Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _uccia_    04/01/2022    1 recensioni
Lui vive secondo un codice, il codice Vory. Nel mondo malavitoso russo esiste una gerarchia e delle tradizioni. Lei sarà lo strumento che lo farà ascendere al potere.
Lui è un sicario chiamato il Siberiano, lei una principessa della 'Ndrangheta italiana.
Quello che non sanno è che il loro destino è inesorabilmente intrecciato e che non avranno scrupolo a sfruttare la posizione l'un dell'altra per raggiungere la sommità della scalata al potere.
Perché più forte della loro ambizione, può essere solo il desiderio carnale e possessivo che pare bruciarli interamente.
Due personaggi che per quanto diversi si ritroveranno a dover lavorare di squadra, in un ambiente cupo e pericoloso diviso tra Stati Uniti, Honduras e la fredda Russia.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                                                                                      ---------------VITTORIA-----------------
 


"Ubiraysya!".
Una voce spaventosa, un ordine sputato tra i denti.
"Non toccarmi!".
"Vuoi giocare con me?".
Il terrore che ti ribalta lo stomaco e strizza la vescica.
 
"Io vedo te".
 
Il sogno era cambiato, non lo aveva mai fatto prima.
Si muoveva con la lentezza tipica degli incubi.
L'erba era gelata sotto i piedi nudi, ricoperta da una spessa coltre bianca. Poteva giurare di percepirne l'umidità fra le dita intirizzite.
Aveva molto freddo, tremava ma doveva assolutamente proseguire. Sapeva che ne andava della propria vita, se si fermava... sarebbe andato tutto perduto.
La nebbia si diradava man mano che lei procedeva, turbinava in vortici fumosi. Si spostava tutto intorno a lei, richiudendosi poi alle sue spalle.
Non doveva essere lì.
Doveva essere in un parcheggio, era sempre stato un parcheggio. Perché proprio lì?
Le tombe emersero dalla neve come funghi dopo un acquazzone.
Prima delle semplici lapidi grigie crepate dal tempo e poi tetre statue di angeli in preghiera o armati di spada.
Non voleva guardarle, sapeva dove stava andando.
Non voleva andare ma negli incubi non era mai semplice decidere come dovevano proseguire gli eventi.
 
"Io vedo te".
Si voltò trattenendo il respiro. Non vedeva nulla tra la nebbia, solo le lapidi più vicine ricoperte da montagnole bianche.
"Ti prego", singhiozzò.
Con chi stava parlando?
"Ti prego, non voglio".
Lo scrocchiare di neve pestata, alle sue spalle, la fece sobbalzare.
 
"Vuoi giocare con me?".
 
Dietro di lei, comparve una nera figura. Un uomo in tenuta d'assalto militare nera, con pantaloni muniti di tasconi e anfibi, fucile di precisione agganciato alla schiena, guanti in pelle e passamontagna con un sorriso da teschio al posto della bocca.
Rimaneva in piedi tra le lapidi.
Fissandola.
"No", pianse disperatamente lei. "Non lo farò".
La Morte le ripeté la domanda, questa volta mettendoci più veemenza.
"Vuoi giocare con me?".
Lei cadde in ginocchio sulla neve. Le mancava il respiro.
"No, ti prego. Te lo giuro, dico la verità!".
 La Morte non le credette, in un battito di ciglia le fu addosso sovrastandola.
Le poggiò sulla fronte la canna di una Tokarev. Riusciva a sentire il freddo del metallo.
Le veniva da vomitare.
Tremava convulsamente, non riusciva a controllarsi.
"Io liberare te", disse la Morte. Un dito poggiato sul grilletto dell'arma.
Delle voci si innalzarono dalle lapidi, prima un sussurro appena udibile poi sempre più forti come il ronzare di uno sciame d'api.
Lei si portò le mani alle orecchie, strinse le palpebre e pianse tutte le sue lacrime.
Le voci non parlavano la sua lingua.
Parlavano in russo.
 
Vittoria urlò fino a raschiarsi la gola, con un colpo di reni si rizzò a sedere gettando per aria la pesante trapunta.
Era in un mare di sudore gelido.
Un cerchio di sconosciute era curvo su di lei ma si spaventarono dalla reazione della ragazza e fecero subito dei passi in dietro lasciandole spazio.
Erano cinque ragazzine, visi rotondi punteggiati da acne e lentiggini. Abiti da cerimonia lunghi e casti, capelli acconciati da fiori e perline.
Strabuzzarono tutte gli occhi e si riunirono in un unico mucchio accanto alla porta della camera da letto, come se fossero pronte a fuggire nel caso la belva avesse deciso di ricominciare a urlare.
"Hai svegliato lei!", rimproverò una ragazzetta tredicenne contro una sua coetanea.
"Tu parlavi troppo forte!", si difese la compagna battendo un piede a terra.
"Tutte parlavate forte!". Si intromise una ragazzina poco più grande, con due lunghe trecce bionde.
Vittoria deglutì riprendendo fiato e si portò una mano al petto. Riusciva a sentire il cuore martellare come un matto, sotto lo sterno.
"Chi siete?", chiese allibita.
Le piccole damigelle fecero una profonda riverenza all'unisono. "Signoooora", salutarono in coro.
Poi la ragazzina con le trecce prese la parola:
"Siamo quì per preparare la sposa, per lo sposo".
Vittoria grugnì roteando gli occhi e buttò giù le gambe dal materasso.
"Devo lavarmi, sono tutta sudata. Mi avete spaventato a morte!".
Mentre si avviava verso il bagno, il branco di marmocchie le trotterellò dietro.
Vittoria si bloccò di colpo e le ragazzine si fermarono di conseguenza.
"Noi aiutiamo!", si giustificò una di loro.
"Penso di riuscire a farcela da sola". Commentò sardonicamente Vittoria, prima di sbattere la porta del bagno in faccia a tutte loro.
La preparazione della sposa richiedeva molto tempo, cominciarono a profumarla e a spazzolarle i capelli in un preciso numero di colpi.
Dopo un po', mentre sedeva alla seggiola della toletta facendosi sciogliere tutti i nodi, Vittoria decise di rompere il silenzio.
"Da dove venite?".
Una brunetta dalla forte inflessione le rispose, mentre le faceva infilare le calze. "Abitiamo tutte nel rione. Noi scelte perché parliamo inglese e per nostra bellezza. Nostre famiglie ci hanno proposte a Signor Volkov".
La stavano tutte guardando immobili.
"Cosa c'é?", si stupì Vittoria.
"Fa paura". Sussurrò timidamente, una bambina lentigginosa.
La ragazzina con le trecce le piazzò una gomitata al fianco. "Taci, Alina!".
Alina gonfiò il petto, raccogliendo tutto il coraggio. "E' così, mi ha fatto paura. Mi ha preso il mento e costretto a guardarlo in faccia, mi ha guardato come un pezzo di carne. Ha fatto male!".
La ragazzina con le trecce si affrettò a scusarla, mentre tutte le altre rimproverarono la piccola Alina nella loro lingua.
"Scusa lei. Alina sempre tanto spaventata da tutto".
Vittoria prese la mano di Alina e gliela strinse forte. "Tranquilla, so' io come trattare con quelli come lui. Non ti farà più nulla".
La brunetta che le aveva passato le calze, intervenne tutta rossa in viso. "E' vero quello che dicono? Quello che maschi fanno a femmine... infilano il... il...".
Le ragazzine scoppiarono tutte a ridere e Vittoria rise di cuore con loro.
La brunetta strinse i pugni, braccia tese lungo i fianchi. Profondamente offesa. "Mi prendete in giro. Non è vero, giusto? Io mica ci credo".
Con uno schianto, la porta d'ingresso alla camera si spalancò andando a sbattere contro la parete e Vasilj Volkov entrò a passo di carica battendo le mani. Come se stesse richiamando un pollaio.
Vittoria scattò in piedi e si coprì con la vestaglia di raso bianco, le bambine saltarono dallo spavento ed andarono tutte ad allinearsi dietro alla ragazza.
Volkov diede l'ordine alle piccole di uscire in russo, le parole appena comprensibili mentre teneva una sigaretta accesa fra le labbra.
Era vestito ancora in tuta, pantaloni Adidas neri e felpa in tinta con cappuccio e lacci.
Quando rimasero soli nella stanza, Vittoria fece guizzare lo sguardo per una frazione di secondo a sinistra. Verso il letto, in direzione del suo nascondiglio.
Non lo aveva fatto volutamente, il linguaggio non verbale l'aveva tradita.
Volkov la stava osservando attentamente. Troppo attentamente.
"Porta sfortuna vedere la sposa, prima del grande evento". Provò a tergiversare lei.
I suoi polmoni smisero di funzionare, quando il russo cominciò a muoversi lentamente verso il maestoso letto a baldacchino.
Vittoria si gettò sul materasso spiccando il volo e atterrando su un fianco, in un svolazzo di vestaglia.
Premette con tutto il suo peso, come se ciò potesse fermarlo.
Volkov era un carro armato, con una mano si tolse la sigaretta dalle labbra e con l'altra si allungò ad afferrare il materasso per sollevarlo.
Poteva scagliarla contro il muro, se solo lo avesse voluto.
Non poteva lasciarlo vincere, non quella battaglia. L'unica che le era rimasta.
Tentò di graffiargli il braccio ma lui era troppo forte e lei era solo una spettatrice.
Trovò facilmente la boccetta di ansiolitico, per giorni l'aveva custodita come un tesoro e lui in cinque secondi aveva rovinato tutto.
"Lasciala", trovò lei la voce.
Gli occhi del russo incontrarono i suoi e vi ci lesse prima il dubbio poi... la delusione. Se quello era un qualche tipo di test, era chiaro che Vittoria non l'aveva superato.
"Cosa è?". Chiese.
"Soffro di attacchi d'ansia. Ne ho bisogno per controllarmi, ho momenti di paura immotivata". Si giustificò lei.
Volkov esaminò contro la luce del lampadario quanto liquido rimanesse.
Non molto.
"Brutta cosa, la paura". Commentò facendo oscillare il piccolo contenitore di vetro. "Chi ha paura... muore ogni giorno".
Le lanciò la boccetta e lei la prese al volo.
Lo vide frugarsi in una delle tasche dei pantaloni e ne tirò fuori il telefonino di Vittoria con i suoi documenti. Le lanciò tutto sul letto e rimase a guardarla, fumando in silenzio.
Lei era senza parole, per prima cosa si accertò che il cellulare funzionasse.
Si illuminò senza che le fosse richiesto il PIN o l'impronta digitale.
Qualcuno ci aveva messo le mani.
"Nicolaj bravo con queste cose", le spiegò Volkov.
Non c'erano notifiche di chiamate, ma andando nella rubrica dei messaggi trovò conversazioni tra lei e suo padre che decisamente Vittoria non poteva aver fatto.
Salvatore De Stefano le chiedeva di rispondere, lei aveva risposto con frasi brevi ma grammaticalmente corrette in italiano.
Gli aveva scritto di stare bene, che la trattavano con gentilezza e che presto l'avrebbero fatta tornare da lui.
"E' stato Nicolaj a scrivere a mio padre?".
Volkov fece un tiro, tenendo la sigaretta stretta fra pollice e indice. "Io", rispose grevemente buttando fuori un'acre nuvoletta dalle narici.
Vittoria si sedette composta a bordo letto, i documenti e il telefonino sulle sue gambe. "Che significa? Perché mi restituisci tutto?".
Volkov fece un altro nervoso tiro. "Dopo matrimonio, tu puoi andare. Non costringo te a restare. Se tu desideri, puoi tornare da tuo padre. Sarai mia moglie, questo proteggerà te da Vory e Salvatore contento".
Vittoria corrugò la fronte abbassando lo sguardo. "E credi che farò ritorno, una volta libera?".
L'uomo rimase per qualche momento in silenzio, poi fece un passo avanti e le accarezzò una guancia.
Lei alzò il mento in risposta a quel leggero tocco, lui la stava guardando intensamente. "Se tu vuoi".
"Dammi un motivo", mormorò lei. Aveva bisogno di più da lui, una scintilla che le segnalasse che c'era vita in quel assassino.
Volkov le passò un ruvido pollice sulle labbra.
Vittoria riusciva in quel momento a percepire ogni cosa di lui, quanto fosse minaccioso ma affascinante. Aspro ma, in quel momento, gentile.
Ai suoi occhi si era fatto bello, con quell'espressione sempre arcigna che la incantava.
Più lui sapeva emanare tenebra, più lei si lasciava avviluppare.
"Noi due non potremmo mai essere coppia normale, non ci sarà amore ma...", le disse in un mormorio. "... posso volerti e non ho dubbi Solnyshko, che io voglia che tu resti con me ". La voce roca, incrinata da una qualche emozione.
Il petto di Vittoria si fece stretto. "Cosa mi darai in cambio?", sussurrò chiudendo gli occhi mentre Volkov passava con il pollice a sfiorarle la guancia.
"Sarai al sicuro, avrai tutto quello che desideri. Vestiti, gioielli... fiducia. Sarai libera nel mio rione, nessuno oserà toccare te. Sarai al mio fianco, quando avrò ospiti, in mezzo a mio clan... e nel mio letto".
Vittoria riaprì gli occhi mentre lui ritirava la mano.
Senza quel contatto, l'incantesimo andava scemando.
Lei fece per dire qualcosa, ma poi si bloccò.
"Pensa, poi mi dirai". Borbottò lui.
Dal piano di sotto, attraversando la porta aperta della camera, arrivò il vociare di più uomini in evidente stato di esaltazione.
Si udirono fischi e richiami, tonfi e prese in giro.
Una voce urlò da in fondo alle scale. "Aspetta stà notte, Volkov!", disse e ci furono altre oscene risate sguaiate.
"Italiana?", chiamò un'altra voce maschile. "Mostro io come un vero uomo russo sà montare donna!".
Ancora risate.
Volkov abbozzò un leggero sorrisetto, sollevando leggermente un angolo delle labbra.
Vittoria gli afferrò un braccio, improvvisamente consapevole di un pericolo. "Le bambine!", si allarmò.
Volkov seppe capire al volo. "Ci penso io. Le faccio tornare sù".
Poi si girò e se ne andò verso la sua personale festa.
Vittoria appoggiò la boccetta di Lexotan sul comodino e rimase a fissarla.
---
 
"Si chiamano Iris Siberiani. Sono fiori che non temono il gelo".
Babushka le mise fra le mani un mazzolino di fiori viola acceso, tenuti insieme da un laccetto bianco in pizzo.
L'anziana sedeva sul sedile davanti della Denali nera guidata da un uomo sconosciuto, la ragazza era seduta al centro dei posti sul retro. La gonna di pelliccia troppo ingombrante  per far stare qualcun'altro accanto a lei.
Fuori dal finestrino, una fitta coltre di nebbia celava le strade imbiancante da giorni di nevicate. Ammassi grigiastri sporchi, si stavano ammucchiando sul ciglio dei marciapiedi e i pochi passanti avanzavano a testa bassa nascondendosi dal vento con fragili ombrellini.
Quale che fosse la loro destinazione, si trovava a una certa distanza dalla casa di Volkov.
La Denali, seguita da altri due Suv di scorta, formavano un corteo nuziale piuttosto tetro. Con la popolazione che si fermava e guardava curiosa le auto lussuose in transito che alzavano ondate di melma sporca.
"Avete sistemato tutto?", chiese Babushka all'autista.
"Uh, dà!". Annuì seriamente l'uomo al volante. "Stato un po' problema convincere cappellano, ma ci abbiamo mostrato licenza speciale". Diede due colpetti alla tasca dei pantaloni, dando quindi l'idea di quale che fosse la natura di quella licenza.
Tutto a un tratto videro emergere la cappella alla fine della tetra strada, fra neve e vento gelido che ululava inquieto.
Era piccola, strizzata fra due palazzi e decorata con finestre colorate da mosaici luminosi.
Non poteva credere al numero di auto parcheggiate all'area di sosta davanti all'ingresso. Erano tutte di fascia medio bassa, alcune logore e altre tirate a lustro. Nulla di significativo, sicuramente appartenenti a uomini di classe operaia, tranne una.
Aveva un aria famigliare, lussuosa, l'aveva già vista il giorno del suo atterraggio in città?
Quando il piccolo corteo della sposa si fece vedere, una folla cominciò a radunarsi rapidamente all'interno della cappella.
Vittoria intravide molti uomini, poche donne e qualche bambino, ma la ragazza non seppe dire chi diavolo fosse tutta quella gente venuta a vedere lei che si sposava con uno sconosciuto.
Venne fatta scendere con calma, l'autista che le porse una manona guantata per darle sostegno nella discesa dall'enorme mezzo e Babushka che richiamava le bambine affinché la aiutassero a sorreggere la gonna.
Vittoria sentì crescerle dentro un senso di isteria, sopratutto quando fu' salita in cima ai pochi gradini davanti all'ingresso della cappella cristiano ortodossa e vi ci trovò Boris Titov ad attenderla.
Ecco svelato chi era il padrone della grossa BMW grigio antracite nel parcheggio.
Da dentro la cappella giungeva il brusio di una folla riunita e lo spostare di banchi man mano che la gente prendeva posto. Vittoria e Titov rimasero in disparte all'ingresso lasciando che Babushka le sistemasse il lungo strascico tra le mani delle damigelle.
Titov 'il Politico' era ben abbigliato, con cappotto lungo e grosse dita adornate da anelli d'oro.
Stampato in faccia, la stessa espressione da borioso di merda che aveva alla rimessa per aerei quando lei lo aveva incontrato la prima volta.
Si domò i capelli all'indietro, alcune ciocche che gli sfuggivano arruffate dall'implacabile corrente.
Le mise una mano sulla spalla e la guardò dritta negli occhi. "Sei pronta?".
"Non ho intenzione di mettermi in ridicolo", esclamò lei stringendo forte il suo mazzolino di Iris Siberiani. "Farò ciò che devo".
Vittoria si lasciò condurre davanti all'ingresso, Boris Titov che con una mano sulla schiena la spingeva docilmente.
Due ali di persone sconosciute si voltarono a guardarla e una ondata di intimo orgoglio la invase. Uomini e donne presero a fissarla stupiti, si scambiarono commenti annuendo e ad alcuni sfuggì un "Oooh" di ammirazione.
Babushka le tolse il caldo colbacco dalla testa, ma avrebbe potuto anche mettersi a ballare il tip-tap per quanto Vittoria le dava attenzione.
Tutto di lei era proteso verso l'uomo alla fine della navata. Il suo cuore ebbe un tonfo, si bloccò e poi, come un motore a gasolio, si avviò rombando.
Vasilj Volkov, non poteva essere più affascinante.
Già di per sé, vedere due uomini imponenti in immense pellicce a pelo lungo grigie, attenderti in fondo a un corridoio di persone a gambe divaricate e mani giunte davanti all'inguine, dava un certo effetto. Se poi aggiungevi il fatto che Vasilj e il suo testimone dal cranio tatuato e una lacrima sotto a un occhio, ti stavano guardando come dei lupi avrebbero guardato un agnello... beh, Vittoria si sentì mancare.
I suoi ormoni ebbero una botta di vita.
Spalle larghe, schiena dritta, lineamenti spigolosi e austeri, Volkov era lungi dal ricordarle un sicario dei bassi borghi. Era maestoso, fiero, un potente signore vichingo... e lui lo sapeva.
Piegò leggermente il capo, salutandola a metri di distanza, e lo vide piegarsi verso il suo testimone per dirgli qualcosa all'orecchio.
Entrambi poi annuirono e tornarono a guardarla, attendendo.
"Poteva andarti peggio". Commentò divertito Titov, all'orecchio di Vittoria.
Con grande sforzo, la ragazza recuperò il controllo della mente in subbuglio e mentre dall'organo si innalzava l'introduzione della marcia nuziale, a  lei venne in mente di punzecchiare il suo accompagnatore.
Giusto per non dargliela vinta.
"Pensavo...", cominciò a dire mentre appoggiava una mano nell'incavo del gomito di Titov e si lasciava condurre attraverso la navata. Gli invitati si alzarono tutti in piedi al loro passaggio.
"... che non sarà poi un matrimonio così diverso da molti altri fatti per interesse. Lui ha uomini, ma non ha un nome. Al contrario, io di uomini sul libro paga non ne ho ma...". E si voltò a guardare il profilo dell'uomo di mezza età che la conduceva. "... il mio nome vale, anche molto. Chissà cosa succederà".
Vittoria venne portata al cospetto di suo marito, Titov le prese la mano e la porse a Volkov. Questi gliela prese e chinandosi fece sfiorare le labbra a un millimetro dalle dita di lei.
"Siamo pronti per iniziare", introdusse l'ufficiante in tunica bianca e il naso rosso.
Si inginocchiarono davanti all'altare, il testimone di Volkov in piedi accanto a lui e Titov a braccia conserte accanto a lei.
Dal punto di vista formale, la funzione ortodossa non era diversa granché da quella cattolica. Le parole pronunciate in russo dal cappellano che andavano ad unirla al giovane estraneo, non avevano bisogno di traduzioni per essere comprese.
Vittoria si sentiva come un guscio vuoto e freddo. Le parole solenni del prete riecheggiarono a lungo dentro la bocca dello stomaco.
Si alzò automaticamente in piedi quando fu ora di pronunciare i voti e osservò, in una sorta di incantato torpore, la sua mano congelata sparire nella salda stretta del suo sposo.
Aveva anche lui le dita fredde, e per la prima volta le venne in mente che forse, malgrado l'atteggiamento disinvolto, anche lui potesse essere nervoso quanto lei.
Fino a quel momento aveva evitato di guardarlo, ma ora alzò lo sguardo e vide che anche lui la stava fissando. Aveva il volto pallido e privo di espressione, lui aumentò la pressione delle sue dita su quelle di lei.
Vittoria ebbe l'impressione che stesse cercando di sostenerla, se lui avesse mollato la presa o distolto lo sguardo lei sarebbe sicuramente crollata a terra.
Stranamente, quella sensazione la rassicurò un poco. In qualunque situazione si fosse cacciata, sembrava che lui se ne volesse fare carico.
Il cappellano le mise davanti un librone rilegato in pelle rossa con un segnalibro simile a una lingua argentea. Accanto alla formula scritta in cirillico, erano state appuntate in matita le parole in lingua inglese.
"Io Vittoria, prendo te Vasilj come mio legittimo sposo...". La voce non le tremò ma la mano sì, lui gliela strinse più forte. Le loro dita rigide si serrarono come le ganasce di una morsa. "... per amarti, onorarti...".
Quante bugie, quante palle.
Le parole le percepiva da molto lontano, sentiva il sangue defluirle dalla testa. La gonna le pesava in una maniera infernale, segnandole i fianchi fino a dolerle e, benché sentisse freddo, rivoli di sudore le scorrevano lungo la schiena, sotto la pelliccia e il pizzo.
Si augurò di non svenire.
"...nella buona e nella cattiva sorte fin...", si interruppe.
Fra gli invitati si mosse un rapido mormorio, Volkov la stava ancora fissando.
La frase 'fin che morte non ci separi' le sembrava fin troppo fatalistica, come se gli stesse dando una sorta di permesso. Ogni genere di paranoia la assalì ma seppe come rimediare, optando per una versione più consona e abbreviata.
Si schiarì rapidamente la gola. "Nella buona e nella cattiva sorte...", ripeté. "...tutti i giorni della mia vita. Amen".
Amen per davvero, era andata. Era riuscita a dire tutto.
Toccò a lui, parlò rapidamente nella sua lingua. Serio e formale per poi fermarsi nella stessa riga in cui aveva esitato lei.
"...tutti i giorni della mia vita. Amen".
Disse, facendo risuonare le parole con una allarmante nota definitiva.
Tutto era immobile, come un fotogramma bloccato. Poi il sacerdote chiese gli anelli.
I testimoni stettero a guardare mentre Volkov infilava un solitario in platino al dito di Vittoria, con un diamante appariscente tanto quanto grosso. Era talmente enorme che poteva essere scambiato per pacchianeria.
Vittoria lo trovava esagerato... meraviglioso. Perfetto alla sua mano, forse un po' largo ma in estate il dito si sarebbe gonfiato e avrebbe calzato alla perfezione.
Lei lo guardò senza parole e con un nodo alla gola, lui le restituì lo sguardo intensamente.
Ecco cosa l'aspettava se fosse rimasta con lui, Volkov le avrebbe dato tutto quello che più desiderava.
Perché poteva permetterselo.
Lei afferrò un pesante anello in oro giallo con una specie di sigillo sulla sommità: un uccello rapace ad ali spiegate ed artigli protratti in avanti. Sopra alla testa dell'uccello, una stella, per numero di punte simile a una rosa dei venti.
Procedette quindi a infilarglielo al dito senza ulteriori esitazioni, il gioiello che gli risaltava tetramente alla mano sinistra come un 'tira pugni' costoso.
"Brava ragazza". Commentò dolcemente, Volkov.
Titov armeggiò per qualche istante  nella tasca interna del suo soprabito e ne tirò fuori due copie del certificato di matrimonio.
"Una per voi e una per tuo padre", le spiegò porgendole una penna.
I fogli vennero dispiegati sull'altare in marmo, fecero firmare prima il testimone di Volkov e poi Titov vi antepose anche la sua firma.
Toccava a Vittoria.
Lei osservò la punta della penna a sfera, probabilmente prendendo in considerazione l'idea di procurarsi un danno reale con essa. Poi la premette sul primo foglio, le tremò la mano dopo il primo segno.
Volkov gliela prese e firmarono insieme il suo nome e cognome, per due volte. Una per ogni copia.
Poi lui le prese la penna e con svolazzi immensi, antepose la sua firma su ogni documento.
Vittoria registrò per un attimo che Volkov aveva un secondo nome. Quante cose non sapeva ancora di lui?
Il tutto venne immortalato da un fotografo in rapidi scatti ravvicinati, quindi Volkov si chinò per baciarla.
Era chiaro che intendesse solo sfiorarla brevemente per rispettare il cerimoniale, ma siccome la sua bocca sembrava così calda e morbida Vittoria si mosse istintivamente verso di lui. Udì vagamente dei rumori alle sue spalle, urla in russo di entusiasmo e incoraggiamento da parte degli spettatori, ma lei non notò nulla di preciso a parte la calda solidità di quelle labbra sfregiate.
Si staccarono, mantenendo il contatto visivo per ben oltre il dovuto.
Vittoria vide il testimone di Volkov sguainare un piccolo pugnale e lei si domandò il perché.
Sempre guardandola, Volkov tese la mano destra, con il palmo verso l'alto.
La ragazza sobbalzò quando la punta del pugnale gli incise a fondo il polso, lasciando sgorgare una linea scura di sangue.
Prima che avesse il tempo di ritirarsi, afferrarono anche la mano di lei e Vittoria sentì il tocco bruciante della lama.
Il prete borbottò qualche frase contrariato, chiaramente restio ad accettare simili atti pagani nella casa di Dio.
Con un gesto rapido, il testimone di Volkov premette il polso dello sposo contro quello della sua sposa.
Dovette vacillare un attimo perché Volkov le afferrò il gomito con la sinistra.
"Sta' su, ragazza", la esortò a bassa voce. "Non manca molto, tu ripeti parole dopo di me".
Era ancora la sua lingua, le parole non significavano niente per lei ma le ripeté obbedientemente, incespicando sulle sillabe sdrucciole.
Il sangue venne asciugato e ci furono altre foto.
"Me la concedi?", chiese d'improvviso Titov a Volkov.
Quest'ultimo annuì rigidamente e Boris Titov baciò Vittoria alla guancia destra, poi sinistra e poi di nuovo la destra.
Si voltò poi verso la platea per esclamare a gran voce:
"Salutiamo tutti il Signor Vasilj Volkov e la Signora Victoria Volkova!".
Partì un fragoroso applauso, con fischi gioiosi e battito di piedi sulle pedane dei banchi.
Volkov la prese per mano e la trascinò dietro al corteo in festa, tutti li stavano aspettando fuori al gelo.
Vide gli uomini radunarsi nel parcheggio aprendosi in un enorme ventaglio, lei e Volkov li stavano a guardare da sopra la scalinata.
"Che stanno facendo?". Chiese Vittoria, in ansia.
Tutti gli uomini e ragazzi vestiti in nero cominciarono a trafficare tra di loro, pistole e piccole mitragliete comparvero terrificanti nelle loro mani. Le canne puntate verso il cielo nuvoloso.
 "Gorko! Gorko! Gorko!". Gridavano tutti in coro, con una foga da ricordarle gli ultras.
"Non ti staccare", l'avvertì Volkov prima di aggredirle le labbra in un bacio mozzafiato.
Venne avvolta dal rassicurante calore della sua immensa pelliccia. Vittoria si beò nel suo particolare e personale profumo di legno e chiodi di garofano, un odore che le risvegliava i lombi e le faceva perdere ogni imbarazzo.
Voleva immediatamente di più, l'intero corpo della ragazza si risvegliò per lui. Gli afferrò la testa con entrambe le mani e Volkov irruppe nella sua bocca turbinando con la lingua. Entrambi ci diedero giù pesantemente mentre intorno a loro esplodevano le prime scariche di colpi d'arma da fuoco.
Era eccitata, il sangue le ribolliva dalla adrenalina. Volkov la faceva sentire come mai le era capitato prima. L'intero mondo sembrava che stesse a guardare loro due.
Loro due, contro tutti.
"Mmmmmphm", disse Volkov staccandosi da lei. Con la punta della lingua si leccò le labbra, alla stessa maniera in cui lo aveva fatto dopo aver pestato di pugni il rapinatore alla bisca.
Dio. Pensò allora Vittoria. Quest'uomo mi farà morire.
"Andiamo a mangiare, dolcezza". Sorrise sornione lui, per poi avvolgerle un grosso braccio attorno alla vita e condurla verso il suo clan.
 
---
 
Al ristorante in città, al piano terra di un immenso palazzo di cemento, avevano già preparato il rinfresco di accoglienza per gli ospiti.
Titov la afferrò per un braccio, mentre si avviava verso il bagno per darsi una rinfrescata prima di mangiare.
"Voglio che questo matrimonio venga consumato senza alcuna incertezza". Le ordinò in tono deciso, anche se a bassa voce. "Deve essere una unione legale, che non presenti alcuna possibilità di annullamento. Ne va degli interessi di tutti".
"A me sembra che lei stia facendo il suo interesse, non il mio. Sono solo merce di scambio ".
Titov le passò due nocche sullo zigomo. "Non preoccuparti di questo, tu fai solo la tua parte". La squadrò con occhio critico, come per valutare la capacità di lei di svolgere adeguatamente il suo ruolo.
"L'ho messo alla prova prima di proporlo come marito, non avrete il ben che minimo problema".
Vittoria gli rivolse un ghigno glaciale. "L'ho già messo io alla prova e le dico che sì, non avremo il ben che minimo problema".
I tavoli erano disposti a scacchiera per tutto il salone delle cerimonie, una schiera di camerieri in bianco si aggirava come spettrali presenze e un ora prima era giunta anche una banda in pacchiana divisa dorata prendendo posto sopra a una pedana nell'angolo.
Alle colonne di sostegno della sala erano avvolte spire di fiori bianchi e Iris viola, Babushka aveva dato disposizioni che il tavolo degli sposi dominasse la scena decorato da immense composizioni di fiori siberiani.
Il chiacchiericcio eccitato diventava sempre più forte e molesto man mano che fuori dalle vetrate calava il buio della notte.
Lei e Volkov avevano mangiato una portata dopo l'altra senza proferir parola, lei sbocconcellando sedendo con un tovagliolo sulle ginocchia e il suo sposo che si strafogava con i gomiti sulla tovaglia damascata.
In quel momento il testimone di lui, Ivan glielo avevano presentato, sedeva con il culo sul tavolo accanto alle posate di Volkov e a braccia conserte era immerso in una fitta chiacchierata in madre lingua.
Ivan non le piaceva e poteva giurare che il sentimento fosse reciproco. L'uomo non si fidava di lei, era chiaro che la ritenesse una intrusa o peggio, la causa della disfatta del loro clan.
Alla sposa non era richiesto che si dimostrasse felice, da quello che le era stato detto era auspicabile che si dimostrasse seria e taciturna.
Non poteva fare altrimenti, Vittoria non si sentiva per niente euforica.
Teneva le braccia conserte in grembo, lo sguardo perso a osservare la moltitudine di sconosciuti che beveva e si prendeva a sberle fra loro.
Le orecchie le fischiavano dal frastuono.
Decise allora di alzarsi e farsi un giro fra le tavolate, un gruppo di ragazzi attirò la sua attenzione. Nicolaj sedeva tra loro, il viso paonazzo dal troppo alcol. Ridevano tutti con le lacrime agli occhi.
"Oh, sposa!", la accolse Nicolaj facendole cenno di avvicinarsi. "Bel ricevimento, davvero!".
"Fortuna che non mi sposerò mai", dichiarò un ragazzotto tarchiato accanto a lui, strattonandosi il colletto della camicia nera. "Non sopporto queste cose, son vestito come un pinguino".
"Tu non hai gusto, Elisey", osservò Nicolaj. "Questa è eleganza", e gli diede un pugno alla spalla.
"Vorrei che Predator fosse ancora vivo, ai matrimoni faceva schiattare da risate", borbottò uno dei ragazzi al tavolo scolandosi un intero calice.
"Predator?", chiese curiosa Vittoria.
 
 
"Uno convinto di essere stato rapito da alieni", spiegò Nicolaj appoggiando un gomito al schienale della propria sedia.
"Ma no, Predator!". Insistette Elisey. "Quello con missione di scoparsi più ragazze possibili in un mese".
Nicolaj si grattò il ciuffo di barba sul mento, pensieroso. "Allora é quello che é finito sotto a un autobus?".
"Beh, dà. Era andato un po' fuori verso la fine", si inserì un altro dei ragazzi al tavolo.
"Ma prima che perdesse capoccia era anima di feste" aggiunse Nicolaj facendo l'occhiolino a Vittoria. "Ultima volta si é scolato intera bottiglia di Stolichnaya, io gli ho detto che il ferro va messo in sicurezza con sicura prima di infilarlo nella cintura, ma lui corso subito in pista. Cominciato a saltare e... pareva che mitragliasse dal culo, è salito in braccio a sposa mentre sposo cercava di porre fine abbattendolo con badile!".
"Davvero affascinante", lo interruppe Vittoria per poi ridere insieme a tutta la tavolata, piegata in due senza fiato.
Ridevano tutti così tanto che nessuno notò subito il piccolo trambusto che si stava svolgendo al tavolo degli sposi.
Volkov era stato fatto alzare in piedi con fischi e battito di mani, lui buttò giù il rimanente del suo calice e fece per caricare verso Vittoria.
"Ora della messa a letto!", urlò qualcuno.
Di istinto lei fece qualche passo in dietro.
Titov lo intercettò per proferire due rapide parole. Quando i due si salutarono, a giudicare dall'espressione che Volkov aveva in volto, probabilmente anche a lui erano stati impartiti i medesimi ordini che 'il Politico' aveva impartito a lei.
 
---
 
Com'era potuto succedere tutto questo, così in fetta in nome di Dio?
Si domandò qualche tempo più tardi, solo qualche settimana prima se ne stava tutta innocente tra i piedi del padre e in quel momento si trovava rinchiusa nella camera da letto nella casa di un uomo del tutto diverso da quelli che era solita frequentare. Con l'ordine ben preciso di consumare un matrimonio forzato, pena la vita e la propria libertà.
La camera da letto di Volkov era spartana, con un enorme letto dalle lenzuola nere e testiera in mogano, un armadio addossato alla parete e nient'altro.
Il cavo del carica batteria del telefono era collegato alla presa e fatto penzolare fino al pavimento in legno.
L'aria era permeata dal profumo inebriante di lui, anche se in quel momento era in bagno a lavarsi sotto lo scrosciare d'acqua della doccia.
Vittoria sedeva sul letto perché non aveva altro su cui poggiare il sedere, ancora vestita in abito da sposa metteva in atto mentalmente le fasi del suo piano.
L'incertezza e la paura avevano fatto spazio a una fervida determinazione.
Si convinse infine ad alzarsi in piedi, allentare la morsa della gonna sui fianchi doloranti e far scivolare a terra l'abito.
Si tolse le scarpe e le calze, rimanendo così solo in intimo bianco in pizzo.
Con una leggera spinta, aprì la porta del bagno e rimase in silenzio a guardare l'uomo intento a sfregarsi i corti capelli sotto al getto di acqua bollente in una nebbia di vapore.
Fissò i suoi innumerevoli tatuaggi, alcuni semplici ed altri complessi. La schiena era segnata da orribili segni rossi e violacei a deturpagli la lista di scritte in cirillico che, quando le aveva viste la prima volta, gli adornavano l'intera massiccia schiena.
Aveva voglia di studiarli, di esplorarlo e conoscerlo come una sorta di enigma. Decifrare ogni singolo mistero impresso su quei bicipiti, pettorali e addominali gonfi.
Voleva sentire nuovamente la sensazione del suo corpo caldo sotto alle sue mani. Aveva una urgenza che quasi la intimidì.
Quel tipo di desiderio non le era famigliare, pericoloso e allettante nel peggior modo possibile ma altrettanto utile per ciò che si prefiggeva di fare.
"Hai intenzione di rimanere lì o ti decidi a raggiungermi?".
Volkov si diede una sciacquata e si voltò verso di lei. Due grandi stelle di inchiostro nero spiccavano sulla sua pelle pallida, all'altezza delle due larghe spalle.
Vittoria percepì divertimento nella sua voce, lusingato nell'averla scoperta a spiarlo.
"Non andrò da nessuna parte", gli disse lei. Si slacciò il reggiseno e lo gettò sul lavandino. "Non tornerò da mio padre".
Come previsto Volkov calò lo sguardo sui suoi capezzoli.
"Sono tua moglie ora, mi tratterai come tale".
"Se rimani oggi, rimani per tutta vita", replicò lui.
"Lo so'", flautò lei sfilandosi le mutandine. "Avrai rispetto per me, lo hai giurato davanti a Dio e agli uomini. Mi onorerai e sarai fedele, nessun'altra ti avrà e ogni notte farai ritorno da me".
Volkov le aprì l'anta scorrevole della doccia trasparente. "Ho promesso", annuì stoicamente.
L'uomo respirava affannosamente e, alla luce incassata nel soffitto sopra la testa di Vittoria, i suoi occhi di cemento brillavano come scintille.
Lei avvertì subito un fuoco sottopelle, non vedeva l'ora di iniziare.
E anche lui.
Lei entrò fluttuando nella doccia lasciandosi investire dal caldo getto d'acqua, assorbì tutto il calore e si avvicinò a lui come una pantera.
Senza dire una parola, lui le prese la faccia tra le mani e la attirò contro di sé premendo con forza le labbra sulle sue.
Fecero un mezzo giro su sé stessi e lui la premette indietro contro il marmo.
Vittoria cedette con un gemito, lasciandosi penetrare con la lingua e aggrappandosi alle spalle di lui.
In piena gloriosa erezione, Volkov strusciò l'inguine contro di lei per poi spingere in avanti il pene duro per sfregarglielo contro il ventre.
Per il caldo e la pressione, Vittoria ebbe la sensazione di soffocare ma Volkov non le diede tregua. Altri baci, voraci e disperati, di quelli che ricordi anche a ottant'anni quando ormai sei troppo vecchia per pensare a certe cose.
Poi sentì le sue mani sui seni scivolosi, le dita che le strizzavano i capezzoli finché la differenza tra dolore e piacere svanì e lei riuscì solo a pensare che se non fosse venuta nel giro di un secondo sarebbe morta.
Quasi avvertendo ciò di cui lei aveva bisogno, Volkov si inginocchiò e si gettò una delle gambe di Vittoria su una spalla. Cominciò a lavorarsela, divorandole il sesso come poco prima aveva fatto con la bocca.
Quella era una scopata come atto di possesso, una presa di posizione di Volkov su di lei. Una manifestazione fisica di ciò che le avrebbe fatto ogni volta che lui ne avrebbe avuto voglia.
Forse era solo una stupida puttanella alla mercé di quell'uomo, ma le piaceva da morire.
Voleva che lui la prendesse così, ardente di sottometterla, sfogandosi senza pietà. In modo da non sentirsi in colpa per aver deciso da quella notte in avanti di illuderlo pur di farsi largo nel loro business.
Lui le serviva come strumento, sapeva che senza di lui non sarebbe stata mai legittimata a un ruolo di potere.
Si sarebbe venduta l'anima al diavolo e il suo corpo a Volkov, pur di raggiungere l'obbiettivo della sua ambizione.
Aggrappandosi alla testa di lui, Vittoria inclinò le anche premendosi ancora di più contro l'uomo. Spinse il polpaccio contro la sua schiena per fargli trovare il ritmo e...
Vittoria si morse il labbro.
"Urla, tesoro". La esortò lui in un ansito contro la sua vagina, fra una leccata e l'altra. "Urla!".
Lei venne in modo selvaggio, il busto che strusciava contro il marmo e con urli ansimanti.
In un attimo Vittoria si trovò sul pavimento della doccia, lunga distesa con sopra Volkov a imprigionarla.
Quando le spalancò le gambe e la montò cominciò a sbuffare e a grugnire in quella maniera bovina che la faceva eccitare tremendamente come una cagna in calore. Cominciò a spingere implacabile finché si puntellò sopra di lei e cominciò a fissarla dritta negli occhi, quasi a rinunciare a tutto ciò che poteva darle.
L'ampia schiena di Volkov le faceva da scudo riparandola dal getto d'acqua, così lei poté vedere tutto quanto.
La sua espressione feroce, i muscoli poderosi, le ombre create dai pettorali. Gocce d'acqua si staccavano dalla punta delle ciocche dei capelli ritti sulla testa, simili a lacrime e ogni tanto il labbro sfregiato si increspava deformandogli il volto in una maschera demoniaca.
Ogni capacità di raziocinio lasciò campo libero solo alle sensazioni... solo a Vasilj.
Venne travolta da un altro orgasmo mentre in un angolo della mente la sua consapevolezza urlava: niente preservativo, cazzo!
L'orgasmo raddoppiò allora di intensità così che invece di spingere via Vasilj, gli affondò le unghie nei fianchi.
Fu proprio quando l'estasi aveva raggiunto il culmine massimo che le cose presero una piega un po'... strana.
Lo sentì eiaculare dentro di sé ma subito si ritrasse stringendosi il pene nel pugno, Vittoria pensò che volesse farsi da parte ma non aveva ancora finito.
Lo vide puntellarsi rapidamente su una mano sola rimanendo sospeso sopra di lei, direzionò lo spruzzo del suo seme sopra alla vulva per poi muoversi verso l'alto. Le venne sopra allo stomaco, il torace, sui seni e poi con un ultimo grugnito devastante e mungendosi senza pietà, le spruzzò tutto il rimanente in faccia. Sembrava avere una riserva abbondante di sperma.
Con la pelle ipersensibile colpita da tutti quei spruzzi caldi, Vittoria si passò le mani su e giù per il copro perché sapeva che lo avrebbe fatto impazzire. Si ricoprì di viscido sperma e si strizzò i seni nelle mani a coppa.
Capì subito che quel gesto per lui aveva un significato profondo e si sentì nuovamente su di giri.
Era come se lui la stesse... marchiando, in un certo senso.
In una maniera animale.
E lei non aveva nulla in contrario.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _uccia_