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Autore: CedroContento    20/01/2022    5 recensioni
“Il Duca avrebbe desiderato, anche se non l’ha detto ufficialmente, che sua Maestà prendesse in sposa sua figlia. Ma non se n’è fatto niente.”
“Per forza, era strabica e piena di lentiggini” esclamò Caspian.
(Le Cronache di Narnia – Il viaggio del veliero, Cap.2)
.
Da questo piccolo estratto nasce la mia storia (una mini long in due parti), ovvero quella di Ella, la figlia del duca di Galma. Cosa sarebbe successo se la voce riguardo al commento indelicato del Re si fosse sparsa per tutta Narnia? E se Ella e Caspian si fossero incontrati ancora una volta, dieci anni dopo?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Cida, per il tuo sostegno e lo stupendo banner.
Terza Parte
 
Le stelle di Narnia brillavano in tutto il loro splendore sopra la testa di Ella, in quella tarda e limpida notte. Si rallegrò tra sé e sé per il fatto che non ci fosse nemmeno una minuscola nuvola in cielo, mentre era intenta a trafficare con le lenti di un vecchio telescopio che le sarebbe servito per osservare il raro allineamento fra ben tre pianeti.
La congiunzione avrebbe raggiunto il suo picco di lì a poco: Tarva, simbolo di Vittoria, Alambil, Signora della Pace e Segim, Signore dell’Inganno (1) ; un evento raro, che si ripeteva appena ogni cinquecento anni.
La presenza di Segim, collocato esattamente fra Tarva e Alambil, per molti non rappresentava esattamente un buon presagio, ma Ella non credeva a queste sciocchezze.
Quello fu il primo segnale d’avviso che ignorò.

La congiunzione era il motivo per cui Ella si era svegliata nel cuore della notte. Non che farlo le fosse costato troppo, il sonno l’abbandonava sul presto già da diversi giorni.
Era una vera fortuna trovarsi a Cair Paravel con un intero osservatorio astronomico ben attrezzato a sua completa disposizione.
Era vero, essere lì era una vera fortuna, e da quando si era fidanzata ufficialmente era anche una vera tortura.

La porticina della torre cigolò alle sue spalle, impedendo giusto per tempo ai suoi pensieri di tornare per l’ennesima volta a concentrarsi su di lui.
Ma quando si voltò, sulla soglia, stava immobile proprio Caspian, l’oggetto di quei pensieri assillanti, altrimenti detto: l’ultima persona che si sarebbe augurata di incontrare lì.

Dal loro incontro nello studio, Ella e Caspian non si erano più rivolti parola, o fosse anche solo un’occhiata. Era stato lui, in realtà, a non averla nemmeno più guardata in faccia, quando lei aveva accettato la proposta di lord Argion. Ella aveva solo fatto altrettanto, se non altro per una totale mancanza di spina dorsale.

“Scusa, non ho pensato che molto probabilmente ti avrei trovata qui,” disse lui, colto alla sprovvista quanto Ella.
“È che stasera c’è l’allineamento-”
“Di Tarva, Alambil e Segim. Sì, lo so,” mormorò, sforzandosi palesemente di non guardarla più del necessario. “Me ne vado.”
“Aspetta!” Ella si morse le labbra per essersi lasciata sfuggire quella parola, chiedendosi come diamine le fosse venuto in mente di fermarlo, quando non avrebbe dovuto augurarsi altro che la lasciasse finalmente sola e in pace.
Si mosse a disagio, cercando il modo migliore per rimediare a quell’uscita infelice: “Non voglio sentirmi in colpa per averti impedito di assistere alla congiunzione. Visto che ormai sei qui rimani, se ti va. O meglio, il castello alla fine è il tuo, puoi fare quello che vuoi,” borbottò, spostando la sua attenzione al fissaggio di una rotella, che non aveva alcun bisogno di essere sistemata.

Per un tempo che le sembrò lunghissimo, Caspian non si mosse.
Con la coda dell’occhio lo vide azzardare, ancora in parte indeciso, qualche passo verso di lei, con gli occhi rivolti al cielo.
“L’ultima volta che Tarva e Alambil si sono allineati, Cornelius mi raccontò tutta la verità su Narnia. Mi confessò anche di essere un nano,” raccontò, perdendosi nei ricordi. “Non eravamo qui - Cair Paravel a quel tempo era un mucchio di macerie - eravamo nel palazzo di mio zio Miraz.”
Ella avvertì nel tono di Caspian una nostalgia quasi dolorosa, certamente legata alla memoria di Cornelius, più che al palazzo in cui era cresciuto o allo zio che aveva cercato di assassinarlo.
“Non so perché te lo sto raccontando,” aggiunse, forse fraintendendo il silenzio di lei.

Ella avrebbe voluto riuscire a concentrarsi su altro, ma dopo tutti quei giorni passati ad evitare di guardarlo, a differenza di quelli di lui, sembrava che i suoi occhi fossero decisi a recuperare tutto il tempo perso. Non fu capace di farne a meno, alla fine anche Caspian non poté mancare di accorgersene. Non si sottrasse più.
“Hai accettato la proposta di lord Argion,” disse, con inaspettata schiettezza. Suonò come un’accusa.
“Sì,” rispose Ella, con un filo di voce.
Caspian annuì: “È stato più fortunato di me,” commentò amaramente.

Non avrebbe saputo dire come mai all’improvviso Caspian si trovasse così vicino a lei. Non sapeva se fosse stata lei ad annullare la distanza tra loro o se fosse stato lui a coprire quella manciata di passi.
“Brilli come una stella, Ella, vorrei solo essermene accorto prima,” le sussurrò, scostandole un ricciolo ribelle dal naso.
La mano di Caspian si fermò sulla sua guancia e Ella si riscoprì a voler premere il viso sul suo palmo, godere del delicato contatto con la sua pelle.
“Non dirlo, ti prego,” disse, senza alcuna convinzione.
“Vorrei solo sapere cosa devo fare per averti. Deve esserci qualcosa”.

Odiò la magia che sentiva nell’aria. Maledisse quel momento così perfetto, sotto le stelle, che sembrava splendessero solo per loro. Maledisse quella dichiarazione, la più dolce che si potesse desiderare, e che una piccola parte di lei, segretamente, aveva atteso da sempre.
Sopra ogni cosa odiò la sua testarda dignità, che le impediva di dire sì e solo sì.
Scosse la testa per scacciare tutto: “Non puoi fare più-”
Caspian fermò quelle parole con le sue labbra e, pur sapendo fosse sbagliato, a quel bacio Ella si abbandonò.

Lui partì il giorno dopo stesso.

Senza Caspian, Cair Paravel sembrava deserta; Ella non era certa si trattasse solo di una sua impressione. Tutto procedeva più lentamente, la sequela di feste ed eventi si era arrestata bruscamente con l’improvvisa partenza del Re.
Dove fosse diretto, salpando così in fretta e furia, nessuno lo sapeva.

Nemmeno l’arrivo della famiglia intera di Ella bastò a riempire gli spazi.
La presenza di sua madre - felice come non mai - comunque mise il turbo ai preparativi del matrimonio.
La matrigna di Ella era sempre stata una donna energica e incrollabile, ma in quei giorni scoppiava particolarmente dalla gioia, e l’entusiasmo e il buon umore finirono per essere contagiosi, perfino per Ella. Il fatto che fosse riuscita a renderla tanto fiera le scaldava il cuore. Era sollevata di non sentirsi più un peso ed un fallimento totale; una sensazione che non le apparteneva da così tanti anni che aveva dimenticato di averla mai provata.
Perfino suo padre le sorrideva. Aveva sofferto così a lungo per la sua freddezza, aveva così a lungo agognato quel momento. C’era un tempo in cui avrebbe dato di tutto perché lui la guardasse con tanto orgoglio. Si riscoprì ad accogliere quell’orgoglio con totale indifferenza; qualcosa tra loro si era rotto, dieci anni prima, e non poteva più essere aggiustato.


Lord Argion aveva espresso il suo desiderio di sposarsi a Cair Paravel, al cospetto del Re di Narnia, e possibilmente con la sua benedizione.
Non a tutti era concesso di sposarsi a palazzo, ma la famiglia del futuro marito di Ella, primogenito di un Granduca, era molto antica ed importante. Era un grande privilegio, Ella avrebbe dovuto sentirsi un’eletta.
Stava vivendo i giorni che aveva sempre sognato, ma non riusciva a sentirsi leggera, non riusciva a sentirsi fortunata, o anche solo a scacciare il vuoto.
Passava le giornate in compagnia di lord Argion, organizzando le loro nozze, e le notti a cercare di ricordare il sapore di un bacio rubato.

“Ella! Svegliati, pigrona!”
Le porte delle sue stanze si spalancarono violentemente, scosse da quell’uragano che era la sua matrigna.
“Non è possibile che tu riesca a dormire fino a tardi anche il giorno del tuo matrimonio. Io non ho chiuso occhio. O cielo, spero proprio di non avere gli occhi gonfi!”
Le tende scattarono di lato, facendo entrare prepotentemente la luce del sole; Ella nascose la testa sotto il cuscino.
“Ho delle ottime notizie, il Veliero dell’Alba ha attraccato questa notte! Il Re ci sarà al tuo matrimonio, sono così sollevata!” escalmò.
Da sotto il suo cuscino, gli occhi di Ella di spalancarono. Quelle non erano affatto buone notizie, era un vero disastro. D’un tratto, trovò estremamente complicato riuscire a muovere un singolo muscolo, anche quelli che servivano per respirare.

“Ella,” il tono improvvisamente attento di sua madre la indusse, quasi automaticamente, a scoprire il volto. “Sei così strana in questi giorni. All’inizio ho pensato fossi semplicemente tesa e non ho detto nulla, ma...” cominciò, sedendosi accanto a lei. “Tesoro, te lo devo chiedere prima che sia troppo tardi: è veramente quello che vuoi? Lo ami?” le chiese, carezzandole la chioma arruffata.
La mano di Ella si aggrappò a quella di sua madre, la sua ancora di salvezza, la sua roccia.

Se c’era una persona che era in grado di metterla a nudo, far crollare ogni maschera, era proprio quella che in quel momento le stava vicina. Non poté più nascondersi, anche perché sentiva le lacrime premere per uscire. Così, come da bambina finiva col confessarle ogni marachella, raccontò a sua madre tutta la verità.

Percorse la navata a passo lento, chiedendosi perché la marcia nuziale suonasse triste quanto una marcia funebre.
La chiesa era riccamente addobbata, i fiori color pastello spargevano nell’aria il loro profumo dolce e delicato, gli occhi degli invitati - distinti ed eleganti - erano tutti concentrati su di lei.

Caspian, adducendo alla stanchezza del viaggio, aveva declinato l’offerta di celebrare lui stesso il rito, come qualche volta era prassi. Se ne stava al suo posto d’onore, rigido, l’espressione dura fissa sul pavimento. Ella pensò che aveva proprio l’aria di uno che avrebbe potuto mettersi ad urlare da un momento all’altro. O magari poteva finire lei col farlo.
Sua madre doveva pensare lo stesso di tutta quella situazione. Ella si sentì terribilmente in colpa per averle rovinato la felicità di quel giorno. Era tesa, lo specchio di ciò che dentro provava Ella stessa. Dall’altare, la vide lanciare continuamente delle occhiate preoccupate ad entrambi. Forse sarebbe stata lei quella che avrebbe messo fine a quella assurdità, gridando ai presenti che era tutto sbagliato.

Una vocina, nel profondo di Ella, cominciò a chiederle se stesse davvero facendo la cosa giusta.
Quella mattina, sua madre le aveva chiesto se quel matrimonio era veramente ciò che voleva, e Ella non conosceva la risposta alla domanda. Cosa l’aveva portata lì, il rancore? Una ripicca?

Guardò l’uomo dolcissimo e così perfetto che stava trascinando giù con sé. Lord Argion le sorrise interrogativo, Ella non fu in grado di rassicurarlo sorridendo a sua volta. Con il tempo, lo avrebbe reso terribilmente infelice, in un momento ne fu assolutamente consapevole.

Distratta com’era perse il filo della cerimonia. Sussultò nell’improvviso silenzio che seguì alla frase: “Se qualcuno ha qualcosa in contrario a questa unione, parli ora o taccia per sempre”.
Con il fiato sospeso, gli occhi di Ella scattarono verso quelli di sua madre, poi verso Caspian.

La testa del Re non era più rivolta al pavimento. Alto e fiero lui sostenne il suo sguardo, sfidandola. In quello scambio silenzioso, Ella capì che non avrebbe mai osato farle questo, stava lasciando a lei la scelta.
Ricordava quando gli aveva detto che non aveva bisogno di essere salvata, e la maledetta vocina parlò ancora, ricordandole anche che forse non era del tutto vero. Aveva bisogno di essere salvata, ma dalla sua dignità, quella che le impediva di amare, quella che le impediva di lasciarsi amare. E forse quella che lei chiamava dignità, alla fine, non era altro che orgoglio.
Ora, lei ed il suo stupido orgoglio, se ne stavano in piedi davanti all’uomo sbagliato.

Non toccava certo a sua madre salvarla, non toccava a Caspian, toccava a lei.

Toccava a lei parlare, adesso.

 

  1. Tarva e Alambil sono veramente due corpi celesti nominati ne “Le Cronache di Narnia - Il Principe Caspian”, Cap.4; il loro allineamento, è specificato, avviene ogni 200 anni, quindi non dovrebbe verificarsi ora, mi sono presa la libertà di metterlo comunque. Quella di Segim invece è una mia aggiunta, il nome è effettivamente il nome di una stella. (su)


Angolino dell’autrice:

Eccoci, popolo di Narnia, alla fine di questa mini-long!

Comincio con il dire che non sono troppo convinta di questo capitolo, avrei voluto sviluppare il tutto un po’ meglio (per fare un esempio: Ella e il padre; anche se di fatto non è una cosa troppo citata nei capitoli precedenti, quindi magari potrebbe andare bene anche così, boh). Il problema è stato che ogni volta che cercavo di lavorare alla scena iniziale, davanti alla pagina bianca il mio cervello andava in stand-by, e quindi alla fine vogkuo considerare un grande risultato essere riuscita a portare a termine questo progetto anche così.

Nella mia idea iniziale la figura della matrigna non avrebbe dovuto essere tanto presente, ma di fatto è un personaggio a cui mi sono affezionata molto, che ha preso vita propria e ha deciso da sola di diventare importante. Ah già, non posso dimenticare di dire che ovviamente questa è tutta colpa di Cida! Cara, grazie ancora infinitamente per il meraviglioso aesthetic (quello che avete visto all’inizio del capitolo), non poteva esserci regalo di Natale più azzeccato e più gradito, questo capitolo non potevo che dedicarlo a te. Grazie infinite! <3

Spero che questa conclusione vi sia piaciuta, o per lo meno che non vi abbia delusi troppo *guarda Jake Dromeosauro con apprensione*

Grazie a tutti voi per aver letto fin qui, per aver recensito, e in particolare ai miei compagni di merende Leila, Cida, Jake, e Nao.

Adesso basta, lascio a voi la parola.

Anzi, no...

La testa non voleva proprio saperne di smetterla di girare. Ma era lucida, finalmente era lucida. Sentiva freddo, sudava freddo, e al contempo fastidiose vampate di calore risalivano a ondate dalla nuca alla fronte. Si sentiva debole, ma non poteva fermarsi. Era di fondamentale importanza che lo trovasse.

Miracolosamente, lo individuò quasi subito in quella distesa infinita di uomini in armatura, pronti alla battaglia.
“Caspian!” urlò, facendosi strada a forza tra la calca.
La lasciarono passare, una donna in vestaglia era abbastanza fuori luogo in mezzo ad uno scintillante esercito, abbastanza da essere notata subito, per quanto esile.
Non sapeva bene come lui aveva fatto a sentirla, ma il Re girò su sé stesso più volte, finché non la vide.

“Ella, ma cosa fai in piedi? Scotti,” disse prendendole il volto tra le mani, mentre un’espressione preoccupata gli si dipingeva in faccia. Odiava quando le riservava quell’espressione.
Ella scosse la testa: “Non importa. Caspian, devi fermare tutto questo. È uno sbaglio, un terribile sbaglio”.
“Vieni, andiamo nella mia tenda,” disse il Re, in tono che non ammetteva repliche.
La avvolse rapido nel suo mantello scarlatto e la caricò sulle braccia. Solo in quel momento, Ella si rese conto di essere anche scalza; i piedi erano gelidi e le dolevano dopo l’avanzata nella neve. Nemmeno quello aveva importanza, tutto sommato.


“Caspian, devi ascoltarmi. È sbagliato, è tutto sbagliato. La strega a cui dai la caccia non c’entra nulla,” cercò di spiegare Ella, una volta che Caspian l’ebbe adagiata e sistemata per bene sulla sua branda.
In risposta però il Re non fece che voltarle le spalle, fingendosi indaffarato a prepararle qualcosa di caldo.

Ella pregò che le sue suppliche non suonassero troppo vaneggianti. L’accondiscendenza nei modi di Caspian le suggeriva che lui pensava proprio quello, mentre le porgeva una tazza di liquido fumante.
“Bevi, è una tisana, ti scalderà”.
Obbediente, Ella prese un sorso bollente dell’intruglio di erbe. Effettivamente sentire il liquido caldo, che scendeva benefico per la gola, fu piacevole. Aveva un retrogusto strano, ma dopotutto familiare.

“Aslan mi è apparso in sogno... Meglio, non so se era davvero un sogno. So che suonerà folle, ma: le fate, dobbiamo cercare le fate nelle foreste ad ovest. Caspian, è lì che troveremo la risposta. Lei è innocente,” spiegò Ella, cercando di rimanere calma, nell’estremo tentativo di essere creduta.
Caspian le accarezzò dolcemente una guancia e la incoraggiò a bere ancora. “Lo so già,” ammise.
Nessuna accondiscendenza, era vero. Ella glielo lesse negli occhi, aveva imparato a leggere ogni cosa in quegli occhi.
Quello che non capiva, però, era perché il sentimento che vedeva ora stava lì. Colpa.
“Lo sai? Ma, allora… L’esercito, perché?” chiese sempre più confusa, avvertendo che la testa cominciava a girarle, di nuovo.
 
Sentì gli occhi farsi pesanti. Batté diverse volte le palpebre, nel tentativo di mettere a fuoco la vista sempre più sfocata. Non funzionò, sentiva di sprofondare inesorabilmente nel buio della sua mente, la sua mente traditrice, che ancora una volta si svuotava di ogni pensiero coerente. 
“Cosa hai messo nella tisana?” chiese con un filo di voce, capendo, finalmente. 
“Hai bisogno di riposare,” fu la risposta che arrivò a mo’ di giustificazione. Sempre la stessa. La sua mente non era l’unica a tradirla. 
 
Avvertì Caspian chinarsi su di lei, stringerla e premere delicatamente le proprie labbra sulle sue.
Le labbra dell’uomo che amava furono l’ultima cosa che avvertì consciamente.
Non avrebbe saputo dire se quel ‘perdonami’, invece, lo aveva solo immaginato.


 
 
   
 
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