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Autore: Ciuscream    07/01/2022    7 recensioni
I padri hanno combattuto la guerra, loro devono vivere la pace. Che cosa è rimasto, dentro i figli degli eroi, dell’eredità di coloro che li hanno preceduti? Chi sono, quali i loro sogni, quali le loro speranze, quali le loro sconfitte?
È la mattina del 25 giugno 2022, Victoire e Teddy stanno per sposarsi, stanno per creare la loro famiglia. Tutti gli altri, invece, sono ancora alle prese con il loro destino e con il suo dipanarsi, fra paure e desideri, nelle pieghe di un’adolescenza che sboccia o che finisce.
[Raccolta disomogenea di OS dedicata ai personaggi della New Generation]
1. La nobile arte di guarire il mondo (Molly Weasley Jr)
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Weasley Jr, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Questo capitolo partecipa alla Challenge “To Be Writing Challenge 2022” indetta da Bellaluna (la sfida del mese di gennaio era di scrivere una song-fic ed io ho scelto la canzone “Ilenia” degli Zen Circus) e al “New Generation Contest” indetto da Roxanne Potter/Veronique97 sul forum “Ferisce più la penna”, per cui si è aggiudicata il primo posto, il premio Miglior Coppia, il Premio Miglior personaggio femminile e il Premio Giuria.



Figli degli eroi
 
 
Ad Eli, che mi ha aperto le porte di questo magico mondo
e del fantastico boschetto della sua fantasia (e dello sfondo della nostra chat).

 
 
 
La nobile arte di guarire il mondo
(Molly Weasley Jr)



non voglio farmi leggere, non riesco nemmeno io a leggermi
aspetto la rivoluzione ma aspettare è non agire
scegliere di non scegliere: una scelta obbligata

 
Sabato 25 giugno 2022, Diagon Alley
 
Giù le mani da nostra nipote, figlio d’un Jordan!

La sveglia sul comodino stride di un rumore trillante e fastidioso, insinuante, di quelli pensati appositamente per strappare dai sogni e trascinare alla realtà. Quella sul comodino di River[1] ha lo sfondo scarlatto e, al centro, un grande logo dei Tiri Vispi Weasley[2], coperto da quella minaccia a tutte lettere che occupa la maggior parte del quadrante. Molly alza lo sguardo e trascina la mano a far scattare la levetta che interrompe quel suono che rimbomba per tutta la piccola camera da letto, rimbalzando da parete a parete come un fuoco d’artificio impazzito. River si muove scomposto di fianco a lei, mugolando qualcosa di incomprensibile e strofinandole la guancia sopra la spalla, in un gesto che la intenerisce solo un po’. Lei ha gli occhi turchesi piantati al soffitto e qualche occhiaia sbiadita che si affossa sotto le ciglia, a lasciar trasparire più di una notte vegliata all’ombra di pensieri scomodi. Le turnazioni notturne del tirocinio al San Mungo sono finite da qualche settimana ma lei non riesce più a riprendere il ritmo regolare dei pensieri – a farli spegnere di notte, anestetizzati dal sonno e renderli pimpanti al mattino, riscaldati e annaffiati da sole e pioggia. C’è qualcosa che le fa tenere i nervi frizzanti – un fastidio – borbottii della testa che non riesce a zittire. Perché quando non capisce qualcosa, Molly, proprio non riesce a toglierselo dalla testa, dai pensieri, dal letto. Infatti, quelle domande che ancora le si azzuffano sulle sinapsi occupano anche il posto che separa la sua pelle chiarissima e costellata di lentiggini da quella mulatta e calda di River, ignaro di quel suo arrovellarsi di meccanismi mentali.
In realtà, River finge di esserne ignaro, perché sa quanto può essere pericoloso domandare e far scattare di nuovo la scintilla e la molla (o la Molly), a farsi travolgere i timpani e i pensieri ancora mutilati dal sonno dalle mille ed uno teorie che non fanno dormire la Weasley con cui condivide il letto – e, da poco, la casa. Schiude un occhio piano, quasi di soppiatto, a spiare quel suo cipiglio agguerrito già dall’albeggiare morbido. Ne coglie la piega stanca delle palpebre, che si appoggiano sugli occhi lasciandoli aperti solo per metà. Di questo, si dispiace un po’; così, si avvicina, a posarle un bacio leggero tra lobo e gola, lì dove riesce a raggiungere con un movimento che non gli faccia rischiare un improvviso torcicollo. Molly sorride appena e poggia la guancia a strofinarsi sulla sua fronte, in quel contrasto d’epidermidi così palese che è possibile leggerlo anche nella fitta penombra che ancora avvolge la stanza.

“Hai visto la sveglia? I miei zii dicono che non mi meriti, Riv”

“Ma veramente dicono solo di non metterti le mani addosso…” mugola piano lui, le sillabe impastate dal sonno ancora palese e le mani che si muovono di quella disubbidienza che ha ereditato dal terzo di quell’inseparabile trio, a sciogliere carezze sulla pelle nuda che la canotta e il paio di shorts lasciano libera.

“È scritto tra le righe” rimbecca lei, sottraendosi per finta a quello sfregarsi di polpastrelli caldi, lasciando che il ragazzo le posi addosso quelle sue attenzioni ruvide.

“Purtroppo sono miope e tra le righe non riesco a leggere!”

Lei lo aggrappa di un pizzicotto in quello che sa essere il suo punto debole – la pelle morbida che copre il tricipite –, che stringe tra pollice e indice con leggera violenza. River scatta di un saltello piuttosto palese, maledicendo Salazar a tutta voce e vendicandosi con un morso lieve proprio sulla sua spalla.

“Molly, vuoi andarci a questo matrimonio?!” le domanda, le sopracciglia che si piegano in un’espressione che vorrebbe farsi minacciosa ma che, a lei, pare più che altro grottesca. La domanda, però, la spiazza un po’: vuole andarci a questo matrimonio? Soppesa la risposta per qualche secondo e scorre con lo sguardo la sfilza degli Weasley e derivati, dalla piccola Lily a zio Bill, sfilando lungo le tracce del loro essere simili. Arriva fino ai due sposi, i più dissimili tra tutti loro – Victoire con la sua eleganza austera e tutta Veela, Teddy coi capelli blu e le sopracciglia sporgenti, a stridere così tanto col rosso familiare di tutta la loro dinastia. Solo su un viso non si sofferma: quello di Percy, suo padre, con gli occhi persi nel vuoto – inghiottiti dallo stesso – e l’espressione smarrita di chi non sa più come si gioisce o per cosa. Lo salta perché lo sa, Molly, che non sa come guarirlo, non ancora, e questo le spiegazza il cuore di sensazioni a cui non vuole dare un nome.
River le legge quel dubbio incastrato negli occhi – questi sono abbastanza vicini, ci riesce senza sforzo nonostante la miopia. Le aggrappa il mento tra le mani e la costringe a smettere di avere gli occhi piantati al soffitto e, sopra questo, al cielo a cui ha rubato il colore e che si è incastrata nell’iride. Lei lo sa che sbaglia, glielo ha detto Audrey una sera che il camino scoppiettava nel loro appartamento e in salone erano rimaste solo loro due. Le ha detto che la deve smettere di lanciare sempre lo sguardo in alto, che finirà per inciamparsi fra i piedi. Le ha detto che chi ha sempre la testa fra le nuvole, agli ideali alti, poi si perde fra i sassi della strada e perde l’equilibrio. Molly sa che sua madre non parlava proprio con lei ma forse a sé stessa o a suo padre, i cui occhi erano già colore del cielo ancor prima che passasse le giornate con le pupille piantate dietro le nuvole, a vedere se qualcuna, tra queste, prendesse i tratti del viso di Fred. Ci si è perso tuo padre nel labirinto del cielo, avrebbe voluto dirle sua madre, e adesso non so più portarlo indietro. Le parole, però, le sono morte in gola e Molly ha dovuto leggergliele nelle pieghe del viso ogni giorno più stanco, ogni giorno più rassegnato.

“Molly?” River la richiama piano da quel fiume di pensieri in cui si è momentaneamente persa. Lei pianta gli occhi nei suoi con urgenza, quasi spaventata da quel suo improvviso assentarsi, da quei pensieri che le hanno strappato la quieta morbidezza di quel risveglio. “Sai qual è il problema?” continua lui, il calore delle sue iridi a sciogliersi contro il ghiaccio che sono le sue. “Che pensi troppo”

“Sai, invece, qual è il problema?” ribatte lei secca, trattenendo il viso, a cercare di non piegarlo sotto la pressione delle dita del ragazzo. “Che tu non pensi mai”

“E a che mi serve?” Lui sorride di quel sorriso bianchissimo che a Molly è sempre sembrato della stessa consistenza del sole. Evita di fissarlo, per non farsi convincere ad allargarne uno a sua volta, come se quelle labbra schiuse fossero più contagiose del Vaiolo di drago. “Pensi tu per tutt’e due”

Molly gli sfila il cuscino da sotto la testa con un gesto rapido e poi glielo pianta sul viso con un colpo secco, facendolo mugolare di una leggera protesta. “Sei troppo violenta, Weasley!”

“Non hai visto niente! Un giorno ti ucciderò, Jordan”

“Sì? E dopo? Come farai senza di me?” La voce arriva divertita e sferzante, anche se ovattata da quel mucchio di stoffa e piume che lei gli ha piazzato sulla faccia.

 “Come quello dell’Emporio Dissolvenza

“Cioè?”

Molly frusta la risposta senza pensarci troppo.
“Senza!”

 
*
 
Venerdì 27 settembre 2019[3], Hogwarts
 
ma i problemi degli altri mi hanno sempre affascinato
o forse distratta odio il giorno del mio compleanno
io volevo andare via, camminare sui vetri con le scarpe
mentre sono ancora qua a compiacere tutti quanti
 
Molly scarabocchia qualcosa su una pergamena piuttosto lunga, accanto ad una pila di libri di Erbologia che supera in altezza la sua testa. Forse l’ha messa lì per studiarli davvero, forse per nascondersi, forse per una e per l’altra cosa. Fatto sta che ha gli occhi piantati sul foglio e alla Sala Comune non rivolge nemmeno un’occhiata, intenta com’è nel descrivere con estrema dovizia il potere officinale dell’erba fondente, quasi fosse diventato, d’improvviso, lo scopo ultimo della sua vita. Per questo, finge di ignorare anche River quando le si piazza accanto, con in faccia quel suo sorrisetto di traverso contornato da fossette profonde e irregolari. Il ragazzo si lascia cadere mollemente su una delle poltrone che affiancano il tavolinetto su cui lei è china, nel deserto del pomeriggio che vede i compagni di Casa lontani per lo studio, gli allenamenti o una passeggiata nel Parco. Posa una gamba sul ginocchio dell’altra, il gomito sul bracciolo e si piazza il palmo in mano, fissandola. Gli occhi nerissimi sono piantati sulle parole che nascono in inchiostro scuro dalla penna che scivola veloce come non mai, neanche Molly stesse scrivendo la più appassionata delle lettere d’amore. River comincia a contare con la mano che non regge la sua testa, alzando un dito alla volta e mimando i numeri con la bocca, silenziosamente. Uno – pollice; due – indice; tre – medio.

“Non hai altro da fare, River?”

“No, voglio stare qui a contare tutti i secondi in cui fingi di ignorarmi” La voce profonda e calda del presentatore di Radio Pix (“Più fastidiosi di un Poltergeist”) le arriva alle orecchie e le scioglie qualcosa al centro dell’esofago, sparpagliando una manciata di brividi caldi. Li ignora, come continua ad ignorare lui, mentre elenca punto per punto tutte le proprietà curative della protagonista incontrastata del suo pomeriggio. Che la mano le tremi appena, ad occhio esterno, è praticamente impercettibile.

“Mi perdonerai se preferisco il fascino dell’erba fondente al tuo” mente qualche secondo dopo, biascicando le parole con la miglior faccia che riesce a mettere su. Un sorrisetto le scappa lo stesso e lui lo nota e se ne bea – ma non glielo fa notare.

“L’erba fondente non può averti fatto un regalo migliore del mio” ribatte il giovane Jordan, estraendo dalla tasca della divisa un pacchettino scarlatto che si fa penzolare di fronte al viso, tentando forse di corromperla con un’ipnosi – quasi fosse l’ultima spiaggia. Molly sgrana gli occhi di un terrore che li allaga e li annacqua, piazzandosi un indice a premere con enfasi sulla bocca, in un invito a tacere piuttosto palese e gettando circospette occhiate intorno.

“Shhh! Parla piano! Mettilo via!”  

River lancia gli occhi gli occhi al cielo e mima un’espressione che potrebbe definirsi sfinita, facendosi atterrare il pacchettino tra le gambe.

“Questa storia sta diventando ingestibile, Weasley. Forse dovresti parlarne con qualcuno di bravo”

“Forse dovresti farti gli affari tuoi. Anzi…” Molly assottiglia gli occhi su di lui, sezionandolo con poca dovizia, quasi volesse penetrarlo con un incantesimo di legilimanzia. “Tu come fai a sapere…” la voce si fa un sussurro flebile, mentre praticamente mima le parole soltanto con movimenti leggeri delle labbra, “…che è il mio compleanno?”

River scrolla le spalle con noncuranza. “Fred mi ha detto di ricordarmi di non farti gli auguri”

L’occhiata che Molly gli scocca in risposta trapela scetticismo da ogni poro. “E tu hai pensato bene di farmi un regalo?”

“Beh… non ha detto di non farti un regalo. Non mi sembra di averti cantato canzoncine o qualcosa del genere”

Molly fa appena in tempo a rendersi conto del movimento della mano di River che il pacchettino viene lanciato in sua direzione. Lo afferra al volo con uno scatto leggero e piuttosto fortuito – non sa bene come le sia finito tra le dita. Si guarda intorno ancora, a controllare che davvero non ci sia nessuno testimone di quello scambio che potrebbe tradire il fatto che lei, proprio quel giorno, compia gli anni. Nessuno, oltre i cugini, sa che lei è diventata maggiorenne da una manciata di ore. Con la Traccia, non ha perso anche la ferrea volontà di non rivelare a nessuno la data del suo compleanno. Agli altri ha inventato che è in estate, quando sono lontani da Hogwarts e che i suoi genitori non sono molto propensi a permetterle di festeggiarlo fuori casa. Quintalate di cazzate.
Non saprebbe dire bene il perché non le piaccia quel giorno, ancor meno da quando ha iniziato la scuola. Ha come la sensazione irritante che le venga strappato via un altro anno, un anno in cui ancora non ha capito che fare della sua vita, da che parte conduca. Le sembra che, il 27 settembre più di ogni altro giorno, quel gomitolo che è la sua esistenza non si stia dipanando a dovere, che sia più annodato, ingarbugliato e confuso che mai.

“So che non sei abituata ma provo a spiegarti come funziona. Quando uno riceve un regalo, il passo successivo è aprirlo” River parla lentamente come se dovesse spiegare quel concetto a qualcuno non in grado di intendere la sua lingua; mima anche il gesto di sciogliere il piccolo fiocco del pacco, con gesti ampi e piuttosto teatrali. Molly gli lancia un’occhiata torva e, con quella, un pezzo di pergamena stropicciata e arrotolata.

“Oh, stai un po’ zitto!”

River ride e la guarda mentre prende a scartare con urgenza e poca grazia quel piccolo pacchettino, quasi fosse un’incombenza da sbrigare in tutta fretta.

“Non sarà di nuovo quell’intimo commestibile alle Tuttiigusti+1 che non sei riuscito a rifilare ai Tiri Vispi, vero?”

River scoppia in un’altra risatina leggera, sfoggiando la più mimata delle sue facce da rimorchio.
“No, quello solo per San Valentino”

“Come se ci fosse anche solo una possibilità che tu mi veda in intimo…” Gli sgranocchia dietro quell’insinuazione gratuita ma, dentro, all’idea, qualcosa le frizza appena.

“Questo, come ti ho già detto, è tutto da vedere” scocca lui in risposta, alzando le sopracciglia e donandole un sorriso che è molto più disteso – quasi dolce –, che mescola malizia e qualcosa di molto più accogliente.

Sfila la carta ormai sfrangiata in coriandoli; ne estrae una piccola scatola di legno, intarsiata con il ricamo di qualche nota musicale, al cui lato sbuca una manovella in miniatura. Alza su River un’occhiata interrogativa, mentre tira su il piccolo coperchio e se la rigira tra le mani con delicatezza. Non c’è scritto nulla, se non un 17 decorato a mano, con accanto una M piuttosto arzigogolata. L’espressione della ragazza non sembra distendersi di comprensione mentre gli occhi soppesano ogni linea con curiosità e altrettanta perplessità.

“Devi girare la manovella” spiega lui, ancora con quella lentezza esasperante e quel cipiglio da pedagogo che sta per farle saltare i nervi. Molly, infatti, sbuffa appena dal naso e aggrappa la piccola estremità di metallo tra pollice e indice. Prende a girarla lentamente, come impaurita che possa esplodere o affatturarla da un momento all’altro.
Leggere note prendono a levarsi dalla scatolina e lei, con sorpresa, impiega qualche secondo per riconoscerle. Sono quelle iniziali della sua canzone preferita, Ilenia, quella che ha fatto sentire a River in un pomeriggio in cui, rimasti soli, preparavano una puntata di Radio Pix. In quella richiesta, in quel concedergli quella canzone, c’era qualcosa di più di una manciata di lettere e parole – c’era una chiave, un accesso ad un mondo privato e nascosto, una descrizione incastrata tra le righe, un regalo.
Gli occhi le si sgranano di qualcosa che va al di là della felicità fine a sé stessa, della gratitudine per quel dono; è come se lui, in quel momento, glielo avesse dimostrato che sa leggerla, dentro le note di quella canzone, dentro di lei, mentre le strimpella qualcosa dritto sul cuore.

Lui le riconosce quelle sensazioni direttamente sui tratti, quasi fossero scritte a chiare lettere, quasi si inframmezzassero alle note e alle sue ciglia.
“Non so se ti piace…” si schernisce senza convinzione, beato di quel leggero colore che si è affollato sugli zigomi di Molly, a fare da sfondo alla miriade di lentiggini che le tamburellano il viso. “È un aggeggio babbano, visto che sei così fissata con loro. E la canzone…” s’interrompe, perché sa che non servono altre parole per spiegare cosa sia quella canzone, cosa lui vi abbia letto dentro e cosa abbia letto dentro di lei.

È cambiato irrimediabilmente qualcosa da quel giorno, come se si fossero visti con altri occhi per la prima volta davvero, anche se – a distanza di mesi – nessuno dei due ha ancora trovato la forza o il coraggio di ammetterselo. Ma mentre Molly gira quella manovella, mentre le note scorrono, si ritrova a pensare che forse sbaglia ad odiare così tanto ogni giorno che si somma al successivo, quel loro accumularsi negli anni che le si posano addosso e che il giorno del suo compleanno viene, impietoso, a ricordarle. Alla fine, come per i giorni, anche quelle note, una dietro l’altra, formano quella melodia che adora, che la racconta, e che è bella solo composta, si comprende solo andando avanti. Forse anche la sua vita può essere qualcosa di simile a quella melodia – forse deve solo aspettare, capire e comprendere il dipanarsi di quei giorni che le sembrano tutti uguali.
Poi, d’improvviso, se ne accorge, quasi con terrore. Se ne accorge mentre tiene gli occhi piantati su quella scatolina di legno, su quell’età impressa con poco spessore, con il cuore che altalena tra le sue costole e le preme.
Vorrebbe baciarlo, tremendamente baciarlo. Perché non c’è altro ringraziamento che riesce a salirle alla mente – nessuno sarebbe sufficiente.

River fa per parlare ma dalla bocca non esce nulla; scioglie l’intreccio delle gambe, stacca il gomito dal bracciolo e si alza dalla poltroncina. La raggiunge sedendosi a terra, sistemandosi proprio accanto a lei. Molly deglutisce a vuoto qualche volta, mentre l’aria che respira le sembra del tutto depauperata di ossigeno, riempita a forza di adrenalina e di quella paura benefica che precede un salto nel vuoto. Lo osserva scendere a sedersi a pochi millimetri da lei, quasi i movimenti fossero a rallentatore come poco prima, quando la prendeva in giro per il suo smarrimento di fronte al regalo.
Ne può sentire l’odore, il profumo solito, vagamente speziato, mentre cerca una via di fuga da quelle emozioni tanto ingombranti. Incastra le iridi fra le parole del tema di erbologia.

L’erba fondente è anche uno degli ingredienti della Pozione Polisucco…

Sente gli occhi di River addosso, li sente frugare tra i percorsi delle sue lentiggini, a congiungerle in disegni inediti. Alza a fatica i suoi su di lui; li incontra. Sono i soliti – sorridenti, scintillanti, confortevoli. Fonti di un calore naturale e benefico, qualcosa che, per lei, assomiglia tanto ad una cura. Lei che ne va cercando ovunque, da sempre, senza sosta.
Il ragazzo si muove di un gesto impercettibile, quello millimetrico che sposta il viso verso di lei. Molly fa per abbassare le palpebre mentre il profumo si fa più intenso e il calore della sua pelle sembra, ormai, confondersi al proprio, in una comunione che le risulta morbida, naturale...

Uno sbaruffo d’ali e un verso stridente fendono l’aria con un gran baccano. Nella tensione che s’era raggrumata tra loro due, nei nervi tesi dall’attesa snervante ed infinita di quel contatto, Molly si spaventa tanto che lascia uscire un urletto che assomiglia ad un singhiozzo. Piume bianche striate di nero e di una sfumatura di marrone denso fluttuano nell’aria della Sala Comune, impazzite. Provengono da un gufo incastrato in una delle aperture vetrate della Torre di Grifondoro, non aperta a sufficienza per farlo passare senza sforzo.
River maledice Salazar a mezza voce mentre Molly si allontana da lui per lanciare uno sguardo all’animale che continua a stridere di fastidio. Realizza con uno sgranamento d’occhi che quel rumore proviene dal suo gufo.

“Ehi, ehi, aspetta che ti apro!” Corre alla finestra, la spalanca. Errol il giovane – nome scelto dalla pomposità mai doma di Percy – scivola dentro con in bocca un plico di parecchi giornali che schianta con poca grazia sul tema di Erbologia di Molly, prima di posarsi sulla sua spalla a cercare qualche carezza di ringraziamento. Lei lo sfiora sul muso per due volte – quello ormai il loro personale accordo – e lui riparte con un verso stridulo.
A River è parso che l’animale gli abbia lanciato un’occhiata di traverso; non è sicuro se sia frutto della sua immaginazione o della paura innata per ogni pennuto di sorta.

“Quel tuo gufo…” vorrebbe dirglielo ma s’interrompe, mozzando sulla lingua quel pensiero sciocco. Sono ancora entrambi indolenziti dalla tensione di poco prima ma quella è sfumata in quello sbaruffo d’ali e, adesso, entrambi tengono gli occhi bassi, confusi, smarriti.
Molly si china sul tavolinetto e raccoglie la pila; una macchia d’inchiostro s’è allargata sulla pergamena, spandendosi malamente sopra le ultime righe del tema e coprendone larga parte. Non fa in tempo ad accodarsi alle maledizioni all’antenato Serpeverde che River l’aggiusta con un colpo veloce della bacchetta. Lei lo ringrazia con uno sguardo morbido, improvvisamente timido. Lo scosta subito e lo porta alla piccola busta che sta allegata al pacco, che scarta con delicatezza. Il ragazzo sbircia con aria solo leggermente indagatoria – per nulla gelosa, non siate sciocchi – quella consegna a quell’ora piuttosto insolita. Il bigliettino, nascosto per larga parte ai suoi occhi, recita poche e brevi parole:

Qualche aggiornamento sul secondo evento più importante oggi.
B.C.,
Mamma

River, che dei fatti propri non si è mai interessato, pianta l’indice su quelle due lettere in fondo al biglietto e alza un sopracciglio con l’aria di chi sta per chiamare, con urgenza, il primo Medimago disponibile.

“Molly…” la occhieggia preoccupato, come se non avesse mai avuto contezza – fino a quel momento – di quanta stramberia possa abitare in una persona sola. “Che vuol dire B.C.?” Sa già la risposta, teme quasi a chiederlo.

“Beh… buon compleanno!” Lei alza le sopracciglia, come se invece avesse sovrastimato la quantità di neuroni dentro la zucca vuota del Jordan di fronte a lei. E pensare che già prima li contava sulle dita di una mano.

“E fin lì… ma perché è abbreviato?”

“Perché se per sbaglio qualcuno avesse intercettato il bigliettino, avrebbe saputo che è il mio compleanno. È chiaro!”

River lancia gli occhi al cielo e chiede a Merlino quale sia la sua colpa per essere finito a prendersi una cotta astronomica per una collega della radio, per la cugina dei suoi due migliori amici, per la persona con più turbe che l’emisfero settentrionale abbia partorito.
Molly, su tutto questo, soprassiede. Inizia a sfogliare quei giornali dalle fotografie colorate ed immobili: i titoli sono i più vari ed inediti, per lei – The Times, Daily Mirror, New York Times, Le monde, El País. Alcuni sono scritti in lingue che non conosce – non mastica per nulla lo spagnolo, biascica qualcosa di francese grazie alle vacanze a casa dei nonni di Dominique. Hanno impaginazioni diverse, diverse grandezze e diverse scritture. Solo una cosa è costante, per ogni prima pagina: una ragazzina dai capelli biondi raccolti in due lunghe trecce, l’impermeabile giallo e uno sguardo scintillante e risoluto. River la osserva nelle diverse pose che la ritraggono nelle varie prime pagine e una pieghetta gli si affossa al centro della fronte. Molly anticipa, insieme, domande e risposte.

“Sono giornali babbani” snocciola con semplicità e un’eccitazione via via più palese mentre guizza da una riga all’altra con gli occhi che brillano. “Ne faremo una puntata bellissima!” Che al mondo magico dei Babbani importi molto meno che a lei è un pensiero che adesso non la sfiora neppure, trascinata da quel febbrile entusiasmo che le muove le dita e le pagine. River punta un dito sulla ragazzina in prima pagina, altalenando lo sguardo da questa a Molly.

“E lei? Che ha fatto? Perché ne parlano tutti?”

Molly pianta gli occhi su di lui con una fierezza che ha ereditato da suo padre e da sua madre in egual misura, in modi totalmente opposti. Lei le ha trasmesso quella passione smodata per le notizie e per i Babbani, lui la risolutezza dell’andare dritto su ogni obiettivo, qualsiasi questo sia. Parla alzando appena il mento, come in una dichiarazione ufficiale, e annuisce, soddisfatta e inorgoglita, quasi quella ragazzina in prima pagina fosse proprio lei o una sua proiezione o la sua versione più Babbana e meno ben vestita.

“Perché vuole guarire il mondo!”

River la fissa, con il mento alzato e gli occhi nei suoi; c'è così tanto entusiasmo in quelle parole che, proprio, non riesce a fare altrimenti: allunga le mani, le afferra il viso tra le dita, ne respira il profumo al papavero, l’eccitazione e la bellezza semplice ed entusiasta che emana semplicemente esistendo. E poi, senza pensarci troppo, senza paura di essere rifiutato, come se fosse la cosa più naturale, più semplice e più inevitabile del mondo, come se non potesse passare un secondo di più, la bacia.
 

 
se mi tocchi l'ombelico c'è un filo che mi arriva in gola
ho una madre che vorrebbe fossi un'altra persona
io non so parlare, il mio viso narra per me
sono un po' bestia, un po' danno e vorrei vivere nuda

 
 
Di quella gran fissa di guarire il mondo, Molly non è mai sazia. Che, in questo, sia “tutta sua madre” è qualcosa che la nonna dice con un po’ di sgomento nella voce mentre nonno Arthur non riesce a celare l’entusiasmo. Che Audrey sia la sua preferita tra le nuore, è qualcosa che sua moglie proprio non riesce a comprendere – più di Fleur può accettarlo, ma più della loro Hermione?
Molly – la grande – si è rassegnata all’idea che, per quel che riguarda quel suo figlio e la sua famiglia, riuscirà sempre a comprendere poco. Percy è un mondo bellissimo ed ignoto per lei, di cui s’è spesso interrogata con poco successo. Si è arresa ormai da un po’: da quando è finita la guerra, il prima è stato relegato al rango di ricordo, a qualcosa da raccontare solo per estrarne ricordi felici. Delle brutture, dell’allontanamento, di chi non c’è più, si parla poco e – obbligatoriamente – con un gran sorriso sulle labbra.
Sul fatto che Percy si sarebbe innamorato di una giovane giornalista del Cavillo, però, non avrebbe scommesso nessuno, nemmeno quei due giocatori incalliti di Fred e George. Invece, quella poco più che ragazzina che si è ricavata spazio a fatica tra Nargilli e Gorgosprizzi con una rubrica tutta sulle notizie Babbane, ha fatto lo stesso superando le resistenze di cui era costellato il rigido animo di Percy, bucherellato dall’assenza che la lontananza dalla sua famiglia aveva lasciato su di lui. Così, Audrey Pine, nata Babbana di Chelsea – un sacco di idee strane in testa e tante e varie teorie sul mondo – ha finito per raggiungere Percy Weasley per una pinta di Burrobirra e qualche chiacchiera sullo Statuto di Segretezza. Qualche anno dopo, la loro primogenita si ritrova a leggere dei Fridays for future con gli occhi che brillano e una spilletta che riluce una scritta dalla divisa – C.R.E.P.A./La vendetta degli Elfi domestici.
Audrey, però, ha sempre sperato che Molly strappasse a Percy qualcosa di più di quello che, alla fine, le è toccato in sorte; qualcosa della sua risoluta concretezza, del suo essere punto fermo – quasi rigido, quasi immobile – ma presente. Purtroppo, però, dello scintillio che lei ha letto negli occhi del Percy di prima, le loro figlie sono ignare. Percy ha riso sempre meno, si è interessato sempre meno, ha chiesto sempre meno. Lavora, sì, con la solita solerzia, eppure ogni tanto perde gli occhi nel cielo ed è difficile farlo tornare a terra, farlo scivolare giù dal letto, convincerlo a mangiare qualcosa. Molly e Lucy ne hanno sempre osservato questi momenti di smisurato sconforto con gli occhi grandi e curiosi di bambine, colpite proprio fin dentro lo sterno di quel dolore di cui non conoscevano la potenza ma che sentivano riflesso su di loro.

Che il mondo è ingiusto, Molly lo ha capito lì. Il fatto che abbia perso uno zio in una guerra che voleva la supremazia sui Babbani, che voleva vedere i maghi trionfare, le ha fatto nascere una malsana voglia di proteggere – ogni debolezza, ogni differenza, ogni creatura. Per quello ha martellato Zia Hermione di domande sul C.R.E.P.A. e su quanto avrebbe inteso fare, come Ministra, per tutelare il mondo dei non-maghi. Per questo, ha martellato poi sua madre per farle avere giornali da ogni dove, per avere notizie vere (con la pretesa di realtà che può avere una ragazzina) su quello che succede nel mondo, anche di quelli che non usano la magia. Per questo, ha poi martellato River per convincerlo ad inserire nella programmazione di Radio Pix uno spazio dedicato a tutto l’altro che c’è nel mondo, nonostante le proteste di Fred e Roxanne, convinti che parlare di problematiche tutte Babbane non avrebbe certo giovato all’umore generale (e agli ascolti).
River ha ceduto, come sempre, ad ogni suo desiderio, ne ha ascoltato ogni teoria, ne ha smontato ogni ragionamento illogico, con quel suo sorrisetto sghembo e quel suo modo di fare scanzonato, pronto ad affrontare anche il peggiore degli scenari con una leggerezza di piuma che Molly gli invidia.
Però, alla fine, Molly ha dovuto rendersene conto, con un colpo secco di consapevolezza, con un dubbio che le ha mozzato il respiro, proprio nel giorno del suo compleanno: lei chiede il conto, a chiunque. Chiede ad ognuno il suo tributo, che tutti facciano la loro parte, che apportino il loro contributo, il loro sacrificio, per guarire il mondo.
Ha dovuto rendersene conto, con sconforto, con il terreno che le ha risucchiato i piedi e ha stretto quel gomitolo che è la matassa informe della sua vita: qual è, il suo, di contributo?
 
*
 
Domenica 28 maggio 2020, Hogwarts
 
qui non puoi fuggire perché tu sei il carceriere
qui tutto è razionale, solo obbligo e dovere
qui dove vivi adesso, in un anelito del cuore
in attesa di un qualcosa, di un qualcuno
di un errore
 
“Cosa dovremmo fare? Far finta di niente?”

Molly è seduta nell’aula dismessa che, una domenica su due, è stata concessa loro come redazione di Radio Pix. Ha i piedi accavallati su un banco e, in grembo, una pila infinita di fogli e foglietti, ritagli di giornali Babbani e non, una tazza di thè che fluttua vicino al suo viso, in attesa che lei si ricordi di berla. River mastica qualche Orsetto Zampillante fatto arrivare direttamente da Mielandia, con un sorriso a tutti denti nato dalla bontà di quelle caramelline gommose e con delle lacrime copiose a scendergli in viso, frutto dell’effetto collaterale delle stesse. Fred gioca a Sparaschiocco con Roxanne, che annuisce vistosamente alla domanda di Molly, non cogliendo forse la retoricità della stessa.
Molly guarda supplichevole colui che, a quella notizia, dovrà dare voce e trovarlo così piangente le fa salire una risata leggera e cristallina, che nemmeno il malumore per quell’ostruzionismo riesce ad ostacolare. Relega una ciocca dietro l’orecchio mentre lo osserva zampillare, appunto, tutta quell’acqua salata giù dalle guance. Si allunga a carezzargli il viso, a raccogliere un po’ di lacrime sui polpastrelli.

“Non capisco perché ti ostini a mangiare quei cosi

River alza le spalle e sorride di nuovo; al sapore degli orsetti si mescola quello salato delle sue lacrime. “Perché sono buonissimi!”

Molly ride di quel candore ed asciuga la mano sulla divisa, macchiandola del passaggio di quel finto dolore.
“Ma fanno piangere!”

“Come l’amore… non per questo le persone smettono di innamorarsi” sentenzia lui con finta saggezza e sguardo saccente, mentre apre un sorriso sornione sul volto, pieno di qualcosa che Molly non saprebbe spiegare a parole. Le guance le si imporporano appena – come se quelle parole fossero un po’ una dichiarazione (d’intenti o d’altro) – e così slaccia lo sguardo dal suo, piantandolo sul frutto delle sue ricerche frenetiche e di quelle di sua madre, che le ha inviato pile di materiale dal giornale. Infatti, molti stralci sono proprio scritti nella scrittura arzigogolata del Cavillo, che le rende un po’ difficoltosa la lettura.

Sono giorni – mesi – che assilla chiunque con quelle domande: perché la comunità magica non aiuta i Babbani con questa nuova malattia che li ha colpiti? Perché, se per loro basta un incantesimo di protezione per esserne immuni, non possono provare a fare qualcosa di più anche per i non maghi?
Nelle vacanze pasquali, a tavola, a suo padre non ha chiesto altro se non conto di quello che il Ministero della Magia degli altri Paesi stava mettendo in atto, quali misure d’emergenza per contenere il contagio, se l’Inghilterra fosse l’unica rimasta indietro su questo fronte, se davvero non ci fosse un modo – uno qualsiasi – per aiutarli a contrastare questa malattia con la magia. Suo padre ha scosso la testa, si è adombrato, ha alzato appena la voce. La pazienza di chiunque sarebbe stata messa a dura prova dall’insistenza martellante di Molly ma non era quello il motivo per cui Percy ha fatto resistenza, non ha parlato, non ha spiegato.
Molly si è ritrovata a darsi una risposta da sola a quel disagio, dopo minuti di sguardi d’astio e di mutismo selettivo, dopo un weekend di parole mozzate e spalle voltate: la morte ancora lo terrorizza. Abituatevi a perdere i vostri cari, si è sentito dire sui giornali, dalla voce di Audrey che riporta le notizie che arrivano dal mondo Babbano. Ma Percy, a quello, non si è mai abituato.

L’impotenza, dopo molti mesi, ancora, inchioda Molly sulla sedia e sulle sue posizioni; non riesce a scrostarsi di dosso quella sensazione di egoismo sconfinato, quel disgusto per quel trincerarsi dietro lo Statuto di Segretezza che dovrebbe proteggerli proprio da quelle persone che stanno abbandonando, secondo lei, a loro stesse. Come si può ignorare con tanta leggerezza quello che sta succedendo nel mondo? Come si può non perderci il sonno e la testa? Come si può rimanere indifferenti?
River, come sempre, la sa leggere meglio di chiunque altro: vede quei pensieri nei sentieri della sua fronte aggrottata, nel modo caustico in cui risponde ai cugini che vivono con molta meno veemenza quelli che per lei sembrano problemi impellenti, fondamentali, che le stracciano la fame.
Perché, River lo sa, Molly vuole guarire il mondo – proprio come quella ragazzina dalle trecce bionde – e non riesce a darsi pace dell’immobilità dello stesso, delle poche possibilità di manovra riservate loro. Eppure, i loro genitori, alla loro età, combattevano la guerra – combattevano da eroi.
Questo pensiero le scuote un brivido che mescola qualcosa che sa di rabbia ed incredulità, che le lascia un sapore amaro sotto la lingua, che la fa frizzare di un fastidio così palese che anche Fred e Roxanne si fermano dal rumoreggiare con quel gioco.

“Molly, non sarà certo Radio Pix a cambiare le cose. Non è che vogliamo non dare importanza alla notizia, lo sai. È che questa radio è nata per altro, per strappare una risata. Se finiamo a parlare delle…”

Molly alza una mano e la zittisce, sbuffando un po’ di fastidio dal naso. Odia questi discorsi, il pressappochismo, l’immobilità. Non riesce a scorgere quanto sia tirato quell’idealismo, quanto ne abiti in lei e poco in altri; non riesce a comprendere che non tutti guardano al cielo e agli ideali alti a costo di inciampare. C’è chi preferisce guardarsi i piedi, per evitare il rischio di perdersi su delle radici e sbucciarsi le mani.
Lei sa che non c’è soluzione – che le domande che si pone hanno già risposte secche e ben definite – ma non riesce a fare a meno di farsele e farsele ancora, perché “non si può fare altrimenti” non è una risposta che riesce a contemplare.
Comincia a sfogliare, per l'ennesima volta, quella pila disordinata di articoli, come se dovesse trovare in quella un’illuminazione, una risposta, un’idea. Non sa nemmeno lei cosa stia cercando di preciso, ha solo bisogno di provarci.
Uno di quei frammenti di giornale ha un piccolo segno, uno scarabocchio in inchiostro scuro con un grande punto esclamativo; lo toglie dalla pila, inizia a sfogliarlo veloce con gli occhi, saltando febbrilmente da riga a riga. È una dichiarazione del Guaritore Augustus Pye, Capo del reparto Dai Llewellyn – lo ha sentito nominare molte volte, in particolare da sua nonna, non abbinato mai ad epiteti felici – e ricalca esattamente il suo pensiero: è una presa di posizione di Medimaghi del San Mungo che si esprimono negativamente su quella che considerano la “scelta irresponsabile” di non collaborare al limitare della diffusione del virus che sta colpendo l'intero mondo Babbano, nonostante siano consapevoli dei limiti e delle responsabilità che comporta lo Statuto di Segretezza. La lista comprende parecchi nomi – nuovi e vecchi Guaritori – delle più varie discipline (da quelli del Reparto Speciale a quello degli Incidenti magici).
Un moto di orgoglio, di appartenenza, una potenza calda, si dipana lungo la gola di Molly. Prende un respiro, rilegge veloce quelle righe come se, tra le lettere d'inchiostro scuro e scrittura sbilenca, vi fossero risposte a domande che non sapeva di aver posto.
Slaccia l'intreccio dei piedi, li poggia a terra, posa un bacio sulla fronte di River, unico punto ancora asciutto del suo viso cosparso di lacrime, e fa per uscire di tutta fretta dalla stanza, senza salutare nessuno.

“Dove vai? Sei arrabbiata?” le domandano in coro Fred e Roxanne; River la acchiappa piano per il polso, preoccupato per quel suo silenzio inquieto che non preannuncia mai, mai, buone nuove. Lei gli sorride morbida, di un sorriso più consapevole, frutto di un'urgenza nuova, di una luce che si intravede in fondo ad una lunga galleria.

“A studiare, tra poco ci saranno i M.A.G.O. e devo per forza prendere un Oltre Ogni Previsione in Erbologia, sennò me lo sogno di diventare Guaritrice”

River alza le sopracciglia con aria stupita, guardandola con un cipiglio interrogativo e, allo stesso tempo, quasi sollevato. Il gomitolo che è la vita di Molly sembra districarsi piano piano, così come la nebbia che avvolge il suo futuro inizia a diradarsi e diventare solo leggera foschia – quella attraverso cui puoi vedere, se ti impegni come si deve. Le risposte sono davanti ai suoi occhi, chiare come mai prima, chiare come non le aveva mai viste. Un'illuminazione che sa di consapevolezza, di un percorso intervallato e faticoso. È nata per fare quello, lo sa: per guarire il mondo, per guarire suo padre, per guarire l'indifferenza e per guarire tutti, chiunque essi siano, qualunque cosa siano.

River sorride e la lascia andare, posando gli occhi nei suoi, lasciandoci scivolare dentro un miscuglio confortante d’amore e ammirazione per quel suo sconfinato, irriducibile ai limiti dell'ingenuo, modo di crederci – sempre.

“Va bene. Buono studio, magica Greta
 
 

 
[1] River Jordan, figlio di Lee Jordan (OC).
[2] Una sveglia di questo tipo è già presente nella mia storia Scatole ed è stata ereditata da River proprio da Lee.
[3] Il 27 settembre 2019 si è tenuto il terzo sciopero globale per il clima.
Note: Le note di questa storia potrebbero risultare un po’ complesse, forse perché più che spiegazioni risulteranno una dichiarazione di intenti. È tanto che ho in mente di scrivere una raccolta di OS dedicata ognuna ad un personaggio della NG. Perché una raccolta e non una long è presto detto: Costanza nemmeno di secondo nome, quindi con una raccolta mi sento più “libera” di prendermi il mio tempo per aggiornare, visto che una storia alla fine sarà slegata dall’altra, se non per brevi accenni in cui i personaggi, per forza di cose, si incastreranno uno con l’altro.
C’è solo un filo a legare tutte le storie: il risveglio della mattina del 25 giugno 2022, giorno del matrimonio di Victoire e Teddy. Ho scelto questo giorno perché i primi due figli degli eroi inizieranno a fare famiglia a sé e quindi smetteranno di essere propriamente figli e diventeranno potenzialmente altro. Ogni storia, quindi, presumibilmente inizierà con il risveglio di ogni personaggio di cui scriverò in questa giornata e poi proseguirà all’indietro, andando a sondare qualcosa di quello che sono, senza la pretesa di completezza che non può certo racchiudere un OS. Spero che questo esperimento non risulti un asciugone senza capo né coda e che quindi finisca per naufragare dolce in questo mare (cit. più o meno). Ci saranno molti di quelli che sono i canonici della NG, qualche OC probabilmente, di cui il primo è esplorato in questa storia e magari troverà posto a sé da qualche altra parte (gli voglio già bene, purtroppo). Sto percorrendo un tipo di progetto e, forse anche di scrittura, diverso da quelli miei soliti, quindi spero che uscire dalla comfort zone non risulti troppo fallimentare.
I brevi accenni all’emergenza pandemica in corso sono volutamente degli accenni, visto che trattiamo di personaggi che conoscono i riflessi sul mondo in maniera piuttosto parziaria (viste anche le posizioni dell’Inghilterra e del suo Presidente Babbano, all’epoca). Spero di aver toccato l’argomento con il rispetto dovuto a chiunque sia stato colpito da vicino, più di tutti noi, da questa vicenda.
Vi ringrazio, nel frattempo, di essere arrivati fin qui e spero che la mia Molly vi sia sembrata coerente/convincente/non so che termine usare. Ogni commento, critica o osservazione sarà più che ben accetta!
Vi abbraccio
   
 
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