama, Juvia capisce come ti senti e vuole solo aiutarti, permettile di farlo.”
“Aiutarmi! Aiutarmi! Tu vorresti aiutarmi mamma?! Tu sai qual è il mio problema, lo hai sempre saputo, ma fino ad ora lo hai completamente ignorato!”
“J-Juvia ha sempre cercato di rendersi utile, ma se prima tu non le aprì il tuo cuore lei non può aiutarti.”
“Forse, speravo foste voi a fare la prima mossa?! Forse speravo che in questo periodo continuaste ad incoraggiarmi, invece di tapparmi le ali?! Io non sono come i miei fratelli! Ma anche io avevo bisogno del vostro aiuto e voi mi avete ignorato!”
“Non è vero! Juvia non voleva che tu continuassi a soffrire, per questo ha cercato di mandare via la pioggia.”
“Che ne sai, se io soffrivo perché c’era la pioggia?! Io non sono te, a te non piaceva, ti vergognavi, ti faceva allontanare dagli altri! Ma per me questo è l’unico modo per essere come gli altri! È l’unico modo per essere veramente felice!
Se spunta il sole, ma esso si porta via anche la mia magia, che senso ha vederlo? Se d’avvero è solo con la pioggia che io posso essere un mago, allora non vedrò più il sole!”
“Ragiona, Rin. Non ci sei solo tu sotto questo cielo! Non puoi privare le persone di quello che amano.”
“Invece posso, e lo farò se necessario! A quelle persone non è mai importato nulla di me, perché a me dovrebbe importare di loro?”
“Perché non è vero, che non gli importa di te! Per Juvia, per Gray-sama, per Sayla, per Storm e per tutta Fairy Tail tu sei importantissimo! Hanno sempre cercato di renderti felice e sono molto tristi per non esserci ancora riusciti!”
“Non è vero! Tutti voi mi avete solo impedito di raggiungere il mio potenziale! Sono nato senza alcuna attitudine ad apprendere la magia, ma quando finalmente ci sono riuscito tutti voi, invece, di incoraggiarmi mi avete bloccato. Mi avete allontanato! Non è colpa mia se piove sempre! Ma se è l’unico modo per essere felice allora che sia!”
“E la pioggia rende d’avvero Rin-sama felice? Figliolo ti senti davvero felice ad essere allontanato da tutti, a non essere invitato dai tuoi amici alle feste o alle gite scolastiche? Pensi d’avvero che quel vuoto che hai nel cuore non sia dovuto a questo? Oppure, hai una spiegazione al perché ogni volta che piove scoppi a piangere?”
Rin sentì un nodo stringergli la gola e non riuscì più a sostenere lo sguardo di sua madre. Aveva ragione lei? Si era d’avvero sempre illuso che il suo mal essere dipendesse dagli altri? E se esso non fosse solo il risultato di quel senso di inferiorità che provava ogni singolo istante in cui si trovava vicino ai suoi fratelli o a tutti i suoi amici?
“E’ COLPA VOSTRA!” scoppiò in lacrime, e la tempesta aumentò portando Juvia a creare un gigantesco scudo per coprire entrambi.
“E’ solo colpa vostra se mi sento sempre così! Io non volevo nascere diverso! Voglio solo essere come tutti gli altri! Perché sono tutti più abili di me? Perché non riesco ad usare la magia? Perché solo quando piove ci riesco? Perché non potete accettarmi così come sono?”
Chiuse gli occhi sperando di non vedere più sua madre, che sparisse e lo lasciasse solo con il suo dolore, che tornasse a concentrarsi sui preparativi per la festa.
Invece, avvertì qualcosa di caldo stringerglisi in torno e una volta aperti gli occhi vide sua madre avvinghiata al suo corpo, con la testa sulla sua spalla e le braccia chiuse intorno alla sua schiena.
“Sing… sing… perdona Juvia. Lei non voleva ignorare la tua sofferenza, è che non riusciva a comprendere come qualcosa di cui lei avrebbe sempre voluto far a meno si rivelasse così importante per te. Juvia non sa perché hai questo problema con la magia, ma lo ha ignorato per troppo tempo. D’ora in avanti ci impegneremo insieme per capirlo. Ma ti prego figliolo, non pensare che essere diverso dalle altre persone voglia dire essere inferiori. Tu non vali meno di nessun altro, hai capito? Per Juvia tu sei importante come Storm-sama e Sayla-sama.
Juvia ti aiuterà a cacciare le nuvole che albergano nel tuo cuore, e stai sicuro che un giorno anche tu potrai rivedere il sole, e lo farai come mago.”
Si staccò dall’abbraccio, asciugandosi un occhio con le dita delle mani, mentre guardava suo figlio, che per la prima volta dopo tanto tempo iniziò a tremare come una foglia.
“M-Mamma. I-io v-vog… sob… sob… voglio… che m-mi aiudi…. Wheeeeeaa!” scoppiò in lacrime e le si fiondò addosso. Premendo la faccia contro il suo petto, mentre avvertiva le sue mani carezzargli la schiena.
C’era voluta un’attesa infinita, ma finalmente qualcuno era venuto ad ascoltarlo, finalmente era riuscito a dire ad un’altra persona tutte le paure che gli balenavano in corpo. Non capiva bene perché avesse avuto così tanta paura di farlo, adesso che c’era riuscito si sentiva come liberato da un grande peso.
E adesso quello strano vuoto si stava lentamente riempiendo e il suo corpo riusciva di nuovo a godersi il calore.
Il cielo sopra le loro teste si aprì, la nube gigante prese a scomparire, la grandine aveva già smesso di cadere e da Magnolia si poté scorgere solo da lontano.
“Sembra che la mamma ce l’abbia fatta.” sorrise Storm, guardando il cielo pomeridiano brillare di un bellissimo azzurro, illuminato da un sole ancor più splendente del solito.
“Meno male, temevo non gli sarebbe più passata l’arrabbiatura.” disse Ideki, “Speriamo che per una volta riesca a godersi questo periodo dell’anno.” bisbigliò.
“Questo è un primo passo, ora dovremmo capire in quale strada lo porterà. Una cosa è certa, questo Natale sarà completamente diverso dagli altri.” disse Storm, prima di incamminarsi verso la successiva bancarella.
 
Quella stessa sera seduto sul pavimento Rin si mise di buona volontà e prese a riaddobbare il nuovo albero, sotto la supervisione della madre.
“Bene, ti sei deciso a rimettere le cose a posto.” disse Sayla entrando nella stanza.
“Sayla-sama.” la richiamò la madre e dal tono la ragazzina comprese di essere nei guai.
“S-Si, m-mamma?”
“Cosa hai da dire a tuo fratello?”
“Ehm, che non deve più rovinare le cose degli altri…?”
L’occhiataccia di Juvia la fece tacere: “Perché non riprovi?!”
“Ehm, v-volevo d-dire, che hai sbagliato a rovinare l’albero, ma non lo hai fatto a posta. E poi ti chiedo scusa per averti offeso.”
“Scusa, non credo di averti sentito.” disse Rin volgendone un orecchio, come ad indicare che ripetesse.
“HO DETTO, CHE MI DISPIACE AVERTI OFFESO E ATTACATO!”
“Ouh, guarda che non c’è bisogno di urlare a quel modo, ci sento bene.”
“Tsk.”
“E tu Rin-sama, non hai nulla da dire a tuo cugino?” chiese Juvia, indicando il ragazzo seduto sul divano, che aveva legata sulla fronte una fascia bianca.
“Ecco, mi dispiace averti colpito con un sasso. Però, anche tu potevi non abbassare la guar… Aho!” si interruppe sentendo la madre tirargli l’orecchio.
“Quando ci vuole, ci vuole.” disse Juvia.
“Non fa niente Rin.” intervenne Ideki sorridendo, “Gli incidenti capitano, specialmente quando fai a botte. E poi anch’io devo scusarmi, per averti dato un calcio.”
“Già quello mi ha fatto…” si interruppe di nuovo, vedendo la faccia di sua madre accigliarsi.
“Comunque, per farmi perdonare io e Storm ti abbiamo fatto un regalo.” continuò il rosato e subito dopo nella stanza entrarono Storm e Gray.
Il ragazzo porse un pacchetto colorato in mano al fratello e disse: “Buon Natale, Rin.”
Il bimbo se lo rigirò per un po' tra le mani, non essendo sicuro che il contenuto gli sarebbe piaciuto.
“Avanti, aprilo.” lo incoraggiò il padre, “Ti assicuro che ti piacerà molto.”
Tolto il fiocco, strappò malamente la carta da regalo rossa e poi si rigirò l’oggetto tra le mani.
Un libro, non particolarmente grande, ma molto spesso. Sulla copertina era scritto il titolo: “MANUALE PER L’APPRENDIMENTO E IL CONTROLLO DELLA MAGIA DELL’ACQUA.”
“Che roba è?”
“Un libro che abbiamo comprato al mercatino.” disse Ideki,
“Sai, c’è la sezione libri antichi gestita dallo zio Freed e dalla zia Levy. Quando ho letto il titolo ho pensato subito a te, credo che potrebbe esserti utile.” concluse Storm.
“Mi stai dicendo che in questo libro c’è la risposta al mio problema?” chiese speranzoso il ragazzino, guardando suo fratello che gli sorrise facendo un cenno affermativo con la testa.
“Molto probabilmente sì.” intervenne Gray, “E se anche lì non ci sarà nulla, continueremo a cercare fin quando non troveremo una soluzione.” disse Sayla carezzando la testa del suo fratellino.
“G-grazie.” rispose quest’ultimo cercando di non scoppiare a piangere.
“Che fai? Ti metti a piangere, frignone?” chiese la turchina.
“Non sono un frignone! Scostumata!” gli urlò contro l’altro.
E sotto lo sguardo divertito e le risa del resto della famiglia, iniziò l’ennesimo litigio trai due.

Nota d’autore: ecco qui il capitolo quattro! Questo capitolo è dedicato alla famiglia Fullbuster e se devo essere onesta, oltre al precedente è quello che mi è piaciuto di più scrivere. Anche se spero di aver rispettato il prompt (mi sono un po' districata tra neve e pioggia, spero non sia un problema XD).
Mi sono anche accorta, che in quasi tutti questi capitoli a svolgere un ruolo predominante nell’aiuto dei propri figli sono le madri, mentre i padri sono un po' messi in secondo piano. Mi sento un po' in colpa per averli dipinti tutti così, ma non l’ho fatto intenzionalmente, erano esigenze di trama.
Parliamo però dei protagonisti del capitolo: Rin è sempre stato, almeno a mio avviso il membro della famiglia Fullbuster messo sempre in secondo piano, anche più della presunta figlia di Gruvia (l’ho chiamata Sayla, perché Sylvia come nome non mi piace tanto e perché mi suonava bene in quest’altro modo).
Il motivo per cui Rin è così messo in secondo piano, è forse perché Storm/ Greige è il figlio canonico, disegnato da Mashima e perché di contro ai figli maschi si ipotizza anche l’esistenza di una possibile figlia femmina. Quindi in sostanza è raro che il terzo figlio compaia o abbia un ruolo predominante rispetto agli altri due.
Proprio per questo motivo ho deciso di dedicare il capitolo proprio a lui, rivisitando il personaggio e dandogli un’interpretazione più “oscura”. Spero vi piaccia.
Invece, per quanto riguarda Ideki è il figlio, come avrete capito di Lyon e Meredy, e a proposito di quest’ultima, già mi vedo i fan del personaggio che arrivano intenzionati a farmela pagare per averla fatta morire.
Prima di farmela pagare, però chiedo la clemenza di farmi spiegare: il personaggio di Meredy è uno dei miei preferiti, e la Leredy è una coppia che apprezzo abbastanza; ma ho dovuto far morire il personaggio perché mi è necessario a livello di trama. Anche se non posso dire il motivo, perché voglio aggiungerlo in quella fantomatica storia che voglio dedicare alla Next Gen.
Vi prego, quindi di avere pazienza perché un giorno tutto sarà chiarito.
Per adesso saluto e ringrazio tutti coloro che recensiranno e soprattutto leggeranno il capitolo.
Grazie mille e domani.
 
   
 
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