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Autore: vielvisev    17/01/2022    5 recensioni
Questa è la fine dell'era dei Malandrini: Lily e James sono morti. Sirius è accusato di tradimento e imprigionato. Peter Minus creduto morto. Sono rimasti solo due testimoni di quel passato ingombrante: Remus Lupin e Severus Piton.
Mini-Long sulla potenziale amicizia mai nata tra due personaggi simili, ma su due fronti opposti. Sul loro dolore, la loro solitudine e l'accettazione del lutto per loro più difficile da affrontare.
Missing Moments
*
*
DAL TESTO:
Non ci sono modi giusti per descrivere il dolore. Remus Lupin lo sapeva perfettamente.
-
Era nato sotto la stella sbagliata Severus Piton, sua madre glielo diceva sempre.
-
“Lupin. Che sorpresa.” disse il mago, distendendosi un poco.
Era raro che venisse colto impreparato, gli faceva provare una strana sensazione, come di perdita di equilibrio.
“Non è particolarmente un piacere vederti, Severus, ma sì è una sorpresa” rispose il mannaro ed era forse la prima volta che lo chiamava per nome e l'altro aggrottò la fronte e fece un passo indietro.
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Potter, I Malandrini, Lily Evans, Remus Lupin, Severus Piton | Coppie: James/Lily, Lily/Severus, Remus/Ninfadora, Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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.La ferita.



Non ci sono modi giusti per descrivere il dolore. Remus Lupin lo sapeva perfettamente.
Dolore era quello che provava ogni volta che la sua cartilagine si stremava e suoi muscoli stravolgevano in una forma che non poteva controllare, spezzandogli le ossa e il respiro, graffiandolo nel corpo e nell'orgoglio. 
 Dolore era anche quello che si auto infliggeva quando si tramutava in mostro, con pugni, morsi e frustrazione, incapace di sentirsi libero in quello stato animale e allo stesso tempo terrorizzato dalla possibilità di provare sollievo e di togliersi le sue stesse catene, lasciandosi andare completamente al lupo feroce, quella forma orribile, che in fondo aveva accettato.
Dolore era anche rendersi conto di aver riversato amore, tempo e fiducia, soprattutto fiducia, in qualcuno che non lo meritava e sentirsi in colpa per questo, responsabile di non aver fatto abbastanza attenzione, di non aver colto tutti i dettagli, tutte quelle ombre che, in una guerra che li aveva sfiniti ancora prima di invecchiare, gli erano parse innocue quando non lo erano. 
 Erano ferite fresche quelle, piene di accusa e rimpianto, e innocenti, come Lily e James, avevano pagato per ogni cicatrice malamente guarita di altri.
Erano bastate poche parole per mandare tutta la sua esistenza in frantumi e far sembrare ora sporco, infimo e terribile quell'amore che da ragazzo lo aveva salvato, trascinandolo a forza fuori dal disgusto per sé stesso e dalla costante sensazione di fallimento. Come poteva odiare adesso quegli occhi che lo avevano dissetato quando la sua gola bruciava solo di rabbia e amarezza?
Dolore era il vuoto. Quella piccola caduta in cui il suo corpo era rimasto fermo e il suo cuore si era infranto al suolo. Quando qualcuno l'aveva abbracciato, al suo ritorno dalla luna piena e aveva sussurrato contro la sua nuca: “I Potter sono morti, Remus. Peter Minus è morto. Lo ha ucciso Sirius Black
 E lui era rimasto zitto e immobile, appoggiato alla spalla di Mary MacDonald come se fosse l'unica cosa reale che gli era rimasta, ma il suo corpo era diventato bruciante e fragile come cenere.

*

Tu come ti chiami?”
 “Remus. Remus Lupin. E tu?”
 Aveva parlato timido e rabbioso allo stesso tempo, ferito da un orgoglio che non sapeva ancora di possedere e il ragazzino di fronte a lui l'aveva osservato di rimando con una smorfia che sembrava quasi canzonatoria, ma illuminata da un guizzo di interesse sincero e aveva ciondolato sulle sue lunghe gambe da adolescente che avevano ferito prima del tempo la morbidezza dell'infanzia.
 “Bel nome. Io sono Sirius Black” gli disse, gli occhi grigi taglienti come lame, resi più gentili dal sorriso accennato.
 “Bel nome” aveva risposto Lupin a capo chino, nascondendosi dietro ciocche di capelli castano chiaro. 
 “Ti piace leggere, vero?” chiese Black sedendosi accanto a lui, cosa che Remus avrebbe preferito evitasse di fare, perché il suo olfatto era ancora sensibile dall'ultima trasformazione e poteva sentire intenso l'odore di menta, polvere e lucido da scopa che emanava l'altro ragazzo.
 Frequentavano le stesse lezioni da quasi un mese, così come lo stesso dormitorio e Sala Comune, ma era la prima volta che Sirius Black gli parlava davvero e a Lupin, che aveva cercato di farsi bastare quella vita priva di amicizia, mancava quasi il respiro. 

 Sapeva di essere strano, senza nemmeno ammettere la sua natura di Lupo Mannaro. Se Sirius era visibilmente avvolto da seta e benessere nella vita, sotto quella strana turbolenza che si intuiva nel suo sguardo, Lupin era lungo e malmesso, la fronte aggrottata e le ferite sottili sparse sul corpo magro, il capo sempre chino, a nascondere il viso dai lineamenti delicati, come a implorare di non essere notato. Strano appunto. Poco amichevole sicuramente, sempre affossato in un libro, sempre con quel velato distacco verso il mondo.
 “Ehi, ti ho chiesto se ti piace leggere” insistette il ragazzo di fronte, lo stupore sincero di chi è abituato a essere il centro dell'attenzione e si ritrova a cercare per la prima volta considerazione. 
 “A volte” rispose secco Remus, fissando ostinato una cicatrice chiara sul dorso della sua mano destra e cercando di ricordare a quando risalisse: erano sempre troppe le ferite con cui tornava da ogni luna piena e rimanevano come una sottile rete intricata sul suo corpo, nonostante le cure quasi amorevoli di Madama Chips.
 “Io e James avremmo davvero bisogno di qualcuno a cui piaccia leggere nel gruppo” sorrise Sirius con naturalezza e l'altro ragazzo rimase stupito che non se ne fosse ancora andato “Noi non ne abbiamo mai il tempo”
 “Nel gruppo?” mormorò Lupin sorpreso: nessuno lo aveva mai voluto in un gruppo.
 “Nel gruppo, Remus, cosa non capisci?”
 “Volete me nel vostro gruppo?” chiese rauco il giovane mannaro e l'altro rise forte, il viso che sembrava brillare. 
 “Esatto Lupin. Ti vogliamo nel gruppo: io James e Peter. Abbiamo bisogno di qualcuno con un po' di sale in zucca. Lo conosci Peter, no? James lo conosce da sempre. Sembra matto ma ti assicuro che...”
 “Va bene” aveva risposto Remus con il cuore in gola, stringendo troppo forte il libro che aveva tra le mani “Va bene” ripeté poi subito dopo con più calma, vedendo il volto di Black bloccarsi a metà della frase e aggrottarsi appena.
Trattennero quasi il fiato, poi Sirius esplose di nuovo in un breve risata, il sorriso che si faceva spazio sul viso chiaro, gli occhi grigi che ardevano di soddisfazione: sembrava brillare tutto di luce propria, Sirius Black. 
 "Allora benvenuto, Remus Lupin" e lo aveva abbracciato di slancio.

*

Remus Lupin non aveva reagito quella notte, quella terribile notte di Halloween. 
 Non come avrebbe voluto, non come si sarebbe aspettato. Nemmeno una stilla del suo incredulo dolore gli aveva contratto i lineamenti, né una lacrima era scivolata sulle sue guance scavate dal sonno. Si era presentato per ultimo dai Potter, quasi trascinato da Mary, che lo guardava piena di apprensione con i suoi occhi bruni. Era straziato e quasi ubriaco, Remus Lupin, e aveva osservato la casa dei suoi migliori amici con distacco e freddezza, tanto da stupirsi di sé stesso. 
 Aveva preso consapevolezza di cosa volessero dire quelle pareti annerite e distrutte, quel silenzio così grave, quell'odore acre che gli bruciava la gola. Aveva ignorato lo sguardo chiaro e insistente di Silente e, dopo un lungo istante, si era semplicemente voltato e se ne era andato, trascinando i piedi sul selciato scuro, il passo lento, arreso. Nessuno aveva provato a fermarlo, non la rigida Minerva, o il sentimentale Rubeus, nemmeno Albus. Non Mary, che con lui aveva passato sette anni di scuola e che forse poteva intuire il suo dolore. Non c'era motivo forse di trattenerlo e probabilmente tutti loro erano consapevoli che nessuna parola avrebbe potuto confortarlo. 
Come si spiega a una voragine cosa significa essere piena? Come si ferma il pulsante ronzio che ti dice: “è colpa tua, sei l'ultimo rimasto”? Come si rallenta un corpo che cade nel vuoto? Come si insegna a qualcuno a mozzarsi da solo il respiro? Remus Lupin non aveva risposta a nessuna di quelle domande.  Ma Lily e James erano morti. E infine urlò solo rauco nella notte, fino a lacerarsi la gola e poi il cuore. Urlò di rabbia e frustrazione. Urlò al nulla che gli era rimasto, senza nemmeno sperare che qualcosa potesse salvarlo.

*

Non guardarmi” disse, cercando di nascondersi dietro il sottile riparo del lenzuolo bianco dell'infermeria.
 Si sentiva orribile e martoriato perché quella luna piena era stata particolarmente intensa, la pubertà sembrava mettere a dura prova la sua licantropia, rendendo ogni trasformazione più dolorosa e stremandolo nel corpo, lasciandolo poi la mattina esausto e frustrato. Il sapore metallico del sangue che non aveva assaggiato che gli si scioglieva nella gola.
 “Pensavo saresti stato contento di vedermi, Moony” rispose Sirius, tranquillo.

 “Io...” balbettò Lupin, perché il cuore gli diceva che non voleva altro che essere osservato da quegli occhi grigi e insolenti, ma le cicatrici bianche e rosate che gli martoriavano il corpo gridavano vergogna.
 “Io...Io...Io” lo prese in giro Black, le labbra piegate in una smorfia morbida “Chips non voleva farci entrare, le ho detto che James e Peter potevano stare fuori, ma non io. Le ho detto che mi avresti voluto con te”
 Si allungò verso di lui, sistemandosi al suo fianco sul letto dell'infermeria. Remus dubitava che se Madama Chips li avesse trovati a dividere il materasso non avrebbe avuto da ridere, per quanto la donna gli volesse bene e fosse sempre fin troppo gentile con lui, ma non disse nulla, per parecchi minuti, accettando il tepore dell'amico al suo fianco, così come la stretta gentile sulla sua mano.
“Sirius... io...” balbettò, pieno di scuse e spiegazioni.
 “Io...io...io” lo prese di nuovo in giro il ragazzo “Non si tratta sempre e solo di te, Moony. Avevo voglia di stare con te. Mi mancavi, diciamo. Peter sa essere estremamente petulante a volte e James può sopportarlo da solo per un po', con tutte le volte che lo abbiamo coperto quest'anno.”
 Remus non disse nulla e non parlarono delle bende che coprivano di nuove cicatrici il suo corpo magro, né del fatto che era la terza volta che lui finiva in infermeria dopo la luna piena, o di quanto Sirius e gli altri Malandrini potessero sospettare della sua natura, mantenendo però il riserbo. Rimasero solo a fissare il soffitto color crema, immobili e felici, cullati dalla risata rauca di Sirius che canticchiava tra i denti.

*

Aveva sentito di far parte di qualcosa, Remus Lupin. 
 Aveva sentito quasi di meritare l'affetto che aveva sfiorato con la punta delle dita, aveva creduto di poter accettare quella parte animale che lo straziava nel petto, come un pegno adatto a quello che la vita continuava a regalargli.  Un pagamento minimo quello di perdere uso della propria umanità ad ogni luna piena, se poteva sentire di appartenere a quel gruppo di ragazzi sfacciati e brillanti. 
Se poteva desiderare la stretta di James Potter sulla sua spalla, la risata di Lily alla distanza di un respiro, le battute meste di Peter e gli occhi grigi di Sirius. Sirius. Cazzo. Sirius Black. 
 Quel sorriso storto e strafottente che aveva rubato ogni sua cellula e respiro, trascinandolo in quel mondo feroce e splendente e pieno di successo che aveva intravisto davanti a loro. 
Nella loro piccola cucina coperta di piastrelle sbeccate, dove bevevano caffé amaro, litigavano furiosamente e ascoltavano vecchi dischi spalla contro spalla, aspettando la fine di una guerra che tre di loro non avrebbero mai davvero vissuto, che nessuno di loro avrebbe mai davvero vissuto, erano stati felici.  O quasi. Si erano costruiti un mondo sopportabile per le loro ferite, dolce per i loro respiri.
Erano adolescenti in corpi di vecchi, con un diploma tra le dita e un appartamento Babbano in cui tornare ogni sera per fingere che andasse tutto bene. Almeno per un po'.
Quanti sogni infranti si erano fatti sfuggire tra i denti, quanta amarezza aveva animato i loro incubi, quanti addii o “Ti amo” avevano trattenuto per timore di sancire la fine di qualcosa che era così fragile.  

 Bambini. Erano tutti bambini che giocavano a fare gli adulti, bevendo burrobirra nella serate quiete intorno al camino e combattendo contro un'oscurità che gli avrebbe comunque inghiottiti. Erano senza speranza o futuro, solo burattini fragilissimi e spezzati. Soprattutto Lily e James, che sfidando ogni pericolo aveva costruito e poi sbriciolato quella piccola famiglia, con la determinazione di due idealisti e il sorriso dettato dal loro buon cuore. Remus Lupin rise solo, nel suo appartamento in cui un tempo era stato quasi felice. Rise amaro e ingollò del Whiskey.

*

Sei felice?”
 Lily glielo chiedeva spesso e Remus si stupiva ogni volta del fatto che la ragazza attendesse una sua risposta, che le importasse davvero. Era speciale Lily Evans.
 “Non lo so, Lils. Tu sei felice?” ribatté, morbido. 
 “No” rispose lei inaspettatamente dura e fu talmente sincera che lo fece irrigidire e girarsi lentamente. 
 Erano su un muretto del cortile di Hogwarts, Lily con le gambe accavallate, il volto assorto, i capelli rossi al vento. Remus troppo lungo e dinoccolato per stare comodo, piegato in avanti in maniera goffa, in modo che i gomiti poggiassero sulle ginocchia, il libro di Storia della Magia accanto a lui.
“Perché non sei felice Lils?” chiese titubante.
“Oh beh, non so” disse lei con un sorriso morbido “Quando puoi sapere di essere felice davvero, Remus?”
“Beh, ma pensavo, sai... tu e James...”
 Lily rise cristallina e allungò un braccio per circondare le spalle dell'amico con un gesto che sapeva di normalità e calore. Il profumo di vaniglia e fiori della ragazza si insinuò nelle narici sensibili del mannaro, rallentandogli il cuore di affetto. Lily era l'unica da cui si facesse sfiorare. A parte Sirius, ovviamente.
 “Sono contenta di uscire con James” annuì lei “Ma la felicità sai... è fatta di tante cose, no?”
 Remus annuì e il suo sguardo si mosse leggermente verso destra, dove James e Sirius ridevano sguaiatamente di qualcosa e un fiotto di affetto gli scaldò il petto alla vista dei due amici, che si spintonavano con il sorriso. Inciampò negli occhi grigi di Sirius, ci galleggiò un istante all'interno prima di annuire tra sé e voltarsi di nuovo verso l'amica.
“Hai ragione. È fatta di tante cose” disse e si accorse di averla quasi fatta sobbalzare, perché lei nel frattempo si era incantata a guardare qualcuno lontano, alla loro sinistra.
 “Come dici?” esalò la ragazza, stirando un sorriso vuoto eppure dolcissimo.
 “Hai ragione” sillabò Remus “La felicità è fatta di tante cose.”
 Lei annuì poco convinta e si appoggiò alla sua spalla e Lupin non dovette voltarsi per avere la conferma di chi stava guardando la ragazza. Era sicuro che se lo avesse fatto avrebbe trovato il volto pallido e assorto di Severus Piton, come al solito solo e corrucciato, ferito dall'assenza dell'amica di sempre. Severus Piton era sempre stato strano. Proprio come lui, Remus Lupin. Ognuno di loro aveva i propri fantasmi.
 “Come va con lui?”
 “Lui chi?” sibilò subito la rossa, sulla difensiva, il viso macchiato di orgoglio e tenerezza. 
 “Piton, Lily. Avete fatto pace?”
 Lei si morse il labbro inferiore, in un gesto infantile e scosse subito il capo, gli occhi immediatamente lucidi. 
 “Non credo che faremo mai pace, Remus”
 “No?” chiese perplesso il giovane mannaro “Ma siete sempre stati molto legati...”

 “Lo siamo ancora” respirò Lily leggera, in uno sbuffo affranto “Il problema è questo. Io e Sev saremo sempre legati, non ci lasceremmo mai andare se fosse per noi due e per questo dobbiamo stare distanti. Non lo faccio certo per James, ma mi conosco: avrei giustificato Severus davanti a tutto e tutti. Sono cieca con lui perché è sempre stato troppo importante per me. La distanza credo sia una cosa buona tra di noi, mette equilibrio. Dovevamo lasciarci un po' andare, siamo troppo diversi, ci saremmo distrutti”
 “Ma così fa male. Non parlarvi dico” sussurrò Remus con dolcezza, per non spezzare ulteriormente quella ragazza sottile e gentile e Lily annuì morbida, prendendo un profondo respiro.
 “Fa male sì.” disse solo, lasciando addosso a Remus una strana amarezza.

*

L'alcool bruciava la gola e i suoi tormenti più spesso di quanto la ragione gli avrebbe consigliato, ma a Remus Lupin andava bene così. Aveva provato ad affrontare il dolore, a essere logico e giusto, ma non aveva funzionato. Il lutto era come una melma che lo avvolgeva sempre più pesantemente ora dopo ora. Le notti erano lunghe, le giornate troppo vuote e nessuno era riuscito a trascinarlo fuori da quella cucina colma di piastrelle e di musica, staccandolo dai suoi rimpianti. 
 I soldi erano finiti prima che potesse accorgersene, la fame lo aveva reso mansueto e stanco e solo la sua parte animale così ribelle e vorace lo aveva tenuto in vita per inerzia. 
 Le lettere di Silente aveva smesso di aprirle da tempo, il telefono a cui Mary aveva provato a chiamarlo era stato staccato, i suoi genitori morti, la sua esistenza barricata dentro pareti di indifferenza. Voldemort era scomparso, insieme a quasi tutti quelli che lui, Remus Lupin, aveva definito amici ed era rimasto l'unico testimone di un'intera generazione, forse insieme a quel Piton e pochi altri.
 Remus e il suo brillante cervello, la sua empatia, il suo sorriso, quel ragazzo così grondante di futuro e promesse che invece marciva lentamente in quel corpo straziato, nutrito dal rimpianto e dalla sofferenza. 
Gli mancava Sirius. E per questo si vergognava. Si vergognava così tanto. Per questo viveva alla macchia, lontano da chiunque potesse riconoscerlo.
 Si vergognava perché tra la dolce fermezza di Lily, che per prima era diventata sua amica, il buon cuore gradasso di James, che l'aveva sempre trattato come suo pari e fratello e le confidenze miti di Peter, che faceva spesso solo a lui, a mancargli era proprio Sirius. 
Si vergognava perché non aveva mai chiamato Mary, che, pur essendosi allontanata dal mondo magico quanto più era riuscita, ancora si preoccupava per lui e lo cercava di tanto in tanto. Non aveva mai pianto Marlene, morta anche lei così giovane e troppo poco ricordata, ma Sirius gli mancava. Sirius che aveva tradito tutti loro, ma più di tutti aveva tradito lui: Remus. 
 E il bruciore dell'alcool, imparziale nel suo avvelenare ogni parte di sé stesso, gli faceva compagnia, gli annebbiava il cuore e stringeva la vista, togliendogli il respiro quanto bastava, senza soffocarlo.
 E le giornate erano diventate tutte uguali in quel minuscolo appartamento Babbano dove lui e Sirius avevano vissuto una manciata di momenti felici, conditi dalla risata squillante di James e quella fragile e nervosa del buon vecchio Peter. Le giornate erano tutte uguali.

*

La prima volta che Sirius lo aveva baciato era stato troppo veloce perché Remus potesse capire se gli era piaciuto. 
 Il suo cervello si era incastrato, il suo cuore era scivolato giù fino allo stomaco, il fiato si era perso tra i suoi denti. 
Era rimasto immobile a guardare quegli occhi grigi e canzonatori per quella che sembrava un'eternità, la logica innata che cercava di sistemare i tasselli di quel che avrebbe dovuto dire e fare, ma che non raggiungeva le sue labbra. 
 Aveva lottato a lungo con sé stesso, Remus, per dire “No” a quell'innamoramento tiepido e insistente che lo aveva invaso lentamente. Si era obbligato al silenzio per non rischiare di sbriciolare quel meraviglioso equilibrio che esisteva tra loro: i Malandrini. Aveva lasciato scivolare in fondo alla mente il sorriso di Sirius, quegli occhi così grigi, la piega chiara del suo collo. Era diventato eccellente a controllare il rossore che sfrigolava sulle sue guance quando si ritrovava a fissarlo un po' troppo a lungo, mentre lui volava con James. Aveva imparato a evitare di osservare le sue dita lunghe e pallide, a non dare peso al modo in cui le sue labbra si muovevano appena per seguire le parole mentre studiavano insieme, ma poi Sirius aveva infranto ogni equilibrio e tentativo di bugia con quel bacio inaspettato, che si era frantumato tra loro.
 Si erano guardati ancora per un istante e poi avevano riso. Riso forte e a lungo. Come di una presa in giro o una battuta sincera e poi senza che se ne fossero nemmeno accorti si erano di nuovo avventati l'uno sull'altro, come calamite. Con la foga della gioventù e la disperazione amara di chi non vuole perdere nessun istante e ora che Sirius lo osservava fiacco con lo sguardo velato di sonno, Remus poteva assaporare la felicità.
 Si erano denudati fino alle ossa con la punta delle dita nel tempo, fermando i tremori dell'altro quando veniva invaso dalla paura. Si erano riscoperti con il timore di incastrarsi nelle loro cicatrici, smussando i loro caratteri, solitamente così diversi, in un legame perfetto. Erano affondati negli incubi e nelle imperfezioni dell'altro, a  vicenda, per creare un luogo bello e sicuro, che avesse un senso, almeno per loro.
 E si amavano, non c'era dubbio, con tenerezza e passione. All'ombra di una guerra che non faceva così paura, mentre si nascondevano dietro le tende del baldacchino di Remus nella torre di Grifondoro, avvolti da un Muffliato di sospiri e poi in mille e altri luoghi, fino a quell'appartamento che potevano chiamare loro, con le sue piastrelle e la sua musica.
 “Mi fissi, Moony?” chiese dolcemente Sirius, il ghigno da lupo su quel viso affilato.
 “Sei piuttosto bello” rispose il giovane mannaro, il rossore che si spandeva in macchie sul collo sottile, mentre Black sogghignava piano e poi rideva, le mani che cercavano la magrezza di Remus, lo sguardo brillante, mai accogliente, sempre adorante.

*

Non c'era nulla nel presente di Remus Lupin che avesse lo stesso sapore di lacrime e speranza. 
 Nulla che potesse coincidere con quell'effimera felicità che aveva sfiorato con Sirius, ricamata con la presenza di James, Lily, Peter e tutti gli altri. 
Ombre. Rimpianti. Di Sirius gli rimaneva solo una scatola di dischi ammuffiti, un gomitolo di rimorso e qualche camicia ormai lisa. Di Mary un numero di telefono scritto sulla lavagna della cucina. Degli altri solo lapidi insensibili.
 Aveva creduto di conoscerlo, Black, 
Sirius Black. Remus credeva di essere arrivato a vedere ogni parte di lui, ogni muscolo, ogni osso, ogni legamento e respiro. Aveva asciugato le sue lacrime quando era fuggito di casa, aveva ascoltato i suoi rimpianti, gli aveva tenuto stretta la mano nelle notti più nere dove la spavalderia della loro Casa si sgretolava in cenere. Gli aveva dato tutto. Con la disperazione di chi non aveva niente da perdere e che ora che niente, davvero, gli era rimasto, comprendeva quanto gli fosse stato tolto. E l'alcool lo carezzava nella sua solitudine. 
 Era arrancato fino a quel bar per noia, la luna piena troppo lontana per non farlo sentire umano. Aveva avuto il bisogno di voci e cuori vicini e seduto al tavolo in legno del Paoiolo Magico, come tanti altri disperati come lui, si era sentito meno solo. Il suo lutto interiore che sapeva di ruggine e pioggia caduta ormai, non più di cocci di vetro e sangue. 
 Poteva sopravvivere ancora un po', bevendo vino elfico e Whiskey incendiario. 
 “Lupin?”
Remus alzò lo sguardo lentamente, chiedendosi se quello fosse davvero il suo cognome. Incontrò due occhi d'onice e odio e si stupì di riconoscere lo stesso arreso rancore che vedeva nei propri davanti allo specchio ogni mattina.
 Era Severus. Severus Piton.
 “Piton. Sei ancora vivo vedo” rispose rauco e forse sbiascicava un po', forse non sapeva cosa dire e l'altro uomo lo fissò per un istante con vago sprezzo, si guardò intorno e poi chinò il capo. 
 “Sei ubriaco?” gli chiese, con tono piatto e distaccato. 
 “Non credo che siano affari tuoi, Mocciosus” rispose il mannaro e quasi si stupì dell'acredine delle sue parole, lui che Piton '
Mocciosus' non l'aveva mai chiamato, nemmeno nella sua più feroce gioventù, ma aveva osservato i suoi amici farlo a lungo.
 L'altro si tese e sembrò disperato e stanco, Remus riusciva a leggerlo in quei lineamenti spezzati e pieni di pieghe e rimpianti. Riusciva a sentire l'odore agrodolce della solitudine sulle sue vesti nere.
 “Sei il solito, Lupin” rispose secco il mago, allontanandosi in uno svolazzo di vesti. 
 E qualcosa si smosse nel petto di Remus, una risata rauca e stanca, che lo fece sentire patetico. Come un adulto che dentro di sé ha solo un ragazzo ferito e mai cresciuto, che si graffia il petto da solo per capire cosa sia il dolore. Passarono i minuti, o forse le ore, in quella bettola di storie  inconcluse sul confine del mondo Babbano. Fino a quando qualcuno non  appoggiò davanti a lui un bicchiere d'acqua con un gesto secco. 
 Remus alzò lo sguardo confuso e lacrimante. 
Era ancora Piton. 
 “Devi idratarti, Lupin. Sei agghiacciante in queste condizioni” gli disse solo e si allontanò, prima che lui potesse rispondere, ma Remus era riuscito a scorgerlo sul suo viso: il dolore.

* * *

Era nato sotto la stella sbagliata Severus Piton, sua madre glielo diceva sempre. Eileen Prince.
 Era scarna sul volto e gli occhi vuoti di pazienza, gli zigomi che si scurivano in lividi e la magia ormai prosciugata nelle sue vene. Eileen Prince: una strega. E non era mai stata bella, ma almeno un tempo aveva avuto il dono del sorriso, ora invece sembrava essersi stravolta e aveva rinnegato tutto di quel che aveva creduto importante, se non sé stessa e quel figlio che altro non era un mucchietto di ossa fragili: Severus. 
 Parlava a tutte le ore del suo passato, Eileen Prince, le dita lunghe incerte che seguivano le cuciture dei suoi vestiti ormai logori. Parlava di Hogwarts, la sua vecchia scuola, in cui si era sentita quasi a casa e di colori, di amicizie lontane e quadri parlanti. Parlava di Pozioni, magie, leggende e storie e il piccolo Severus, le ginocchia appuntite strette al petto, la guardava in silenzio e lasciava che lei si sfogasse, che raccontasse con voce fiacca tutto quello che lo aspettava fuori da quelle quattro pareti che si ostinava a chiamare casa. 
 E si era abituato a bere ogni parola come un assetato, Severus Piton, da quella madre meno amorevole e sempre più fragile. La ascoltava rapito accoccolato ai suoi piedi come un gatto fedele, con la fame vorace di chi è nato sotto la stella sbagliata e ambisce invece a brillare. 
Stava sempre china sulle sue pozioni mentre raccontava, Eileen Prince, l'unica cosa che poteva essere considerata abbastanza banale dal marito Tobias per essere accettata, “simile a cucinare” diceva lui. La bacchetta le era stata tolta, i libri di magia nascosti, i vestiti di velluto e trine da strega bruciati, perché da quando lui la magia l'aveva riconosciuta l'aveva odiata tanto da cercare di ferire quella donna, così diversa da lui, con pugni e parole. 
 Su di lui però Tobias Piton non aveva però mai alzato un dito su di lui, ma nemmeno gli aveva mai detto di volergli bene. Era un padre assente e nervoso, perché con le sue mani rozze e il cervello infangato: Tobias Piton poteva essere considerato tra il peggio anche tra i Babbani. Eppure era stato anche lui giovane e prestante un tempo, con il sorriso storto e gli occhi neri come la notte. Severus lo sapeva. 
 Lo aveva visto nelle foto accartocciate appese in salotto, dove i suoi genitori, ingenui e sottili come giunchi, si abbracciavano con tenerezza sconosciuta, guardandosi in viso a vicenda. 

 Severus Piton era nato sotto una cattiva stella però e quell'amore non l'aveva mai vissuto. 
 Era cresciuto a mollo tra grida e silenzi, i secondi quasi più tremendi dei primi. Aveva sofferto la fame e la vergogna senza sapere come chiamare quelle sensazioni. Si era nascosto in vestiti grigi e informi, fingendo di essere qualcun altro. Aveva imparato a non aspettarsi mai amore. La vita era grigia per Severus Piton, nato sotto una cattiva stella. Grigia, solida e priva di aspettativa. Poi però era arrivata lei. 
 Lily Evans e tutto quel verde chiaro dei suoi occhi, la fiamma dei suoi capelli e i disegni delle sue lentiggini in quel mare di latte che era la sua pelle, ed era stato troppo. Troppo colore, bellezza e respiro e aveva mandato il suo grigio in frantumi, che lo aveva reso affamato di bellezza.

*

Piton entrò in casa a Spinner's End e si tolse il mantello con gesti decisi e abitudinari.  
 In un angolo sobbolliva lenta una pozione, i libri erano ovunque sulle pareti e su ogni superficie piana. 
Casa. Si sentiva stanco, così stanco che anche solo respirare necessitava di concentrazione. Privo di sonno da troppe notti e con la speranza maciullata ai suoi piedi. 
 Aveva creduto in un futuro, Severus, per la prima volta nella sua vita. Aveva sperato di aver scelto bene, di aver indirizzato sé stesso e le sue decisioni verso qualcosa di migliore. Aveva creduto di essere cresciuto di colpo, mettendo alla gogna i propri errori, accettando di far un passo indietro nell'ombra pur di salvare lei: Lily e quella famiglia che per lei era importante. 
 Si era sentito elettrizzato e spaventato insieme, in quel gioco di ruolo su due versanti, in cui il potere e l'equilibrio passava nelle sue mani, ma il fine ultimo era giusto e buono. E quando aveva pensato di cominciare a lavare via la crosta dei suoi fallimenti ecco che qualcuno lo aveva tradito, 
li aveva traditi, un Grifondoro, un puro di cuore e li aveva gettati tutti nel baratro. Sirius Black.
 Qualcuno bussò alla porta d'ingresso. Severus si irrigidì. Le pareti della sua mente, che si erigevano grazie all'Occlumanzia, tremarono piene di stanchezza. Andò ad aprire. 
 “Severus”
Albus Silente lo fissava dall'uscio, le vesti chiare e gli occhialini a mezzaluna. 
 “Professore” mormorò il giovane uomo.
 “Te l'ho già detto più volte Severus, puoi chiamarmi Albus” disse dolcemente lui ed entrò senza aspettare di essere invitato, sedendosi sul divano liso al centro della stanza e guardandolo in volto.
 E avrebbe voluto gridare, Severus Piton, e dirgli di andarsene perché non c'era più modo di lavarsi le colpe di dosso e il dolore era troppo grande per essere metabolizzato, mischiato con il rimpianto,  il fallimento e troppi ricordi in cui annegare.
 “Sei sparito per una settimana Severus” disse quieto l'uomo. 
 “Lo so” rispose l'altro, ma avrebbe voluto gridare
 “Fammi sparire per sempre”
 “So che è molto difficile per te questo momento, so che molto ti legava a Lily, ma non è colpa tua quello che è successo, Severus e purtroppo non possiamo lasciarci andare al dolore e al rimpianto, non dobbiamo abbassare la guardia. È proprio quando si crede di aver vinto la battaglia che si ottengono le ferite peggiori, ho bisogno del tuo aiuto perché ciò non avvenga”
E avrebbe voluto urlare fino a squarciarsi il petto, Severus e dire che lui non poteva aiutare proprio nessuno, perché era solo al mondo e non gli avevano mai insegnato a gestire l'amore, il dolore, la felicità e il rimpianto. Avrebbe voluto urlare che era era orfano e senza amici, che l'idea di fidarsi di qualcuno gli faceva orrore, perché stava imparando a nascondere sé stesso sotto strati e strati di indifferenza e controllo. E avrebbe voluto anche singhiozzare Severus e appoggiare il capo sulla spalla di Albus, godere della sua figura paterna, sentirsi amato e consolato, almeno un poco. 
 Una briciola di sollievo. 
Gli sarebbe bastato. Ma non lo fece.
  “Severus” lo richiamò il preside, mite “Mi stai ascoltando?”
  “Sì, certo” disse in fretta, rigido “Cosa ti serve, Albus? Lui è scomparso, morto”
  “Voldemort tornerà, Severus”

*

E se c'era qualcosa di Lily Evans che conosceva solo lui quelle erano le lacrime. 
 Lily Evans non piangeva mai quando ci si sarebbe aspettato. Non quando era triste, o arrabbiata, o stanca. Lily Evans piangeva all'improvviso, nei momenti più strani, per aver fatto attenzione ai dettagli più imprevisti e si permetteva di farlo sempre e solo con Severus. Il castello conosceva il sorriso di Lily Evans, la sua determinazione, la sua fronte corrucciata e la risata squillante, ma le lacrime no. Quelle appartenevano a lui. 
 E anche quel pomeriggio Lily Evans aveva pianto senza motivo, mentre mormorava la lezione di Trasfigurazione, il libro aperto sulle ginocchia, in quell'angolo di parco dove nessuno li avrebbe disturbati. Parlava tranquilla e poi improvvisamente: le lacrime. Severus alzò di scatto il capo dalla sua pergamena, la fronte aggrottata. 
 “Lily, stai piangendo” mormorò incredulo. 
 Lei sorrise dolcissima e si asciugò le guance con il dorso della mano, sbuffando leggera come una bambina. 
 “Oh, sì” disse quieta, sottile “Di nuovo, stavo solo pensando”
 “A cosa?” domandò lui e gli occhi della ragazza si offuscarono ancora e si fecero brillanti. 
 “Solo che... Siamo proprio fortunati noi, Sev, vero? Siamo maghi” disse dolcemente, osservando il castello poco lontano “Guarda che posto meraviglioso Hogwarts, lo avresti mai creduto?”
 E Severus avrebbe voluto risponderle che sì, lui lo sapeva da sempre che sarebbe finito lì, sui colli verdi che gli descriveva sua madre, le dita sporche di inchiostro e una bacchetta nella divisa di seconda mano, lo aveva sempre saputo e aveva desiderato ardentemente di arrivare proprio in quel posto, per sfuggire al grigiore della sua casa, ma tacque: perché era così bello vedere la commozione di Lily e quelle lacrime, quelle lacrime che erano solo sue. 
 Lily prese respiro, non si asciugò le guance che erano di nuovo rigate di acqua chiara, ma sorrise e si diede della sciocca, legandosi i capelli in una coda bassa, un sorriso leggero sulle labbra rosate. 
 “Ti va di raccontarmi una storia, Sev?”
 “Che storia, Lily?”

 “Una qualunque. Mi piacciono le tue storie.”
 Si stese accanto a lui, i capelli sparsi nell'erba, gli occhi socchiusi, la posa rilassata e piena di fiducia. Severus la guardava sentendosi il petto tiepido e il fiato corto, ancora seduto rigido e pieno di stupore, trattenendosi dal dire che le storie che mormorava lei, fin da quando erano bambini, erano semplicemente quelle che gli aveva raccontato sua madre e che lui le ripeteva con lo stesso accento e le stesse parole. 
 “D'accordo” disse solo rauco “C'erano una volta due maghi e due streghe che decisero di fondare una scuola di magia e...” e continuò a raccontare, con la dolcezza di un ragazzino, sobbalzando appena solo quando Lily allungò alla cieca una mano per ritrovare la sua, in un gesto che facevano nei loro giochi d'infanzia. 
 Severus continuò a raccontare, afferrando la mano tiepida di lei, tenendola tra le sue come fosse un tesoro, snocciolando piano le parole, con delicatezza, come se non volesse frantumarle, senza mai staccare lo sguardo dalle lacrime commosse di Lily Evans, che appartenevano solo a lui, perché solo di lui si fidava abbastanza.

*

Lo studio era scuro e accogliente, pieno di libri e silenzio, quasi come la sua casa di Spinner's End. Severus ci si addentrò quasi con timore, lo sguardo che si muoveva incerto dal caminetto accesso di fronte alla poltrona con l'alto schienale, alla scrivania di legno scuro. 
 “Allora Severus che te ne pare?” chiese quieto Silente e aveva l'ombra di un sorriso sul volto stanco  “C'è sicuramente spazio per i libri che hai se vuoi, la tua stanza è dietro a quella porta e l'aula di Pozioni in fondo al corridoio, come sai. Avrai la tua privacy e possibilità di muoverti per il castello come desideri. Devi solo sopportare i tuoi studenti per le ore necessarie, insegnare loro quel che sai e seguire con Minerva il piano di controllo notturno”
 “Va bene” rispose Piton con un gesto secco ed era tutto quello avrebbe detto. 
 Anche se avrebbe voluto ridere amaro e rauco, spezzandosi il petto e lacrimando sangue, perché non avrebbe insegnato che una stilla del suo sapere a quei ragazzini puri e speranzosi, perché la sua anima era nera e fumosa e lui non poteva condividerla: non voleva avvelenare nessuno.
 “Allora benvenuto ad Hogwarts, Severus. Di nuovo.”
 Silente si avvicinò a lui, poggiandogli per un istante una mano sulla sua spalla e rimasero immobili, con quel gesto di composto affetto a unirli, fino a quando il preside non si voltò, lasciandolo solo.   
 Professore. Delle tante cose che era convinto avrebbe fatto nella vita quella era decisamente l'ultima.  Professore di Pozioni. Lui. Severus Piton. 
 L'uomo abbandonò lo studio per osservare la piccola camera dove un letto a baldacchino lo attendeva nel centro e sospirò di malinconia e rimpianto nel vedere le stesse coperte verdi in cui da ragazzino si era avvolto per nascondere lacrime e dolore. Non sembrava che molto fosse cambiato. 
 Si tolse il mantello, assicurandosi che ogni bottone della sua lunga veste fosse serrato e si stese sul letto in silenzio, gli occhi socchiusi a celare il suo tumulto interiore. 
 Aveva paura Severus Piton. Aveva paura perché per la prima volta da tre anni stava provando del vago 
sollievo, tra quelle mura conosciute che l'avevano accolto e se c'era una cosa che lui non  sapeva come gestire era proprio quel sentimento di fiducia che sa rilassare i muscoli e farti sentire al sicuro. 
 Non si era mai sentito al sicuro Severus Piton, nemmeno da studente, tra le mura di quel castello, ma ora era professore, era un adulto consapevole e drammaticamente ferito e  non ci sarebbero stati i Malandrini a schernirlo e seguirlo di soppiatto, né le ragazze a ridere della sua eccessiva magrezza e del suo naso adunco, non ci sarebbero stati nemmeno Avery e Mulciber ad adularlo quanto bastava per far credere lui di essere, se non speciale, almeno vivo. 
 Severus era solo ormai e di quella solitudine ne faceva giorno dopo giorno la sua armatura.

*

Qualunque cosa ci fosse tra Severus Piton e Lily Evans era ingombrante.
 Non vi era romanticismo nei loro abbracci, nel modo istintivo in cui si cercavano con la punta delle dita, in cui come un duo serrato si muovevano svelti tra i corridoi della scuola. Ed era sconcertante e affascinante come quella ragazza tutta sorrisi e mente arguta, tornasse sempre a quel ragazzo scuro e ansioso, sempre più schivo e torvo nelle movenze e nelle espressioni. E lo giustificava con fervore, Lily Evans, per il suo sarcasmo e la sua solitudine, perché era impossibile non notare come gli altri evitassero quel ragazzino magro e malandato, così vistosamente poco circonfuso da amore, cura e pulizia. Lo giustificava Lily Evans, forse perché aveva visto oltre, oltre quello scudo di insolenza e rabbia, oltre quei silenzi che lo avvolgevano sempre più spesso e quei sorrisi forzati che si obbligava a fare ai professori.
 E si cercavano ovunque, quei due. Come calamite nella Sala Grande, sempre spalla contro spalla nelle lezioni condivise a respirare a vicenda la stessa aria. Sdraiati sull'erba del parco, o in angoli sicuri del castello nei momenti di libertà. C'era molto tra Lily Evans e Severus Piton. C'era una fiducia esagerata e una co-dipendenza per sopravvivere. 
 C'erano sogni mormorati a mezza voce, lacrime conservate gelosamente, tra trattati di Trasfigurazioni e dita sporche di inchiostro per i temi di Incantesimi su cui lavoravano insieme.
 “Perché Piton, Lily?” chiese una volta Remus Lupin, che di maltrattare Piton come gli altri sembrava non averne avuto mai desiderio, eppure come tutti osservava con più curiosità che sospetto quel legame simbiotico e confuso.
 “Perché non Piton?”rispose la ragazzina e il cuore di Severus che era a un passo da loro prese a battere più forte.
Lily si voltò in quel momento, in una nuvola di onde rosse e profumate che erano i suoi capelli.
 “Sev eccoti” sorrise “ti stavo aspettando”
 “Lils” mormorò Piton ed evitò con tutto il corpo e lo sguardo di scivolare verso Lupin e l'altro non disse nulla, tenendo anche lui il viso celato e distratto e il silenzio tra loro si fece pesante e quasi scomodo. Teso.
 “Ci vediamo dopo, Rem” disse Lily al compagno di Casa, abbracciandolo brevemente e Severus lo notò quell'irrigidirsi istintivo dei muscoli di Lupin, quel gesto che faceva sempre anche lui, il gesto di chi non è abituato a farsi toccare, ma abbassa le difese solo per Lily e lo vide il sorriso dolce sulle labbra dell'altro ragazzo, mentre Lily si allontanava di un passo con la sua espressione gentile, per poi prendere la mano di Severus e camminare insieme a lui.
 Severus lo aveva capito che anche Remus Lupin voleva bene a Lily Evans e sentì il panico montare nel petto. La paura della solitudine invaderlo, mentre stringeva la mano della ragazza tra le sue.
 “Da quando sei amica con quello?” chiese, fin troppo aspro e Lily si accigliò.
 “Con Remus?”
 “Sì, quello”
 “Da un po', Sev, non è come gli altri tre che ti perseguitano. Non essere sgradevole per favore. Ho avuto un brutto momento l'altra settimana, un po' di sconforto e lui è stato molto carino a consolarmi. Studiamo insieme. È davvero gentile, ti piacerebbe. Anche lui ama i libri quasi più delle persone” rise allegra.
 E avrebbe voluto dirle, Severus, che lui non aveva nulla contro Remus Lupin, ma non voleva perdere lei, che non aveva mai desiderato baciarla, come mormoravano agli angoli dei corridoi, ma semplicemente non voleva farla svanire, che Lily Evans era troppo per lui, che non l'aveva mai guardata con malizia, ma solo con adorazione e che solamente il suo volergli bene gli permetteva di non lasciarsi cadere nel baratro.

 “Ma le tue lacrime sono mie” disse invece e Lily Evans sgranò gli occhi e poi rise di nuovo, sincera.

*

Piton tornava poco a Spinner's End, tra quelle pareti amare che avevano troppi ricordi. 
 Lo faceva d'estate, quando Hogwarts diventa troppo vuota e malinconica per poterla sopportare, con il rischio di vedere fantasmi sbiaditi del suo passato tra i corridoi. Non che Spinner's End gli desse sollievo, con i suoi mobili lisi, l'odore di polvere e pergamena e quella voragine dove una volta stava la foto dei suoi genitori quasi innamorati, che lui aveva strappato dalla parete per non dover più assistere a quella bugia, appena si era trasferito lì. 
 Non c'era luogo al mondo, in effetti, che desse davvero sollievo a Severus Piton, ma Spinner's End era meglio di Hogwarts, era meglio di Lily e del suo rimpianto, di tutte quelle memorie spezzettate che sembravano come impresse in quella maledetta scuola.
 L'uomo scivolò attraverso la stanza, accese il fuoco nel caminetto, che nell'umida Spinner's End non doveva mai mancare, sistemò sul tavolo da lavoro alcuni ingredienti per le sue pozioni e controllò che gli altri, già accuratamente riposti in vasi di vetro e scatole di legno, non fossero avariati. Passò uno sguardo distratto sulle pareti cariche di libri, nella cucina bianca e immacolata, appoggiò la sua valigia nella sua piccola camera in penombra e fece un sospiro, di fronte a quell'esistenza vuota, lo stomaco troppo stretto per pensare di poter mangiare qualcosa. 
 Sapeva che stava solo temporeggiando, lì in piedi immobile al centro della stanza, il lungo mantello scuro che penzolava sulle spalle magre. Indugiava insicuro di quale sarebbe stato il suo primo passo in quell'estate che sospettava sarebbe stata insipida e vuota. La prima dove era davvero solo.
 Non c'era più il Signore Oscuro, le sue retate, la paura che lo coglieva come un gelo a ogni ora del giorno e della notte. Non c'era più il pensiero di Lily, che da qualche parte stava con Potter e che forse era felice. Non c'era più il padre con il fegato distrutto da troppo alcool a cui però Severus era stato accanto fino all'ultimo respiro. Non più la madre delirante e fragile che si sbriciolava giorno dopo giorno tra le sue dita. Non c'era più nessuno. Nemmeno Avery e Mulciber, entrambi attenti a evitare altri ex Mangiamorte per sfuggire alla giustizia. Persino Silente aveva dato lui una pacca sulla spalla con fare benevolo dicendogli “Cerca di riposarti questa estate, Severus. Divertiti se puoi. Non voglio vederti fino a settembre per il nuovo anno scolastico, svagati”.
 E Severus Piton aveva annuito come sempre distrattamente e aveva afferrato il piccolo pezzo di pergamena che il preside gli porgeva, con un indirizzo vergato con la sua calligrafia sottile: quello della tomba di Lily Evans. 


I passi di Severus scricchiolarono sulla ghiaia grigia del cimitero. Ci aveva messo dieci giorni, prima di decidersi, ma quel pomeriggio d'estate, dopo aver guardato vacuo la parete del suo salotto per più di un'ora senza aver voglia di fare assolutamente nulla, aveva deciso di alzarsi e andare. Aspettare e languire era un tortura, il suo corpo sembrava saturo di sofferenza ed era meglio forse affrontare quell'incontro una volta per tutte. Non poteva evitarla per sempre: la tomba di Lily. 
 Vedere infine il suo nome su una grigia lapide avrebbe reso reale quella morte che per tutti quei mesi aveva ruminato nella sua mente, con composto dolore, stentando quasi a crederci, a volte provando a immaginare che lei fosse con Potter da qualche parte lontana, a vivere la vita che aveva sempre sognato di avere, che avrebbe meritato. Sarebbe stato meglio. 
 Severus chinò il capo, cercando di barricare dietro l'Occlumanzia i suoi pensieri più intimi, in modo da rendere più morbida e ordinata la sua coscienza e frenare le lacrime pronte a uscire dagli occhi scuri. Non aveva più pianto, Severus, non dopo essersi disperato, prosciugando la sua intera anima durante quella notte in cui Lily aveva messo un punto alla loro amicizia.

 Girò a sinistra, affondando in quel piccolo cimitero Babbano nel paesino di Godric's Hollow. Seguì le poche indicazioni che Silente gli aveva lasciato, guardandosi i piedi, rimestando i suoi tormenti e per questo non si accorse di non  essere solo, che qualcuno era già di fronte alla tomba in pietra. 
 “Tra tutti non avrei mai pensato di incontrare te qui, Piton.”
Severus sobbalzò, alzando di scatto il capo, la mano subito alla bacchetta e i fiori che aveva preso per Lily ormai sparsi a terra. L'uomo gli dava le spalle, si scorgeva solo una zazzera di capelli castano chiaro e il corpo magro avvolto in un pesante pastrano marrone, nonostante fosse estate. 
“Ti conosco?” chiese Piton, freddo e controllato, e vide le spalle dell'altro uomo scuotersi appena in una risata amara, prima che si voltasse verso di lui, rivelando il volto arruffato striato di cicatrici e gli occhi color cioccolato vuoti di intenti e colmi di stanchezza. 
 “Lupin. Che sorpresa.” disse il mago, distendendosi un poco, era raro che venisse colto impreparato, gli faceva provare una strana sensazione, come di perdita di equilibrio.
“Non è particolarmente un piacere vederti, Severus, ma sì, è una sorpresa” rispose il mannaro ed era forse la prima volta che lo chiamava per nome e l'altro aggrottò la fronte e fece un passo indietro. 
Si fece silenzio tra loro e per un attimo si scrutarono entrambi attenti, Lupin sembrava consumato, ma sorrideva quieto, Severus era rigido sul posto invece, la bacchetta ancora tra le mani. C'era un passato ingombrante per entrambi sulle loro spalle e il non detto e l'astio che galleggiava tra loro, ma non si erano mai odiati, non apertamente e non con fervore, non avevano irrisolti a frenarli e si studiavano forse quasi curiosi, come a cercare i segni del tempo su qualcuno che aveva vissuto una vita per certi versi simile, ma dal lato opposto della barricata.

“Sei qui per Lily?” chiese infine Remus, quando i minuti cominciavano a farsi densi tra loro. 
 “Ovviamente” rispose a labbra strette Piton e Lupin, curiosamente, non inferì, non gli fece notare come per ironia fosse costretto a presentarsi anche a James per salutare la vecchia amica, non lo prese in giro con parole salate per la sofferenza che portava l'altro sul volto, annuì e basta, si chinò a recuperare i fiori che Severus aveva lasciato cadere e glieli porse.
 “Non volevo spaventarti” disse solo “Ti lascio il posto”
Piton lo squadrò con i suoi occhi scuri, per un istante, prima di riprendere in mano il mazzo di fiori di campo che aveva scelto per Lily che Lupin gli porgeva e inarcare appena un sopracciglio.
“Come hai fatto a riconoscermi senza nemmeno voltarti?” domandò.
 “Sono un lupo mannaro. Non ricordi con quanta enfasi cercavi di farlo sapere a chiunque a scuola?” rispose Remus morbido, facendolo quasi arrossire. 
 “Io... era per Black e... Io... Potter...” non avrebbe mai creduto di balbettare di nuovo nella sua vita, Severus, eppure lo stava facendo, sentendosi friabile e scoperto davanti alla consumata amarezza dell'altro uomo.

 “Lo so” lo fermò Lupin, scrollando stancamente le spalle “Eravamo ragazzi stupidi. Ma era la verità. Sono un lupo mannaro, ho riconosciuto il tuo odore da quando hai varcato il cancello”
Severus si mosse a disagio sul posto, abbassando infine la bacchetta. Tra loro si dilatarono ricordi e parole non dette, erano due testimoni di qualcosa che non esisteva più, di qualcosa che la guerra aveva sbriciolato ed era piuttosto curioso che fossero proprio loro due, tra tutti, a essere rimasti in piedi, proprio loro che per primi si sarebbero lacerati l'anima da soli pur di non veder svanire quelle poche persone a cui avevano dato la loro fiducia.
 “Hai riconosciuto il mio odore?” sillabò quindi solo Severus, impacciato.

 “Sai da sempre di vecchi libri e spezie, Piton. Non una novità” sbuffò Remus e l'altro sorvolò su quella risposta così specifica e prese un respiro lento, guardandolo ancora con sospetto.
  “Mi hai riconosciuto e non te ne sei andato?” insistette “Piuttosto inaspettato, Lupin, non credi?”
 “Avrei dovuto?” rise rauco il mannaro, con l'atteggiamento che sapeva di rassegnata disperazione.


Si voltarono entrambi per un istante verso la tomba dei Potter. Lily sorrideva loro insieme a James da una cornice dorata, in modo così dolorosamente simile a quando era in vita. Severus aveva parole che avrebbe voluto dirle, pronte a scivolare fuori dalla sua gola secca, in uno sfogo che sapeva già di sofferenza e si sentì grato che ci fosse la presenza tranquilla di Lupin al suo fianco, come se fosse in grado di arginare il suo dolore, di mantenerlo risoluto e compatto, forse perché riusciva quasi a comprendere la sua devastazione interiore.
 “Hai bisogno di un momento?” chiese infatti Remus, ma lui scosse la testa e appoggiò solo i fiori sul lato della tomba grigia, mentre l'altro scostava con rispetto lo sguardo.

 E perse solo un istante, Severus Piton, a osservare il volto chiaro di lei e accarezzò con la punta delle dita, incerte, quell'immagine fredda che provava a riprodurre l'amica di infanzia, pensando solo “Ciao Lily” poi si voltò, ricomponendo la sua maschera di freddezza e si affrettò verso l'uscita del cimitero, come in fuga dalle sue stesse ferite sanguinanti. Il mannaro fece un mezzo sorriso, stropicciandosi gli occhi e lo seguì, recuperando la distanza in poche falcate delle lunghe gambe e affiancandosi a lui con passo lento. Camminarono in silenzio uno fianco all'altro, quasi ignorandosi, fino al cancelletto storto. 
 “Che fai ora Lupin?” chiese di getto Piton, con un tono nervoso e stizzito, che sembrava così simile a quello che aveva avuyo da ragazzino “Non ti si vede in giro da un po', pensavo fossi fuggito”
 “E dove dovrei fuggire? Non mi si vede in giro perché non voglio essere trovato” disse Remus con voce misurata, un mezzo sorriso sulle labbra screpolate “Tu invece? Ho saputo che sei diventato professore, complimenti, le notizie corrono anche nei buchi dove mi nascondo”
“È solo che Silente ha voluto...” esalò il mago.
 “Te lo meriti”

Severus si voltò di scatto a guardare l'altro uomo, mettendosi subito teso e sulla difensiva, i lineamenti contratti dal sospetto e da vecchie ferite che tornavano a galla da tempi lontani.
 “Ti prendi gioco di me, Lupin?” sputò arrabbiato, ma si rese conto che l'altro era curiosamente placido e distaccato, le mani affondate nelle tasche del pastrano.
 “Affatto. Penso davvero che te lo meriti, Severus. Sei sempre stato un mente brillante, Lily mi raccontava molte cose di te, ammirava profondamente la tua intelligenza. Non penso sia necessario dirtelo, ma io non sono James e non sono nemmeno Sirius e nonostante loro mi saranno per sempre superiori in molti aspetti, non ho mai concordato sul loro modo di vederti. Se ci fossimo incontrati in altro modo forse saremmo potuti essere quasi amici io e te.”
 Il volto pallido di Piton si contrasse di nuovo in una smorfia incontrollata di disgusto, fece un mezzo passo indietro, titubante, come incerto sulla direzione da prendere.
 “Io non credo Lupin” rispose infine seccamente, nascondendosi dietro muri di rancoroso controllo. 
 “Come vuoi” disse l'altro in un sospiro “Non accetterai quindi di bere un bicchiere in compagnia come due vecchi amici ora, giusto?”
 “Esatto” disse secco Severus “Tu non dovresti bere e noi non siamo amici, Lupin”  
 “Hai ragione, due volte” rise rauco il mannaro, annuendo appena “L'ultima volta che mi hai visto bere in un locale non ero al mio meglio ammetto, ti sono ancora grato per quel bicchiere d'acqua, ma hai ragione anche a dire che no, non siamo amici e non lo siamo mai stati”
Il sole si fece più basso nel cielo sempre più rosato dal tramonto. Era una fresca sera estiva. Piacevole. Rimasero immobili davanti a quel cancelletto di cimitero per interi minuti, quasi facendosi compagnia, come se nel silenzio, dove entrambi riconoscevano le cicatrici che adornavano i loro cuori, fossero migliori a comunicare che con le parole e fu ancora una volta Lupin a rompere lo stallo, facendo un breve respiro spezzato. 
 “Se non abbiamo nulla da dirci, io vado, Severus, ci si vede immagino, o forse no”
 “Lupin” lo salutò l'altro secco, quasi spaventato dalla loro vicinanza, da quella strana consapevolezza di essere simili, che si stava facendo strada in entrambi.
 Remus annuì e si avviò, ma fece solamente due passi prima che Piton lo richiamasse “Ehi.”
 “Sì?” chiese il mannaro voltandosi, un mezzo sorriso, appena accennato, sul labbro marchiato da una cicatrice sottile, gli occhi come sempre gentili.
 “Te la caverai Lupin?”
 “È Remus, Severus.”
 Piton lo fissò, si accorse di quanto il mannaro fosse magro e stanco. Riconobbe i segni dell'insonnia, la vuotezza degli occhi che da troppo tempo non incrociano qualcuno di amato, i capelli arruffati, la barba sfatta, il modo arreso in cui cadevano le sue spalle. I segni e le macchie nascoste dell'alcool, della disperazione e della solitudine, piccole ferite che grondavano sangue invisibile che lui però conosceva come le sue stesse tasche. E desiderò quasi scrollare quel giovane mannaro ormai diventato adulto e dire lui che era stato un Malandrino un tempo e che lui, Severus Piton, lo aveva quasi invidiato per essere uno spezzato in grado però di brillare, mentre camminava per i corridoi di Hogwarts a testa alta, i libri mollemente sotto il braccio, orgogliosamente mano nella mano con Sirius Black, la battuta pronta, il sorriso morbido, la felicità sul viso. 
 “Te la caverai, Lupin?” ripeté quindi di nuovo in un sussurro, terrorizzato dall'idea di star condividendo qualcosa con quell'uomo che aveva sempre evitato.
 “Quelli come noi se la cavano sempre, Severus” rispose il mago “No?”
Non proprio avrebbe voluto dire lui, ma non disse nulla e osservò in silenzio Remus Lupin che si allontanava nel tramonto, lento sulle lunghe gambe, ultimo testimone del suo stesso passato. 



*Angolo autrice*

Ciao Lettori!
Eccomi qui, con il primo capitolo di questa mini long, che durerà tre capitoli e che ha come protagonisti due dei miei personaggi più amati: Severus Piton e Remus Lupin.
Chi mi segue sa come ho sempre ritenuto possibile, se non un'amicizia, almeno del sano rispetto tra questi due animi così profondamente simili eppure diversi. 
Ho provato a immaginare come avessero reagito a una morte così dolorosa come quella di Lily e James ed è saltato fuori questo. 

Sul mio punto di vista: reputo la coppia cosidetta "Wolfstar", ovvero tra Sirius e Lupin, quasi Canon per tanti motivi (gli stessi attori che hanno interpretato i due personaggi l'avevano letta così), ma allo stesso modo reputo valida la successiva relazione di Remus con Tonks e per quanto Severus sia il mio personaggio preferito, non sono una fan della Snily in senso romantico, ma adoro il loro rapporto, purtroppo mortificato da tante teorie e analisi raffazzonate che corrono sui social.

Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, aspetto come sempre vostri commenti e reazioni, sapete che amo confrontarmi con voi e con i punti di vista diversi. 
Il prossimo capitolo idealmente sarà pubblicato fine settimana prossima.
a presto, con affetto
vi




  
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