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Autore: Ode To Joy    18/01/2022    2 recensioni
[Past Odazai]
[One-side Soukoku]
“Puoi farmi una promessa?”
Chuuya s’imbronciò. “Tra noi non ci sono promesse, solo minacce.”
“Non è per me,” si affrettò a dire Dazai. “È per il bambino. So che gli vuoi bene.”
“Io non-“
“Volere bene a mio figlio, non implica volere bene a me.”
Chuuya lasciò andare un sospiro esasperato. “Che cosa vuoi, Dazai?”
“Per il mio compleanno, ti chiedo un regalo,” disse Dazai, senza guardarlo negli occhi. “Se mi accadesse qualcosa, dedicheresti la tua vita a proteggere mio figlio?”
“Questo posso promettertelo senza che tu vada da nessuna parte. Hai la mia parola.” Chuuya non avrebbe potuto rispondergli in nessun altro modo.

.
La morte di Odasaku ha posto fine alla guerra contro la Mimic, un modico prezzo per garantire alla Port Mafia l’ultimo tassello di potere di cui aveva bisogno.
Dazai non lo accetta, ma le persone a cui ha voltato le spalle - e da cui è stato ferito - sono le sole a cui può chiedere aiuto, ora che Odasaku lo ha condannato ad avere un futuro.
[Trans!Dazai] [Unplanned Pregancy]
- Fanfiction partecipante al Calendario dell’Avvento di Fanwriter.it -
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ango Sakaguchi, Chuuya Nakahara, Kouyou Ozaki, Osamu Dazai, Ougai Mori, Ougai Mori
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'These Brand New Pages'
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VII

 

Nel tempo che Mori impiegò per visitare il neonato, Chuuya aiutò Dazai ad alzarsi e a prendersi cura di sé. Intorno alle cinque del mattino, col cielo ancora scuro, il giovane neo-genitore si coricò nel letto della sua camera, col suo bimbo appena nato tra le braccia.

La prima tutina di Saku fu in ciniglia rossa, il cappellino una riproduzione di quello di Babbo Natale. Anche la copertina in cui era avvolto era dello stesso colore. I mesi passati erano stati il loro personale avvento e quella era la loro natività, avvenuta con tre giorni di ritardo rispetto alla tradizione. 

“Ahi, fa piano, Saku-chan,” mormorò Dazai, quasi avesse paura di disturbare il bambino che si nutriva al suo seno. Si era offerto di farlo con naturalezza, sorprendendo i due mafiosi che lo avevano assistito durante il parto.

“Il mio corpo mi permette di farlo,” aveva detto il neo-genitore, guardando il suo bambino con aria sognante. “E io voglio farlo.”

La questione era finita lì.

Chuuya sedeva sul letto, accanto a Dazai, e guardava la scena con un misto d’imbarazzo e fascinazione. “Ti fa male?”

“Un po’...” Ammise Dazai, ma sorrideva. “Ha tanta fame.”

“Hai sofferto per quasi diciotto ore,” gli ricordò Chuuya. “Se volessi delegare qualcuno e riposarti, nessuno ti giudicherebbe. Abbiamo il latte artificiale.”

Dazai scosse la testa. “È una cosa che voglio fare io,” ripeté.

Chuuya aveva un paio di obiezioni da fare, ma decise di mordersi la lingua. 

“So cosa pensi,” lo precedette il coetaneo. “Paragonate al modo in cui vivo il mio corpo, le mie azioni non hanno senso.”

“Io non sono veramente nessuno per dare giudizi,” disse Chuuya. “Il corpo è tuo, puoi viverlo come preferisci. Se vuoi allattare Saku, fallo. Fanculo le etichette e chi le crea. Volevo solo che sapessi che se non ce la fai, hai le spalle coperte.”

“Non dire parolacce di fronte al bambino.”

“È appena nato, Dazai. Che vuoi che capisca?” 

Saku fece un grande sbadiglio, informando entrambi che era sazio. 

Chuuya voltò lo sguardo con discrezione, permettendo all’altro di ricoprirsi. Sulla sedia a dondolo lì accanto, il Boss era già battuto in ritirata nel mondo dei sogni. Russando, per di più. 

Peccato che il nuovo arrivato in famiglia non volesse seguire il suo esempio.

“Non vuoi proprio dormire, eh?” Saku guardava Dazai con occhi grandi e curiosi, muovendosi come poteva nel fagotto in cui era avvolto. “Guardalo, prova già a sollevare la testa.”

Chuuya sospirò, sconfortato. “Poveri noi, sarà un piccolo diavolo.”

Dazai rise. “Ma questo lo sapevamo fin dal principio, è figlio mio.”

“Che tragedia…” Chuuya si lasciò andare contro i cuscini, come se potessero inghiottirlo. “Avrà tutta l’intelligenza di questo mondo e saprà come usarla, anche contro di noi.”

“Non essere così drammatico, Chuuya.”

“Devo pensarci. Non posso farmi trovare impreparato.”

“Parli come se avessi quarant’anni.”

“Mi sento come se li avessi davvero,” ammise Chuuya e guardò il partner dritto negli occhi. “Non farmi più una cosa del genere,” sibilò.

Dazai inarcò le sopracciglia, le dita strette intorno alla manina di Saku. “Nelle ultime diciotto ore, sono stato troppo impegnato a partorire per farti un torto.”

“Non mi hai fatto un torto,” ammise Chuuya. “Mi hai fatto paura.” Era abituato a Dazai che correva incontro alla morte, lo era di meno alle sue urla di dolore. Era un processo naturale - che cazzo - e non c’era modo per evitarlo - vaffanculo - ma ciò non toglieva che Chuuya fosse rimasto scottato a vita dal grande miracolo della nascita.

Quando Dazai parlò di nuovo, fu come se non lo avesse ascoltato affatto. “Hai mai visto niente di più bello?” Domandò, sognante. 

A parole non sarebbe riuscito a spiegarlo, ma Chuuya era certo che Dazai non si stesse rivolgendo a lui. Da quando era iniziata quella storia, si era sentito di troppo molte volte, ma quella fu la prima occasione in cui gli pesò al punto da chiudergli la gola. Non aveva importanza che fosse rimasto accanto a Dazai per tutto le ore che Saku aveva impiegato a nascere, quel bambino non era suo. Dazai non era suo - anche se non sapeva nemmeno in che veste lo volesse - e competere con il fantasma di Oda Sakunosuke era una strada che conduceva verso la follia.

Chuuya ripensò al dolore che aveva provato alle rovine della casa di Randou, quando Ango gli aveva confermato che Dazai se ne era andato per una sua scelta e non sarebbe più tornato. Non lo aveva analizzato, non lo aveva nemmeno elaborato. Ci era passato sopra con pragmatismo e poi aveva avuto l’ardire di andare da Akutagawa e dirgli di fare lo stesso.

Tempo perso.

Dazai era a casa, aveva dato alla luce un bambino che prometteva il futuro a tutti loro, non come membri della Port Mafia ma come persone legate le une alle altre. A metà strada tra Natale e l’inizio del nuovo anno, Saku aveva regalato loro una pagina vuota su cui scrivere una storia diversa, in cui non avrebbero ripetuto gli errori che li avevano allontanati gli uni dagli altri.

Potevano ricominciare. Potevano provarci.

Chuuya guardò Dazai e pensò che non lo aveva mai visto così. Decise che se ne sarebbe rimasto in silenzio, a memorizzare ogni dettaglio di quell’immagine per poi poterla raccontare. Era importante che Saku conservasse la sua luce e un buon punto di partenza erano i bei ricordi.

Fino a che non fosse stato in grado di crearne per se stesso, Dazai e Chuuya lo avrebbero fatto per lui.




 

Mori si svegliò alle prime luci dell’alba, appena dopo un paio d’ore di sonno. I ragazzi dormivano: Dazai era crollato completamente contro Chuuya - col sole alto, sarebbe stato motivo di lunghe lamentele - ma stringeva ancora il fagottino rosso tra le braccia. Con cura e pazienza, Mori sollevò il neonato e lo depose nella culla accanto al letto, dove era più al sicuro e non troppo lontano dal genitore.

Nella tranquillità del momento, il Boss della Port Mafia si concesse un istante per osservare il nuovo arrivato. Sorrise. 

“Benvenuto in questo folle mondo, piccolo Sakunosuke.”

Uscì dalla camera senza far rumore e percorse il corridoio in punta di piedi. Aveva bisogno di una doccia, di un caffè americano e di tre settimane di sonno. Aveva troppo freddo per buttarsi sotto l’acqua, seppur calda; non sarebbe riuscito a farsi un caffè decente nemmeno con la macchinetta e con un neonato in giro, di notti di riposo non ne avrebbe viste per un po’.

Pensò di andare a sedersi nello studio e lavorare, tanto per concentrare la mente su qualcosa di familiare. Il ricordo del liquido amniotico che bagnava la sua poltrona e il pavimento sotto la scrivania lo fece desistere.

Aveva bisogno di una sbronza come non se la prendeva da vent’anni - in Germania, con Johann - e di uno di quei sigari che non fumava da un po’ - aveva smesso dopo che la convivenza con Dazai era giunta al termine.

Ci pensò il destino a dargli una mano, ma non nel modo in cui se lo sarebbe aspettato.

Fermo, con il piede sull’ultimo gradino della rampa e l’altro sull’ingresso, Mori venne attirato da qualcosa in direzione della porta. 

Non fu un rumore, né una luce.

Niente era fuori posto, eppure sapeva che nell’ombra si nascondeva qualcosa. Il senso di familiarità lo raggiunse, prima dell’instinto di battersi. Suo malgrado, gli sfuggì un sorriso. “Fukuzawa…”

Per nulla intenzionato a rimanere nascosto, l’uomo si fece avanti, comparendo nel fascio di luce proveniente dalla cucina.

Mori lo osservò: non aveva i vestiti adatti per quel tempo, ma non se ne sorprese; forse i capelli argentei erano più lunghi, ma era davvero troppo stanco per mettersi a fare un’analisi meticolosa dei dettagli, come suo solito.

“In tutta sincerità, non credevo ti saresti disturbato a venire,” disse Mori, cortese. Era quasi certo che il loro ultimo incontro non fosse stato dei più amichevoli.

“Negli ultimi mesi, alcuni miei vecchi informatori mi hanno rivelato, in via confidenziale, di alcuni movimenti qui, alla clinica,” spiegò Fukuzawa. “Non pensavo si trattasse di te, fino a che non mi hai chiamato.”

“Beh, sorpresa…”

“Che sei tornato a fare qui, Mori?”

“Fino a prova contraria, è casa mia,” ribatté il Boss della Porta Mafia, sedendosi su uno dei gradini cigolanti. “Accomodati,” lo invitò.

C’era solo sospetto negli occhi chiarissimi di Fukuzawa e Mori non poteva biasimarlo: negli ultimi anni, si era impegnato molto per divenire qualcuno di pericoloso. Lì, su due piedi, era difficile spiegare al suo vecchio partner che quella era un’eccezione. Quando De Sade aveva gettato la città nel caos, raggiungendo l’apice con il rapimento di Dazai, erano riusciti a trovare un punto d’incontro e lavorare insieme ancora una volta. In quel momento, Mori non chiedeva nulla di complesso come un’alleanza, solo una tregua. “Siediti,” insistette, anche se con gentilezza.

Fosse stato un sicario dei tanti che lavoravano per il Governo, Fukuzawa non avrebbe perso neanche un minuto con lui. Ma era proprio per quella coscienza fastidiosa che il Lupo d’Argento aveva smesso di essere un uomo del Governo e, successivamente, anche quello di Mori.

Alla fine, Fukuzawa accettò l’invito. “Che cosa ti è successo, Rintarou?“ 

Mori dedusse che doveva versare in uno stato terribile, se l’altro arrivava a chiamarlo col suo vero nome. “Ricordi il mio ragazzo rapito da De Sade?”

Certo che Fukuzawa lo ricordava. Chiunque fosse stato lì aveva visto ciò che Dazai non avrebbe mai voluto mostrare. Difficilmente ci si scordava di una scena così.

“Quello che ti somiglia, sì.”

In linea cronologica, Mori era stato il primo in assoluto a fare quel commento su Dazai: aveva avuto bisogno che il ragazzino ne fosse annoiato - e molto - prima che qualcun altro avesse l’ardire di farglielo notare ad alta voce. 

“Sì, Dazai. Sarò breve: ha avuto un bambino, appena poche ore fa.”

Fukuzawa sbatté le palpebre un paio di volte. “Prego?”

“Niente di brutto,” si affrettò a dire Mori. Lui e Fukuzawa avevano condiviso parte del periodo che il medico aveva trascorso al servizio del vecchio Boss; e quando le donne bussavano alla porta della clinica, non era mai per questioni di routine. 

“Si amavano,” aggiunse Mori. “Dazai e il padre del bambino, intendo. Quest’ultimo è morto nell’ultima guerra che ha messo a soqquadro la città.”

“La Mimic,” disse Fukuzawa. “Taneda mi ha informato, ma non è mai stato richiesto ufficialmente l’intervento dell’Agenzia.”

Mori arrivò dritto al sodo: “tra qualche tempo, forse un anno, il Direttore Taneda ti proporrà Dazai come nuovo Detective per la tua Agenzia.”

Fukuzawa inarcò le sopracciglia. “Proprio quel ragazzino?”

“Proprio quel ragazzino, sì.”

Fukuzawa si preparò allo scontro. “Stai manipolando il Governo stesso per mandare una spia-“

“No. Mi odia come nient'altro al mondo,” aggiunse Mori. “Non lavorerebbe mai per me. Vuole cambiare vita e Taneda gli ha proposto la tua Agenzia. Tutto qui.” Una pausa. “Avanti, Fukuzawa, so che puoi distinguere quando mento da quando sono sincero, e che motivo avrei di dirti una bugia ora?”

“Infatti, non ha alcun senso rivelarmi che assegnerai uno dei tuoi alla mia Agenzia, specie tramite il Governo. Che potere hai acquisito per fare una cosa del genere?”

Mori scosse la testa. “Hai frainteso,” disse. “Il Governo crede che Dazai sia latitante, non con me. Per loro è un pentito da usare, nulla di più.”

“Da usare nella mia Agenzia?”

“È l’unico posto in cui ha accettato di lavorare.”

Fukuzawa assottigliò gli occhi. “Perché?”

Mori scrollò le spalle. “Immagino non voglia essere usato contro di me.”

“Hai appena detto che ti odia.”

“Ma non vuole vendetta. Per far nascere suo figlio, ha cercato me di nascosto dal Governo stesso. È una mina vagante.”

“E tu vuoi mettere una mina vagante nella mia Agenzia?”

“Non io. Taneda.”

Fukuzawa non era mai stato bravo ad afferrare i doppi giochi e quello che Mori e Dazai stavano mandando avanti era un tantino più complesso. Il Boss sospirò. “Anni fa, ti parlai dell’Europa, ricordi?”

Fukuzawa si limitò ad annuire.

“Alla fine del caso De Sade, dopo avermi visto combattere in prima linea per Dazai, mi hai chiesto se lui avesse a che fare con quella storia. Non ti ho risposto.”

“Rammento.”

Non era semplice per Mori fare quella confessione. “Dazai fa parte di quella storia, ma non lo sa.”

A una prima occhiata, l’espressione di Fukuzawa non cambiò ma i suoi occhi d’argento tradirono qualcosa, poi si allontanarono di colpo da quelli del Boss. “Maledizione, Rintarou. Che cosa mi stai affidando?”

Ed erano due volte che lo chiamava per nome: doveva averlo sconvolto parecchio.

Mori concluse che era inutile sottolineare che lui non gli stava affidando niente, che l’Agenzia era saltata fuori durante le trattative tra Ango e Dazai. “Adesso capisci perché ha la mia protezione, nonostante per il Governo sia un latitante?”

Fukuzawa si alzò in piedi. “Avresti dovuto chiamarmi prima.”

Mori gli rivolse un sorriso sarcastico. “Per cosa?” Domandò. “Volevi dimenticarti di tutto il rancore che c’è tra noi e correre in mio soccorso? Non è più il tuo lavoro da anni. A proposito, come sta Yosano?”

Mori non fu affatto sorpreso di ritrovarsi con la punta della katana contro la gola. Fukuzawa non disse nulla, non ce n’era bisogno.

“Bene…” Mori abbassò la lama senza difficoltà. "Alla fine, quello che devi fare non è diverso da ciò che hai già fatto. Un ragazzino con un dono mi volta le spalle e tu lo prendi sotto la tua ala, storia vecchia.”

“Con Yosano era-“

“Lascialo dire a me se è diverso o no,” lo interruppe Mori, alzandosi in piedi. “Ti sto affidando qualcuno - anche se lui non lo saprà mai - questo non cancella il fatto che lo stia perdendo.” A Mori non importava di suonare patetico o drammatico, perché quello era Fukuzawa Yukichi. Se Kouyou fosse entrata dalla porta d’ingresso in quel momento, lo avrebbe abbracciato come un vecchio amico e il Lupo D’Argento sarebbe arrossito come un ragazzino, perché l’aveva conosciuta che era poco più di una bambina e ora era una donna. Tutto questo a dispetto delle fazioni a cui appartenevano.

C’erano legami nel loro mondo che non si potevano spiegare. Esistevano e basta, sospesi tra rancore e ricordi, impossibili da definire con un singolo nome.

“Che devo sapere su questo ragazzino?” Fukuzawa si arrese.

“Non mentirgli.” Fu la prima cosa che Mori gli disse. “Qualunque cosa accada, non mentirgli. È intelligente, molto intelligente, ma è infinitamente pigro. Non mostrerà interesse per nulla che non stuzzichi la sua curiosità. Ah, non gli piacciono i cani. Dovrebbe essere una buona cosa, visto che sei ossessionato dai gatti.”

Fukuzawa a stento riusciva a stargli dietro. “Mi stai facendo una lista?”

“Avrà bisogno di qualcuno che gli tenga testa,” aggiunse Mori. “Non tu. Trovagli un partner che abbia polso, ma sappia ascoltarlo. E con una psiche stabile, soprattutto. Non sarà una compagnia facile da sopportare.”

Fukuzawa non era il tipo da chiudere la porta in faccia a nessuno, ma nemmeno un benefattore. “Se supererà la prova d’ingresso, come chi è venuto prima di lui, non avrò una valida ragione per mandarlo via.”

Mori accennò un sorriso. “Bene.” Non lo ringraziò, troppo sentimentale. “Non ho altri motivi per cui disturbarti.” Fece per tornare al piano di sopra e assicurarsi che i ragazzi non avessero udito nulla.

“Mori,” lo richiamò Fukuzawa. “Come farò a riconoscerlo?”

“Lo hai già visto.”

“Di sfuggita e non al meglio di sé. Voglio essere sicuro.”

“Non credo che ci saranno molti ragazzi padri fuori dalla porta della tua Agenzia.”

“Non è detto che si presenti col bambino. Voglio qualcosa di più specifico.”

“Non puoi sbagliare, non tu.” Mori gli fece l’occhiolino. “Mi somiglia.”






 

Ango fu l’ultimo ad arrivare.

Fosse stato per lui, si sarebbe precipitato alla clinica dopo la prima telefonata di Chuuya, ma c’erano apparenze che doveva mantenere, colleghi che doveva ingannare e un Direttore che non doveva fare domande.

Rimase al lavoro per gran parte delle ore che Dazai passò in travaglio. Chiamò Chuuya a ogni pausa disponibile e non riuscirono mai ad avere una conversazione decente. Come non commise nessun errore che potesse definirsi sospetto rimase un mistero.

Tornato a casa, collassò sul divano, certo che non sarebbe riuscito a prendere sonno.

Il messaggio di Chuuya arrivò alle 4.45.

È nato. Stanno bene tutti e due. Appena puoi, muovi il culo.

Impiegò una mezz’ora buona per calmarsi. 

Il bambino di Dazai e Odasaku era nato e stava bene, quel pensiero era come una ventata d’aria fresca ma tanto violenta da impedirgli di vedere bene davanti a sé. Per prima cosa, si fece una doccia. Non poteva andare a trovare un neonato puzzando di dodici ore di ufficio e ansia. Quando si mise in macchina, erano ormai le sei del mattino e albeggiava.

A causa della neve, non arrivò a destinazione prima della tarda mattinata.

Rischiò di scivolare sul ghiaccio almeno una decina di volte, mentre esauriva la distanza tra l’auto parcheggiata e la clinica. Non appena arrivato davanti alla porta, Chuuya gli aprì prima che avesse il tempo di bussare.

Si scambiarono un lungo sguardo sorpreso.

“Stanno bene?” Domandò Ango, tremando sia per l’agitazione che per il freddo.

Contro le sue aspettative, Chuuya non lo fece entrare ma uscì sul marciapiede e chiuse la porta. “Sì, stanno dormendo,” disse con tono incolore. “Il Boss è dentro con gli altri. Sta raccontando i fatti come una specie di grande impresa epica.”

Il diciannovenne si allontanò dalla porta di un paio di passi. Ango aveva molta urgenza di entrare: voleva vedere che Dazai stava bene con i suoi occhi e conoscere il suo bambino. Ma Chuuya non versava in un gran bello stato.

“Ehi, tutto bene?” Domandò, seguendolo lungo il marciapiede.

Il diciannovenne appoggiò la schiena alla parete gelata, annuendo distrattamente. Un istante dopo, prese a scuotere la testa e strinse gli occhi. “No, cazzo, non sto bene.” Si accovacciò a terra.

Preoccupato, Ango appoggiò un ginocchio sul terreno congelato e gli posò una mano tra le scapole. Tremava. “Chuuya, parlami!”

“Lasciami stare!” Il rosso gli piantò un pugno contro il petto, che non lo fece volare da nessuna parte. Neanche gli fece male. Era solo un modo per tenere l’agente fermo dove stava.

Ango prese un respiro profondo per calmarsi. “Chuuya…” Poteva intuire le emozioni che si agitavano dentro al più giovane e una reazione del genere non era da giudicare. 

Chuuya aveva la testa bassa e i capelli rossi gli coprivano il viso, ma Ango sapeva che stava piangendo.

“Hai avuto paura?” Domandò l’agente. “Ne avevo anche io e non ero lì… A dire il vero, non sono mai stato qui, ma tu sì. Tu hai vissuto questa gravidanza insieme a lui. È normale voler lasciare andare la tensione.”

“Mi serve solo un minuto,” disse Chuuya, con voce spezzata dal pianto. “Non dirlo agli altri. Non dirlo a Dazai.”

“Non lo farò,” promise Ango.





 

Quando Ango salì in camera di Dazai, lo fece da solo.

Chuuya rimase di sotto per intrattenersi coi suoi superiori e lasciare ai due amici un po’ di privacy. Assalito da un senso d’inadeguatezza improvviso, Ango impiegò un’eternità a percorrere il corridoio del secondo piano.

La voce dolce di Dazai lo raggiunse ben prima che la sua camera fosse a portata di occhio. Canticchiava una ninna nanna. Il lamento del neonato lo interruppe e Ango si fermò, come pietrificato.

“Shhh, Saku, va tutto bene,” mormorò Dazai.

La porta della stanza era socchiusa. Ango poteva vedere Dazai vagare lentamente di fronte alla finestra, cullando un fagottino rosso che tra le sue braccia sembrava troppo grande.

Ango rimase così per un po’, troppo intimorito per disturbare quella scena così intima.

Forse sentendosi osservato, Dazai sollevò gli occhi e incrociò i suoi.

L’agente trattenne il respiro, ma il più giovane gli sorrise e gli fece cenno entrare.

“Saku, guarda, lo zio Ango è venuto a trovarci,” disse Dazai, accomodandosi sulla sedia a dondolo.

Forse per il colore, l’agente non riuscì proprio a staccare lo sguardo dal fagottino rosso tra le braccia del più giovane. 

“Siediti, Ango,” Dazai indicò il letto con un cenno del capo. “Vieni a vedere quanto è bello Saku-chan.”

Ango eseguì le istruzioni e non appena ebbe preso posto, il piccolo padrone di casa diede subito un’occhiata al nuovo arrivato. “È vero…” Mormorò l’agente, come il peggiore degli idioti.

Dazai rise. “Lo so, è nato da quasi dodici ore e a stento riesco a crederlo anche io.”

“Tu come stai?”

“Stavo peggio ieri notte. Ora che c’è lui, va tutto bene.” Dazai passò la punta dell’indice sul profilo minuscolo. “Mi assomiglia, vero?”

“Non sono bravo a vedere le somiglianze nei neonati,” disse Ango. “Ma ha i capelli scuri, come i tuoi.”

Le labbra di Dazai si piegarono in un sorriso amaro. “Speravo fossero rossi,” ammise. “Ma possiamo ancora scommettere sul colore degli occhi.”

“Non posso credere che sia qui.” Ango sapeva di non star facendo la migliore delle figure, ma mai in vita sua si era sentito tanto incredulo di fronte a una realtà concreta.

“Visto? Sono ancora bravo a sorprenderti,” scherzò Dazai.

“Sei bravo a farmi prendere colpi,” lo corresse Ango, aggiustandosi gli occhiali sul naso. “E non hai mai smesso di farlo.”

Saku ascoltava le voci intorno a lui, placido. Era stato nutrito e la presenza del genitore lo rassicurava a sufficienza.

“Penserai a tutto tu?” Domandò Dazai, passando a questioni più pratiche. “Il certificato di nascita e tutto il resto.”

Ango strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile. “Ho bisogno che tu mi dica cosa desideri per lui.”

“Che sia libero,” rispose Dazai, senza pensare. “Forse il passato di Odasaku non è così ingombrante, ma il mio sì.”

“Sto già lavorando a quello,” gli ricordò Ango. “Voglio solo sapere se per il mondo, tuo figlio deve esistere.”

Dazai si umettò le labbra. “Come mi presenterai all’Agenzia?”

Ango venne preso in contropiede. “Ci stai ancora pensando?”

“Rispondi.”

“Sarai una proposta del Direttore. Nessun dettaglio, nessun passato. Non saresti il primo a presentarti all’Agenzia così. Tutti i membri si sono lasciati qualcosa alle spalle.”

“E la proposta del Direttore non può avere un bambino a carico?”

“Un bambino porta a più domande.”

“Il mondo è pieno di storie con padri assenti per le più svariate ragioni.”

Ango comprese dove voleva arrivare. “Vuoi interpretare la parte del ragazzo padre?”

Dazai scrollò le spalle. “Se devo…”

“E di Chuuya che mi dici?” Domandò Ango. “È troppo presto per presentarti all’Agenzia, nelle tue condizioni hai bisogno di altro.”

Dazai assottigliò gli occhi. “Perché t’interessa di Chuuya?” 

“Perché si prenderà cura di te e del bambino.”

Dazai non rispose. Non voleva farlo. Era troppo stanco per riflettere sul ruolo di Chuuya in quella storia. Se anche Dazai fosse stato sincero con lui, non avrebbe mai condiviso il suo punto di vista. L’amara verità: non erano né il giudizio né la volontà di Chuuya a fare la differenza.

“Mori sa che non resterò,” disse Dazai.

“Ne avete parlato?” 

“No, ma lo sa. Mi conosce, per quanto m’infastidisca ammetterlo.”

Ango inarcò le sopracciglia. “Ti lascerà restare per il tempo che vorrai e poi ti farà scegliere?”

Dazai scrollò le spalle. “Che vuoi che ti dica?” Sospirò. “Sono il suo preferito.” 




 

Oda Sakunosuke Jr. - non c’era stato verso di convincere Dazai a prendere in esame altre opzioni - nacque alla torre principale della Port Mafia, nella notte del ventotto di Dicembre. Dazai era entrato in travaglio la mattina precedente e nessuno si era mosso dal suo posto dall’allora, ignorando deliberatamente la fine dei turni o il fatto che nessuno avrebbe considerato quelle ore di attesa degli straordinari da pagare. 

Alla Port Mafia si stava verificando un evento senza precedenti, una sorta di natività in ritardo sulla tabella di marcia. Da quelle parti, si era abituati agli omicidi nei corridoi bui, alle pallottole piantate in fronte e alle gole tagliate. Ma una nascita era un evento più unico che raro. 

Il fatto che fosse Dazai Osamu stesso - il più giovane Dirigente della storia della Port Mafia e, secondo le voci, erede stesso di Mori Ougai - a essere impegnato a dare alla luce un bambino, non faceva che rendere tutto più… Più!

Non appena il meccanismo si era avviato, tutti i fedelissimi del giovane Dirigente si erano blindati ai piani superiori del grattacielo, quelli di proprietà di Mori stesso.

Nella sala da parto erano stati ammessi solo i due futuri genitori e il Boss, presente in quanto medico. Nakahara Chuuya era entrato e uscito da quella stanza almeno una decina di volte, per permettere a Odasaku di riprendere fiato. Ango era lì fuori, pronto a dare supporto morale al futuro padre come poteva.

Kouyou e Hirotsu, sebbene emozionati dall’evento, avevano concluso da persone adulte e mature che l’unica cosa da fare fosse pazientare e ingannare l’attesa con una tazza di tè dopo l’altra - Chuuya era certo che, a un certo punto, fosse divenuto sakè.

“Ce l’hai una sigaretta?” Domandò Ango, quando fu ormai chiaro che Odasaku non si sarebbe staccato da Dazai neanche per bere un bicchiere d’acqua.

“Ho finito sia la scorta normale, che quella di emergenza,” ammise il rosso in un sibilo. “Non credevo ci sarebbe voluto così tanto e non scendo a comprarne delle altre. Non mi muovo di qui.”

Parlava a bassa voce, perché i due veterani nell’angolo avevano fatto calare quel genere di sacra atmosfera, ma aveva un gran bisogno di urlare.

“L’ultima volta che sei entrato, come stava?” Domandò Ango, aggiustandosi nervosamente il nodo della cravatta.

Chuuya voleva sputargli in faccia. “Come deve stare uno che sta per partorire, Ango?”

“Ma non si sente urlare.”

“Urlava, urlava… Sono le pareti insonorizzate a evitare a tutti noi di diventare pazzi.”

Ango fece un sospiro. “Sakunosuke, quindi?”

“Saku,” lo corresse Chuuya. “Non cominciamo a creare situazioni confusionarie. Avrà già una vita difficile così, povero bambino.”

“Nessuno chiama Odasaku per nome.”

“Ma Sakunosuke è lungo!” Si lamentò Chuuya. “Metti che a Dazai viene la folle idea di chiamare il suo cucciolo di mastino per nome, che facciamo? Sakunosuke, Ryuunosuke, venite qui… Cioè, immagina.”

“Posso disturbare?” Mori si affacciò sul corridoio, facendoli trasalire entrambi. “Dazai e Oda avrebbero piacere di presentarvi qualcuno.” Si rivolse ai due veterani più in disparte: “potreste dare la lieta notizia a tutti gli altri e cominciare i festeggiamenti? Se si fa troppo giorno, i fuochi d’artificio non-“

A Chuuya e Ango non importò molto di quello che sarebbe stato dei fuochi d’artificio: si scapicollarono nella stanza, trovando la giovane coppia abbracciata sul lettino operatorio. Vedere Odasaku sorridere con tanta spontaneità era di per sé un evento, ma Dazai…

Chuuya era sempre stato certo che non avrebbe mai saputo che aspetto avesse la felicità sul viso di Dazai, eppure eccola lì, brillante come una stella sola nella notte.

“Lumaca è lento a venirti a conoscere, Saku-chan,” disse Dazai.

In effetti, Chuuya era l’unico idiota rimasto sulla porta, ma fu veloce a rimediare. “Ma è tutto lo Sgombro," commentò, annoiato.

Ango gli lanciò un’occhiata storta.

“Osamu si aspettava dei capelli rossi,” disse Odasaku, completamente rapito dal quadretto composto dalla sua famiglia appena nata.

“Possiamo ancora scommettere sul colore degli occhi,” rispose Dazai, appoggiando stancamente la nuca alla sua spalla. Si baciarono. Erano innamorati, felici e con un futuro radioso di fronte a loro - per quanto lo si potesse dire in un mondo che era fatto di tenebra.

Chuuya alzò gli occhi al cielo e li portò sulla vetrata, appena in tempo perché il primo fuoco d’artificio gli esplodesse in faccia. “Ma che cazz-“

“Chuuya, linguaggio, siamo di fronte a un bambino piccolo,” lo rimproverò Ango.

Gli occhi scuri di Dazai si tinsero d’incredulità. “Ma lo ha fatto davvero?” Tentò di alzarsi e reggere il fagottino nello stesso momento.

Chuuya fece per intervenire, ma Odasaku era già lì per aiutarlo.

“Ce la fai?” Domandò quest’ultimo.

“Voglio vedere,” rispose Dazai, come un bambino.

Chuuya rimase in disparte: Dazai non aveva bisogno di lui.

Mori aveva voluto il meglio per la nascita del figlio di Dazai e l’intero cielo di Yokohama brillava a festa, come un Capodanno in anticipo.

Dazai posò un bacio sulla guancia del suo bambino. Odasaku era accanto a lui, ancora incredulo, mentre accarezzava i capelli scuri di suo figlio appena nato.

“Tutto questo è per te, piccolo Sakunosuke.”

Il quartetto non si accorse della quinta persona che li guardava dalla porta. Sul volto, portava un sorriso nostalgico.

“Ehi, Mori…” Lo chiamarono. Non si voltò immediatamente, troppo incantato dal sorriso felice di Dazai.




 

“Mori!” Kouyou gli schioccò le dita di fronte al viso, riportandolo bruscamente alla realtà.

“Ti eri addormentato con gli occhi aperti?” Domandò lei, curiosa.

“Non proprio…” Rispose lui, sbrigativo, sbirciando attraverso la porta socchiusa Chuuya e Dazai che guardavano dalla finestra i fuochi d’artificio per il nuovo anno. Il mondo non sapeva che un bambino speciale era venuto alla luce e non aveva alcuna ragione di congratularsi con i genitori - uno, l’unico vivo - per il lieto evento.

Sakunosuke non era la personale versione della natalità della Port Mafia.

Sakunosuke era un segreto e andava custodito con cura.

Non ci sarebbe stato nessun fuoco d’artificio per lui.

“Guarda… Guarda… Guarda…” Mormorò Kouyou.

Mori la guardò. “Cosa?”

“È rimpianto, quello che vedo?” Domandò lei, passandosi l’indice sul mento. “Oppure è rimorso?”

Sulle labbra del Boss della Port Mafia comparve un sorriso tagliente. “Nessuno dei due, mia cara,” la rassicurò, poi le baciò una guancia. “Buon anno nuovo.”

“Buon anno nuovo,” gli fece eco Kouyou 




 

Il giorno in cui Chuuya divenne Dirigente, Dazai lo comprese senza che nessuno lo informasse. Per la prima volta da quando era nato Saku, non trovò l’altra metà del Duo Nero addormentata sulla sedia a dondolo e nessun messaggio era lì per giustificare la sua assenza. Al piano di sotto erano tutti silenziosi, non udiva Kouyou proporre - per l’ennesima volta - quanto sarebbe stato saggio portare Dazai e il bambino nei suoi quartieri, dove un esercito di donne sarebbe stato al suo servizio; persino Hirotsu non trafficava con le stoviglie, occupato a preparargli la colazione. 

Mentre si sporgeva sulla culla per controllare che Saku stesse bene, Dazai pensò di essere rimasto l’unico nella clinica.

“Finalmente, un po’ di tempo per noi,” mormorò, sollevando il neonato tra le braccia. Saku fissò gli occhi grandi nei suoi, succhiandosi il pugnetto con aspettativa. Un istante di ritardo e sarebbe scoppiato a piangere. “Arrivo, Saku. Sono qui.” Dazai ebbe il tempo di slacciarsi la casacca del pigiama per attaccare il suo bambino al seno, che qualcuno bussò.

La porta era socchiusa - non fosse mai che Chuuya la chiudesse - e Mori era in piedi, vicino all’architrave. Aveva i capelli perfettamente pettinati all’indietro, si era appena rasato e vestito come ci si aspettava dal Boss della Port Mafia.

“Preferisci che torni più tardi?” Domandò l’uomo.

Dazai scosse la testa. “Non mi dai fastidio.” Era inutile provare imbarazzo di fronte a Mori e Chuuya mentre allattava: lo avevano visto in condizioni pessime nel corso degli anni ed erano rimasti lì durante tutto il suo parto.

“Oggi starai solo per un po’,” disse Mori, facendo due passi all’interno della stanza. “Grande festa al castello del Re!” Esclamò allegro.

“E chi sarebbe il Re?”

“Io, ovviamente.”

Dazai lanciò un’occhiata ai cinque edifici neri che si vedevano in lontananza, fuori dalla finestra. “Sembrano cinque versioni dell’oscura torre remota, quella circondata da rovi e custodita da un drago sputa fuoco.”

“Torneremo a parlare di favole quando Saku sarà un po’ più grande, ma prima…” Mori depositò in fondo al letto un volume spesso alcuni centimetri, con una penna stilografica.

Dazai aggrottò la fronte. “Che cosa sarebbe?”

“Un libro di pagine bianche,” disse Mori. “Il mio regalo per te, per la nascita di Saku.”

Dalla posizione in cui era e col bambino attaccato al seno, Dazai non poteva sporgersi per toccare quei doni. “La penna sembra usata.”

“È usata, ma l’inchiostro è nuovo.”

“È tua?”

Le labbra di Mori vennero graziate da un sorriso nostalgico. “Anni fa, non molti a dire il vero, ho sentito il bisogno di tirare una linea metaforica. Alcune persone hanno l’abitudine di raccogliere tutti gli oggetti legati a un periodo in una scatola, hai presente?”

Non si aspettava che Dazai gli rispondesse.

“Una volta che hai racchiuso quella stagione di vita, puoi distruggerla o conservarla. Dipende da te.”

“Cosa stiamo decidendo se distruggere o conservare?” Domandò Dazai.

“Diciamo che, invece di mettere degli oggetti in una scatola, io ho scritto delle parole su delle pagine,” confessò Mori.

“E cosa hai scritto?”

“Tutte le vite di Mori Ougai, prima che divenisse il Boss della Port Mafia.” Prima Di conoscere te.

Dazai passò gli occhi scuri dal viso dell’uomo, alla penna. “Hai usato quella, vero?”

Mori scrollò le spalle. “Mi piace questa tradizione di passarci gli oggetti.”

“Che n’è stato della storia prima del Boss?” Domandò Dazai. “L’hai bruciata?”

Mori scosse la testa. “Ci sono racconti che non possono essere narrati a voce, con un pubblico, ma rendono meglio quando sono scritti nel privato, nero su bianco. C’è una persona a cui vorrei far leggere quella storia, un giorno.”

“E io che cosa dovrei scrivere?” Domandò Dazai, smarrito. “Per chi?”

“Lo sai solo tu,” rispose Mori. “È la tua storia.”

Dazai abbassò lo sguardo sul bambino che si nutriva al suo seno. “La vita che vivrò crescendolo non sarà la stessa che lo ha portato in questo mondo,” disse. “Anche io ho tracciato la mia linea.”

“Puoi scegliere: dimenticare o scrivere. O entrambe le cose.”

Dazai piegò le labbra in un sorrisetto dei suoi. “E cosa pensi che farò?”

Per un istante, uno solo, forse l’ultimo nella storia, ci fu un’intesa tra loro due. Mori estrasse il taccuino di pelle nera dall’interno della giacca. “Te lo ricordi?”

“Ancora esiste?” Domandò Dazai, sorpreso, afferrando l’oggetto con la mano che non sorreggeva Sakunosuke.

“Leggi la poesia a fondo pagina.” Mori lo disse come un maestro che chiede all’allievo di ripetere la lezione del giorno. “In tedesco.”

Dazai prese un respiro profondo. “Wisst ihr, wie ich gewiss euch Epigramme zu Scharen fertige, führet mich nur weit von meiner Liebsten hinweg.”

Mori annuì, soddisfatto. “Che altro potresti fare?” Domandò, riprendendosi il taccuino. “Sei già lontano dal tuo amore.”





 

Era il primo giorno del nuovo anno. 

Nevicava ancora ma Yokohama era di nuovo vivibile. Tutti erano tornati al quartier generale della Port Mafia per un evento importante, tranne Dazai. Quel mondo non era ancora pronto per il suo ritorno, forse non lo sarebbe mai stato. Aveva tracciato con Ango le prime linee di una nuova vita, ma non gli apparteneva ancora. 

Era sospeso, Dazai. L’oscurità e la luce si contendevano il suo cuore in una battaglia silenziosa, pur con la consapevolezza che la prima non lo avrebbe mai abbandonato del tutto. Il buio era parte del suo essere. Quel nulla di cui era l’incarnazione lo avrebbe reso maledetto per il resto dei suoi giorni.

Eppure…

“Guarda cosa abbiamo messo al mondo, Odasaku,” mormorò Dazai, appoggiando la guancia al bordo della culla. Saku ricambiò lo sguardo dal basso, il viso rotondo animato da un’infinita serie di smorfiette. Dazai lo guardava e, per la prima volta nella sua vita, si lasciava travolgere dall’amore che gli scaldava il petto senza paura. Non aveva avuto lo stesso coraggio con Odasaku, ma il loro bambino non avrebbe sofferto a causa della sua difficoltà a riconoscersi come umano. Il suo mondo iniziava e finiva lì, nello spazio dell’abbraccio che conteneva lui e suo figlio. Il dissidio tra luce e ombra poteva anche aspettare.

“È perfetto,” disse il fantasma, fermo di fronte alla culla bianca.

Dazai sollevò il viso e gli occhi azzurri di quell’illusione risposero al suo sguardo. Odasaku era lì, come lo ricordava, come lo avrebbe ricordato fino al suo ultimo respiro.

“Non ti dimenticherò mai,” disse Dazai, con un sorriso triste. “E non credo che riuscirò mai a lasciarti andare veramente.”

Di lui, avrebbe conservato due fotografie e poche parole scritte, ma Saku era la prova indelebile che Odasaku era esistito, che erano stati l’uno dell’altro. Nell’oscurità che li aveva messi al mondo e che li aveva nutriti, avevano trovato uno spiraglio e da quella luce era nato uno splendido fiore.

Quel bagliore non era vissuto abbastanza, ma il loro amore sarebbe divenuto immortale.

“Ma devo smetterla di parlare col tuo fantasma,” concluse Dazai. 

Lo spettro non ribatté, le sue labbra si piegarono in un debole sorriso, lo stesso che gli aveva rivolto prima di lasciarlo per sempre. Sollevò la mano e accarezzò la guancia destra del più giovane, quella che lui stesso aveva liberato dalle bende. Dazai chiuse gli occhi ed ebbe l’impressione di sentire il vero calore delle dita di Odasaku sul viso.

“Non è un addio. Te lo prometto, Odasaku.”

“Con chi stai parlando?” 

Dazai sollevò le palpebre: Chuuya era comparso sulla porta della camera, vestito come se fosse appena tornato da un evento di gala. L’immancabile cappello era tornato al suo posto e così i capelli rossi, perfettamente pettinati. Al suo braccio era appeso un cappotto nero.

Dazai comprese quello che era successo e lo accettò con un sorriso. Non disse nulla, aspettò che Chuuya attraversasse la stanza e si sedesse sul bordo del letto, dal lato opposto della culla. La prima cosa che fece fu allungare una carezza a Saku. “Non ha dormito neanche un po’?” Domandò.

“Penso sia emozionato,” rispose Dazai, con una scrollata di spalle. “I bambini così piccoli sono molto sensibili, deve percepire l’aria di novità.”

Chuuya lo guardò dritto negli occhi, senza smettere di toccare suo figlio. “Sono diventato Dirigente.”

“Lo so,” disse Dazai. “Congratulazioni.”

Non c’era molto altro da dire. Sì, avevano entrambi molte cose a cui pensare e tante altre da fare, ma non c’era nessuno lì a mettere loro fretta.

Nella sua culla, Saku li guardava e si succhiava il pugnetto chiuso, sereno.

Fu un raro momento di pace e se lo godettero in silenzio.




 

Più tardi, Dazai Osamu avrebbe preso tra le mani il libro di pagine bianche che gli era stato donato e avrebbe scritto l’inizio della sua storia, quella che avrebbe raccontato a suo figlio: le persone vivono per salvarsi.




 

Wisst ihr,

wie ich gewiss euch Epigramme zu Scharen fertige,

führet mich nur weit von meiner Liebsten hinweg.

——————————————————————

Sapete

come vi darei epigrammi a non finire?

Basta portarmi via, lontano dal mio amore.

 

[Johann Wolfgang von Goethe]




 

_____________________________________________ Note Finali ____

 

È stato meraviglioso (per auto-citarmi).

Qualche considerazione personale.

Sono sopra questo progetto dal 18 Novembre (sì, mi ricordo la data precisa) e non l’ho mollato fino alla parola fine. È la seconda volta in vita mia che scrivo una storia così lunga così di getto. È stata una ventata di aria fresca, cominciata con il WritOber e confermata con questo calendario dell’Avvento. Rinnovo la mia gratitudine per Fanwriter.it in questo senso, perché offre sempre la scusa buona per mettersi faccia a faccia con la propria creatività. 

Con questa storia voglio anche porre fine a una stagione un po’ triste, creativamente parlando: ho vissuto un blocco totale nel 2020, che nel 2021 ho cercato di superare con risultati altalenanti. Tra la storia del WritOber e questa ho ritrovato la vera voglia di scrivere, di creare nuovi progetti, di rivedere quelli incompiuti. Il tutto con un entusiasmo che non sentivo da molto tempo. So che parliamo di fanfiction. Non so se ci saranno mai dei progetti originali vissuti dall’inizio alla fine nella mia vita, ma non riuscirei a sentirmi davvero viva senza la scrittura (e in questi due anni ne ho sofferto) e sono felice per i fandom che mi danno le emozioni e l’opportunità di sfogare questa creatività. Come lo sono delle persone con cui posso condividere queste avventure, sia qui pubblicamente, che nel mio privato.

Quindi un sincero e personalissimo GRAZIE a chi ha dato una possibilità a questa storia, a chi ha speso il suo tempo per leggerla e lasciare un commento.

 

Ora…

 

Considerazioni d’Autrice

Ho parlato della genesi di questo Macro What If nelle note iniziali, insieme alle altre due parti già pubblicate che ne fanno parte. Ora voglio spendere due parole sul presente e il futuro di questo progetto.

Ho già detto che è molto articolato, ma questi sette capitoli sono il cuore di tutto e metterli nero su bianco per condividerli col mondo è una gran vittoria per me.

C’è chi aveva già letto di Saku nel 2019, ma questo è il vero inizio della sua storia. 

Questo Macro What If, come avete letto, è fatto di tantissimi altri dettagli: sono stati fatti dei riferimenti al Marchese De Sade e a Goethe. Tutti elementi che saranno sviluppati prima di quanto si pensi. 

Allo stato attuale sono in lavorazione 2 PREQUEL - SPIN-OFF e 1 SEQUEL DIRETTO di questa storia. Per ora il cast d’interesse continuerà a essere quello che va Fifteen alla Dark Era (forse passando per Stormbringer). Ma chi ha letto As Pure As The Driven Snow sa che arriveremo a toccare anche Atsushi e Akutagawa. 

Un passo per volta. Questo progetto mi è molto caro e conto di lavorarci parecchio nel corso di questo anno. Non so fare previsioni sulla lunghezza delle varie parti perché le sto scrivendo tutte come storie autoconclusive… Poi mi ritrovo con più di 50k come in questo caso e mi trovo a suddividere per facilitare la lettura.

Per ora, rinnovo i miei ringraziamenti, con la speranza di “rivederci” in occasione dei prossimi capitoli di These Brand New Pages.

In coda vi lascio i miei contatti. Alla prossima!

 


 

Mi trovate su

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Marta Magro.

Se preferite, Marta è più che sufficiente.

Se vi va di fare qualche chiacchiera da fandom,

di parlare dello scrivere o semplicemente per fare due parole,

Scrivetemi!

Scrivo tragedie ma sono simpatica, giuro ✌🏻



 
   
 
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