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Autore: Blue_Lily    06/01/2022    1 recensioni
Un'anima in agonia, il canto disperato di chi non riesce ad andare oltre a una storia finita male. Un animo innocente tenterà invece di aggiustare in ogni modo quel cuore in frantumi attraverso il canto, ma non con poca fatica. La dissonanza e l'armonia più pura saranno destinati a incontrarsi: riusciranno a legare e trovare un equilibrio? Quell'incontro potrà finalmente portare la pace nel cuore di uno... O sarà la rovina dell'altra?
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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CAPITOLO 1

-

UNA CORONA PER DUE

 

Crimson Moonlight”, 00.30

 

Un puzzo di alcool e fumo, sia di tabacco che altre sostanze, permeava le strette mura di un locale affollato. Musica elettronica suonata da un DJ su un palco rimbombava nelle orecchie di ragazzi scatenati inebriati da quell'onda caotica che tanto li stava facendo sentire bene. Ognuno di loro teneva in mano un bicchiere con un bizzarro liquido all'interno, che riluceva di colori diversi sotto luci al neon che splendevano a ritmo con la musica.

Uno solo era estraniato da tutta quell'effimera allegria. I gomiti appoggiati al bancone e la testa fra le mani, svariati bicchieri vuoti sparsi attorno a lui e una bottiglia aperta sul punto di finire giaceva poco distante da quella figura apparentemente senza un'anima in corpo. Lunghi capelli bianchi colorati di rosso sulle punte scendevano lungo le sue spalle ora inarcate, nascondendo ulteriormente il viso di un bellissimo giovane purtroppo segnato da lacrime recenti colorate di un nero forse dovuto al leggero trucco attorno agli occhi. Vestiva con pantaloni e giacca di pelle, quest'ultima che gli lasciava completamente scoperto il petto sul quale era tatuato un triangolo rovesciato nero e verde, proprio al centro. Sul suo capo, in bilico, vi era una corona puntuta cremisi.

 

«Smettila con questa storia, sono passati due mesi ormai.»

 

L'apatica voce di un barman dal viso delicato, i capelli biondo cenere di metà lunghezza e sistemati con del gel in modo alquanto bizzarro, disturbò il giovane che di tutta risposta non lo degnò neanche di uno sguardo. L'uomo alzò gli occhi al cielo sistemandosi il colletto di un vestito sofisticato dai toni rossicci e argentati, tornando poi a pulire con nonchalance uno dei bicchieri appoggiati sul bancone. Finse un colpo di tosse fissando con insistenza quel disperato con un paio di occhi severi di un meraviglioso azzurro ghiaccio. Attendeva una risposta, ma non ricevendola preferì incalzarlo.

 

«E' inutile che affoghi il tuo vittimismo nell'alcool, Viego.»

 

«Cosa ho fatto...?»

 

Rispose con un fil di voce il ragazzo.

 

«Beh...»

 

L'uomo aldilà del bancone smise di maneggiare i bicchieri e si mise a contare sulle dita, come stesse facendo una drammatica lista della spesa.

 

«... Hai fatto una scenata di gelosia davanti a lei perché un ragazzo le ha regalato una rosa e le ha fatto un complimento, hai scatenato una rissa perché pensavi che qualcuno ti avesse rubato una canzone, le hai distrutto casa lo scorso Anno Lunare perché hai esagerato con l'alcool, poi che altro? Ah già, le tue poesie fanno schifo. Cosa mi significa “Per te ucciderei e porterei il mondo in rovina”?»

 

L'uomo rise scuotendo appena la testa ripensando a quanto appena detto. Il ragazzo non disse una parola.

 

«Oh sì, Viego, sei un'adorabile testa di cazzo.»

 

«Chiudi quella fottuta bocca, zio.»

 

«La verità ti fa male, caro nipote?»

 

Viego strinse i denti, ma smise di rispondere. Sotto sotto sapeva che il suo caro “vecchio” zio Vladimir aveva ragione. Si limitò a sospirare amaramente e poi bere a collo dalla bottiglia di rum al kiwi posta lì vicino senza aggiungere altro. Senza neanche finire tutto il contenuto della bottiglia, la diede indietro all'uomo e finalmente si rialzò.

Fece non poca fatica a tenersi in piedi vista la quantità di alcool ingerito. I suoni rimbombavano nella sua testa stordendolo più di quanto già non fosse, i suoi occhi verde smeraldo risultavano ormai spenti e persi man mano che si allontanava da un parente intento a fissarlo forse con un sorrisetto compiaciuto, ma carico di delusione... o disprezzo. Non si accorse nemmeno di aver urtato una persona con una spallata, una ragazza dai lunghi capelli rosati e gli occhi azzurro cielo che si ritrasse appena dal dolore. Viego non la guardò neanche in faccia andando dritto per dritto, a testa bassa, verso la porta d'uscita finendo però per andare a sbattere contro un altro individuo, stavolta ben più piazzato, più alto e coperto di tatuaggi. Il suo volto oltretutto era come se fosse coperto, ma uno sguardo carico di una certa infastidita curiosità si posò sull'albino.

 

«Scansati.»

 

Enunciò Viego con voce ferma, tradito dal fetore di alcool. Questo davanti a lui si mise a ridere. La fanciulla urtata stava per intervenire, ma si fermò all'ultimo sentendo quello che doveva essere un suo amico cominciare a parlare con quello sconosciuto.

 

«Ma chi ti credi di essere? Il principino di stocazzo?»

 

«Ho detto SCANSATI!»

 

Il giovane provò quindi a tirare un pugno a quello strano figuro... Tuttavia si ritrovò con le nocche della mano destra doloranti, come se avesse appena preso a cazzotti un muro. L'uomo misterioso alzò un sopracciglio e senza neanche dare il tempo a quel ragazzino di riprendersi gli sferrò un cazzotto ben assestato in pieno volto che lo stese. La corona cadde a terra assieme a Viego, ma solo lui venne trascinato da quel tale fuori dal “Crimson Moonlight” e gettato in mezzo ai bidoni nel retro del locale, mezzo svenuto e col naso rotto imbrattato di sangue.

 

«Patetico.»

 

Disse infine con voce roca, chiudendosi la porta alle spalle. La stessa ragazza dalla lunga chioma rosa sgusciò fuori poco prima che questa si richiudesse del tutto. Teneva in mano lo stesso copricapo cremisi che l'albino aveva perso poco prima in quella breve rissa. Due occhi azzurro cielo lo osservarono con insistenza, senza pena nello sguardo quanto una certa curiosità. La fanciulla neanche per un singolo istante maledì la sua empatia, corrugò invece le sopracciglia assumendo un tono più pensieroso: cosa aveva mai passato quel misterioso ragazzo da essersi ridotto in quel modo? Si chiese perché un ragazzo tanto bello stesse soffrendo così tanto, a tal punto da portarsi letteralmente alla rovina.

Sospirò, prendendo in mano il proprio telefono: non poteva lasciarlo lì. Se fosse stato destino, in futuro l'avrebbe rivisto ed eventualmente le sue curiose domande avrebbero trovato una risposta. Non era solo quello il momento.

 

Viego aprì gli occhi svegliato dai primi raggi del sole. Era una mattina invernale particolarmente clemente, non troppo gelida, difatti la finestra era stata lasciata aperta. Un mal di testa lancinante gli fece stringere i denti con un sibilo, ma questo non gli impedì di riconoscere il luogo in cui si trovava: un letto d'ospedale, una stanza vuota dalle pareti bianche. Si rese presto conto di non riuscire a respirare col naso, e solo toccandolo sentiva un dolore atroce. Doveva esserselo rotto in qualche modo, tuttavia non ricordò come. Si mise seduto e scuotendo la testa l'occhio cadde sul comodino, ove giaceva la sua amata corona rossa assieme a un bigliettino. Con un po' di fatica il ragazzo riuscì a decifrarne il contenuto, poiché per quanto la calligrafia fosse elegante era piena di inutili fronzoli che rendevano il tutto quasi illeggibile. L'inchiostro rosa coi glitter non aiutava.

Esso recitava:

 

La corona di un re distrutto... Re in rovina! Per quanto possa sembrare tragico, è un titolo che si ti addiceva ieri sera. Ma cos'è un re senza la sua corona? Cerca di non perderla più, non ci sarò sempre io a recuperartela!

-Seraphine”

 

Viego sgranò gli occhi e prese fra le mani quel bizzarro copricapo. Corrugò la fronte, cercò di ricordare, e forse solo in quel momento rivide frammenti della sera prima: suo zio che lo ammoniva e lo prendeva in giro, lui che ancora una volta aveva esagerato con l'alcool (anche se non era difficile da intuire) e un tizio tutto muscoli che lo stendeva con un pugno. Tutto questo lo ricordava, ma una domanda sorse spontanea collegando l'accaduto a quella strana letterina:

 

«... Chi cazzo è Seraphine?»

   
 
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